Le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 23 marzo 2020, n. 2020.

La massima estrapolata:

La valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità.

Sentenza 23 marzo 2020, n. 2020

Data udienza 5 marzo 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1047 del 2018, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Fe. e Fr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Ma. in Roma, piazza (…);
contro
Il Ministero dell’interno, in persona del Ministro in carica, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 marzo 2020 il consigliere Alessandro Verrico e udito l’avvocato Fr. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. per il Piemonte (R.G. n. -OMISSIS-), l’odierno appellante chiedeva l’annullamento del decreto del Capo della Polizia – Direttore della P.S., n. 333-D/88980 in data 10 marzo 2010, concernente la destituzione dello stesso, nonché di tutti gli atti e provvedimenti presupposti, antecedenti, consequenziali, successivi e comunque connessi al predetto provvedimento, ivi compresa la deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina in data 1° febbraio 2010.
2. Il T.a.r. Piemonte, dopo aver respinto la domanda cautelare con ordinanza n. -OMISSIS-, con la sentenza n. -OMISSIS- ha respinto il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio. Secondo il T.a.r., in particolare:
a) la censura dedotta circa il travisamento dei fatti è del tutto destituita di fondamento, trovando diretto riscontro – nelle sommarie informazioni rese in data -OMISSIS-nel procedimento penale – il pieno coinvolgimento del ricorrente nelle operazioni di reperimento, di acquisto della droga e di occultamento della stessa all’arrivo degli agenti di P.G.;
b) non è né illogica né irragionevole la scelta di infliggere al ricorrente la sanzione della destituzione, atteso che:
b.1) l’acquisto di sostanza stupefacente ha pregiudicato la relazione fiduciaria con l’Amministrazione di appartenenza (anche per la necessaria contiguità con soggetti operanti nell’illegalità che l’assunzione di sostanze illecite inevitabilmente comporta) e ha costituito una violazione con gli obblighi assunti con il giuramento prestato (fra i quali rientra proprio il contrasto al contrabbando e al traffico di stupefacenti);
b.2) disdicevole è il tentativo da parte del ricorrente di evitare le operazioni di controllo dei militari in servizio, qualificandosi come appartenente alla Polizia di Stato ed esibendo il tesserino d’ordinanza, e il successivo diniego opposto alla richiesta di consegna della sostanza stupefacente e il contestuale tentativo di occultamento della stessa;
b.3) l’Amministrazione ha tenuto conto della gravità della condotta ponendola in relazione anche al pregresso percorso professionale e disciplinare del ricorrente, valorizzando a tal fine la sanzione della sospensione dal servizio (per mesi tre) di cui all’art. 6 d.P.R. n. 737 del 1981, già irrogata in data 1° dicembre 2008 per un fatto ana e tale da integrare una reiterazione della stessa infrazione in un breve lasso temporale;
c) non può essere esaminata la censura di disparità di trattamento, in quanto del tutto evanescente nelle sue stesse basi argomentative.
3. Il ricorrente originario ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso di primo grado. In particolare, l’appellante ha sostenuto le seguenti censure in tal modo rubricate:
i) “Invalidità e/o inesistenza e/o nullità e/o annullabilità e/o inefficacia e/o revocabilità della sentenza impugnata. Vizio di motivazione per omessa pronuncia sui vizi del provvedimento impugnato dedotti nel ricorso giurisdizionale di primo grado e, segnatamente, sulla illegittimità e/o invalidità e/o annullabilità ex art. 21 octies, legge 7 agosto 1990, n. 241, sulla manifesta irragionevolezza della valutazione dei fatti aventi incidenza sulla valutazione conclusiva e sulla violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità “. In particolare, secondo l’appellante, l’uso occasionale ed episodico di sostanze stupefacenti non potrebbe giustificare di per sé una sanzione così grave, quale quella della destituzione, ex art. 7 d.P.R. 737 del 1981, ma, al più, avrebbe potuto giustificare una sanzione ex art. 6, comma 2, d.P.R. 737 del 1981, in quanto l’episodio a lui ascrivibile rientrerebbe tra i casi di modesta gravità ;
ii) “Invalidità e/o inesistenza e/o nullità e/o annullabilità e/o inefficacia e/o revocabilità della sentenza impugnata. Violazione di legge per omessa motivazione e omessa istruttoria (l. 241/1990 e/o D.P.R. 461/2001)”. In particolare, l’appellante lamenta la manifesta sproporzionalità e irragionevolezza della sanzione, in quanto irrogata in conseguenza di una condotta occasionale, assolutamente non abituale, che non ha inciso in alcun modo sull’esercizio delle proprie funzioni. Peraltro non sarebbe stata opportunamente valutata la circostanza che lo stesso, a seguito dei fatti per cui è causa, ha intrapreso un percorso che lo hanno condotto all’abbandono definitivo delle sostanze stupefacenti.
3.1. Il Ministero dell’interno non si è costituito in giudizio.
3.2. L’appellante ha depositato memoria di replica in data 13 febbraio 2020.
4. All’udienza del 5 marzo 2020 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
5. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
6. In via preliminare, il Collegio:
a) rileva l’inammissibilità della memoria di replica dell’appellante (depositata in data 13 febbraio 2020) in quanto, non essendosi costituito il Ministero, non è stata depositata alcuna memoria difensiva cui replicare, memoria che costituisce il presupposto indefettibile della replica (v., sul punto, Cons. Stato, sez. IV, n. 381 del 2020; n. 5676 del 2017);
b) esamina direttamente i motivi di censura sollevati nel primo grado del giudizio, essendo gli stessi sostanzialmente e criticamente ribaditi nella presente sede di gravame e costituendo il perimetro invalicabile del thema decidendum ex art. 104 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 5868 del 2015).
7. Preliminarmente all’esame del merito della controversia, il Collegio intende premettere in punto di fatto che:
a) l’appellante veniva deferito in sede disciplinare perché trovato in possesso di gr. 0,7 di cocaina appena acquistata da un cittadino straniero e, in particolare: trovato in auto con altra persona, al quale era intestata la vettura, all’arrivo degli agenti di P.G. si qualificava come appartenente alla Polizia di Stato e, pur a fronte di una specifica richiesta di consegna di quanto appena acquistato, non ottemperava; durante il tragitto in direzione della locale caserma dei Carabinieri, la sostanza stupefacente veniva rinvenuta all’interno di un involucro termosaldato, posato sul tappetino dell’autovettura di servizio, in corrispondenza del sedile ove era seduto l’appellante;
b) tale condotta, valutata unitamente alla pregressa sanzione disciplinare della sospensione per mesi tre irrogata nei confronti del ricorrente per fatti analoghi commessi nel 2008, veniva ritenuta in sede disciplinare gravemente compromissoria del vincolo fiduciario e contraria al senso dell’onore del tutore dell’ordine pubblico, quindi incompatibile con l’ulteriore permanenza nei ranghi della Polizia di Stato.
8. Ciò premesso, va rilevato che il ricorrente lamenta l’eccesso di potere nell’accezione di difetto di istruttoria, manifesta irragionevolezza della valutazione di fatti tali da incidere sulla valutazione conclusiva e violazione di legge per assenza di motivazione, in ragione delle quali sono state fatte valere l’illegittimità e l’annullabilità del provvedimento impugnato. In particolare, a suo avviso, dovrebbe essere prestata massima attenzione sia alla circostanza che l’uso di sostanze stupefacenti è stato occasionale ed episodico, sia al fatto che lo stesso è cessato in esito al percorso intrapreso.
I provvedimenti impugnati sarebbero pertanto illegittimi sotto il profilo della proporzionalità della sanzione della rimozione di grado.
9. Le censure, che in quanto strettamente connesse devono essere trattate unitariamente, non sono fondate.
9.1. Il Collegio precisa in termini generali che, per costante giurisprudenza (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; sez. IV, 15 gennaio 2020, n. 381), “la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità ” (Cons. Stato, sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858; conf. id., sez. III, 5 giugno 2015, n. 2791; sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1968; sez. III, 20 marzo 2015, n. 1537).
9.2. Ciò premesso, il Collegio, in relazione alla fattispecie in esame, rileva che l’Amministrazione nel corso del procedimento disciplinare che ha condotto all’irrogazione dell’impugnata sanzione provvedeva a valutare congruamente i fatti addebitabili all’appellante.
Esulano, pertanto, vizi di motivazione ed istruttoria nell’operato amministrativo: il provvedimento, infatti, è stato preceduto da approfondita istruttoria e corredato da congrua, logica e coerente motivazione, come è dimostrato dal fatto che:
a) è stata accertata la condotta denotata da rilevante gravità (acquisto della sostanza stupefacente e sviamento delle attività di controllo di P.G.), a cui si associa la presenza di una pregressa sanzione disciplinare irrogata per fatti analoghi all’uso di sostanza stupefacente di tipo cocaina;
b) è stata apprezzata la gravità della condotta, perché contraria ai doveri di correttezza, fedeltà, lealtà e rettitudine assunti con il giuramento prestato, perché ha arrecato disdoro all’immagine e al prestigio del Corpo e perché ha ingenerato dubbi sulla correttezza degli appartenenti ad esso.
9.3. Peraltro, risulta assente il lamentato difetto di proporzionalità della sanzione irrogata, in quanto, anche alla luce delle risultanza del verbale di sommarie informazioni rese in data -OMISSIS-nel corso del procedimento penale, la natura e la gravità dei fatti addebitabili al militare denotano l’assoluta mancanza dell’etica professionale del senso morale e dell’onore, che devono essere dimostrati dal pubblico dipendente nello svolgimento del servizio d’istituto.
Le condotte addebitate all’appellante si pongono invero in totale spregio dei doveri assunti con il giuramento e sono tali da pregiudicare irrimediabilmente il rapporto fiduciario con l’Amministrazione, dovendo al riguardo essere tenuti in considerazione i superiori interessi pubblici, nonché le aspettative riposte dall’Amministrazione e dal consorzio civile in ogni operatore. Del resto, a fronte della gravità dei fatti addebitati non assumono particolare rilievo dirimente i precedenti di carriera dell’interessato, che non inducono a considerare manifestamente sproporzionata o irragionevole la sanzione irrogata.
Peraltro, occorre evidenziare che la giurisprudenza consolidata (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 1086 del 2017) ha più volte affermato i seguenti principi:
– l’ampia discrezionalità dell’Amministrazione militare in punto di individuazione e, eventualmente, dosimetria della sanzione, sindacabile in sede giurisdizionale solo ab externo in casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità, palese arbitrarietà ;
– l’assunzione di sostanza stupefacente da parte di un appartenente ad un Corpo di polizia (ad ordinamento sia civile sia militare) dello Stato, come tale preposto, tra l’altro, proprio alla repressione della diffusione e dello spaccio di sostanza stupefacente, costituisce, a prescindere da ogni altra considerazione circa i precedenti di servizio dell’incolpato (nella specie, peraltro, prima facie tutt’altro che eccezionalmente positivi), una condotta frontalmente confliggente con i doveri del ruolo ed oggettivamente incompatibile con la prospettica prosecuzione nel servizio; tanto anche in presenza di un episodio isolato di assunzione di sostanza stupefacente, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, n. 413 del 2017; Sez. III, n. 3371 del 2011 [quest’ultima relativa a due assunzioni di stupefacente da parte di un appartenente alla P.S. in un ristretto contesto temporale]; Sez. IV, n. 2458 del 2010);
– oltretutto, l’assunzione di sostanza stupefacente passa necessariamente attraverso il contatto con almeno uno spacciatore, come avvenuto nel caso di specie, quindi con un soggetto colto in flagranza di delitto che, ai sensi dell’art. 380 c.p.p., un componente della Polizia di Stato sarebbe stato ex lege tenuto ad arrestare;
– il rispetto del giuramento è vieppiù cogente – e la relativa violazione ancor più inescusabile – da parte degli agenti della Polizia di Stato, chiamati a incarnare mediante l’esempio e la pratica quotidiana, i valori di rigore morale, di rispetto delle leggi e dei regolamenti interni, di forza caratteriale che permeano, caratterizzano e qualificano il Corpo.
Pertanto, l’analisi dei precedenti giurisprudenziali, che questo Collegio intende condividere, conduce ad affermare che la destituzione è legalmente inflitta in presenza anche di un solo isolato episodio di assunzione di sostanza stupefacente e dunque a fortiori al cospetto di una condotta di acquisto e consumo dello stupefacente.
10. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.
11. Nulla si deve disporre in ordine alle spese del presente grado di giudizio, attesa la mancata costituzione di parte appellata.
12. Il Collegio rileva che l’infondatezza del ricorso in appello si fonda su ragioni manifeste in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 1234 del 2020; Sez. IV, 2205 del 2018; n. 2879 del 2017; 5497 del 2016, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della sanzione), conformemente ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. Sez. VI, n. 11939 del 2017; n. 22150 del 2016).
A tanto consegue il pagamento della sanzione nella misura di Euro 2.000,00.
13. La condanna dell’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunziando in merito all’appello in epigrafe (R.G. n. 1047/2018), così provvede:
a) respinge l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;
b) nulla sulle spese del presente grado di giudizio;
c) condanna l’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a., al pagamento della somma di Euro 2.000,00 (duemila) da versare secondo le modalità di cui all’art. 15 disp. att. c.p.a., mandando alla Segreteria per i conseguenti adempimenti;
d) manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2020, con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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