Le eccezioni in senso lato sono rilevabili d’ufficio anche in appello

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|1 febbraio 2023| n. 2963.

Le eccezioni in senso lato sono rilevabili d’ufficio anche in appello

Le eccezioni in senso lato sono rilevabili d’ufficio anche in appello, purché la prova dei fatti sui quali si fondano sia stata ritualmente acquisita al processo (non necessariamente a seguito di iniziativa della parte interessata), non potendo tale prova essere fornita, per la prima volta, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., rimettendo in moto una fase procedimentale che deve considerarsi ormai chiusa, in ossequio al principio dell’ordinato svolgimento del processo, desumibile dagli artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU.

Ordinanza|1 febbraio 2023| n. 2963. Le eccezioni in senso lato sono rilevabili d’ufficio anche in appello

Data udienza 20 dicembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Locazione – Rilascio immobile – Titolarità del rapporto controverso – Legitimatio ad causam – Prova – Appello – Divieto di nuove allegazioni – Art. 345 cpc – Eccezioni in senso stretto ed in senso lato – Mere difese – Differenza – Decadenza – Cass. Civ. Sez. Un. n. 2951/2016 – Rilevabilità d’ufficio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3655/2022 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Comune di Napoli;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3576/2021, depositata il 1 ottobre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 dicembre 2022 dal Consigliere Emilio Iannello.

Le eccezioni in senso lato sono rilevabili d’ufficio anche in appello

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato (OMISSIS) al rilascio in favore del Comune di Napoli (rappresentato in giudizio dalla (OMISSIS) S.p.a.) di immobile – detenuto dalla predetta in forza di locazione stipulata in suo favore dalla usufruttuaria e non piu’ opponibile all’ente decorsi cinque anni dalla morte di quest’ultima, avvenuta il 17 febbraio 1995 – nonche’ al pagamento delle indennita’ maturate dal 29/6/2006 al gennaio 2018 nella misura di complessivi Euro 49.000,00, oltre alle spese di lite.
Per quanto ancora interessa in questa sede, la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile, ex articolo 345 c.p.c., la produzione, per la prima volta offerta dalla (OMISSIS) nella fase decisoria del giudizio d’appello, di documento attestante che a far data dal 2005 (e dunque gia’ da prima dell’inizio del giudizio di primo grado) l’immobile conteso sarebbe stato retrocesso alla ASL Napoli 1 e che pertanto il Comune di Napoli non sarebbe titolare della posizione sostanziale fatta valere.
Ha in proposito rilevato che il principio della rilevabilita’ d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, del difetto di titolarita’ della posizione sostanziale fatta valere in giudizio, deve ritenersi mitigato dal contrario principio secondo cui la relativa eccezione e’ destinata a soccombere ogni qualvolta il convenuto abbia svolto difese incompatibili con la negazione della titolarita’ medesima e/o comunque il difetto di titolarita’ non emerga dagli atti del processo (Cass. Sez. U. n. 2951 del 2016).
2. Per la cassazione di tale sentenza (OMISSIS) ricorre con unico mezzo.
L’ente intimato non svolge difese nella presente sede.
Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che e’ stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
La ricorrente ha depositato memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 99 e 112 c.p.c., nonche’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”.
Afferma che l’eccezione suddetta, la si consideri afferire alla legitimatio ad causam o alla titolarita’ del rapporto controverso, e’ ammessa in ogni stato e grado del procedimento e che la relativa prova puo’ essere introdotta mediante l’allegazione di nuovi documenti senza incorrere nel divieto di cui all’articolo 345 c.p.c., trattandosi di eccezione rilevabile di ufficio.
2. Il motivo e’ inammissibile ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 1: il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.
Sono invero consolidati nella giurisprudenza di questa Corte i seguenti principi:
– la difesa con la quale il convenuto si limiti a dedurre, ed eventualmente argomentare (senza contrapporre e chiedere di provare fatti impeditivi, estintivi o modificativi), che l’attore non e’ titolare del diritto azionato, e’ una mera difesa; non e’ un’eccezione, con la quale si contrappone un fatto impeditivo, estintivo o modificativo, ne’ quindi, un’eccezione in senso stretto, proponibile, a pena di decadenza, solo in sede di costituzione in giudizio e non rilevabile d’ufficio (Cass. Sez. U. n. 2951 del 2016);
– al pari, pero’, delle eccezioni in senso lato, anche la rilevabilita’ officiosa delle mere difese, se non e’ condizionata all’onere di allegazione dei fatti per esse rilevanti, ne’ tanto meno al rispetto dei termini di preclusione fissati per l’esercizio dei poteri assertivi delle parti, lo e’ pur sempre pero’ (condizionata) alla emergenza ex actis degli elementi sulla cui base quella eccezione (o difesa) possa essere rilevata d’ufficio o dedotta dalla parte interessata (v. Cass. Sez. U. 07/05/2013, n. 10531; Cass. 01/09/2021, n. 23721; 06/05/2020, n. 8525; 31/10/2018, n. 27998; 26/02/2014, n. 4548; v. anche Cass. Sez. U. 12/12/2014, nn. 26242 e 26243, in tema di rilevabilita’ d’ufficio della nullita’ del contratto, ove e’ ripetutamente precisato, anche con richiamo al precedente arresto, sul punto confermato, di Cass. Sez. U. 04/09/2012, n. 14828, che “il giudice puo’ rilevare d’ufficio la nullita’… solo se questa emerge dai fatti allegati e provati, o comunque ex actis”).
3. Incompatibile con tale principio e’ l’affermazione, insistita in ricorso e poi in memoria, secondo cui la rilevabilita’ d’ufficio delle mere difese, cosi’ come delle eccezioni in senso lato, varrebbe anche a rendere inoperativo il divieto di nuove prove in appello ex articolo 345 c.p.c..

Le eccezioni in senso lato sono rilevabili d’ufficio anche in appello

3.1. Converra’ in proposito rammentare che Cass. Sez. U. n. 10531 del 2013 intervenne a dirimere un contrasto tra due opposti orientamenti: un primo, secondo il quale il giudice puo’ rilevare d’ufficio le eccezioni in senso lato, anche in mancanza di allegazione di parte, purche’ risultino dagli atti del processo; un secondo, a mente del quale per il rilievo d’ufficio e’ pur sempre necessaria l’allegazione della parte in limine litis del fatto oggetto del rilievo officioso.
Le Sezioni Unite, nel 2013, sciolsero il contrasto accogliendo il primo capo dell’alternativa e, cioe’, affermando la possibilita’ per il giudice di rilevare d’ufficio le eccezioni in senso lato, anche in appello, che risultino documentate ex actis, indipendentemente da specifica allegazione di parte.
Fecero pero’ una avvertenza: “questa e’ la circoscritta materia del caso di specie, che non chiede di pronunciarsi anche sulla possibilita’ di articolare nuovi mezzi di prova e produrre documenti allorquando la parte faccia valere oltre il limite delle preclusioni istruttorie, o in appello, eccezioni rilevabili di ufficio o il giudice rilevi tardivamente tali questioni” (§ 7, inizio di pag. 12).
Questa precisazione si correla all’inciso leggibile nella parte finale della motivazione che il Supremo Collegio dedico’ alla questione, secondo cui “e’ confermato che deve essere ammessa in appello la rilevabilita’ di eccezioni in senso lato, che ha senso preminente quando e’ basata su allegazioni nuove, quantomeno se gia’ documentate ex actis” (§ 7.2 in fine, pag. 14, enfasi qui aggiunta).
Non altrimenti, infatti, puo’ intendersi l’uso dell’avverbio “quantomeno” se non nel senso che, ai fini della (sola) questione in quella occasione affrontata (quella cioe’, come detto, se ai fini della rilevabilita’ officiosa delle eccezioni in senso lato occorresse oppure no la tempestiva allegazione del fatto su cui essa e’ fondata, nel rispetto delle preclusioni assertive e probatorie), e’ sufficiente che il fatto sia gia’ documentato ex actis, essendo esplicitamente estromessa dal tema trattato la diversa (sebbene strettamente correlata) questione se, al fine di far valere quelle eccezioni, la parte possa oppure no anche articolare nuovi mezzi di prova e produrre documenti oltre il limite delle preclusioni istruttorie o in appello.
Orbene, la tesi censoria che si sta esaminando sembrerebbe voler dare a tale secondo quesito, espressamente lasciato in disparte nell’arresto delle Sezioni Unite, risposta affermativa.
La tesi pero’ va certamente respinta.
Essa anzitutto, va ribadito, seppur trova avallo in dottrina, non ha mai trovato ingresso nella giurisprudenza di questa Corte, la quale anzi ha ripetutamente affermato che il fatto posto a fondamento della eccezione in senso lato deve essere gia’ legittimamente acquisito sul piano probatorio.
Non varrebbe di contro richiamare l’affermazione contenuta nella motivazione di Cass. 24/05/2005, n. 10918, secondo cui (il riferimento in particolare e’ all’ultimo inciso, qui di seguito sottolineato per comodita’ di lettura): “la deducibilita’ in appello di eccezioni in senso lato non puo’ essere condizionata dal fatto che le circostanze ad esse sottostanti siano gia’ state introdotte nel giudizio di primo grado, poiche’ i fatti operanti ipso iure possono essere assunti a tema del giudizio d’appello non solo se gia’ acquisiti al contraddittorio delle parti nel precedente grado del giudizio ma anche se per la prima volta allegati in appello ed accertati con i mezzi di prova che il giudice d’appello ritenga ammissibili e rilevanti”. In quel caso si trattava, infatti, della produzione di nuovi documenti in appello, ritenuta sempre ammissibile dalla Suprema Corte, prima di Cass. Sez. U. 20/04/2005, nn. 8202 e 8203; Cass. n. 10918 del 2005 fu infatti deliberata prima (e solo pubblicata dopo) le dette note decisioni delle Sezioni Unite, che abbandonando l’orientamento prima assolutamente prevalente, hanno subordinato alla presenza del requisito della indispensabilita’ la produzione dei documenti nuovi in appello; come, dunque, ha acutamente chiosato autorevole dottrina, in quel caso (che riguardava l’allegazione in appello di fatto indicativo della intervenuta accettazione di eredita’, considerata dalla S.C. quale eccezione in senso lato perche’ diretta a ribattere ad eccezione di controparte della mancanza della qualita’ di erede), “fermo rimanendo che in sede di rinvio non potra’ piu’ discutersi sull’ammissibilita’ della nuova allegazione, puo’ anche darsi che la pronuncia rescindente della S.C. si riveli del tutto inutile, ove il giudice di rinvio ritenga la “non indispensabilita’” dei documenti prodotti”.

Le eccezioni in senso lato sono rilevabili d’ufficio anche in appello

3.2. Ma ad opporsi ad una concezione dei presupposti e dei meccanismi di rilevazione e allegazione delle eccezioni in senso lato nei termini prospettati dalla ricorrente sono soprattutto ragioni di ordine sistematico che si rinvengono in nuce anche nel citato fondamentale arresto del 2013 delle Sezioni Unite.
Nucleo centrale di quella pronuncia sta nel rilievo che “la rilevabilita’ d’ufficio delle eccezioni in senso lato, con la loro ampia nozione, e’ posta in funzione di una concezione del processo che talora semplicisticamente e’ stata definita come pubblicistica, ma che, andando al fondo, fa leva sul valore della giustizia della decisione”.
A questo rilievo fa subito dopo da contraltare quello secondo cui “rispetto a questo valore, le preclusioni operano su altro piano, poiche’ queste ultime sono essenzialmente un criterio d’ordine, una tecnica per regolare il processo, sempre con il fine di pervenire ad una decisione giusta, pur prevedendo un meccanismo per disciplinare l’attivita’ delle parti”.
La distinzione dei due piani comporta bensi’, nel successivo sviluppo argomentativo, la sottrazione, per le eccezioni in senso lato (come per le mere difese), ai limiti delle preclusioni assertive e istruttorie (aggettivo, quest’ultimo, utilizzato in sentenza evidentemente per individuare la scansione processuale e non il contenuto dell’attivita’ che si sta dicendo essere ad essa sottratta), del potere di allegare (per la parte) o rilevare (per il giudice) fatti per esse rilevanti, ma non anche del potere di richiedere o introdurre le fonti (anche documentali) di prova da cui tali fatti, se ancora non provati da alcuna fonte o mezzo di prova ritualmente acquisita, possano emergere.
Al primo dei piani distinti dalle Sezioni Unite appartiene certamente il potere di allegazione e rilevazione di fatti (gia’ provati) ad oggetto di eccezioni in senso lato; al secondo appartiene invece l’esercizio dei poteri istruttori.
Un conto e’, infatti, consentire che la parte alleghi dopo la scadenza delle preclusioni e anche in appello o che il giudice rilevi fatti che, gia’ documentati o provati in atti, ossia ritualmente acquisiti, evidenziano l’infondatezza della pretesa sebbene alla stregua di eccezione non allegata dalla parte interessata nella fase procedimentale deputata all’esercizio dei poteri assertivi (es. pagamento del debito o interruzione della prescrizione): ed e’ a questo risultato che certamente deve condurre quella concezione del processo che le Sezioni Unite condivisibilmente negano possa definirsi pubblicistica, essendo piuttosto solo funzionale al “valore della giustizia della decisione”.
Altro e ben diverso discorso e’ invece piegare a tale valore anche le esigenze di regolazione ordinata del processo e dell’esercizio dei poteri delle parti e del giudice, come avverrebbe se si ritenesse consentito di sottrarre alle preclusioni non solo il potere di allegare e rilevare fatti (gia’ provati nel processo) ma anche di provare per la prima volta quei fatti, rimettendo in moto una fase procedimentale che deve invece considerarsi ormai chiusa, nell’ordinato svolgimento del processo (connotato imprescindibile del “giusto processo regolato dalla legge”: articolo 111 Cost., comma 1; articolo 6 Cedu).
E non si tratta di piani in conflitto tra loro, essendo essi anzi consustanziali, dal momento che – e’ bene rammentare con le parole di preclara dottrina – salvo a non prestarsi ad una idea utopica e pericolosa di verita’ materiale o sostanziale in contrapposizione ad una verita’ formale, “la verita’ alla quale l’uomo puo’ aspirare e della quale vive, come verita’ umana, appunto, e’ di necessita’ parziale e (o) relativa, concretamente (storicamente) condizionata ed implica limitazioni e scelte, compiute piu’ o meno coscientemente. E dentro tale limite si mantiene sia che si tratti di verita’ scientifica, empirica o storica”. La verita’, dunque, perseguibile nell’esperienza giuridica e’ (solo) quella che puo’ ottenersi attraverso il “giusto processo regolato per legge”.
3.3. Peraltro, come rimarcano le Sezioni Unite, si tratta di piani che sono anche “sempre rimasti distinti nel testo normativo”.
In tale direzione argomentativa particolarmente significativo appare (specie con riferimento al caso in esame) il riferimento (nel § 7.2.2. della sentenza) proprio al testo novellato dell’articolo 345 c.p.c. nel quale – come sottolineano le Sezioni Unite – accanto alla scelta di ribadire espressamente, nel comma 2, che nel giudizio di appello possono proporsi nuove eccezioni purche’ siano rilevabili anche d’ufficio, convive quella, nel comma 3, di escludere l’ammissibilita’ di nuove prove e nuovi documenti (esclusione ancora piu’ rigorosa dopo la modifica introdotta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera 0b, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha eliminato il limite a tale divieto prima costituito dalla “indispensabilita’” delle nuove prove).
Non potrebbe dirsi piu’ chiaramente che ammettere in appello l’allegazione (o la rilevazione ufficiosa) di nuove eccezioni in senso lato o di mere difese (articolo 345, comma 2), non significa anche ammettere nuove prove, anche documentali, ancorche’ dirette a provare i fatti allegati ad oggetto di dette eccezioni o difese (articolo 345, comma 3); la stretta contiguita’ topografica delle norme avrebbe, infatti, altrimenti imposto di precisare che il divieto di cui al comma 3 non valeva per le eccezioni in senso lato e le mere difese ammesse nel secondo.
Queste, pertanto, deve in definitiva ribadirsi, intanto potranno sortire l’effetto per le quali sono dedotte, in quanto trovino riscontro in elementi di prova gia’ ritualmente acquisiti al processo, ancorche’ – come opportunamente precisano le Sezioni Unite – non necessariamente deve a tal fine trattarsi di elementi di prova offerti dalla parte interessata, potendo anche essere rappresentati da “risultanze comunque disponibili negli atti di causa (in quanto provenienti da produzioni dello stesso attore o di altri convenuti, ovvero da esiti di consulenza tecnica o da dichiarazioni spontanee dei testimoni)” (v., per tali considerazioni, Cass. 22/03/2022, n. 9246, in motivazione, § 6.1 e sottoparagrafi, pagg. 11 – 19).
4. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Non avendo l’intimato svolto difese nella presente sede non v’e’ luogo a provvedere sul regolamento delle spese del presente giudizio;
5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis, dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

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