Le due diverse ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 3 gennaio 2020, n. 77

Massima estrapolata:

In tema di reati fallimentari, l’articolo 216, comma 1, numero 2, della legge Fallimentare configura due diverse ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale. La prima consiste nella sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture ed è caratterizzata dal dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. La seconda – cosiddetta “generale” – si configura quando la contabilità sia tenuta in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, ciò sia nel caso in cui detta impossibilità sia assoluta, sia quando essa semplicemente ostacoli (con difficoltà superabili solo con particolare diligenza) gli accertamenti da parte degli organi fallimentari. Avuto riguardo al versante soggettivo, questa seconda forma di bancarotta documentale è reato a dolo generico, che consiste nella consapevolezza, in capo all’agente, che, attraverso la volontaria tenuta della contabilità in maniera incompleta o confusa, possa risultare impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio o dell’andamento degli affari; è esclusa, di contro, l’esigenza che il dolo sia integrato dall’intenzione di impedire detta ricostruzione, in quanto la locuzione «in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari» connota la condotta – della quale costituisce una caratteristica – e non la volontà dell’agente, sicché è da respingere l’idea che essa richieda il dolo specifico.

Sentenza 3 gennaio 2020, n. 77

Data udienza 30 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATENA Rossella – Presidente

Dott. BELMONTE Maria Teres – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/01/2016 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA BORRELLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore EPIDENDIO TOMASO, che chiede l’annullamento con rinvio relativamente alla rideterminazione delle pene accessorie e inammissibilita’ nel resto.
udito il difensore Avv. (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento degli stessi.

RITENUTO IN FATTO

1. Il 25 gennaio 2016, la Corte di appello di Ancona ha ridotto la pena inflitta dal Giudice dell’udienza preliminare del locale Tribunale a (OMISSIS), condannato con rito abbreviato per bancarotta fraudolenta documentale, quale amministratore di diritto della (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Ancona il (OMISSIS).
2. Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, articolando due motivi.
2.1. Il primo motivo deduce vizio di motivazione perche’ la condotta dell’imputato sarebbe colposa, come dimostrato dal fatto che la contabilita’ era stata sempre correttamente tenuta dalla costituzione della societa’ al 30 giugno 2007 e che l’imputato aveva trascurato di formalizzare la cessazione della propria carica, circostanze che deporrebbero per la volonta’ di trasferire la societa’ ad altro soggetto ( (OMISSIS)).
2.2. Il secondo motivo censura la sentenza per violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza del coefficiente doloso tipico della fattispecie, perche’ all’imputato poteva solo rimproverarsi di aver riposto fiducia nell’amministratore che doveva subentrargli, di avergli affidato la documentazione contabile della societa’ e di essersi disinteressato della tenuta delle scritture contabili. La mancanza del coefficiente soggettivo imporrebbe – conclude il ricorrente – la riqualificazione in bancarotta semplice.
3. Il 3 ottobre 2019 il difensore del ricorrente ha depositato un motivo nuovo, con cui ha evidenziato la sopravvenuta illegittimita’ costituzionale in forza della sentenza della Consulta n. 222 del 2018 – della disposizione di cui all’articolo 216, u.c., L. Fall., sulla base della quale la durata delle pene accessorie specifiche della bancarotta era stata applicata nella misura fissa di dieci anni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato e la sentenza va pertanto annullata, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Perugia.
2. La decisione impugnata e’, infatti, caratterizzata da una motivazione talmente confusa da apparire contraddittoria ed a tratti manifestamente illogica.
2.1. A tale riguardo, giova preliminarmente precisare che il capo di imputazione fonde in se’ due diverse ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, quella di cui alla prima e quella di cui alla seconda parte dell’articolo 216, comma 1, n. 2), L. Fall..
La prima consiste nella sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture ed e’ caratterizzata dal dolo specifico di procurare a se’ o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014, dep. 2015, Caprara e altri, Rv. 263242).
La seconda – cosiddetta “generale” – si configura quando la contabilita’ sia tenuta in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, cio’ sia nel caso in cui detta impossibilita’ sia assoluta, sia quando essa semplicemente ostacoli (con difficolta’ superabili solo con particolare diligenza) gli accertamenti da parte degli organi fallimentari (Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, Faragona e altro, Rv. 265682; Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965; Sez. 5, n. 24333 del 18/05/2005, Mattia, Rv. 232212). Avuto riguardo al versante soggettivo, questa forma di bancarotta documentale e’ reato a dolo generico, che consiste nella consapevolezza, in capo all’agente, che, attraverso la volontaria tenuta della contabilita’ in maniera incompleta o confusa, possa risultare impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio o dell’andamento degli affari; e’ esclusa, di contro, l’esigenza che il dolo sia integrato dall’intenzione di impedire detta ricostruzione, in quanto la locuzione “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari” connota la condotta – della quale costituisce una caratteristica – e non la volonta’ dell’agente, sicche’ e’ da respingere l’idea che essa richieda il dolo specifico (Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013, dep. 2014, Manfredini, Rv. 258881; Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero, Rv. 247444; Sez. 5, n. 21075 del 25/03/2004, Lorusso, Rv. 229321).
2.2. La sentenza di primo grado, dal canto suo, ancorche’ non particolarmente chiara, sembra avere individuato la responsabilita’ del (OMISSIS) per la bancarotta fraudolenta documentale di cui alla prima parte dell’articolo 216, comma 1, n. 2), L. Fall., reputando sussistente una condotta di volontario occultamento e/o distruzione della documentazione, mai consegnata alla curatela, condotta che sarebbe tesa ad impedire la ricostruzione della gestione.
2.3. La Corte anconetana, infine, ha individuato la responsabilita’ del (OMISSIS) come quella di un amministratore di diritto, onerato quand’anche si sia trattato di una mera testa di legno della tenuta della contabilita’; donde si legge in sentenza – egli deve rispondere della “sparizione” della documentazione, il cui carattere fraudolento si evincerebbe dalla “precisa volonta’ di sottrarsi ad ogni verifica contabile, dolosamente evitando di rispondere ad ogni formale richiesta in tal senso rivolta dal curatore fallimentare ovvero mettendo a disposizione solo una documentazione frammentaria inidonea a consentire una ricostruzione attendibile degli affari”. A questa proposizione segue quella secondo cui la tenuta irregolare della contabilita’ prima “sparita” e poi “frammentaria” integri gli estremi della bancarotta fraudolenta documentale di cui all’articolo 216, comma 1, n. 2) seconda parte L. Fall.. La fraudolenza della condotta si rinverrebbe – si legge ancora nella sentenza nella “precisa volonta’ di fornire dolosamente uno scudo alle responsabilita’ dei reali amministratori”, anche se (OMISSIS) era rimasto estraneo alla “concreta attivita’ di materiale falsificazione della contabilita’ e di distrazione dei beni della fallenda”.
Orbene; se questa e’, nei suoi tratti salienti, la motivazione della Corte territoriale, deve rilevarsi come essa sia malamente impostata, attraverso sovrapposizioni argomentative che rendono oscura l’effettiva ratio decidendi che ha condotto alla conferma della sentenza impugnata, sia sul versante oggettivo che soggettivo.
Dopo la precisazione che si verte nell’ipotesi di cui all’articolo 216, comma 1, n. 2), seconda parte, L. Fall., infatti, la pronunzia fa piu’ volte riferimento al concetto di “sparizione” della documentazione e alla “precisa volonta’ di sottrarsi ad ogni verifica contabile”, salvo poi affermare una cosa diversa, vale a dire che la documentazione era stata messa a disposizione del curatore fallimentare ma che essa era “frammentaria”, quindi inidonea a consentire la ricostruzione attendibile degli affari, e poi, ancora, che detta documentazione era stata oggetto di “falsificazione”. Si tratta, con tutta evidenza, di concetti diversi e’ sostanzialmente inconciliabili tra loro, sicche’ la plurime definizioni danno luogo ad una prima, evidente, incoerenza argomentativa.
Non meno problematico ne’ portatore di un contributo chiarificatore
rispetto al versante oggettivo appena vagliato – appare il tessuto argomentativo della pronunzia avversata quando affronta il profilo soggettivo, che appare inevitabilmente compromesso dalla confusione classificatoria sopra denunziata. La Corte territoriale ha, infatti, ravvisato la fraudolenza della condotta dell’imputato nella precisa volonta’ di fornire uno scudo alla responsabilita’ dei reali amministratori, prestando il proprio nome quale amministratore di diritto, attivita’ che avrebbe occultato non meglio precisate falsificazioni della contabilita’ e distrazioni, le une e le altre di cui, pero’, nulla pero’ si dice nella sentenza impugnata.
In definitiva, la motivazione della sentenza sub iudice non lascia comprendere ne’ quale sia la tipologia di bancarotta fraudolenta documentale ravvisata nel caso concreto, ne’ quale sia il corrispondente coefficiente soggettivo e se ed in che termini esso sia stato dimostrato nel processo, il che non rende chiare le ragioni per le quali la condanna di (OMISSIS) sia stata confermata.
Alla luce di queste osservazioni, il Giudice di rinvio dovra’ rimediare ai vizi motivazionali evidenziati ed inquadrare con chiarezza la condotta che si reputa ascritta all’imputato, argomentando, di conseguenza, in ordine al relativo coefficiente soggettivo.
La Corte perugina, nel caso di conferma della pronunzia di condanna del Giudice di prime cure, terra’ conto, quanto alle pene accessorie di cui all’articolo 216, u.c., L. Fall., applicate nella misura fissa di dieci anni, della sentenza della Corte Costituzionale n. 222 del 2018.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Perugia.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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