Le disposizioni dell’art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001

Consiglio di Stato, Sentenza|1 marzo 2021| n. 1743.

Le disposizioni dell’art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001 devono essere interpretate nel senso che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria debba essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione.

Sentenza|1 marzo 2021| n. 1743

Data udienza 18 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Sanzioni – Ingiunzione di demolizione – Mancata applicazione art. 34, D.P.R. n. 380/2001 – Parziale difformità non invocabile nel caso in esame – Nozione – Individuazione aree acquisite in caso di inottemperanza – Individuazione area ulteriore – Necessaria puntuale e giustificata indicazione opere necessarie ai fini urbanistico edilizi che siano destinate all’occupare

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6020 del 2020, proposto da
To. Ma., Va. Ta., rappresentati e difesi dagli avvocati Br. Bi., An. Cl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Cl. in Roma, via (…);
contro
Comune di Lecco, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
A.T.S. – Agenzia di Tutela della Salute della Brianza non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del TAR Lombardia, sez. II, n. 827/2020, resa tra le parti, concernente l’ordinanza n. 62 datata 3 aprile 2019, con cui il Comune di Lecco ha ingiunto agli appellanti la demolizione di opere abusive nel compendio immobiliare ubicato in Via (…);
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Lecco;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2021 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino. Nessuno udito per le parti. L’udienza si svolge ai sensi degli artt. 25 del Decreto Legge 137 del 28 ottobre 2020 e 4 comma 1, Decreto Legge 28 del 30 aprile 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Lombardia gli odierni appellanti invocavano l’annullamento dell’ordinanza n. 62 datata 03 aprile 2019, notificata il giorno 12 aprile 2019, con la quale il Dirigente dell’Area 7 – Gestione del Territorio, Edilizia, Beni e Servizi Ambientali, Mobilità e Trasporti – Sportello Unico per l’Edilizia del Comune di Lecco ingiungeva ai ricorrenti, in qualità di comproprietari del compendio immobiliare ubicato in Via (omissis) “la demolizione dei manufatti/opere abusive realizzati sui mappali dianzi citati”, con l’avvertimento “che (in caso di inottemperanza alla presente Ingiunzione a demolire i manufatti/opere nel termine indicato) le opere stesse unitamente all’area di sedime… saranno acquisiti gratuitamente di diritto al patrimonio comunale…”.
2. Il primo giudice respingeva il ricorso: a) escludendo l’illegittimità dell’atto impugnato, per il lasso temporale decorso tra la commissione dell’abuso e l’adozione dell’ordinanza di demolizione, b) ritenendo che il rustico realizzato in conformità al titolo edilizio non fosse distinguibile dal complesso immobiliare realizzato, né fosse applicabile in alcun modo l’art. 34, d.p.r. n. 380/2001; c) valutando insussistente un deficit istruttorio; d) escludendo un vulnus ai diritti di partecipazione procedimentale; e) escludendo la necessità di un obbligo di motivazione in relazione all’acquisizione del bene alla mano pubblica in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione.
3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propongono appello gli originari ricorrenti, lamentandone l’erroneità per le seguenti ragioni: I) il primo giudice non avrebbe considerato che da quanto emerge dalla documentazione versata in atti dai ricorrenti, e dalla analitica ricostruzione della vicenda, il Comune di Lecco ben sarebbe stato a conoscenza del fatto che il Sig. Ta. Pi. aveva nel tempo realizzato ampliamenti non autorizzati dell’originario immobile ad uso residenziale. Infatti il Comune avrebbe sempre emesso formali atti per il pagamento delle imposte gravanti sulle proprietà che prendevano atto dell’esistenza di tali ampliamenti e per i quali, sin dall’anno 2004, i proprietari avrebbero presentato formali comunicazioni al Comune per operare sull’intero immobile interventi di consolidamento attraverso la presentazione di una DIA e poi per ottenere un permesso di costruire in sanatoria per le opere realizzate in difformità alla predetta DIA. Pertanto, sarebbe stata necessaria una motivazione rafforzata, che, invece, non sarebbe rinvenibile nel provvedimento impugnato. Inoltre, in relazione alla legittimità del provvedimento gravato dovrebbe essere valorizzata la presenza della buona fede del destinatario del provvedimento stesso in quanto soggetto diverso dal responsabile dell’abuso; II) il TAR avrebbe escluso erroneamente la possibilità di applicare l’art. 34 d.p.r. n. 380/2001, risultando non corretto il presupposto secondo il quale il rustico nel quale il Sig. Ta. abitava con la sua famiglia, non potesse essere individuato nella sua autonomia rispetto ai successivi ampliamenti del compendio immobiliare sanzionato. Inoltre, il TAR avrebbe dovuto rilevare che l’ambito di applicazione del citato art. 34 non potrebbe considerarsi limitata ai soli casi in cui sia stata riscontrata una parziale difformità rispetto ad un previo e già rilasciato titolo abilitativo a costruire. Inoltre, si sarebbe dovuta fare immediata applicazione del detto art. 34, in ragione dell’effettuazione di sopralluogo da parte dell’amministrazione e della presentazione di apposita istanza da parte degli interessati. Circostanze queste che escluderebbero il rinvio alla fase “esecutiva” dell’accertamento dei presupposti richiesti. Il TAR avrebbe, inoltre, omesso di apprezzare favorevolmente la censura inerente il deficit istruttorio, posto che nel provvedimento impugnato l’Amministrazione, dopo aver rilevato che dall’espletato sopralluogo sarebbero emerse “difformità rispetto allo stato di progetto rappresentato” nei richiamati titoli abilitativi (nulla-osta del 20.04.1973 e concessione edilizia n. 2254 del 09.05.1983), avrebbe poi affermato che “nella fattispecie le opere sono state invece realizzate in totale assenza di abilitazioni edilizie”; III) il primo giudice avrebbe dovuto rilevare la portata viziante della mancata adozione del preavviso di rigetto a favore degli appellanti; IV) contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, gli originari ricorrenti non si sarebbero limitati a dedurre l’illegittimità del provvedimento per la mancata esternazione, da parte dell’Amministrazione, dell’interesse pubblico all’acquisizione, avendo, invece, gli stessi lamentato che il Comune, avendo già dichiarato che avrebbe acquisito, in caso di inadempimento all’ingiunzione, l’ulteriore area di sedime corrispondente addirittura a tutta l’area di loro proprietà, avrebbe dovuto specificare le ragioni di interesse pubblico per le quali era necessario acquisire tali ulteriori aree.
4. Costituitasi in giudizio, l’amministrazione comunale invoca la conferma della pronuncia impugnata.
5. Nelle successive difese in vista dell’udienza entrambe le parti insistono nelle proprie conclusioni.
6. L’appello è solo in parte fondato.
Prima di passare in esame le doglianze contenute nell’appello è opportuno ricostruire i fatti oggetto del presente contenzioso. Gli appellanti sono comproprietari di un compendio immobiliare, nel Comune di Lecco, insistente sui mappali nn. 1162 sub. 501-502-503-504, 1161 e 1075, attualmente ricompreso nella “Zona R1 – Zona Territoriale Residenziale Pedemontana a bassa densità “, in forza di successione ereditaria del Sig. Pi. Ta., che stabiliva la propria residenza fin dal 1967 in un immobile insistente sul mappale 1162, di cui diveniva proprietario in forza di compravendita nel 1972. Solo nel 1983 lo stesso acquistava le aree limitrofe sulle quali oggi insiste il compendio immobiliare oggetto del provvedimento impugnato. Nel 1973 veniva rilasciato al precedente proprietario un nulla osta per un “rustico adibito a deposito di attrezzi agricoli e fieno” situato in area che come detto solo nel 1983 il de cuius avrebbe acquistato. Mentre dopo l’acquisto delle aree da parte del Sig. Ta., in data 9.5.83 veniva rilasciata la concessione edilizia per “sbancare un terreno e costruire perimetralmente allo stesso, un muro di sostegno e recinzione, al fine di ricavare un piazzale di lavoro in ampliamento a quello esistente”. Nel 2018 gli appellanti avanzavano istanza di fiscalizzazione degli abusi, che si concludeva senza esito positivo, risultando adottato il provvedimento di demolizione impugnato in prime cure.
6.1. Quanto alla prima doglianza con la quale si pone in evidenza la mancata considerazione dell’affidamento maturato dagli appellanti, nonché la valorizzazione della buona fede degli stessi anche al fine di adottare una motivazione rafforzata del provvedimento impugnato, deve farsi applicazione dei principi di diritto enunciati dalla sentenza n. 9/2017 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in ragione della estrema somiglianza delle rappresentazioni ivi operate. Infatti, in quella sede gli appellanti esponevano: “i) di essere estranei alla realizzazione dell’abuso, che era imputabile in via esclusiva alla loro comune dante causa…;
ii) che l’abuso era assai risalente nel tempo (1982) e che già nel dicembre del 1986 la responsabile dello stesso era stata condannata in sede penale per il reato di cui all’articolo 17, lettera b) della l. 27 gennaio 1977, n. 10 (‘Norme in materia di edificabilità dei suolà );
iii) che l’abuso era noto al Comune di (omissis) almeno da quando (ottobre 1982) l’immobile era stato sottoposto a sequestro giudiziario e affidato in custodia al Corpo di Polizia Locale.
iv) che la responsabile dell’abuso aveva ottenuto in data 25 febbraio 2008 una concessione edilizia in sanatoria per la realizzazione di alcune porzioni del medesimo manufatto (diverse, peraltro, da quella per cui è causa).”
In relazione a quella vicenda il massimo consesso di giustizia amministrativa ha adottato delle conclusioni rispetto dalle quali non vi sono ragioni in questa sede di discostarsi, in forza delle quali sono stati enunciati i seguenti principi: “nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.” Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata.
6.1. Deve quindi ribadirsi che, in questi casi, nemmeno si pone un problema di affidamento, che presuppone una posizione favorevole all’intervento riconosciuta da un atto in tesi illegittimo poi successivamente oggetto di un provvedimento di autotutela.
Escluso, quindi, che possa parlarsi anche in relazione alla fattispecie de qua di un affidamento tutelabile, che certo non può sorgere dalla richiesta di natura fiscale maggiorata in forza degli ampliamenti abusivi che hanno interessato il compendio immobiliare, né dalla presentazione di una d.i.a., giacchè, la consapevolezza che gli interventi edilizi sono stati realizzati in assenza di qualsivoglia titolo edilizio non può essere mutata in affidamento circa la (insussistente) liceità delle opere in ragione dei descritti comportamenti ascrivibili all’amministrazione.
Deve rilevarsi come non rilevi in alcun modo la buona fede rappresentata dagli appellanti, risultando irrilevante la circostanza di non aver realizzato direttamente gli abusi in questione. Anche sotto questo profilo viene in aiuto quanto affermato dalla sentenza n. 9/2017 dell’Adunanza Plenaria, secondo la quale: “il carattere reale della misura ripristinatoria della demolizione e la sua precipua finalizzazione al ripristino di valori di primario rilievo non si pongono in modo peculiare nelle ipotesi in cui il proprietario non sia responsabile dell’abuso.
Non può infatti ritenersi che, ferma restando la doverosità della misura ripristinatoria, la diversità soggettiva fra il responsabile dell’abuso e l’attuale proprietario imponga all’amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale.
Ed infatti il carattere reale dell’abuso e la stretta doverosità delle sue conseguenze non consentono di valorizzare ai fini motivazionali la richiamata alterità soggettiva (la quale può – al contrario – rilevare a fini diversi da quelli della misura ripristinatoria, come nelle ipotesi del riparto delle responsabilità fra il responsabile dell’abuso e il suo avente causa).” Da qui il principio di diritto enunciato espressamente dall’Adunanza Plenaria: “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.
6.2. Quanto, invece, alla mancata applicazione di quanto previsto dall’art. 34 d.p.r. n. 380/2001. La norma in questione disciplina gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, prevedendo che laddove la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applichi una sanzione pari al doppio del costo di produzione. Tanto premesso la nozione di parziale difformità non è invocabile nel caso in esame. Infatti, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. II, 23 ottobre 2020, n. 6432) il concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera; mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione. Nel caso in esame è evidente dalla descrizione dei luoghi che gli abusi sanzionati hanno radicalmente trasformato l’originario manufatto, sicché in alcun modo potrebbe parlarsi di parziale difformità . Non solo è evidente anche che la radicale trasformazione dei luoghi impedisce di distinguere l’immobile originario da quello che ne è derivato a seguito della realizzazione degli illeciti edilizi.
Inoltre, le disposizioni dell’art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001 devono essere interpretate nel senso che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria – posta da tale normativa – debba essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione: fase esecutiva, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità del provvedimento di demolizione. La norma di che trattasi ha, infatti, valore eccezionale e derogatorio; e non compete all’Amministrazione procedente di dover valutare, prima dell’emissione dell’ordine di demolizione dell’abuso, se essa possa essere applicata, piuttosto incombendo sul privato interessato la dimostrazione, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, della obiettiva impossibilità di ottemperare all’ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme.
Del pari non si registra alcun deficit istruttorio in ordine ai titoli edilizi (nulla-osta del 20.04.1973 e concessione edilizia n. 2254 del 09.05.1983), giacché la ricostruzione fattuale operata dall’amministrazione ne tiene adeguatamente conto.
6.3. Quanto alla mancata adozione del preavviso di diniego in relazione all’istanza di fiscalizzazione dell’abuso, deve ribadirsi che la natura vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi e, quindi, anche delle determinazioni di sanatoria, esclude la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, di conseguenza, anche di un obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della relativa domanda. Infatti, in applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della L. n. 241 del 1990, il mancato preavviso di diniego non produce effetti vizianti ove l’Amministrazione non avrebbe comunque potuto emanare provvedimenti diversi da quelli in concreto adottati. Pertanto, non si registra alcuna illegittima derivante dalla mancata adozione del detto preavviso.
6.4. Venendo all’ultimo motivo di appello deve premettersi che il correlato thema decidendi è ancorato al corrispondente motivo di ricorso di primo grado che così si esprime: “In applicazione dei menzionati principi, il provvedimento in questa sede censurato deve ritenersi quindi affetto dai vizi di legittimità dedotti, posto che il Comune di Lecco non ha evidenziato le ragioni di interesse pubblico atte a giustificare l’acquisizione dell’ulteriore area rispetto a quella occupata dalle opere ritenute abusive, come invece richiesto dalla giurisprudenza in materia.” Tanto premesso non può condividersi quanto statuito dal TAR.
Infatti, il provvedimento impugnato si limita ad indicare le aree che saranno acquisite in caso di mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, includendo aree ulteriori rispetto a quelle sulle quali è stato realizzato l’illecito. Pertanto, se deve ribadirsi che l’ordine di demolizione e, più in generale, tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati e, quindi, non richiedono uno specifico giudizio sulle ragioni d’interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una dettagliata motivazione su tali profili e men che mai sulla sussistenza d’un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione o all’acquisizione, né può ammettersi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non è in grado di legittimare (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. VI, 12 maggio 2020, n. 2990). Deve anche precisarsi che il nesso funzionale tra l’acquisizione dell’immobile con relativa area di sedime e l’acquisizione dell’area ulteriore a fini di pubblico interesse, richiede che l’Amministrazione è tenuta a specificare, volta per volta, in motivazione le ragioni che rendono necessario disporre l’ulteriore acquisto (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. II, 31 agosto 2020, n. 5308). Sicché per l’area di sedime l’automatismo dell’effetto acquisitivo rende superflua ogni motivazione sul punto e l’individuazione della stessa può evincersi anche dalla descrizione degli interventi sanzionati, l’individuazione di un’area ulteriore da acquisire deve essere puntuale e giustificata dalla ricorrenza di una esplicitazione delle opere necessarie ai fini urbanistico edilizi che siano destinate ad occupare l’intera zona di terreno che il Comune intende acquisire. Pertanto, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di delimitare l’area ulteriore da acquisire in sede di ricognizione dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, l’atto impugnato si rivela illegittimo e deve essere annullato per questa limitata parte.
7. L’appello pertanto, merita di essere accolto solo in parte nei sensi di cui in motivazione con ciò che ne consegue in termini di riforma parziale della sentenza di prime cure e di parziale accoglimento del ricorso di primo grado.
8. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate in ragione della soccombenza reciproca.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e per l’effetto in parziale riforma dell’impugnata sentenza accoglie in parte il ricorso di primo grado e annulla nei sensi di cui in motivazione l’ordinanza n. 62 datata 03 aprile 2019.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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