Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 9 giugno 2020, n. 17647.

Massima estrapolata:

Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia su fatti e circostanze attinenti la vita e le attività del sodalizio criminoso, appresi come componente dello stesso, seppure non sono assimilabili a dichiarazioni “de relato”, possono assumere rilievo probatorio, purché supportate da validi elementi di verifica circa le modalità di acquisizione dell’informazione resa, che consentano di ritenerle effettivamente oggetto di patrimonio conoscitivo comune agli associati.

Sentenza 9 giugno 2020, n. 17647

Data udienza 19 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Omicidi premeditato – Omicidio di magistrato – Omicidio maturato in ambito mafioso – Concorso nell’esecuzione del fatto – Premeditazione – Prova – Regole ex art. 192 co 2 c.p.p. – Estensione aggravante al soggetto che ha concorso all’esecuzione del fatto – Condizioni – Consapevolezza dell’altrui premeditazione già dalla fase della preparazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROCCHI Giacomo – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. APRILE Stefano – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

Dott. CAIRO Antonio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/02/2019 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANTONIO CAIRO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. VIOLA ALFREDO POMPEO, che ha concluso chiedendo:
Alle ore 13.30, dopo la relazione del Consigliere Dott. Cairo Antonio, il Presidente sospende l’udienza. Alle ore 14.40 viene riaperta l’udienza.
Il PG conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore l’Avvocato (OMISSIS) conclude riportandosi alle conclusioni. Deposita conclusioni e nota spese.
L’Avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l’inammissibilita’ o il rigetto del ricorso.
Deposita conclusioni e nota spese.
L’Avvocato (OMISSIS) chiede l’accoglimento di tutti i motivi del ricorso. L’Avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’assise d’appello di Milano, con sentenza in data 14/2/2019, confermava la decisione della Corte d’assise di Milano del 17/7/2017, nei confronti di (OMISSIS), condannato alla pena dell’ergastolo, per l’omicidio premeditato di (OMISSIS).
1.1. Il (OMISSIS), intorno alle ore 23:30, (OMISSIS), all’epoca Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, in (OMISSIS), dove viveva, era affiancato da due soggetti, che viaggiavano a bordo di una vettura fiat 128, di colore verde.
Raggiunto il magistrato, il conducente esplodeva al suo indirizzo alcuni colpi d’arma da fuoco che lo facevano rovinare al suolo. Sceso dal veicolo, il passeggero si avvicinava alla vittima e la finiva, esplodendo al suo indirizzo ulteriori e diversi colpi al capo.
Il (OMISSIS) era rinvenuta (in (OMISSIS)) la vettura utilizzata per l’agguato. Il veicolo era chiuso a chiave ed era privo di impronte; sul sedile anteriore, lato guida, era presente una cartuccia calibro 7,65.
Stando alla denuncia di furto del proprietario (in data (OMISSIS)) l’auto era stata sottratta quando era parcheggiata sulla pubblica via con le chiavi inserite al suo interno ed apparteneva a tale (OMISSIS), pregiudicato che, tempo prima, era stato inquisito per aver ricettato beni sottratti dall’abitazione del magistrato.
La prima rivendicazione del delitto era del (OMISSIS), con una doppia comunicazione ai quotidiani e alla (OMISSIS).
Si affermava che il fatto era stato commesso da appartenenti alle “brigate rosse”.
L’11 luglio, tuttavia, le “brigate rosse” respingevano formalmente e ufficialmente la paternita’ del delitto. Lo facevano tramite un aderente, (OMISSIS), che dal carcere torinese delle (OMISSIS) protestava l’estraneita’ del nucleo armato anzidetto all’omicidio del dottore (OMISSIS).
Le indagini avviate in immediato avevano escluso la matrice terroristica, sia di estrema sinistra, che di estrema destra. Era stata egualmente vagliata l’ipotesi offerta dal racconto di (OMISSIS), vicenda legata al traffico e al contrabbando di oli minerali.
Gia’ dal 1984 si rivelo’ piu’ aderente al reale la pista che portava a un’iniziativa della criminalita’ organizzata.
Attraverso il racconto dei collaboratori di giustizia si era appreso dell’esistenza, nell’area territoriale torinese, di due gruppi criminali.
Da un lato, era operativo quello dei catanesi e, dall’altro, quello che metteva capo alla âEuroËœndrangheta calabrese.
Indiscusso leader dei “catanesi” era (OMISSIS), poi divenuto collaboratore di giustizia; vertice dei “calabresi” era (OMISSIS), affiancato dal cognato, (OMISSIS).
(OMISSIS), tra i primi, (gia’ dal (OMISSIS)) aveva parlato dell’omicidio di un magistrato a (OMISSIS).
(OMISSIS), ancora, aveva riferito d’aver effettuato registrazioni nella struttura penitenziaria per conto dei Servizi.
Contattato da (OMISSIS), uomo dei servizi, invero, aveva svolto il compito indicato su sua indicazione, per approfondire i rapporti tra terrorismo e criminalita’ organizzata. Richiestogli, poi, di collaborare, per far intendere chi potessero essere gli autori dell’omicidio (OMISSIS), aveva chiesto un registratore, fornitogli da (OMISSIS), medico del centro clinico penitenziario, che aveva agito, ancora una volta, sotto la supervisione dei servizi segreti. Indi aveva registrato i colloqui con (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che con (OMISSIS).
(OMISSIS) era stato ascoltato almeno sette volte ed erano state assunte le dichiarazioni, tra gli altri, anche di Saia, collaboratore di giustizia appartenente ai catanesi.
Il 16 giugno 1989 a (OMISSIS) era stata inflitta la condanna all’ergastolo per l’omicidio- (OMISSIS), mentre il cognato del primo, (OMISSIS) era stato assolto per insufficienza di prove.
La decisione, confermata in appello, era stata annullata dalla Corte di cassazione per piu’ di un vizio di illogicita’. Tra essi il principale era quello del movente del delitto. Cio’ perche’ il rigore morale e l’incorruttibilita’ del magistrato, posti come scaturigine del delitto, erano caratteri che costituivano appannaggio anche degli altri magistrati, che avevano preceduto il (OMISSIS) nell’incarico di Procuratore.
Ne’ si era indicata la ragione per la quale si dovesse agire, con un’azione di fuoco, contro l’uno e non contro gli altri vertici dell’ufficio giudiziario.
All’esito del giudizio di rinvio la Corte territoriale confermava la decisione e la quinta sezione della Corte di cassazione, il 23 settembre 1992, respingeva il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS).
Dopo circa ventun’anni da quel giudicato, il 10 luglio 2013, era stata depositata dagli eredi- (OMISSIS) una denuncia che richiedeva approfondimenti e supplementi investigativi.
Si chiedeva di approfondire il ruolo di (OMISSIS) (il cui nominativo era emerso gia’ nel processo (OMISSIS)) e di (OMISSIS), assunto possessore di un falso comunicato delle brigate rosse.
Il 2 luglio 2015 i soggetti indicati erano stati iscritti nel registro degli indagati. (OMISSIS) era indicato come possibile mandante dell’omicidio, perche’ legato a un’indagine che il Procuratore stava svolgendo nei suoi confronti, sul casino’ di (OMISSIS), per presunte azioni di riciclaggio che lo vedevano interessato alla ripulitura del denaro.
Il 1 agosto 2015 era depositata una autonoma informativa della polizia giudiziaria.
Con essa si richiedeva di sottoporre a intercettazione (OMISSIS), oltre che (OMISSIS).
L’iniziativa non era stata fruttuosa; si confezionava, cosi’, una lettera, attraverso l’impiego di un normografo, spedita a (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che a (OMISSIS) e (OMISSIS). Il testo, in sostanza, si risolveva in una minaccia: se la fonte avesse parlato sarebbero finiti in carcere tutti i destinatari.
A partire dall’11 ottobre 2015 erano registrate sette conversazioni, in occasione delle visite a (OMISSIS), medio tempore scarcerato e in regime di detenzione domiciliare, per ragioni di salute.
Il 25 novembre 2015 (OMISSIS) era iscritto nel registro degli indagati, ma il procedimento nei suoi confronti, il 30/11/2016, si arrestava con una dichiarazione di non doversi procedere, poiche’ il suo nominativo era stato iscritto nel registro di cui all’articolo 335 c.p.p., senza richiedere e ottenere autorizzazione alla riapertura delle indagini.
Ottenuta la riapertura, ai sensi dell’articolo 414 c.p.p., era stato emesso nuovo decreto di giudizio immediato, il 19 dicembre 2016, all’esito del quale la Corte d’assise di Milano, il 17 luglio 2017, aveva emesso la condanna nei suoi confronti.
La decisione di primo grado valorizzava le dichiarazioni rese nel processo nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) dai diversi collaboratori ( (OMISSIS), (OMISSIS) e i fratelli (OMISSIS)). Si e’ sottolineato come (OMISSIS) avesse parlato in diverse occasioni ai catanesi dell’omicidio.
Le stesse dichiarazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS) erano state considerate attendibili e rilevanti; cio’ anche all’esito della collaborazione intrapresa da (OMISSIS), pur avendo costui timidamente fatto dichiarazioni contra se, senza mai interloquire erga alios.
In questa logica erano state anche richiamate le intercettazioni ambientali tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e un colloquio tra costui e l’odierno ricorrente, che aveva, secondo la Corte territoriale, significato confessorio.
Egualmente rilevanti erano state ritenute le dichiarazioni di (OMISSIS) che affermava d’aver appreso particolari generali sul delitto in quattro occasioni.
La prima era stata durante un periodo di carcerazione comune con (OMISSIS) e (OMISSIS).
La seconda anche era stata nella congiuntura di una carcerazione, durante la quale (OMISSIS) gli aveva parlato dell’omicidio (OMISSIS) e aveva indicato come soggetti attivi e che si collegavano al delitto (OMISSIS) e (OMISSIS).
Una terza occasione era rappresentata da un colloquio tra il padre, (OMISSIS), e (OMISSIS).
Una quarta e ultima volta era stata allorquando (OMISSIS) aveva parlato dell’omicidio- (OMISSIS), facendo intendere che i vertici della cosca a (OMISSIS) fossero (OMISSIS) e (OMISSIS) e che costoro avessero avuto il ruolo di mandanti.
La Corte d’assise d’appello, dal suo canto, confermava il ragionamento seguito dalla Corte d’assise e affrontava i temi di rito e di merito prospettati.
Per il primo aspetto, osservava che era da respingere l’eccezione di nullita’ del decreto di giudizio immediato per essersi proceduto all’interrogatorio di (OMISSIS) senza l’integrale deposito degli atti e senza il deposito degli interrogatori resi da (OMISSIS).
Escludeva, poi, la Corte territoriale che le intercettazioni fossero inutilizzabili per essere state compiute in violazione dell’articolo 414 c.p.p. e in assenza del decreto di riapertura delle indagini.
Non riteneva sussistente la violazione dell’articolo 266 c.p.p. in relazione al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. nella L. 12 luglio 1991, n. 203 per un delitto che, per ragioni cronologiche e per difetto di formale contestazione, non si sarebbe potuto considerare reato di criminalita’ organizzata in senso tecnico.
Erano, poi, respinte nel merito le richieste di rinnovazione istruttoria.
La difesa aveva avanzato tre diversi tipi di richiesta.
In primo luogo quelle afferenti alle prove non assunte in primo grado; in secondo luogo alle prove ammesse e assunte, ma che si riteneva necessario rinnovare e in terzo luogo quelle che riguardavano prove sopravvenute.
Nell’ambito del primo gruppo si sarebbe dovuto sentire: (OMISSIS), medico del centro clinico del carcere torinese, che aveva consegnato a (OMISSIS) il registratore con cui erano state incise diverse dichiarazioni su piu’ delitti, ma non sul delitto (OMISSIS).
Quanto a (OMISSIS) era essenziale la sua audizione, si era osservato, poiche’ si sarebbe intesa la data d’inizio della collaborazione della fonte e, cioe’, se avesse assunto quella determinazione nel 1982 o nel 1983. In questa prospettiva non si era spiegato per quale ragione fosse decisivo, secondo i Giudici del merito, appurare quel dato, che lo stesso (OMISSIS) non aveva escluso, alla luce del tempo trascorso dagli eventi.
Ne’ sarebbe stato necessario procedere ad approfondimenti istruttori sulle 34 bobine, prova illegittima che la Corte territoriale non aveva inteso utilizzare.
Per la stessa ragione non sarebbe stata ammissibile la deposizione di (OMISSIS), uomo dei servizi, al fine di intendere se i nastri consegnati al Procuratore di Torino, nell’autunno del 1984, fossero tutti integri e/o recassero cancellazioni per ragioni di sicurezza nazionale.
Superflua era ritenuta anche la deposizione del Dott. (OMISSIS), all’epoca in servizio presso la Procura della Repubblica del Tribunale di (OMISSIS). Costui, nel discutere con lo scrittore (OMISSIS), aveva fatto riferimento ad un volantino che conteneva una falsa rivendicazione brigatista del delitto stesso.
Anche la richiesta di audizione di (OMISSIS) risultava, secondo la Corte d’assise d’appello, aspecifica e un tema di prova introdotto ad explorandum. Ne’ assumeva, secondo la Corte di merito, un significato pregnante il riferimento alla dichiarazione di (OMISSIS) o (OMISSIS), sull’omicidio di (OMISSIS), non essendo costui stato identificato e parendo che, gia’ al momento della richiesta, fosse deceduto.
Anche la richiesta di ascoltare (OMISSIS), sugli ulteriori omicidi commessi e attribuiti a (OMISSIS), avrebbe comportato una conoscenza de relato, legata a ragioni anagrafiche e al fatto che il dichiarante riferiva di fatti appresi nel contesto familiare.
Sulla domanda di acquisire informazioni sul telefono cellulare (i-phone 5) in uso a (OMISSIS), con codice imei non censito dalla casa costruttrice, si era addivenuti alla conclusione che si trattasse di un telefono “riservato” con la conseguenza che non si era individuata la ragione per la quale, attraverso un approfondimento istruttorio, si sarebbe ottenuta dalla Apple una risposta diversa da quella gia’ resa alla polizia giudiziaria.
Quanto alle richieste (della parte civile) di escutere nuovamente (OMISSIS) e i collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), ne riteneva la Corte territoriale la superfluita’, giacche’ i dichiaranti non avrebbero potuto dire cose diverse da quelle gia’ affermate. Ne’, e per altro verso, l’audizione dei magistrati che avevano lavorato con il procuratore (OMISSIS) avrebbe permesso passi in avanti, poiche’ la richiesta di ascolto era non su indagini specifiche, ma genericamente articolata sul clima e sui rapporti nel contesto dell’ufficio giudiziario.
La sentenza impugnata ha spiegato che (OMISSIS) il (OMISSIS) aveva cercato di incontrare, assumendo una serie di precauzioni, proprio Piscioneri, al fine di verificare se si fosse fatto sfuggire dettagli su cose e persone concernenti il delitto del Procuratore.
A carico di (OMISSIS) convergevano, oltre ai dati dichiarativi gia’ acquisiti nel processo nei confronti di (OMISSIS), soprattutto, i risultati delle captazioni, egualmente in linea con quel risultato della prova.
Ad esse intercettazioni si sarebbe dovuto attribuire il significato fatto palese dal tenore letterale delle parole.
Il nucleo centrale della prova si e’ sviluppato partendo dalle intercettazioni anzidette e dalle dichiarazioni di (OMISSIS), soggetto che, a suo dire, sarebbe stato vittima di una congiura dichiarativa, fondata sul suo essere pregiudicato e sull’avere origini calabresi. Egli si e’, tuttavia, osservato nella decisione impugnata, aveva omesso di confrontarsi con il contenuto dei colloqui intrattenuti con (OMISSIS), contenuto che ne presupponeva, a giudizio della Corte territoriale, la colpevolezza.
1.3. La verifica delle intercettazioni e’ partita da quella dell’11 ottobre 2015. Durante la conversazione, tra (OMISSIS) e (OMISSIS), gli interlocutori si interrogavano, dopo la ricezione della lettera anonima, appositamente creata dalla polizia giudiziaria, su chi potesse essere stato l’autore della delazione. I sospetti si restringevano immediatamente e si ipotizzava che (OMISSIS) (detto (OMISSIS)), anche involontariamente, avesse parlato con qualcuno che, dal suo canto, aveva dato notizie alla polizia giudiziaria.
Ha osservato la Corte di merito che se (OMISSIS) fosse stato estraneo ai fatti, (OMISSIS) non avrebbe fatto il suo nome, ne’ avrebbe ipotizzato costui come possibile autore della delazione a terzi.
La conversazione successiva, del 18 ottobre 2015 aveva visto ancora coinvolti (OMISSIS) e (OMISSIS). Interloquendo si chiedevano se (OMISSIS) avesse ricevuto la lettera.
Il 25 ottobre 2015 i due ipotizzavano che a mettere gli investigatori sulla strada corretta fossero state proprio le sue esternazioni.
Entrambi non si erano mostrati meravigliati dal particolare. Appariva, infatti, scontato, nella relativa interlocuzione, che (OMISSIS) aveva preso parte alla materiale esecuzione del delitto.
Durante il colloquio del primo novembre, poi, (OMISSIS) e (OMISSIS) continuavano a interrogarsi sul se potesse essere stato (OMISSIS) ad essere stato imprudente e a rivelare particolari anche sul suo coinvolgimento nell’omicidio.
Si chiedevano, ancora, i due colloquianti per quale ragione egli non fosse stato tratto in arresto nell’operazione (OMISSIS).
Il (OMISSIS) (OMISSIS), preoccupato per la ricezione della lettera, incontrava (OMISSIS), incontro del quale costui rendeva edotto (OMISSIS), l’8 novembre 2015.
In quella circostanza (OMISSIS) spiegava di non aver parlato davanti a (OMISSIS), primo e principale sospettato, pur avendo inteso che costui sapesse “tutto”.
Si continuava, dunque, a discutere su chi avesse fatto la confidenza su una cosa del genere.
Il (OMISSIS) (OMISSIS) si era recato a trovare (OMISSIS).
La conversazione era centrale, in punto dimostrativo e, secondo la Corte territoriale, si assimilava a una sorta di confessione stragiudiziale. (OMISSIS) interloquiva con (OMISSIS) e si chiedeva chi sapesse e potesse aver operato quella delazione confidenziale. Si indicava (OMISSIS); (OMISSIS), tuttavia, era di avviso contrario e spiegava che aveva formalizzato la chiamata in reita’ verso altri soggetti. Si interrogava lo stesso (OMISSIS) e insisteva, rivolgendosi a (OMISSIS), sul se avesse parlato con qualcuno, ricevendo da costui risposta negativa.
(OMISSIS) era stato uno dei primi ad ammettere un ruolo nei fatti, spiegando d’aver partecipato a riunioni preliminari e d’aver preso parte anche a sopralluoghi nei pressi dell’abitazione del magistrato.
Nel riflettere con (OMISSIS) durante la captazione (OMISSIS) affermava che il delatore avrebbe dovuto conoscere “per forza” la verita’ se aveva indicato (OMISSIS). Se avesse operato attraverso una deduzione non avrebbe indicato costui, ma un soggetto di maggiore vicinanza a (OMISSIS).
(OMISSIS) si recava dal cognato il (OMISSIS) e lo faceva per metterlo al corrente di quanto aveva saputo da (OMISSIS).
In quella occasione confermava che (OMISSIS) sapeva tutto e che il “tutto” era riferito agli eventi delittuosi e non alla semplice ricezione della missiva. Non si sarebbe potuto dedurre, ancora, che era stato costui a riferire alle forze di polizia, poiche’ era verosimile che anche i vertici della cosca-madre sapessero tutto.
(OMISSIS), secondo i giudici territoriali, era stato presente sul posto al momento dell’azione omicidiaria ed era indifferente in ragione del principio dell’equivalenza condizionalistica e dell’imputazione causale degli atti concorsualif che egli fosse il terzo soggetto a bordo della fiat 128, descritta dal teste Fogal, o che fosse colui che occupava un’altra vettura che anche aveva preso parte all’esecuzione dell’omicidio, in funzione di supporto.
La vettura, secondo la difesa, valorizzata a sostegno della tesi d’accusa, era un elemento che in certa misura si sgretolava nella sua forza dimostrativa.
(OMISSIS) aveva, infatti, parlato di una macchina targata “PA”, particolare non emerso attraverso le fonti giornalistiche e non collegabile alla macchina trovata il giorno dopo il delitto, auto che contrariamente era targata “TO”. Era strano, poi, che quest’ultima vettura appartenesse a un catanese, tale (OMISSIS), che aveva ricettato oggetti sottratti al magistrato durante un furto, commesso tempo prima.
Cio’ a sostegno anche dell’ipotesi che vi fosse la provenienza dei killers da altre regioni. Il dato si sarebbe fondato, secondo la difesa, sulla deposizione di (OMISSIS) nel processo a carico di (OMISSIS).
La Corte territoriale ha ritenuto che non potesse prestarsi credito a quella propalazione e alla tesi che vedeva coinvolto, in qualita’ di esecutore, (OMISSIS), per i riscontri in senso negativo raccolti sul punto.
Egli aveva preso parte a una cerimonia matrimoniale in Calabria.
L’evento si era svolto quel giorno e lo aveva visto impegnato fino a un orario che non gli avrebbe permesso, neppure prendendo un aereo, di essere a (OMISSIS), in tempo utile e compatibile con l’esecuzione dell’omicidio.
La sentenza impugnata ha richiamato le decisioni in giudicato sui gruppi di âEuroËœndrangheta e quella su (OMISSIS), cosi’ escludendo che potesse avere un fondamento decisivo il particolare che (OMISSIS) non avesse una ragione personale per uccidere.
Secondo la sentenza di merito era provato, infatti, che i (OMISSIS) erano una famiglia di mafia e che (OMISSIS) era uomo di âEuroËœndrangheta, legato a (OMISSIS) (intraneo alla medesima consorteria) e a (OMISSIS), per ragioni di comparaggio avendone all’epoca battezzato la figlia.
Cio’, gia’ di per se’, escludeva che (OMISSIS) dovesse avere un movente ulteriore e personale per aderire al delitto.
La Corte territoriale ha, poi, escluso l’utilizzazione delle registrazioni effettuate da (OMISSIS) nel 1984 ed ha ritenuto provato che (OMISSIS) fosse a (OMISSIS), avendo egli richiesto a luglio dello stesso anno, al prefetto di Torino, un’autorizzazione alla guida. Ne’ v’erano elementi per ritenere che egli fosse in Calabria o altrove.
Le dichiarazioni rese da (OMISSIS) e da (OMISSIS) erano state oggetto di una disamina attenta e di un valido approfondimento, anche alla luce delle intercettazioni disposte.
Tutte le parti avevano, poi, dato il consenso all’acquisizione del verbale delle dichiarazioni di (OMISSIS). Si trattava di dichiarazioni rese de relato e spontaneamente in un processo, peraltro neppure definito. Costui affermava d’aver incontrato (OMISSIS) o (OMISSIS) e aveva chiesto di procurargli falsi documenti, avendo fatto sparire armi utilizzate per commettere anche l’omicidio di (OMISSIS). Secondo la Corte territoriale si trattava di dichiarazioni rese al solo fine di alleggerire la posizione dei calabresi e di gravare quella dei catanesi.
Tutto cio’ premesso la Corte territoriale confermava la sentenza impugnata e riteneva esistente l’aggravante della premeditazione, nonostante il tema non avesse costituito oggetto specifico di impugnazione; negava, infine, le circostanze attenuanti generiche.
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del suo difensore di fiducia e deduce quanto segue.
2.1. Con il primo motivo lamenta l’omesso deposito prima dell’interrogatorio e dell’emissione del decreto di giudizio immediato dei verbali di dichiarazioni di (OMISSIS), in particolare.
L’omesso deposito aveva violato il diritto di difesa ex articolo 178 c.p.p., lettera c) e l’articolo 6 par. 1 e 3 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo; non si era, al pari, permesso all’imputato di attuare una partecipazione consapevole al processo. Costui aveva diritto di conoscere non solo il “fatto” ascrittogli, ma le fonti di prova. Solo cosi’ si sarebbe garantito lo svolgimento di un processo equo e di articolare una linea difensiva che includesse liste di testimoni a confutazione della tesi d’accusa e scelte, anche processuali, di spessore anche diverso.
Del resto, la partecipazione di uno o di un altro concorrente non risulterebbe ininfluente, ai fini del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Ne’ sarebbe valido, secondo il ricorrente, il richiamo al particolare che l’indicazione di “ignoti”, come concorrenti di (OMISSIS), nell’esecuzione del delitto, non sarebbe stato un dato marginale o irrilevante, poiche’ l’accusato aveva diritto di conoscere i nominativi dei soggetti che avevano preso parte all’anzidetta esecuzione. Quel profilo non sarebbe risultato ininfluente, ai fini della corrispondenza tra contestazione e decisione. Mentre, del resto, era stata in una fase iniziale ascritta la partecipazione a (OMISSIS), come soggetto che aveva occupato l’autovettura (fiat 128) impiegata per l’omicidio, nella successiva ricostruzione quel ruolo si era sfumato, facendo leva genericamente sulla regola causale.
Non sarebbe risultato, d’altro canto, pertinente il riferimento alla celerita’ che caratterizza la struttura del rito, poiche’ quel principio si sarebbe rispettato anche con l’ostensione delle dichiarazioni di (OMISSIS) o con il richiamo alla regola di tassativita’ delle nullita’, salvo a voler ritenere un mero formalismo il rispetto del diritto di difesa.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni, eseguite prima del 5/11/2015, data di iscrizione di (OMISSIS) nel registro degli indagati di cui all’articolo 335 c.p.p..
La Corte territoriale aveva escluso che (OMISSIS) dovesse essere iscritto nel registro degli indagati gia’ nel luglio 2015, contestualmente all’iscrizione di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Osserva il ricorrente che il momento in cui si sarebbe dovuto procedere alla iscrizione era quello in cui, a settembre 2015, si era confezionata la missiva, poi spedita, gesto indipendente dalle indicazioni sui supplementi di indagine indicati dalle parti civili.
In realta’ cio’ non era avvenuto e la Corte territoriale, nonostante il decreto di archiviazione gia’ pronunciato, aveva ritenuto che non constassero elementi idonei a fondare un quadro che avrebbe permesso di ritenere (OMISSIS) indagabile e, pertanto, iscrivibile.
Cio’ era accaduto solo dopo le intercettazioni compiute nell’ottobre e nel novembre 2015. Non si era tenuto presente, tuttavia, che le conversazioni nascevano proprio dalla missiva confezionata e spedita e non da un’attivita’ spontanea. Piuttosto, il contenuto provocatorio della lettera aveva generato fibrillazioni nell’ambiente. Cio’ dimostrava che, nel momento in cui si era confezionata e inviata, erano gia’ in atto investigazioni sullo (OMISSIS). Nella specie, vi era stato un travisamento. Non si trattava di una questione da collegare alla mancata iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 c.p.p., ma di attivita’ svolte senza la richiesta e la riapertura delle indagini, ai sensi dell’articolo 414 c.p.p. essendo stato emesso il decreto di archiviazione.
2.3. Con separata doglianza si duole il ricorrente dell’illegittimita’ delle intercettazioni perche’ autorizzato l’uso del captatore informatico al di fuori dei presupposti di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. nella L. 12 luglio 1991, n. 203.
La mancata contestazione del Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, conv. con mod. nella L. 12 luglio 1991, n. 203 escludeva che si trattasse di delitto di mafia in senso stretto. Si sarebbe potuto evocare quel concetto in chiave sociologica, ma non giuridica. Cio’ perche’ l’aggravante non era indicata neppure in fatto.
2.4. Si deduce, ancora, la violazione del diritto alla prova di cui all’articolo 111 Cost., del diritto di cui all’articolo 6 Cedu e dell’articolo 495 c.p.p..
Erano state indicate le prove da assumere e nessuna risultava superflua. Pur non essendo dotate del carattere di decisivita’, assume il ricorrente, si sarebbe dovuto, comunque, garantire il diritto alla contro-prova.
Il processo celebrato a notevole distanza dai fatti annoverava diversi elementi nuovi. Tra essi, innanzitutto, le intercettazioni che risultavano illegittime.
Era stato ribadito il principio dell’assunzione della prova davanti al giudice che avrebbe dovuto deliberare.
In particolare, si sarebbe dovuto assicurare il contraddittorio sulle seguenti prove:
– la deposizione di (OMISSIS) (fl. 44 della sentenza impugnata); l’escussione era stata richiesta ai sensi dell’articolo 495 c.p.p. e dell’articolo 603 c.p.p.) l’audizione non sarebbe dovuta essere ne’ decisiva, ne’ necessaria.
La prova, nel caso in esame, era comunque rilevante per esprimere un giudizio di attendibilita’ su (OMISSIS). Vi era interesse a provare che costui collaborava con i servizi dal 1982; che le sue relazioni con il medico del carcere non erano state approfondite e si sarebbero dovute verificare le circostanze relative alla consegna del registratore e delle bobine.
– deposizione di (OMISSIS), funzionario dei servizi. Costui aveva conservato i nastri su cui erano state eseguite delle cancellature. (OMISSIS) era stato condannato sulla scorta di quanto detto da (OMISSIS); (OMISSIS) era stato condannato per i suoi legami con (OMISSIS). Era, pertanto, evidente che il ricorrente avesse diritto all’esame di (OMISSIS) e a uno scrutinio serio di attendibilita’ su quella fonte.
– la deposizione del giudice (OMISSIS), all’epoca uditore giudiziario; costui aveva parlato in una conversazione del 2009 di un sequestro di documenti, sequestro di cui non vi era traccia.
Vi era, poi, la questione sull’acquisizione del telefono di (OMISSIS); si tendeva a dimostrare che costui aveva orientato l’attivita’ gia’ da settembre 2015 a raccogliere prove su (OMISSIS). Cio’ avrebbe dimostrato l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni, poiche’ eseguite senza l’autorizzazione di cui all’articolo 414 c.p.p..
Altra questione era relativa alla mancata audizione di (OMISSIS). Costui aveva indicato (OMISSIS) come uno degli esecutori; (OMISSIS) aveva negato; (OMISSIS) al contrario era stato condannato, si assumeva in ricorso, per aver ammesso il fatto in un colloquio con (OMISSIS). Sarebbe stato, pertanto, necessario sentire (OMISSIS) e la motivazione della Corte territoriale (fl. 51) era inappagante sul tema.
Quanto alle dichiarazioni di (OMISSIS) si trattava di dichiarazioni de relato e il cui significato probatorio si riduceva grandemente.
Si sarebbe dovuto compiere un giudizio di attendibilita’ approfondito che non era stato compiuto.
2.5. Con separato motivo si deduce il travisamento della prova e la manifesta illogicita’ in ordine all’affermazione della penale responsabilita’ del ricorrente.
Il nucleo centrale di critica si appuntava essenzialmente sull’interpretazione delle conversazioni e sulla lettura che ne aveva operato la Corte territoriale. Nonostante la centralita’ ascritta alle conversazioni intercettate, rispetto alle quali le altre prove dichiarative erano un contorno, si era omesso di considerare che esse intercettazioni permettevano diverse letture e non contenevano una ammissione di colpevolezza da parte di (OMISSIS), come erroneamente aveva ritenuto la Corte di merito, equiparando il contenuto dei colloqui anche ad una confessione stragiudiziale.
Durante la conversazione del (OMISSIS) (OMISSIS) non aveva fatto nessuna confessione stragiudiziale e aveva, al contrario, negato la sua responsabilita’. Si era riferito alla lettera anonima e aveva affermato che non fosse vero nulla.
Anche nella conversazione dell’11 ottobre 2015 non v’erano espressioni contro il ricorrente. La conversazione conteneva un colloquio tra (OMISSIS) e (OMISSIS), da cui non si sarebbero potuti estrarre elementi contro (OMISSIS).
Durante i colloqui del 18 e del 25 ottobre 2015, ne’ (OMISSIS) ne’ (OMISSIS) avevano indicato (OMISSIS) come autore del delitto. Se fosse stato vero il contrario, sarebbe sorto in questo momento l’obbligo di richiedere e ottenere l’autorizzazione alla riapertura delle indagini.
Le conversazioni dell’1 e dell’8 novembre 2015 erano quelle seguite all’incontro tra (OMISSIS) e (OMISSIS), incontro al quale aveva assistito (OMISSIS). Sembrava intendersi secondo il ricorrente che costui fosse depositario di una confidenza di (OMISSIS).
Il timore dei due colloquianti non era confermato da (OMISSIS) che nella conversazione del (OMISSIS) aveva negato, ancora una volta, la sua responsabilita’.
Nella conversazione del (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano affermato che (OMISSIS) sarebbe stato a conoscenza di tutto. Si intendeva dalla sentenza di merito che (OMISSIS) era stato sul luogo di esecuzione dell’omicidio. Non si era chiarito, pero’, quale condotta avesse tenuto. La mancata indicazione del contributo, tuttavia, secondo il ricorrente, aveva determinato la violazione dell’articolo 521 c.p.p..
La figura di (OMISSIS), si annota in ricorso, era stata trattata fugacemente.
Costui era il ricettatore dei mobili che erano stati rubati al magistrato ed era colui che aveva denunciato la sottrazione della vettura, utilizzata per il delitto. Non si sarebbe potuto trattare quel profilo con superficialita’ e ricondurlo al puro caso.
Sulla posizione di (OMISSIS) all’interno della vettura si erano registrate testimonianze non coincidenti. Dalla contestazione di esecutore materiale si era passati a quella di soggetto presente in auto senza conoscere il ruolo che aveva avuto materialmente.
Le ragioni per le quali (OMISSIS) era stato ritenuto colpevole dell’omicidio erano essenzialmente diverse da quelle per le quali si era addivenuti alla condanna del ricorrente. L’elemento essenziale fu che costui aveva intrattenuto una relazione amichevole con il (OMISSIS) stesso. Al contrario, (OMISSIS) era stato dichiarato colpevole, perche’ accusato da (OMISSIS).
(OMISSIS) era stato sempre estraneo alle vicende del clan del (OMISSIS) e l’unico che lo aveva direttamente legato al delitto era stato (OMISSIS) che, all’epoca dei fatti, non era nato neppure. Le vicende relative alla condanna nel processo minotauro erano successive agli eventi per cui si procede.
Ha osservato, dunque, il ricorrente che la sentenza impugnata non aveva spiegato perche’ era stato scelto (OMISSIS) per l’esecuzione di un delitto cosi’ grave, la’ dove egli non faceva parte del gruppo criminale nel cui interesse era stato commesso il fatto.
Ne’ sarebbe valsa per affermare la penale responsabilita’ del ricorrente la valorizzazione di una regola transitiva: essendo (OMISSIS) vicino a (OMISSIS) e costui a (OMISSIS), condannato per il delitto in esame, anche il ricorrente avrebbe avuto un ruolo nei fatti.
Quanto alle intercettazioni effettuate da (OMISSIS) esse risultavano illecite.
Sarebbero tuttavia state utilizzabili in chiave difensiva non essendo prefigurabile un sistema che avesse previsto l’inutilizzabilita’ per violazione di norme poste a presidio della difesa e che avesse inibito alla difesa stessa di farne uso, pur la’ dove risultavano favorevoli alla rispettiva posizione. Esse documentano, nel racconto di (OMISSIS), il mancato inserimento di (OMISSIS) tra i soggetti che avevano preso parte all’esecuzione del delitto.
Sulla prova della presenza di (OMISSIS) a (OMISSIS) il giorno del delitto la Corte territoriale aveva affermato, valorizzando la deposizione del teste (OMISSIS), ispettore di polizia, di non poter escludere che costui fosse li’, proprio alla luce delle intercettazioni del 2015. Il ricorrente osserva di aver contestato questo approccio gia’ con l’appello e di essere giunto a sostenere che, cosi’ ragionando, si sarebbe imposta all’imputato la prova di un fatto negativo.
(OMISSIS) aveva, poi, enucleato nel suo racconto elementi che potevano indicare l’appartenenza al gruppo, ma che non valevano a costruire un ruolo concorsuale nell’omicidio; (OMISSIS) non era, dal suo canto, al corrente della partecipazione al fatto di uomini delle istituzioni, aspetto che, contrariamente a quanto era stato fatto, si sarebbe dovuto approfondire ulteriormente.
La stessa mancata assunzione della deposizione del (OMISSIS) era stata una scelta manifestamente illogica, poiche’ si poneva in contrasto con quanto indicato nella sentenza di primo grado.
2.6. Con separato motivo si contesta la violazione dell’articolo 118 c.p. e dell’articolo 577 c.p., comma 1, n. 3, oltre al vizio di motivazione, manifestamente illogica.
Secondo quanto aveva dichiarato il collaboratore (OMISSIS), l’omicidio era stato programmato almeno dal mese di (OMISSIS). Non si intendeva, ne’ se il ricorrente avesse partecipato alla deliberazione del delitto, ne’ quale ruolo avesse svolto, con la conseguenza che si versava fuori dall’ambito di applicazione e di comunicazione dell’aggravante della premeditazione.
2.7. Con l’ultimo motivo si duole il ricorrente della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; si era valorizzato l’aspetto negativo della personalita’ e la presenza di elementi che non erano affatto positivi. Essi, tuttavia, erano stati gia’ utilizzati per infliggere il carcere a vita e non sarebbe stato possibile rivalutarli per negare le invocate circostanze attenuanti generiche.
3. Nell’interesse di (OMISSIS), in data 5/2/2020, sono state depositate due memorie; l’una e’ a firma dell’avvocato (OMISSIS) e l’altra dell’avvocato (OMISSIS).
Con esse si invoca l’annullamento della decisione impugnata e si riprendono i temi dedotti nei motivi di ricorso.
Si insiste sull’inutilizzabilita’ delle intercettazioni compiute prima del 2(OMISSIS) per la violazione dell’articolo 414 c.p.p., spiegando come questa Corte di cassazione fosse gia’ intervenuta sul tema in fase cautelare (decisione del 22 marzo 2017) e come, tuttavia, le acquisizioni postume, avvenute in dibattimento, modificavano il quadro dimostrativo, rendendo la prima decisione di legittimita’ una statuizione interlocutoria su un tema che meritava di essere rivisto.
L’intervenuta archiviazione avrebbe precluso secondo il ricorrente ogni attivita’ di indagine in difetto di un provvedimento di autorizzazione da parte del Giudice per le indagini preliminari. In realta’, la disciplina normativa di cui all’articolo 414 c.p.p. si riferiva non alla prima iscrizione, ma a un procedimento gia’ iscritto in precedenza e successivamente archiviato.
L’articolo 414 c.p.p. evocava la categoria delle cd. nuove investigazioni e ometteva ogni riferimento alla scoperta e alla emersione dei nuovi elementi che la potessero giustificare. Un collegamento logico si intendeva richiamando, al contrario, la revoca della sentenza di non luogo a procedere che si legava alla scoperta di nuove fonti di prova. L’istituto scritto nell’articolo 414 c.p.p. richiamava la sola esigenza di nuove investigazioni e non di elementi di prova ulteriori. Esso puo’ essere richiamato qualora siano emersi nuovi elementi di prova, ma l’ipotesi non esaurirebbe l’ambito operativo della fattispecie.
Si tratta di un provvedimento decisamente e ragionevolmente piu’ ampio rispetto a quello dell’articolo 434 c.p.p.. La semplice esigenza di nuove investigazioni che prescinde dall’accusa nei confronti del soggetto avrebbe imposto di richiedere al gip l’autorizzazione al compimento delle attivita’ investigative. Si sarebbe secondo il ricorrente inserita nel sistema una valvola di sicurezza che permetterebbe al P.M., melius re perpensa, di ottenere la riapertura delle indagini la’ dove si avveda che gli elementi inizialmente delibati non paiano convincenti. Alla luce di quanto premesso tutte le intercettazioni risultavano inutilizzabili.
Il ricorrente approfondisce, poi, il tema della nullita’ delle intercettazioni eseguite si assume in condizioni esorbitanti da quanto prevede la lettera del Decreto Legge n. 152 del 1991.
Si era gia’ ribadito in ricorso come la norma per ragioni temporali non potesse trovare applicazione nel caso in esame. Ne’ essa era stata contestata a fini processuali pur alla luce della diversa idea manifestata in giurisprudenza. Nella specie il processo non rientrava tra quelli di criminalita’ organizzata in senso stretto, aspetto quest’ultimo che sarebbe potuto emergere come tema sociologico, ma non di spessore giuridico.
Con un terzo approfondimento si richiamano le considerazioni gia’ svolte nel ricorso iniziale inerenti la violazione del diritto alla prova e la violazione dell’articolo 111 Cost. e articolo 6 della Convenzione edu.
Il quarto ed ultimo tema oggetto di approfondimento riguarda il vizio di motivazione concernente la responsabilita’ del ricorrente. Essa era stata inferita dal contenuto dei colloqui (fl. 57 decisione di merito). Costui tuttavia non aveva mai ammesso di essere responsabile del delitto ne’ di esservi coinvolto. Anzi egli aveva escluso detta eventualita’ ed egualmente (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano limitati ad adombrare l’ipotesi che (OMISSIS) potesse aver imprudentemente fatto confidenze sulla materiale esecuzione del delitto a terzi.
Questi dati non permettevano di giungere all’affermazione della penale responsabilita’.
Anche nella seconda memoria il ricorrente si sofferma sulla mancata tempestiva richiesta di riapertura delle indagini e sulla inutilizzabilita’ di quelle compiute in violazione del disposto normativo.
Nella specie era evidente che sin dal luglio 2015 erano state effettuate nuove investigazioni nei confronti dello (OMISSIS) e si sarebbe dovuta formulare richiesta di riapertura delle indagini ai sensi dell’articolo 414 c.p.p..
Nonostante la cd doppia conforme l’esame incrociato delle due decisioni di merito attestava come si fosse addivenuti alla stessa conclusione, ma secondo percorsi diversi.
La sentenza di secondo grado aveva ritenuto che il tenore delle conversazioni avesse una valenza di confessione extragiudiziale tale da permettere ex se l’affermazione della penale responsabilita’. In realta’ il tutto si legava ad una complessa attivita’ di interpretazione che scontava il convincimento di una colpevolezza dello (OMISSIS) non supportata probatoriamente e alimentata dal solo dato intercettivo. Del resto, l’interpretazione del contenuto delle frasi in questione era stato valorizzato senza considerare che esse erano esplicitate in assenza dello (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato e va respinto.
1.1. Il primo motivo si concentra sull’omesso deposito, prima dell’interrogatorio e dell’emissione del decreto di giudizio immediato, dei verbali di dichiarazioni di (OMISSIS), omissione che avrebbe indotto, a giudizio del ricorrente, una nullita’ ex articolo 178 c.p.p., lettera c), per violazione del diritto di difesa (articolo 6 par 1 e articolo 3 Convenzione Europea dei diritti dell’uomo).
Non si sarebbe, cioe’, assicurata all’imputato una partecipazione consapevole al processo. Il rispetto del diritto di difesa era stato, pertanto, solo formale, attraverso un generico richiamo alla regola di tassativita’ delle nullita’ del decreto di giudizio immediato e valorizzando un improprio riferimento al principio di “celerita’” del rito introdotto.
Non sarebbe stata ininfluente, secondo il ricorrente, la conoscenza del nome dei concorrenti; l’operato richiamo al principio causale, quale fondamento del concorso di persone nel reato, avrebbe fatto sfumare il ruolo di (OMISSIS), in fase commissivatavrebbe generato una violazione dell’articolo 521 c.p.p., in materia di corrispondenza tra contestazione e decisione.
1.2 II giudizio immediato si connota per la maggiore celerita’ nel passaggio alla fase dibattimentale che avviene senza la preventiva celebrazione dell’udienza preliminare. La nuova fase e’ introdotta sulla scorta della verifica operata dal giudice per le indagini preliminari, circa la sussistenza dei relativi presupposti processuali.
L’originaria previsione normativa, per il rito immediato, fondato sull’evidenza della prova, e’ stata integrata mediante l’aggiunta del c.d. rito custodia/e, introdotto dal Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125.
La richiesta di rito alternativo va presentata entro centottanta giorni dall’esecuzione della misura detentiva – dopo la definizione della procedura di riesame o il decorso dei termini per proporre l’istanza di riesame-. Cio’ a condizione che la persona sottoposta alle indagini per il reato per cui si procede si trovi in stato di custodia cautelare e salvo che cio’ pregiudichi gravemente le indagini.
Cosi’ come il termine stabilito dalla legge per l’instaurazione del c.d. giudizio immediato ordinario (pari a novanta giorni) segna il raccordo tra l’evidenza della prova, la non complessita’ dell’indagine e il preventivo interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o, comunque, la rituale previa contestazione degli addebiti e la fissazione dei termini per l’introduzione del giudizio, allo stesso modo, per il giudizio immediato c.d. custodiale (articolo 453 c.p.p., comma 1-bis), vale analoga finalita’, nel concorso dei presupposti legittimanti.
1.3. La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che non e’ causa di nullita’ del decreto che dispone il giudizio immediato l’eventuale incompletezza degli atti trasmessi o la loro tardiva trasmissione da parte del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari (articolo 454 c.p.p.), in applicazione del principio di tassativita’ delle nullita’ (Sez. 6, 15 novembre 1994, dep. 1995, n. 5403, Roncaglia, rv. 201816; Sez. 1, 4 luglio 2003, n. 32722, Ferrua, 226180; Sez 1 n. 37289 del 21/6/2018, Fantini, Rv 273860, che, da ultimo, tuttavia fa riferimento alla inutilizzabilita’ degli atti non trasmessi).
La stessa Corte di legittimita’ ha spiegato che la decisione con la quale il Giudice per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato non puo’ essere oggetto di ulteriore sindacato, salvo che non si rilevi l’omesso interrogatorio o la mancanza dell’invito a presentarsi.
Cio’ perche’ l’emissione del decreto di giudizio immediato e’ un atto dal carattere endoprocessuaie che non incide sui diritti di difesa dell’imputato (Sez. Un. 42979 del 26/6/2014, Squicciarino, Rv. 260018).
1.4. Nella specifica vicenda la mancata trasmissione delle dichiarazioni di (OMISSIS), non integra alcuna nullita’.
Le nullita’ sono fattispecie invalidanti in cui l’atto processuale non risulta conforme al suo modello legale. Esse risultano espressamente previste nel sistema, secondo la regola di “tassativita’”.
L’articolo 456 c.p.p., in materia di giudizio abbreviato, richiama espressamente sul punto specifico l’articolo 429 c.p.p., norma che al comma 2, indica i casi invalidanti dell’atto di impulso al giudizio.
In sostanza, il decreto che dispone il giudizio e’ nullo nei soli casi previsti dalla legge e tra le cause tipiche d’invalidita’ non figura la mancata trasmissione di singoli atti.
Il principio di tassativita’, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, e’ regola necessaria per l’attuazione della legalita’ processuale, precetto d’ordine nel sistema processual-penalistico, in cui non trova applicazione un principio generale di “liberta’ delle forme”.
In ragione dell’evocata tassativita’ non possono farsi discendere, in via interpretativa, fattispecie invalidanti, non espressamente previste dalla legge e come tali qualificanti in rito l’atto assunto.
Ne’ sarebbe ammissibile uno spazio “analogico”, in cui renderlo operativo, attraverso l’attivita’ dell’interprete per la selezione dei casi e la definizione di essi.
Nel caso in esame, trova diretta applicazione l’articolo 429 c.p.p., comma 2, norma che prevede le ipotesi di nullita’ del decreto che dispone il giudizio e, dunque, del decreto di giudizio immediato, per effetto del rinvio operato dall’articolo 456 c.p.p., comma 1.
Non puo’, pertanto, ritenersi che nella specifica vicenda processuale si sia concretizzata una lesione sostanziale del diritto di difesa (Sez. 6, n. 5403 del 15/11/1994, Roncaglia, Rv 201816, secondo cui non e’ causa di nullita’ del decreto che dispone il giudizio immediato l’eventuale incompletezza degli atti trasmessi o la loro tardiva trasmissione da parte del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari; Sez. 2, n. 48604 del 15/10/2009, Mandaroni e altri, Rv. 246261; Sez. 4, n. 4149 del 23/09/2009, Grillo, Rv. 246259; Sez. 1, n. 32722 del 04/07/2003, Ferrua, Rv. 226180).
Individuate le possibilita’ processuali che si prospettavano al ricorrente non risulta che egli abbia richiesto, in ragione delle dichiarazioni stesse, a cui fa riferimento nel ricorso, il giudizio abbreviato o abbia manifestato la volonta’ di essere restituito nei termini per farlo, manifestando interesse concreto alla celebrazione del giudizio con quel rito (Sez. 2, n. 48604, del 15/10/2009, Rv. 246261; Sez. 3, n. 36631, del 22/02/2017, Rv. 270732).
Ne’ si intende sotto quale punto di vista l’affermata nullita’, che in concreto si e’ spiegato non esiste, risulterebbe “lesiva” per l’imputato.
Oltre, infatti, alla mancata richiesta di celebrazione del processo con il rito abbreviato, il rilievo sull’omessa indicazione di eventuali liste-testi a discarico, a confutazione della portata narrativa delle dichiarazioni dell’ (OMISSIS), si rivela aspecifica.
Il ricorrente articola la sua doglianza in maniera decisamente generica; ne’ indica quali soggetti avrebbe introdotto a sua discolpa, a confutazione del portato narrativo dell’ (OMISSIS) stesso, ne’ seleziona i punti specifici sui quali costoro sarebbero stati chiamati a deporre.
Per altro verso, non risulta una richiesta al Tribunale di integrare o ammettere una contro-prova sui dati riferiti dall’ (OMISSIS).
A ben vedere, allora, da un lato, l’aspecificita’ e, dall’altro, la mancanza di decisivita’ del tema prospettato rendono, comunque, infondata la questione dedotta nel motivo di ricorso.
La stessa Corte d’assise d’appello ha, d’altro canto, specificato che si trattava di dichiarazioni de relato non supportate, ne’ confermate dalle fonti di riferimento e che erano in sostanza ininfluenti ai fini del decidere.
La portata dimostrativa, ancora una volta, non si intende come avvalorasse lo spessore di quanto gia’ acquisito e, soprattutto, come incidesse sul dato che era stato posto a fondare il costrutto d’accusa, relativo alle intercettazioni trascritte e analiticamente riportate nelle decisioni di merito (di primo grado, confermata dalla sentenza di secondo grado).
Si tratta allora di rilievi privi della necessaria decisivita’ e ininfluenti sulla affermata scelta di procedere con il rito immediato.
Anche a fronte di rito siffatto, del resto, il ricorrente aveva piena possibilita’ di articolare la relativa difesa contro-deducendo in via istruttoria e confutando quanto affermato dalla fonte che si assume utilizzata “a sorpresa”.
Essa fonte era ininfluente, ai fini della decisione e, rebus sic stantibus, rappresentava la base che avrebbe potuto indurre una domanda di accesso al rito abbreviato. Quel rito non era stato invocato, neppure all’esito dell’indicazione dell’ (OMISSIS), tra le fonti orali, e la condizione processuale del ricorrente, pertanto, risulta immutata sul piano dell’esercizio dei diritti di difesa, esercitati in maniera piena e integrale, sia sul piano sostanziale, che su quello processuale.
Ne’ puo’ ritenersi che vi sia stata “lesivita’” per aver omesso un controesame allargato ad altri omicidi commessi in concorso tra l’imputato e il (OMISSIS).
Il controesame ha a oggetto la vicenda dedotta in imputazione e non puo’ estendersi fino a comprendere fatti ed eventi diversi non collegati a essa. Esso risulterebbe, infatti, privo di pertinenza e rilevanza e trasformerebbe il dibattimento in una sede di allargamento delle conoscenze investigative, attuando la finalita’ tipica della fase delle indagini preliminari, oramai superata.
1.5. Non colgono nel segno neppure i rilievi sull’omessa indicazione in contestazione del ruolo specifico di (OMISSIS), nella fase commissiva del delitto.
Il ricorso non si confronta, infatti, con la logica seguita nella decisione e con l’affermazione secondo cui le dichiarazioni dell’ (OMISSIS) sarebbero anche risultate, oltre che de relato, ininfluenti ai fini della decisione.
Sulla scorta di detta considerazione non era stato modificato l’editto d’imputazione e la contestazione era rimasta, appunto, inalterata, anche all’esito delle dichiarazioni del collaboratore.
Cio’ testimoniava, in realta’, che in difetto di altri elementi sul portato dichiarativo di costui, fonte de relato, non sarebbe stato possibile inserire (OMISSIS) tra i concorrenti, unitamente a (OMISSIS) e (OMISSIS).
Le deduzioni secondo cui non sarebbe ininfluente per l’imputato sapere se il delitto era stato commesso in concorso con l’uno o con l’altro dei concorrenti non colgono nel segno.
Ne’ sono risolutivi gli argomenti sviluppati sugli addebiti inizialmente mossi nel titolo cautelare e su quelli, al contrario, oggetto di imputazione e accertamento nella fase dibattimentale successiva.
Nella specie, invero, i concorrenti sono indicati, in parte, come soggetti noti ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) e, in altra parte, come ignoti. Cio’ non determina inidoneita’ dell’imputazione stessa a descrivere il fatto ascritto all’imputato, ne’ incide sulla concreta possibilita’ di difendersi da quella contestazione, essendo chiaramente richiamati i dati storico-fattuali da cui si era inferita la partecipazione al delitto di (OMISSIS) e l’apporto in parte qua offerto dai colloqui intercettati.
Il concorso di persone nel reato si fonda sulla regola d’imputazione causale e sul principio d’equivalenza condizionalistica.
Ogni contributo offerto con lo scopo specifico di concorrere all’esecuzione del delitto realizza la partecipazione penalmente rilevante e la tipicita’ della cd. “fattispecie plurisoggettiva eventuale”.
Non occorre, d’altro canto, l’esatta individuazione e definizione del ruolo materiale tenuto dal singolo soggetto, risultando sufficiente che di costui si acquisisca la prova di un contributo causale e consapevole alla commissione del delitto.
Il regime giuridico di trattamento paritario per i concorrenti nel reato annulla la distinzione tra reita’ e partecipazione e, per altro verso, pone la regola causale quale limite normativo alla tipicita’ concorsuale.
Quando un evento e’ frutto di un’azione plurisoggettiva non si puo’ distinguere tra le cause, valorizzando la misura e l’estensione di ciascuna di esse, cosi’ differenziando il piano dei fattori principali e accessori o quello dei contributi essenziali e non essenziali, determinanti o semplicemente facilitanti l’azione.
La pluralita’ di cause si equivale nella produzione dell’evento e tra i vari antecedenti si crea una relazione che genera la cd. con causalita’ di concorso. L’evento, pertanto, non puo’ essere concepito se non con riguardo a ogni fattore antecedente a cui risale in maniera paritaria, in ragione del principio d’equivalenza. La selezione degli antecedenti causali e del ruolo di ciascuno dei concorrenti e’, pertanto, un’indagine di fatto che segna la delimitazione causale del contributo di ciascuno e del perimetro entro cui operano i fattori eziologici che producono l’evento antigiuridico.
Nella specie, la prova del contributo concorsuale e’ stata inferita, in via logica, dal contenuto delle conversazioni intercettate.
Esse hanno dato conto della piena adesione al progetto omicida da parte del ricorrente che risultava presente in fase commissiva e aveva offerto un contributo materiale e consapevole al delitto. Il tutto e’ stato dimostrato secondo i Giudici territoriali dai colloqui captati e da uno spasmodico interrogarsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) (come a breve si avra’ modo di approfondire) sull’identita’ di colui che poteva aver fatto la delazione confidenziale alla polizia giudiziaria.
Si trattava di un interrogarsi, si ascolta, a tutela proprio di (OMISSIS), unico soggetto che non era stato ancora raggiunto da statuizioni irrevocabili.
(OMISSIS), invero, era stato definitivamente condannato, mentre (OMISSIS) risultava irrevocabilmente assolto, per la partecipazione a quell’omicidio.
Si comprende, allora, come la mancata esatta definizione del ruolo concreto del ricorrente, in fase commissiva, non potendosi distinguere sul piano della forza eziologica dei singoli antecedenti causali, non risulti decisiva.
1.6. Per altro verso, anche i rilievi sulla violazione dell’articolo 521 c.p.p.). sono ininfluenti non emergendo nessuna elusione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Si assume che, mentre la contestazione iniziale e specifica mossa a (OMISSIS).” risultava quella di essere stato a bordo della vettura, utilizzata per commettere il delitto (una Fiat 128), nella definitiva contestazione” era venuto meno questo particolare e si era genericamente contestato e ritenuto il concorso nel reato.
Si avra’ modo di approfondire il contributo eziologico alla fattispecie concorsuale; qui basta sottolineare come l’estensione del principio causale, in materia di partecipazione punibile, non incide sulla regola di corrispondenza tra contestazione e decisione, la’ dove, appunto, l’incriminazione ruota intorno ad un concetto di determinismo causale, attraverso un contributo a cd forma libera.
Pertanto, a fronte di una contestazione pur ampia o alternativa, la’ dove non muti il titolo del reato o non si trasformi la contestazione in un fatto storico diverso attraverso un suo stravolgimento, non v’e’ violazione del principio di corrispondenza di cui all’articolo 521 c.p.p..
Il fatto resta, invero, conforme alla contestazione, nei casi in cui il contributo causale e volitivo nell’azione di compartecipazione si inserisce nella fitta serie eziologica che segna il determinarsi dell’evento.
Il difetto di corrispondenza tra accusa e sentenza ricorre, piuttosto, quando tra il fatto descritto e quello accertato non e’ dato rinvenire un nucleo comune identificato dalla condotta e si manifesta, pertanto, un rapporto di incompatibilita’ ed eterogeneita’ che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa, a fronte dei quali l’imputato e’ impossibilitato a difendersi (cosi tra le tante, Sez. 4, n. 27355, del 27.1.2005, Capanna, Rv. 231727; nello stesso senso, Sez. 6, n. 725, del 21.1.2006, Attolino e altri, Rv. 235804).
Tale violazione non ricorre quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, “in quanto l’immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneita’ o di incompatibilita’ sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, cosi’, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo, senza avere avuto nessuna possibilita’ d’effettiva difesa” (Sez. 6, del 6.2.2014 n. 17799, M., Rv. 260156).
Si tratta di una mutazione che, come si avra’ modo di approfondire, qui non ricorre, essendosi spiegato come la presenza dello (OMISSIS) in fase di esecuzione del reato, a bordo della vettura utilizzata per l’agguato o di altro veicolo pure impiegato in funzione di supporto, non cambiava l’essenza causale del concorso di (OMISSIS), ne’ il suo contributo volitivo d’adesione all’azione collettiva e al fine ultimo avuto di mira.
E’, poi, pacifico l’indirizzo di questa Corte Suprema secondo il quale “ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’articolo 521 c.p.p. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicche’ questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione” (Sez. 6, del 13.11.2013, n. 47527, Di Guglielmi, Rv. 257278; Sez. 3, del 27.2.2008, n. 15655, Fontanesi, Rv. 239866).
Non si era, dunque, realizzata l’introduzione di elementi “a sorpresa” avendo il ricorrente avuto ampia possibilita’ di difendersi sulle fonti di prova impiegate nella prospettazione d’accusa, fonti, in buona sostanza, rimaste invariate.
2. Con il secondo motivo si lamenta l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni eseguite prima del 5/11/2015, data di iscrizione di (OMISSIS) nel registro degli indagati di cui all’articolo 335 c.p.p..
La Corte territoriale aveva escluso che (OMISSIS) dovesse essere iscritto nel registro anzidetto gia’ nel luglio 2015, contestualmente all’iscrizione di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Osserva il ricorrente che il momento in cui si sarebbe dovuto procedere all’iscrizione era quello in cui, a settembre 2015, si era “confezionata” la missiva, poi spedita, anche all’imputato, gesto indipendente dalle indicazioni sui supplementi di indagine indicati dalle parti civili.
In realta’, cio’ non era avvenuto e la Corte d’assise d’appello, nonostante il decreto di archiviazione gia’ pronunciato, aveva ritenuto che non constassero elementi idonei a fondare un quadro che avrebbe permesso di ritenere (OMISSIS) indagabile e, pertanto, nuovamente iscrivibile.
Questa condizione si era, piuttosto, concretizzata solo dopo aver acquisito i risultati delle intercettazioni compiute nell'(OMISSIS).
Non si era ritenuto, tuttavia, che le intercettazioni nascessero dalla missiva confezionata e spedita. Piuttosto, il contenuto della lettera aveva provocato fibrillazioni nell’ambiente. Cio’ dimostrava, secondo l’impugnante, che nel momento in cui era stata confezionata e inviata quella lettera erano gia’ in atto investigazioni su (OMISSIS). Il ragionamento posto in essere nella sentenza impugnata induceva un travisamento. Non si trattava di una questione da collegare alla mancata iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 c.p.p., ma di un’attivita’ svolta senza la richiesta e la doverosa riapertura delle indagini, ai sensi dell’articolo 414 c.p.p., essendo stato emesso in precedenza un decreto di archiviazione, sul conto del ricorrente per quel delitto.
2.1. Si tratta di stabilire se il Pubblico ministero avesse obbligo di richiedere la riapertura delle indagini ai sensi dell’articolo 414 c.p.p. e, dunque, di procedere alla nuova iscrizione, potendo solo all’esito dell’ottenuta autorizzazione svolgere le nuove e ulteriori attivita’ investigative sul conto di (OMISSIS), per l’omicidio (OMISSIS).
In difetto del decreto di riapertura delle indagini, per costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, al Pubblico Ministero non solo e’ precluso lo svolgimento di ulteriori indagini, ma anche l’esercizio dell’azione penale (Sez. 6, n. 30160 del 11/05/2004, Rv. 229453; nella logica della mancanza di una condizione di procedibilita’: Sez 6, n. 661, del 28/2/1997 n. 207360 e in quella dell’inutilizzabilita’ degli atti compiuti senza autorizzazione, Sez. 6, n. 661 del 15/5/1997, rv. 208122, sempre che non si tratti di fatti successivi alla emissione del decreto di archiviazione).
La riapertura delle indagini e’, pertanto, funzionale a evitare che permanga una condizione preclusiva all’esercizio dell’azione penale (Corte Cost. n. 27 del 1995).
Non potrebbe essere concessa l’autorizzazione, del resto, quando essa sia richiesta sulla base di una mera rivalutazione degli elementi gia’ acquisiti al procedimento, giacche’ cio’ determinerebbe un’elusione dei termini delle indagini preliminari (Sez. 1, n. 2948 del 02/05/1996, P.M. in proc Carfora, Rv. 205136).
Cio’ involge che non basta la mera affermazione della necessita’ di compiere una nuova attivita’ investigativa, senza operare specificazioni in ordine al contenuto di essa. Ne’ la nuova attivita’ si puo’ risolvere nel compimento di una diversa interpretazione di elementi gia’ acquisiti, senza comprendere fattori nuovi non valutati all’atto del provvedimento che ha disposto l’archiviazione.
Si e’ ritenuto che le indagini compiute in difetto di autorizzazione alla riapertura sono affette dal vizio d’inutilizzabilita’, perche’ poste in essere dopo l’archiviazione e sulla scorta di esse e’, dunque, precluso l’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto.
Nel caso di specie, non era stata richiesta la revoca del decreto di archiviazione, gia’ emesso nei confronti di (OMISSIS), per l’omicidio di (OMISSIS), nonostante, afferma il ricorrente, il P.M. dovesse procedere ab initio nel senso anzidetto.
Si e’ anticipato come la richiesta di riapertura con conseguente revoca del decreto di archiviazione per l’omicidio indicato non sarebbe stata possibile sulla scorta di una semplice rivalutazione del quadro istruttorio emerso e diversamente stimato dall’inquirente che si accingeva, appunto, ad intraprendere nuovamente le indagini.
Occorrevano, appunto, nuovi elementi che avrebbero legittimato il P.M. a chiedere e ottenere l’emissione del provvedimento di autorizzazione. Diversamente, sarebbe risultata frustrata la ratio della norma e si sarebbe rischiato di eludere i termini di durata massima, fissati per le indagini preliminari.
Potendo, infatti, il P.M., anche dopo aver ottenuto l’archiviazione, chiedere l’autorizzazione indicata senza allegare nuovi elementi, tali da giustificare la riapertura invocata, si sarebbe ottenuto un prolungamento (o meglio un’elusione) dei termini anzidetti.
Invero, le indagini gia’ compiute in una fase pregressa potevano essere riprese, prima ottenendo l’archiviazione sul medesimo fatto-reato e sul medesimo soggetto e, poi, chiedendo e ottenendo, sulla scorta dei medesimi elementi, la riapertura e la revoca del decreto ai sensi dell’articolo 414 c.p.p..
A ben vedere si tratta della medesima ratio legis che ricorre nella vicenda oggetto d’esame.
Per chiedere la riapertura delle indagini occorreva un quid novi.
Nel presente procedimento la “novita’” si era concretizzata nella presentazione di un’istanza, da parte dei familiari del (OMISSIS), con cui si insisteva affinche’ si approfondissero le indagini. All’esito di una “indicazione-esposto” erano stati iscritti, infatti, i due soggetti ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) a carico dei quali si era concentrato il quadro indiziario. Non era stato iscritto (OMISSIS), poiche’ nei suoi confronti ad eccezione di elementi gia’ noti e di estrema labilita’ non si disponeva d’altro.
Il fatto che si attivassero le intercettazioni anche a suo carico non significava che nei suoi confronti si dovesse richiedere la riapertura delle indagini, non essendosi ancora specificamente indirizzata, nei suoi confronti, un’attivita’ investigativa in senso stretto volta ad acquisire elementi o dati diversi da quelli di cui gia’ si disponeva.
Ne’ sono decisivi gli argomenti utilizzati dal ricorrente.
Si sottolinea come era stata “creata” una lettera anonima, da parte delle forze dell’ordine con autorizzazione del P.M., e una copia era stata spedita ai soggetti ipoteticamente coinvolti nella vicenda.
Il tutto, si afferma, realizzava gli estremi del compimento d’indagini che avrebbero imposto la preventiva richiesta di revoca del decreto di archiviazione.
Contrariamente, si deve osservare (come gia’ ritenuto in fase cautelare, Sez. 1 22/3/2017 n. 38038 n. m.) che la missiva anonima non era frutto di una reale acquisizione investigativa, ne’ offriva un elemento di novita’ da approfondire con riguardo alla posizione del ricorrente.
Cio’ non solo in relazione al contenuto del testo, artatamente creato e in apparenza anonimo, ma in relazione alla natura atipica dello strumento utilizzato dagli inquirenti.
Non era un’acquisizione genuina, ne’ un elemento che arricchiva la conoscenza su (OMISSIS), in ordine all’omicidio (OMISSIS), di guisa che esso non avrebbe mai potuto costituire un quid novi per chiedere e ottenere il decreto di riapertura delle indagini.
La missiva era derivata da una “manipolazione creativa” appositamente ideata e funzionale a verificare la possibile reazione che essa avrebbe determinato nei destinatari. Un puro espediente: null’altro.
Si trattava di uno strumento programmato con finalita’ puramente esplorativa che in se’ non avrebbe documentato alcunche’ e, soprattutto, che non avrebbe generato in capo al P.M. la necessita’ di procedere a nuove indagini, a mente dell’articolo 414 c.p.p..
Affinche’ l’organo del P.M. debba richiedere l’autorizzazione alla riapertura delle indagini, invocando la revoca del precedente decreto di archiviazione, non basta una semplice rivalutazione del quadro a disposizione in precedenza, sulla scorta del quale si era chiesta e ottenuta l’archiviazione, ne’ sono sufficienti illazioni, sospetti o altri dati che in se’ non abbiano una rilevanza minima in funzione delle nuove indagini da compiere.
Non si puo’, sulla scorta di quanto premesso, ritenere che gli “elementi nuovi” possano consistere in dati creati ad hoc dagli inquirenti, dati non acquisiti in fase genetica dalla realta’ e che risultino puri espedienti, anche se rivolti a indurre possibili reazioni da parte dei terzi soggetti, coinvolti, a vario titolo, nel mezzo atipico prescelto.
Se si ragionasse diversamente il provvedimento di riapertura delle stesse indagini preliminari sarebbe nella esclusiva disponibilita’ del P.M. che potrebbe sine die e senza elementi reali, su cui fondare la domanda al Giudice per le indagini preliminari, esporre il privato ad una attivita’ di indagine continuativa e discosta dai termini massimi legislativamente previsti. Cio’ attraverso la manipolazione di elementi conoscitivi anche non corrispondenti agli eventi storici.
Neppure l’avvenuta intercettazione di (OMISSIS) dimostra che vi fosse obbligo, ab initio, di richiedere il provvedimento di cui all’articolo 414 c.p.p. e che vi fosse, in difetto, violazione ex se della norma in questione.
Al momento delle attivita’ di intercettazione non era stato acquisito alcun elemento nuovo, reale ed effettivo, su un ipotetico coinvolgimento di costui nei fatti collegati all’omicidio di (OMISSIS).
Piuttosto, si disponeva di pure illazioni e di elementi investigativi decisamente labili (dichiarazioni di (OMISSIS)).
La richiesta di revoca del decreto di archiviazione, pertanto, si sarebbe potuta avanzare solo all’esito di reali acquisizioni che avrebbero avuto capacita’ di documentare un’ipotesi percorribile di coinvolgimento dello (OMISSIS) nei fatti.
Prima delle acquisizioni indicate non vi erano le condizioni per procedere ad alcuna richiesta di riapertura, con revoca del decreto di archiviazione precedentemente emesso nei confronti del ricorrente.
Si indagava, all’evidenza, sull’omicidio e non sul contributo concorsuale di (OMISSIS); rilevavano, al piu’ le due posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), ritualmente iscritti sulla scorta di quanto indicato dagli eredi (OMISSIS).
Non v’era obbligo, pertanto, di chiedere anche la revoca del decreto di archiviazione gia’ pronunciato nei confronti di (OMISSIS).
L’avvenuta iscrizione di costui, nel registro degli indagati, non e’ un elemento determinante, ne’ un dato risolutivo, tale da realizzare un elemento a supporto della tesi prospettata dal ricorrente.
L’intercettazione di conversazioni, infatti, (che nei confronti di (OMISSIS) non era stata neppure eseguita, per la mancanza di un apparecchio adeguato a fungere da captatore informatico) puo’ essere disposta ed eseguita anche nei confronti di soggetti che non siano formalmente iscritti, sempre che ricorrano gravi indizi di reato (da intendersi in chiave essenzialmente oggettiva e non come indizi di colpevolezza a carico del soggetto che si ascolta) e la captazione stessa risulti assolutamente necessaria per il compimento delle indagini.
Di cio’ il provvedimento che autorizza l’intercettazione deve, dunque, dare conto.
Deve, cioe’, evidenziare il collegamento esistente tra il soggetto che viene sottoposto a intercettazione o l’utenza a costui in uso e l’attivita’ di indagine in corso per un determinato reato (Sez. 6, n. 12722 del 12/02/2009, P.M. in proc. Lombardi Stronati e altri, Rv. 243241; Sez. 5, n. 1407 del 17/11/2016, dep. 2017, Nascetti, Rv. 268900).
Nella specie, pertanto, le intercettazioni erano state poste in essere, all’esito della formale iscrizione del (OMISSIS) e del (OMISSIS). La finalita’ non era di indagare specificamente (OMISSIS).
Si e’ gia’ avuto modo di spiegare come non bastavano elementi di mero sospetto o creati specificamente per chiedere e ottenere la riapertura delle indagini a carico di un soggetto, ex articolo 414 c.p.p., senza accompagnare la richiesta stessa (che deve essere, appunto, motivata) a elementi di consistenza obiettiva e che seriamente possano far ritenere necessaria una riapertura di investigazioni gia’ chiuse.
Ne’ ha rilievo, al fine di confutare la linea tracciata, la valorizzazione del disposto di cui all’articolo 434 c.p.p., norma che concerne la revoca della sentenza di non luogo a procedere, emessa all’esito dell’udienza preliminare e cui il ricorrente si richiama anche nella memoria depositata il 5/2/2020.
Si e’ rappresentato che la norma da ultimo indicata, contrariamente a quanto disposto dall’articolo 414 c.p.p., richiederebbe l’indicazione degli elementi nuovi (delle fonti di prova) per ottenere la revoca della decisione indicata, statuizione che, al pari, risulta emessa rebus sic stantibus.
Da cio’ la conclusione che il perimetro di operativita’ dell’articolo 414 c.p.p. risulta decisamente piu’ ampio, rispetto a quello tracciato dall’articolo 434 c.p.p., norma quest’ultima che richiede espressamente l’indicazione delle fonti di prova, sulla scorta delle quali si legittimerebbe la revoca. Mentre per la revoca della sentenza di non luogo a procedere, occorre indicare espressamente le nuove fonti di prova, nella revoca del decreto di autorizzazione finalizzata al compimento delle nuove indagini, assume il ricorrente che cio’ non sarebbe necessario e basterebbe anche una semplice rivalutazione, da parte del P.M., del quadro gia’ vagliato dal Giudice per le indagini preliminari che aveva inizialmente disposto l’archiviazione.
I due istituti sono profondamente diversi. La sentenza di non luogo a procedere, contrariamente al decreto di archiviazione, chiude, sia pur allo stato degli atti, una fase pre-processuale in senso stretto -quella appunto dell’udienza preliminare- contrariamente a quanto accade per il decreto di archiviazione.
In questa logica e’ prescritta l’indicazione delle fonti di prova. Esse sono richiamate se e in quanto siano suscettibili di determinare “il rinvio a giudizio” da sole o unitamente a quelle precedenti e gia’ disponibili.
L’istituto della revoca della sentenza di non luogo a procedere, in altri termini, e’ funzionale alla possibilita’ e alla valutazione da compiere per un atto processuale vincolato, il rinvio a giudizio, e per questa ragione il legislatore ha richiesto che venissero indicate le fonti sopravvenute o scoperte successivamente all’emissione della decisione stessa.
L’articolo 414 c.p.p. non ha questa finalita’ e opera in una fase diversa e di carattere puramente investigativo.
L’interpretazione dei due testi normativi e il coordinamento relativo non va, percio’, eseguito valorizzando il tenore letterale delle norme, ma enucleando la funzione di ciascuna disposizione, alla luce della ratio che e’ stata tracciata.
Non si puo’, cioe’, sic et simpliciter, ipotizzare che la richiesta stessa sia motivata richiamando i soli elementi gia’ a disposizione -che vengono valutati in maniera diversa- senza che si delinei un aliquid novi, tale da orientare le nuove investigazioni.
Se cosi’ fosse, si e’ spiegato, si finirebbe per realizzare un’interpretazione dell’articolo 414 c.p.p. che perde la sua finalita’ di garanzia per il soggetto che risulti gia’ destinatario di un provvedimento di archiviazione e si finirebbe per ammettere di dover richiedere il provvedimento di autorizzazione anche a fronte di elementi che non abbiano consistenza effettiva e che siano stati creati ad hoc dalla stessa polizia giudiziaria.
2.2. Nella specifica vicenda, allora, fino al (OMISSIS), in particolare, pur delineandosi un quadro generale sulla morte del magistrato tra i diversi interlocutori non erano acquisiti elementi di rilevanza pregnante. Le conversazioni successive, pur intercettate nei confronti dello (OMISSIS) non erano state utilizzate, poiche’, appunto, solo dopo il colloquio del (OMISSIS) si era delineato un quadro dimostrativo che imponeva di chiedere la riapertura delle indagini preliminari e la revoca del provvedimento di archiviazione.
Ricapitolando, dunque, si puo’ cosi’ riassumere la successione degli eventi procedimentali.
L’esistenza di un decreto di archiviazione non precludeva ex se al pubblico ministero lo svolgimento di indagini preliminari relative all’omicidio. Erano solo inibite le attivita’ direttamente svolte nei confronti di (OMISSIS).
Il contenuto delle conversazioni fra presenti, avvenute nei giorni sopra indicati (tutte anteriori al 2(OMISSIS)), una volta disposta (con decreto 28 novembre 2016) la riapertura delle investigazioni nei confronti dell’odierno ricorrente, erano, pertanto, utilizzabili in funzione della decisione.
Cio’ perche’ solo dall’esame complessivo dei contenuti di esse (captate nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS)) e dal colloquio fra (OMISSIS) e (OMISSIS) – avvenuto il (OMISSIS) – era acquisita la sussistenza di indizi, ulteriori rispetto a quello poco significativo di cui si disponeva inizialmente e rappresentato dal contenuto della dichiarazione resa dal collaboratore di giustizia (OMISSIS).
In realta’ il pubblico ministero aveva acquisito, nell’ambito di indagini preliminari svolte nei confronti di altre persone, nuovi elementi indizianti, anche nei confronti di (OMISSIS). Detto quadro si delineava solo dopo le conversazioni del novembre 2015, momento dal quale le indagini si indirizzavano specificamente nei confronti del ricorrente con conseguente divieto per il pubblico ministero di svolgerle direttamente, senza aver richiesto e ottenuto la revoca del decreto di archiviazione, gia’ emesso il 21 febbraio 2001.
Il motivo di ricorso va, pertanto, respinto.
3. Si duole, poi, il ricorrente dell’illegittimita’ delle intercettazioni, perche’ autorizzato l’uso di un captatore informatico, al di fuori dei presupposti di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. nella L. 12 luglio 1991, n. 203.
La mancata contestazione del Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, conv. con mod. nella L. 12 luglio 1991, n. 203 escludeva che si trattasse di delitto di “mafia” in senso stretto.
3.1. Deve osservarsi come durante le indagini preliminari nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), iscritti nel registro delle notizie di reato su sollecitazione dei prossimi congiunti di (OMISSIS), sono state disposte le intercettazioni ambientali, sulla scorta del Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13, convertito dalla L. n. 203 del 1991. La disposizione, che ha natura processuale, deroga alla disciplina contenuta nell’articolo 267 e consente: la captazione di conversazioni quando la stessa e’ “necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalita’ organizzata o di minaccia col mezzo del telefono in ordine ai quali sussistano sufficienti indizi”; la captazione di comunicazioni fra presenti in uno dei luoghi indicati dall’articolo 614 c.p., “anche se non vi e’ motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l’attivita’ criminosa”.
La giurisprudenza di legittimita’ ha chiarito che per “delitto di criminalita’ organizzata” menzionato dalla norma deve intendersi non solo uno di quelli rientranti nel catalogo di cui all’articolo 51 c.p.p., commi 3-bis e 3-quater, ma anche un reato, comunque facente capo a un’associazione per delinquere (articolo 416 c.p.) “correlata alle attivita’ criminose piu’ diverse, con esclusione del mero concorso di persone nel reato” (per l’enunciazione di tale principio v. Cass. S.U., n. 26889 del 28 aprile 2016, Scurato, Rv. 266906).
La descritta disciplina speciale delle intercettazioni trova applicazione, in ragione della sua natura processuale, anche per le indagini relative a delitti commessi, al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni previste dall’articolo 416-bis c.p. (articolo 51 c.p.p., comma 3-bis), prima dell’introduzione, nella disciplina sostanziale degli illeciti penali, della circostanza aggravante indicata dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, convertito con L. n. 203 del 1991.
Nel caso concreto l’omicidio di (OMISSIS) e’ qualificabile come “delitto di criminalita’ organizzata”. Devono ritenersi rientranti nell’ambito di applicabilita’ della disciplina di diritto processuale speciale della captazione delle conversazioni fra persone presenti in uno dei luoghi indicati dall’articolo 614 c.p. quelle in concreto disposte nel presente procedimento penale. Cio’ anche se a carico di (OMISSIS) non sia stata, ovviamente, contestata (in applicazione dell’articolo 2 c.p.) la circostanza aggravante prevista dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, convertito con L. n. 203 del 1991.
Si evidenzia, pertanto, l’infondatezza del motivo d’impugnazione.
4. Si lamenta, ancora, la violazione del diritto alla prova di cui all’articolo 111 Cost. e di cui all’articolo 6 Cedu, oltre che dell’articolo 495 c.p.p..
Nessuna delle prove da assumere risultava superflua.
4.1. Si sarebbe dovuto assicurare il contraddittorio sulla deposizione di (OMISSIS) (fl. 44 della sentenza impugnata), in funzione del giudizio di attendibilita’ su (OMISSIS). Anche la deposizione di (OMISSIS), funzionario dei servizi, avrebbe potuto offrire elementi rilevanti. V’era diritto all’esame di (OMISSIS) per uno scrutinio serio di attendibilita’ sulla fonte anzidetta e del giudice (OMISSIS), all’epoca uditore giudiziario del magistrato.
Ancora le verifiche sul telefono di (OMISSIS) avrebbero potuto dimostrare che costui aveva orientato l’attivita’ gia’ da settembre 2015 e che aveva agito al fine di raccogliere prove su (OMISSIS).
4.1.1. Non ricorre, in primo luogo, la violazione del diritto alla prova di cui all’articolo 111 Cost. e di cui all’articolo 6 Cedu, ne’ quella dell’articolo 495 c.p.p..
Questa Corte ha affermato che in tema di diritto alla controprova, anche la c.d. “prova contraria” deve, al pari di quella diretta, avere a oggetto fatti rilevanti ai fini dell’imputazione e non puo’ tradursi in un diritto a ottenere l’ammissione di una prova manifestamente superflua o vertente su fatti estranei a quelli contestati (Sez. 2, n. 31883 del 30/06/2016, Di Rocco, Rv. 267483).
Invero, il Giudice, ai sensi dell’articolo 468 c.p.p., comma 2, mantiene un potere di esclusione delle prove testimoniali “vietate dalla legge o manifestamente sovrabbondanti”, cosi’ come ai sensi dell’articolo 495 c.p.p., comma 4, puo’ revocare con ordinanza l’ammissione di prove che risultano “superflue”, in ragione del principio di economia processuale.
Il diritto alla controprova, che costituisce espressione fondamentale del diritto di difesa (Sez. 5, n. 2815 del 12/11/2013, dep. 2014, Cambi, Rv. 258878) non toglie, dunque, che la prova “contraria” debba essere pertinente ai fatti contestati.
La stessa Corte EDU (sentenza 22 febbraio 1996, Bulut c. Austria) ha sottolineato che il principio della “parita’ della armi” implica che a ciascuna delle parti debba essere consentita una ragionevole opportunita’ di presentare la sua posizione, incluse le prove, in condizione tale da non risultare collocata in sostanziale svantaggio rispetto al suo contraddittore. Cio’ non si traduce, pero’, in un diritto a ottenere l’ammissione di una prova manifestamente superflua o, ancor piu’, di una prova che verte su fatti estranei a quelli contestati e, comunque, ad essi successivi.
Discende che la controprova, oltre ad essere inscindibilmente legata al tema oggetto di prova principale, deve presentare una specifica correlazione critico-funzionale con la prova dedotta dalla controparte.
Essa controprova deve misurarsi e confrontarsi con l’intero quadro dimostrativo, al fine di permettere al Giudice di verificare in che termini non finisca per risultare superflua o sovrabbondante.
La Corte territoriale, nel caso di specie, ha spiegato come la prova principale a carico fosse, appunto, data dalle intercettazioni e dai servizi di OCP.
Non vi erano elementi da confutare con prove contrarie e che fossero caratterizzati da un giudizio di centralita’.
Le prove cui il ricorrente faceva riferimento erano essenzialmente quelle alla cui acquisizione egli aveva prestato il consenso, accettando che l’intero fascicolo processuale a carico di (OMISSIS) fosse acquisito e confluisse in quello a carico di (OMISSIS).
Ne’, in particolare, l’eventuale audizione di (OMISSIS), medico del centro clinico del carcere di (OMISSIS) – che si afferma avrebbe consegnato a (OMISSIS) il registratore con cui furono acquisite diverse conversazioni con detenuti- era un dato centrale, ai fini della decisione da assumere nella presente sede processuale.
A parte il processo che l’ (OMISSIS) aveva subito (e dal quale era stato assolto) non era neppure determinante, ne’ dimostrato che egli avesse mentito allorquando aveva dichiarato di aver conosciuto il (OMISSIS) nel 1983 e non nel 1982, come si era appurato.
Le affermazioni, dunque, secondo cui l’ (OMISSIS) era stato “trattato” con troppa fretta dai primi giudici e che, al contrario, avrebbe potuto offrire elementi di maggiore e sicuro rilievo per la ricostruzione della vicenda (a cominciare dalle ragioni per le quali il Procuratore fu ucciso) erano aspetti d’intrinseca genericita’ che non enucleavano tratti di necessaria specificita’, ne’ indicavano, secondo l’ipotesi contraria, le ragioni concrete a fondamento del delitto e su cui si sarebbe dovuto chiamare a deporre il teste stesso.
Si trattava di affermazioni che si risolvevano in allegazioni puramente congetturali e che come dati contrari di prova presentavano aspetti privi di una funzione critica specifica sui temi enucleati a carico.
La sentenza impugnata affronta, anche, la questione della mancata rinnovazione dell’esame di (OMISSIS).
Il nucleo centrale della questione era sulla data di conoscenza tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Si trattava di capire se essa si dovesse collocare nell’anno 1982 o 1983. Ha chiarito, tuttavia, la sentenza impugnata che non si era spiegato che rilevanza avesse anche il profilo d’una conoscenza anticipata al 1982; ne’ (OMISSIS), si e’ osservato, aveva mai negato o escluso quel dato, essendo apparso sempre possibilista sull’eventualita’. Non avrebbe avuto, allora, nessun carattere decisivo l’acquisizione di certezza sul punto, ne’ avrebbe permesso, come affermato, di risolvere il problema dell’attendibilita’ di (OMISSIS).
Una pura illazione risultava, poi, l’affermazione sul ruolo di (OMISSIS) come informatore del Procuratore, aspetto che, tra l’altro, non era in linea ne’ con la posizione istituzionale del magistrato, ne’ con il carattere irreprensibile e il suo rigore etico.
Precisa risulta anche la motivazione, contenuta nella decisione, sul (OMISSIS), figura di magistrato discussa, come aveva fatto emergere il processo (OMISSIS) e quella esplicitata sulle ragioni per le quali non erano ammissibili approfondimenti sulle bobine che compendiavano le registrazioni eseguite dal (OMISSIS), inutilizzabili ai sensi dell’articolo 191 c.p.p..
Non sarebbe stato necessario procedere, secondo la Corte territoriale, neppure all’esame di (OMISSIS), uomo dei Servizi.
Sul punto si e’ osservato che, anche la’ dove (OMISSIS) avesse ammesso che i nastri delle registrazioni consegnati da (OMISSIS) erano stati manipolati, pur nella parte relativa all’omicidio del Procuratore, nulla sarebbe mutato sul ruolo di (OMISSIS) in ordine all’omicidio, alla luce del quadro acquisito. D’altro canto, non era mutato nulla da 35 anni, poiche’ (OMISSIS), pur avendo subito un processo ed essendo stato condannato, non aveva mai rivelato il nominativo degli altri soggetti che erano stati concorrenti nel delitto.
La ricostruzione su (OMISSIS), anch’egli magistrato e all’epoca dei fatti uditore presso al Procura della Repubblica di Torino, non avrebbe permesso di acquisire elementi decisivi, ne’ dati a confutazione della prova a carico.
Costui aveva, infatti, spiegato, parlando con uno scrittore, (OMISSIS), che a casa di (OMISSIS) era stato rinvenuto un falso documento, di matrice brigatista, di rivendicazione dell’omicidio.
Pur eseguita una perquisizione non si era in sostanza acquisito alcun elemento di conferma. La Corte territoriale ha, poi, spiegato come, pur la’ dove si fossero rinvenuti elementi di supporto, essi avrebbero avuto incidenza sul ruolo di (OMISSIS) e non su quello di (OMISSIS), ne’ sarebbero valsi a tenere luogo di una prova rilevante e tale da disarticolare il costrutto attraverso la valorizzazione del ricordo di (OMISSIS).
Il rinvenimento di otto foglietti con appunti manoscritti, ha chiarito il Giudice territoriale, non aveva permesso di ritenere che si trattasse di un comunicato delle brigate rosse, poiche’ se cosi’ fosse stato e’ evidente che il reperto non sarebbe stato definito in maniera generica, in occasione della redazione del verbale di sequestro, senza fare riferimento alla tipologia di scritto che era oggetto di acquisizione investigativa.
(OMISSIS) aveva indicato, poi, (OMISSIS) come uno degli esecutori dell’omicidio. Sul punto la sentenza, si afferma in ricorso, si aprirebbe a un contrasto insanabile.
(OMISSIS) era stato ritenuto colpevole per quanto aveva affermato interloquendo con (OMISSIS); (OMISSIS), al contrario, affermava che era colpevole (OMISSIS) che, dal suo canto, aveva negato la responsabilita’. Dunque, non si comprendeva la ragione per la quale si era eliminato (OMISSIS) dalla lista dei sospettati e non si era permesso a (OMISSIS) di difendersi controinterrogando le fonti.
La ricostruzione degli eventi riferiti era, tuttavia, ben diversa.
Costui era stato dall’inizio sospettato di essere un informatore delle forze di polizia. In questa logica, almeno, si erano orientati (OMISSIS) e (OMISSIS); non lo avevano mai incluso tra coloro che erano a conoscenza della esecuzione del delitto, poiche’ egli non aveva preso parte, aspetto che in maniera chiara ha ritenuto il Giudice a quo emergesse dal contenuto dei colloqui.
Non vi era, allora, nessuna contraddizione insanabile.
Sulla vicenda del telefono i-phone, in uso a (OMISSIS), afferma il ricorrente, si era insistito, sottolineando che la verifica domandata era essenzialmente rivolta a dimostrare che sin dall’inizio l’apparecchio radiomobile era stato impiegato (e cio’ almeno dal mese di settembre) al fine di acquisire elementi a carico di (OMISSIS).
Ha osservato la Corte territoriale come l’oggetto dell’accertamento riguardava il numero seriale impresso per contraddistinguere l’apparecchio. Si disponeva gia’ di una risposta chiara della casa costruttrice e si dava conto di come quel numero seriale non figurasse tra quelli della struttura.
La finalita’, in definitiva, della richiesta era di aprire al dubbio che l’apparecchio fosse riservato e fosse stato fornito a (OMISSIS) per raccogliere elementi su (OMISSIS). La difesa, tuttavia, hanno annotato i giudici della Corte d’assise d’appello, non aveva considerato, ne’ si era confrontata con il fatto che si disponeva gia’ di informazioni che erano state date alla Polizia di Stato. Non si spiegava, pertanto, per quale motivo alla Corte si dovessero dare informazioni diverse, rispetto a quelle gia’ fornite. Si sarebbe, cioe’, trattato di un accertamento in incertam rem che non avrebbe potuto apportare, per il suo stesso contenuto, nessuna nuova acquisizione.
Quanto alla posizione di (OMISSIS) la Corte territoriale aveva dimostrato di credergli. Cio’, nonostante costui avesse riferito su fatti avvenuti in epoca in cui non era neppure nato. Del resto, il segreto investigativo cui ha fatto riferimento la difesa era stato opposto su altre questioni e da altra autorita’ giudiziaria e la Corte territoriale non aveva poteri per superare quella condizione. Ne’ la giovane eta’ del dichiarante e i racconti resi su fatti avvenuti quando egli non era nato sarebbero valsi a escludere la sua attendibilita’ o la possibilita’ che costui avesse riferito aspetti non veridici.
La fonte collaborativa raccontava eventi appresi nel contesto familiare e nell’ambiente di ndrangheta in cui era vissuto.
La Corte di merito, dunque, ha fatto corretta applicazione dei principi elaborati in ordine alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia su fatti e circostanze attinenti la vita e le attivita’ di un sodalizio criminoso, appresi come componente del sodalizio stesso. In realta’ questa Corte ha avuto modo di spiegare che non sono assimilabili a dichiarazioni “de relato” e assumono rilievo probatorio in presenza di validi elementi di verifica circa le modalita’ di acquisizione dell’informazione resa, che consentano di ritenerle effettivamente oggetto di un patrimonio conoscitivo comune agli associati (Sez. 2, n. 29923 del 04/07/2013, Favata, Rv. 256065; Sez. 1, n. 23242 del 06/05/2010, Ribisi, Rv. 247585; Sez. 2, n. 6134 del 20/01/2009, Botta, Rv. 243425), tali da riscontrarsi reciprocamente (Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, Villacaro, Rv. 262309; Sez. 1, n. 46954 del 04/11/2004, Palmisani, Rv. 230592; v., anche, Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 2006, Aglieri, Rv. 233085).
A ben vedere, allora, a parte il minimo rilievo assegnato a quel portato narrativo, tutti gli argomenti esposti in ricorso sono ai limiti dell’inammissibilita’.
Pur censurandosi la scelta di non ammettere le prove indicate per la ritenuta superfluita’, il ragionamento si risolve in una critica al risultato della prova apprezzato dal giudice di merito, suggerendo una diversa interpretazione di esso e la possibilita’, peraltro solo astratta, di giungere a una lettura alternativa del quadro dimostrativo in essere.
5. Con separato motivo si deduce ulteriore travisamento della prova e la manifesta illogicita’ in ordine all’affermazione della penale responsabilita’ del ricorrente.
Il nucleo centrale afferisce essenzialmente all’interpretazione delle conversazioni e alla lettura che ne aveva operato la Corte territoriale.
Nonostante la centralita’ ascritta alle intercettazioni, rispetto alle quali le altre prove dichiarative erano un contorno, lamenta il ricorrente che si era omesso di considerare che esse intercettazioni permettevano diverse letture e non contenevano una ammissione di colpevolezza, come erroneamente aveva ritenuto la Corte di merito, equiparando il contenuto dei colloqui anche ad una confessione stragiudiziale.
5.1. Il tema oggetto di approfondimento riguarda il vizio di motivazione sulla responsabilita’ del ricorrente, inferita dal contenuto dei colloqui (fl. 57 decisione impugnata).
L’interpretazione, in sostanza, avrebbe determinato un travisamento, pur a fronte di una valorizzata lettura letterale, attraverso cui non era possibile ritenere che i colloqui tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero chiari.
La decisione (fl. 57) ha contrariamente spiegato come il contenuto della prova, fondata sulle intercettazioni, si basava sui colloqui tra i protagonisti principali della vicenda. Rilevavano le conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e quelle con (OMISSIS), captazioni che erano la fonte essenziale di accusa nei confronti del ricorrente.
Ne’, ha osservato la Corte territoriale, in precisa risposta al rilievo contenuto nell’impugnazione, sul riferimento all’ammissione relativa all’omicidio (OMISSIS), che l’interpretazione dei colloqui avesse in sostanza travisato il contenuto della prova.
Si e’ acutamente osservato come lo spessore dei personaggi non avrebbe potuto far sperare in una franca ammissione di responsabilita’. Le dichiarazioni rese dai tre dialoganti erano, infatti, state sempre caratterizzate da una cautela evidente.
Non ha, dunque, rilievo, in funzione travisante, il riferimento all’interpretazione del colloquio specifico dell’11/10/2015 e l’affermazione resa dalla Corte territoriale (secondo cui non vi sarebbero stati tratti a favore del ricorrente).
Piuttosto, la regola d’interpretazione che la Corte stessa aveva posto per la lettura dei colloqui risulta pienamente rispettata e, per altro verso, si tratta di conversazioni che hanno un contenuto chiaro.
Non e’, pertanto, condivisibile il riferimento a un’elaborazione dei testi trascritti operata “secondo l’interpretazione di (OMISSIS)”, conclusione assertivamente introdotta, alla luce della circostanza che costui era stato chiamato a deporre sul contenuto di essi.
(OMISSIS) non aveva fatto altro che confermare come, durante il colloquio con (OMISSIS), si fosse generato il sospetto che (OMISSIS) ((OMISSIS)) potesse aver parlato con qualcuno e che il terzo, destinatario della confidenza, a sua volta, potesse aver riferito agli inquirenti.
Anche il colloquio del 18 ottobre 2015 si era inscritto in questa logica. I due dialoganti ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) si erano interrogati se anche (OMISSIS) avesse ricevuto quella lettera, giungendo a una conclusione negativa. Cio’ perche’ se avesse ricevuto la missiva -affermava (OMISSIS)- (OMISSIS) sarebbe passato immediatamente da (OMISSIS).
La stessa spiegazione della conversazione e l’indicazione sull’errore e sul travisamento della prova -allorquando si era operato il riferimento a Gaetano-risultava superato nella motivazione della sentenza.
Si e’ spiegato come non ci si riferisse a (OMISSIS), ma a (OMISSIS), altro fratello di (OMISSIS). Il dato non sarebbe stato idoneo a confermare la tesi difensiva e il denunciato travisamento, neppure considerando i diversi soggetti che avevano quel nome ( (OMISSIS)) e che erano stati presenti al pranzo di ognissanti.
Anche la conversazione del 25 ottobre confermava la convinzione dei due colloquianti ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) sul fatto che gli inquirenti erano stati messi sulla buona strada, attraverso eventuali e possibili esternazioni di (OMISSIS).
Sono chiari, invero, i riferimenti all’esecuzione di misure cautelari che avevano risparmiato proprio (OMISSIS), in maniera inspiegabile.
I riferimenti a costui -il cui nome non era mai stato fatto fino ad allora-risultano evidenti e si introduce la necessita’ di parlarci, proprio al fine di dirimere ogni dubbio e di capire se avesse riferito quei fatti a un terzo.
Anche nella conversazione del 1 novembre 2015 gli interlocutori tornavano sul conto di (OMISSIS) e sul fatto che costui fosse uscito indenne dall’operazione cd. (OMISSIS).
I colloqui successivi avevano permesso di accertare che (OMISSIS) era stato da (OMISSIS), unitamente all’amico (OMISSIS).
(OMISSIS) (colloquio intrattenuto l’8/11/2015) aveva inteso che la lettera era giunta anche al ricorrente. Della vicenda aveva parlato al cognato, (OMISSIS); da cio’ la convinzione che anche (OMISSIS) fosse al corrente degli eventi.
Nella conversazione del 12/11/2015 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) si documentava come vi fosse stato uno scambio di battute sulla possibilita’ che qualcuno avesse fatto una delazione confidenziale alla Questura e come lo stesso (OMISSIS) avesse ammesso che qualcuno potesse aver fatto riferimenti sul suo conto, “magari all’epoca”, pur non trattandosi ne’ di (OMISSIS), ne’ di (OMISSIS).
Era da escludere, pertanto, che il medesimo (OMISSIS) avesse parlato con qualcuno.
Nei commenti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), si e’ osservato come entrambi, interloquendo sul conto di (OMISSIS), erano giunti alla conclusione che costui potesse sapere solo se qualcuno glielo aveva riferito. Al contrario, se aveva parlato (OMISSIS), spiegavano, lo aveva fatto perche’ ne era a conoscenza.
(OMISSIS), pur facendo parte del gruppo di (OMISSIS) (fl. 88) si era reso disponibile a commettere con (OMISSIS) l’omicidio- (OMISSIS). Aveva poi manifestato preoccupazione che dalle registrazioni eseguite da (OMISSIS) potesse emergere il suo nome.
La stessa dichiarazione di (OMISSIS), secondo il ricorrente, era un elemento non supportato dal comportamento tenuto dal collaboratore.
(OMISSIS) aveva ammesso d’aver preso parte ad azioni e riunioni preliminari, oltre ad un paio di sopralluoghi presso l’abitazione del magistrato.
Non sarebbe stato accettabile, in punto logico, ha spiegato la Corte, che egli ammettesse il meno per non essere coinvolto sostanzialmente in un’azione di vero concorso e di maggiore gravita’. Cio’ perche’, anche successivamente, nessun elemento ulteriore a suo carico era emerso, ne’ il collaboratore era stato smentito nel corso dei diversi anni, cosi’ configurandosi a suo carico una condotta di compartecipazione.
Nella conversazione del 12/11/2015 lo stesso (OMISSIS), nel discutere ancora della vicenda, richiamando un’ipotesi di prescrizione del delitto, opponeva a (OMISSIS) l’interrogativo sul perche’ dovessero preoccuparsi (fl. 91), a fronte del possibile operare dell’indicata causa di estinzione del reato. In quella discussione includeva se stesso tra i soggetti interessati all’esito estintivo (peraltro insussistente).
L’insistenza nel ricostruire il canale di conoscenza si era manifestata anche durante la discussione che (OMISSIS) aveva avuto con (OMISSIS). A Costui aveva spiegato che la premura era essenzialmente rivolta a salvaguardare proprio il ricorrente. (OMISSIS), infatti, era stato condannato e (OMISSIS) era stato irrevocabilmente assolto, con la conseguenza che il giudicato precludeva contro costoro possibili ulteriori iniziative. L’unico soggetto ancora esposto era, appunto, (OMISSIS).
Durante il colloquio del 22/11/2015, poi, (OMISSIS) si era recato dal cognato e gli aveva spiegato che (OMISSIS) aveva parlato con (OMISSIS), soggetto che (OMISSIS), escludeva, comunque, potesse essere stata la fonte confidenziale della polizia.
Dalla conversazione si apprendeva che (OMISSIS) sapeva “tutto”.
Quel riferimento al “tutto” -di cui (OMISSIS) era stato messo al corrente- non si limitava alla sola ricezione della lettera, ma era esteso all’evento relativo all’omicidio del magistrato. Sarebbe stato vano, secondo gli interlocutori, cercare la fonte di conoscenza di costui poiche’ egli avrebbe potuto sempre opporre che anche quelli di sotto (cioe’ in Calabria) erano al corrente.
Il richiamo alla vettura (fl. 101), utilizzata sia da parte di (OMISSIS) che di (OMISSIS), attestava come si trattasse di un riferimento alla macchina impiegata nella fase commissiva del delitto. Lo stesso riferimento al luogo in cui fosse stata parcheggiata, ha osservato la Corte di merito, in ragione dell’interlocuzione impiegata, includeva nell’azione esecutiva il ricorrente.
Le registrazioni indicavano (OMISSIS) presente sul luogo del fatto e cio’ sia che fosse stato a bordo della fiat 128 sia che avesse fatto parte del commando esecutivo con funzione di supporto prendendo posto su una seconda vettura.
Proprio questi particolari, nella prima e nella seconda ipotesi, ammettevano il concorso nel delitto ex articolo 110 c.p., da parte del ricorrente.
Anche egli aveva offerto un contributo rilevante e un sostegno nient’affatto marginale all’altrui volonta’ criminosa e all’esecuzione condivisa del delitto.
5.2. Infondati sono i rilievi relativi al particolare che la decisione, assume il ricorrente, non aveva spiegato, ne’ tenuto nella debita considerazione che gli esecutori avevano agito a volto scoperto, in una condizione tale da essere pacificamente riconosciuti.
Assume il ricorso che il richiamo alla deposizione del teste (OMISSIS) (fl. 106) non era stato approfondito.
In questa logica, emergerebbero due aspetti rilevanti. Il primo si sostanziava nell’accusa rivolta a soggetti che il (OMISSIS) erano in Calabria e non avrebbero potuto commettere l’omicidio. Il secondo era il passaggio di una vettura delle forze dell’ordine poco prima del delitto.
La sentenza impugnata, contrariamente a quanto detto, esamina in maniera approfondita ogni questione e, in primo luogo, la possibilita’ che gli esecutori del delitto fossero giunti da altra regione.
(OMISSIS) affermava di aver appreso dalla voce di uno dei partecipi al commando esecutivo, tale (OMISSIS) che, mentre la vittima usciva dall’abitazione, era transitata una pattuglia dei carabinieri in (OMISSIS). Il dato del transito della pattuglia in quella via era stato confidato alla vedova del (OMISSIS), circa quattro anni dopo l’omicidio. Uno dei componenti della pattuglia, infatti, aveva confermato alla donna di essere transitato in quel luogo, poco prima, a bordo della vettura.
La sentenza di merito ha, comunque, escluso che si potesse essere realizzata l’ipotesi di una trasferta di soggetti dalla Calabria per commettere l’omicidio e che il racconto del (OMISSIS) potesse avere un valido fondamento storico, almeno come fonte diretta volta alla ricostruzione del delitto.
Il passaggio della pattuglia sotto l’abitazione del magistrato era un elemento certo, ma non equivaleva, ne’ era risolutivo per il fine di escludere il ruolo di (OMISSIS) come soggetto che aveva preso parte alla fase commissiva, secondo il racconto che (OMISSIS) aveva fatto a (OMISSIS).
(OMISSIS), stando alla dichiarazione di (OMISSIS), quella domenica ((OMISSIS)), aveva preso parte a un matrimonio in Calabria, dato documentato anche dalle fotografie che lo ritraevano e dalla deposizione dello stesso fotografo che vi prese parte.
Si era, pertanto, esclusa coerentemente l’ipotesi che lo stesso (OMISSIS) si fosse unito al commando esecutivo a Torino quella sera.
L’esame dei fogli di servizio delle auto delle forze di polizia, cui era affidata la vigilanza dell’area ove viveva il procuratore, documentava che le auto stesse erano transitate alle ore 19:00, alle 20:30 e alle 22:10.
Il delitto era avvenuto intorno alle 23.30.
Cio’ implicava che (OMISSIS), unitosi al gruppo di fuoco, per aver avvistato la pattuglia, prima del delitto (secondo la delazione fatta a (OMISSIS)), dovesse essere presente anteriormente all’ultimo passaggio effettuato dalla polizia giudiziaria, avvenuto intorno alle 22.10.
Gli accertamenti eseguiti avevano permesso di appurare che, vi era stata la sua presenza in Calabria fino alle 18:40. Non v’era, pertanto, possibilita’, per assenza di voli, che costui fosse in orario compatibile con l’esecuzione dell’omicidio a Torino quella sera stessa (fl. 109).
5.3. Sorte non diversa aveva avuto, contrariamente a quanto si prospetta in ricorso, l’ipotesi brigatista.
Anche quelle iniziative furono un sicuro depistaggio.
Gli stessi militanti chiarirono che non avrebbero avuto alcun motivo per negare il coinvolgimento nel delitto se ci fosse stato o per ammettere un loro appoggio. In quella occasione pero’ furono concordi, sia i gruppi di estrema destra che di estrema sinistra ad escluderlo.
False sono state, pertanto, ritenute le rivendicazioni di matrice politica, con un ragionamento immune da censure.
5.4. La sentenza impugnata si confronta anche con il tema afferente alle dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Contrariamente a quanto dedotto, non enuclea in quel portato dichiarativo elementi centrali di responsabilita’, ne’ rielabora quelle conoscenze per costruire un impalcato della prova a carico.
Il costrutto accusatorio e’, in definitiva, imbastito evocando i risultati delle intercettazioni ambientali e unendo quelle conoscenze a tutti gli altri elementi di prova ivi compresa, appunto, la sentenza emessa nel processo a carico di (OMISSIS) le cui prove, per concorde volonta’ di tutti, erano transitate nel fascicolo processuale a carico di (OMISSIS).
Da cio’, dunque, la matrice del delitto da collegare allo stampo âEuroËœndranghetisitco e alla stretta vicinanza tra (OMISSIS) e (OMISSIS), come attestato dalle stesse conversazioni captate.
La difesa ha contestato questo elemento e ha, in realta’, escluso che dalle intercettazioni, eseguite nel 2015, si potesse ipotizzare un legame tra (OMISSIS) e (OMISSIS), al momento di commissione dell’omicidio. Peraltro, in quella congiuntura, si assume, (OMISSIS) non aveva -contrariamente a (OMISSIS) e agli altri- neppure un movente personale per partecipare al delitto.
I temi sono affrontati dalla sentenza impugnata.
Il primo aspetto e’ smentito dallo stesso contenuto delle intercettazioni, poiche’ si e’ visto, nell’interrogarsi il (OMISSIS) e il (OMISSIS) su chi potesse aver operato la delazione confidenziale alla polizia giudiziaria, si ipotizzava che proprio (OMISSIS) avesse parlato con qualcuno non nel 2015, ma all’epoca di commissione del delitto, con cio’ sottolineando, sia pur in un contesto locutorio, per certi versi, criptico, l’esistenza di rapporti con costui anche collegati all’omicidio.
Quanto all’assenza del movente personale, la decisione impugnata spiega, tuttavia, come non puo’ la sola assenza di una iscrizione per il delitto di cui all’articolo 416-bis c.p. permettere di dire che (OMISSIS) fosse lontano dagli ambienti di ndrangheta calabrese e, soprattutto, da (OMISSIS).
(OMISSIS), si legge, era uomo di âEuro˜ndrangheta ed era soggetto molto legato a (OMISSIS).
Per la partecipazione a un delitto non occorre, in contesti siffatti, un movente personale, specie la’ dove la vicinanza di (OMISSIS) a (OMISSIS) era un elemento inconfutabile e in considerazione del fatto che l’ (OMISSIS) stesso era soggetto appartenente alla stessa cosca del (OMISSIS) (fl. 117).
La sentenza ricostruisce la pluralita’ di moventi che avevano sorretto l’azione contro il magistrato e l’esistenza dei presupposti per ritenere che non occorresse una ragione di vendetta specifca da parte di (OMISSIS), tale da affiancarsi o sovrapporsi autonomamente ai motivi che, in ipotesi, avevano spinto (OMISSIS) all’azione delittuosa.
Da un lato, tra i moventi si e’ indicato l’arresto di (OMISSIS) e, dall’altro, l’azione di antagonismo giudiziario che si stava compiendo verso l’espansione calabrese illecita nell’area piemontese e torinese in particolare, da parte del procuratore.
La stessa voce di (OMISSIS) aveva collocato l’esistenza di un solo gruppo di âEuroËœndrangheta, (OMISSIS)- (OMISSIS), gruppo che, in relazione all’omicidio (OMISSIS), aveva visto, anche all’epoca, (OMISSIS) coinvolto e impegnato in alcuni sopralluoghi.
Non si e’ ritenuta fondata, pertanto, l’ipotesi dell’estraneita’ di costui all’omicidio (OMISSIS). Con un ragionamento immune da censure si sono valorizzati gli stessi elementi che gia’ il primo giudice aveva enucleato e il ricorso tende a rimettere in discussione, in assenza di ogni presupposto, il risultato del dato istruttorio gia’ vagliato nel merito.
D’altro canto, la vicinanza all’ (OMISSIS) del ricorrente era elemento che si collegava ai rapporti tra quest’ultimo e (OMISSIS) e ai legami tra le due cosche, secondo logiche di stretta alleanza criminale.
Ne’ il particolare relativo alla mancata conoscenza, da parte dei collaboratori catanesi (e di (OMISSIS)), di Shirripa era stato considerato elemento di tale pregnanza da destrutturare il ragionamento posto a fondamento della decisione stessa.
Anche altri elementi avevano deposto nel senso di uno stretto legame tra (OMISSIS) e (OMISSIS) gia’ nel 1982.
Cio’ era documentato dalla stessa decisione di fare battezzare, la figlia di (OMISSIS), (OMISSIS), proprio da (OMISSIS) e dalla di lui moglie.
La sentenza impugnata si e’ occupata anche di questo aspetto.
Ha spiegato sul tema della mancata conoscenza del ricorrente, da parte delle fonti collaborative catanesi, che si era inteso come, per volonta’ di (OMISSIS), fosse sceso il silenzio sul delitto e sul punto erano state determinanti anche le dichiarazioni di (OMISSIS).
Quanto ai rapporti tra (OMISSIS) e il contesto âEuroËœndranghetistico di area torinese, ha chiarito la Corte d’assise d’appello, si era ampiamente acquisita la prova dell’esistenza di un fermo legame.
In primo luogo, si era conosciuta la partecipazione di (OMISSIS) a un summit per la gestione di una nuova sala gioco al circolo (OMISSIS).
In secondo luogo era stata accertata la sua appartenenza mafiosa dal 2007, con la carica di tre quartino.
Si trattava di un’attribuzione, si legge, nella decisione impugnata, che aveva richiesto una militanza ben risalente a (OMISSIS).
I rapporti con (OMISSIS) e (OMISSIS), poi, relativi alla partecipazione all’omicidio (OMISSIS) confermavano come si trattasse di un collegamento non databile in maniera semplicistica nella congiuntura esecutiva dell’omicidio del magistrato, ma di un legame che aveva ben altra genesi e risalenza.
Si tratta, dunque, di un rapporto (tra (OMISSIS) e (OMISSIS)) che non si sarebbe potuto disconoscere per effetto della mancanza formale di un’iscrizione per il reato di cui all’articolo 416-bis c.p. nel certificato del casellario o di altre iscrizioni che attestavano il compimento di attivita’ criminali comuni.
Ad attestare la risalenza dei collegamenti del ricorrente con la âEuro˜ndrangheta delocalizzata ricorreva anche un fatto di rapina del 1986.
A quel delitto, ricostruito attraverso l’apporto dichiarativo di (OMISSIS), fu imposta da (OMISSIS) la partecipazione di (OMISSIS) che, a sua volta, aveva portato con se’, (OMISSIS).
5.5. Quanto alla richiesta di utilizzare le registrazioni eseguite da (OMISSIS) nel 1984 la difesa aveva richiesto di utilizzarle nella parte in cui esse risultavano favorevoli all’imputato o, comunque, attestanti elementi nel suo interesse. Cio’ perche’ sarebbe stato possibile utilizzare una prova “inutilizzabile”, per finalita’ favorevoli all’imputato.
La decisione impugnata ha, comunque, osservato come nella specie non fosse in discussione il principio di diritto, bensi’ il contenuto di conversazioni che non si erano rivelate favorevoli neppure a (OMISSIS) e che non lo erano, a fortiori, per (OMISSIS).
(OMISSIS), in realta’, aveva pronunciato la frase che in relazione al delitto in esame si sarebbe dovuto ringraziare solo lui.
Lo stesso (OMISSIS) era stato sentito e aveva ammesso d’aver detto quella frase sia pur chiarendo che essa si riferiva a un contesto diverso.
Ebbene, anche alla luce delle manipolazioni eseguite l’impugnazione non aveva chiarito, come si potesse ritenere utilizzabile a favore quel tratto di locuzione. Egualmente il ricorso rimette un aspetto di pura valutazione e un’ipotesi alternativa nella soluzione della vicenda. In altri termini, si pretenderebbe si capovolgere la conclusione della Corte territoriale, inferendo la responsabilita’ di (OMISSIS) ed escludendo quella di (OMISSIS), in ragione di un tratto locutorio isolatamente estratto e senza che esso avesse realmente la finalita’ di liberare (OMISSIS) dal concorso ascrittogli, sulla scorta di ben altri elementi.
5.6. Quanto alla presenza a Torino di (OMISSIS) il giorno del delitto, il ragionamento della Corte era partito dal documento che datava luglio 1983, indirizzato al prefetto a firma di (OMISSIS), per ottenere un permesso di guida.
Esso non dimostrava ex se che il ricorrente fosse li’, anche a fine giugno.
Si e’, invero, spiegato che fu accertato come l’imputato non fosse in Calabria e come costui non avesse offerto un elemento o un dato che potesse farlo ritenere lontano dall’area torinese.
Anche i rilievi sulle dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (fl. 130) risultano generici e introducono temi gia’ esaminati dal Giudice di merito con la conseguenza che a parte l’aspecificita’ sono tutti approfonditi nella decisione impugnata.
Quanto alla figura di (OMISSIS), la sentenza impugnata ne ha esaminato la posizione, osservando come i rilievi si articolavano nel suggerire diverse ipotesi ricostruttive, ipotesi che, tuttavia, non risultavano supportate dal quadro di prova ulteriore e dal contenuto dei colloqui.
Si tratta di una motivazione immune da censure e la critica sviluppata, ancora una volta, tende a introdurre ipotesi alternative, peraltro, inidonee a disarticolare il ragionamento svolto su (OMISSIS).
6. La doglianza sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e’ inammissibile.
La sentenza impugnata spiega le ragioni per cui si e’ ritenuto che non fossero concedibili le circostanze anzidette.
L’imputato aveva vissuto per lungo tempo nell’illegalita’, si era, indi, affiliato e non aveva avuto pentimenti. Cio’ era dimostrato dal grado raggiunto (dote), tra i piu’ elevati della societa’ maggiore, che si collegava al conseguimento di “meriti” criminali. I dati indicati, oltre alla gravita’ del fatto e all’intensita’ del dolo, in uno al movente del comportamento e al pregiudizio recato alle persone offese denotavano una capacita’ a delinquere elevata che escludeva la possibilita’ di concedere le circostanze invocate.
La motivazione sul punto risulta adeguata, avendo sottolineato gli elementi ostativi alla concessione del beneficio e, tra essi, come anticipato, l’obiettiva gravita’ dei fatti e la negativa personalita’ dell’imputato, aspetto desumibile dalla sua storia personale e giudiziaria.
La giurisprudenza di legittimita’ ha piu’ volte affermato che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice puo’ limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche’ anche un solo elemento attinente alla personalita’ del colpevole o all’entita’ del reato ed alle modalita’ di esecuzione di esso puo’ essere sufficiente in tal senso (ex plurimis, Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163).
Da cio’, risultando esplicitate le ragioni della decisione sul punto, in modo adeguato e con un giudizio di fatto immune da vizi, non puo’ essere sindacata in cassazione, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (tra tante, Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv. 242419).
Da cio’, pertanto, l’impossibilita’ di riconoscere le anzidette circostanze attenuanti e di operarne un bilanciamento rispetto alla contestata e ritenuta aggravante della premeditazione, al fine di eliderne il rigore sanzionatorio.
7. L’omicidio era, poi, un delitto premeditato e la circostanza aggravante si comunicava ai concorrenti ex articolo 118 c.p..
La Corte di merito, nonostante non fosse stato formulato espresso motivo di appello sulla esclusione della circostanza aggravante, ha, comunque, trattato la questione della sua sussistenza e della comunicabilita’ al concorrente.
Il delitto era tale, innanzitutto, per il mandante-organizzatore del fatto.
Quanto a (OMISSIS), esecutore e parte del commando esecutivo, la Corte territoriale, dopo aver richiamato la giurisprudenza di riferimento sulla struttura della premeditazione ha annotato come emergesse la prova della volonta’ adesiva al progetto. Le modalita’ di esecuzione dell’agguato e la stessa identita’ della vittima risultano, ex se, indicative della condivisione della condizione psicologica del mandante, per ordine del quale era stato commesso il reato.
Nella specie vi era stata una lunga progettazione, pedinamenti, controlli a distanza individuazione del luogo ove si sarebbe intervenuti.
Della programmazione lo stesso (OMISSIS) aveva riferito quanto affermava (OMISSIS), secondo cui si era anticipato, durante una cena, che la preparazione dell’omicidio- (OMISSIS) andasse bene e che il magistrato era controllato da un soggetto che aveva anche individuato in Liguria la sua residenza estiva.
Si comprende, allora, come per la prova dell’aggravante si fosse richiamato un criterio strutturale logico (Sez. 5, n. 3542 del 17/12/2018, dep. 2019, Esposito, Rv. 275415) elaborato valorizzando gli indizi ricavabili dalle modalita’ del fatto, dalle circostanze di tempo e luogo, dal concorso delle piu’ persone, tra le quali vi era riparto di ruoli e compiti, oltre che dalla natura del movente.
Ne’ sarebbe stato necessario stabilire con assoluta precisione il momento in cui era sorto il proposito criminoso o quello in cui l’accordo era stato raggiunto, essendo sufficiente che gli elementi indiziari fossero gravi, precisi e concordanti e suscettibili di una valutazione globale, che desse conto del requisito di natura cronologica e ideologica, che caratterizzano la premeditazione.
La prova della premeditazione, pertanto, e del suo comunicarsi ai concorrenti si fonda sull’articolo 187 c.p.p. ed e’ assoggettata alle regole di valutazione stabilite nell’articolo 192 c.p.p., comma 2, potendo ricavarsi anche dal ricorso alla prova logica.
Le condizioni di estensibilita’ dell’aggravante al soggetto che abbia partecipato all’esecuzione del fatto e che non abbia partecipato all’originaria deliberazione volitiva, si sostanziano, essenzialmente, nel fatto che costui ne abbia acquisito piena consapevolezza, precedentemente al suo contributo all’evento e a tale distanza di tempo da consentire che la maturazione del proposito criminoso prevalesse sui motivi inibitori (Sez. 6, 56956 del 21/09/2017, Argentieri e altri, Rv. 271952).
Con riguardo alla premeditazione, la Corte di merito ha correttamente messo in risalto come (OMISSIS) fosse stato informato del proposito omicidiario (e cio’ sulla base dell’argomentazione secondo la quale e’ illogico ritenere che non fosse accaduto alla luce della natura dell’omicidio che si sarebbe dovuto porre in essere).
In ogni caso, il ricorrente, alla luce delle conversazioni intercettate, era al corrente di tutto e della stessa fase di preparazione e di esecuzione con la conseguenza che v’erano tutti i presupposti di comunicabilita’ dell’aggravante.
Tale valutazione fa anche corretta applicazione del principio piu’ volte affermato da questa Corte, secondo cui nel caso di concorso di persone nel reato, la circostanza aggravante della premeditazione e’ estesa al coimputato che non abbia direttamente premeditato il reato qualora questi abbia acquisito, prima dell’esaurirsi del proprio apporto volontario alla realizzazione dell’evento criminoso, l’effettiva conoscenza della altrui premeditazione (Sez. 1, 10/10/2007, n. 40237).
Cio’ posto, inammissibile risulta anche l’altro rilievo posto sul giudizio di bilanciamento.
A parte il dato relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, presupposto che fa venir meno la possibilita’ di operare ogni forma di bilanciamento, i temi esposti afferiscono al puro merito sanzionatorio e alla discrezionalita’ del Giudice territoriale che ha fatto corretta applicazione delle regole logiche di valutazione della prova e della decisione.
8. Alla luce di quanto premesso il ricorso va respinto.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, Presidenza del Consiglio dei ministri e ministero della Giustizia, con l’avvocatura generale dello Stato, spese che si liquidano in Euro 4.000,00, oltre il 15% per spese generali c.p.A. e I.V.A. come per legge; nonche’ da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con l’avv. (OMISSIS), che si liquidano in Euro 4.000,00, oltre il 15% per spese generali, CPA e IVA come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Presidenza del Consiglio dei ministri e ministero della Giustizia, con l’avvocatura generale dello Stato, che liquida in Euro 4.000,00, oltre il 15% per spese generali c.p.A. e I.V.A. come per legge, nonche’ (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con l’avv. (OMISSIS), che liquida in Euro 4.000,00, oltre il 15% per spese generali, CPA e IVA come per legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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