L’art. 9 l. 1766/1927 subordina il procedimento di “legittimazione” alla prova d’avere apportato migliorie agro-forestale sul fondo

Consiglio di Stato, Sentenza|8 aprile 2021| n. 2832.

L’art. 9 l. 1766/1927 subordina il procedimento di “legittimazione” alla prova d’avere apportato migliorie agro-forestale sul fondo interne, ovvero l’aver realizzato opere di trasformazione agro-forestale.

Sentenza|8 aprile 2021| n. 2832

Data udienza 9 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Beni pubblici – Uso civico – Azione di accertamento – Art. 9 l. 1766/1927 – Procedimento di

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 164 del 2015, proposto dai signori Gi. Be. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Pa. Ne., con domicilio eletto presso lo studio Fe. Sc. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Em. Be., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sa. Di Ma. in Roma, via (…);
la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Cu., Fa. Lo. ed Ez. Za., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fa. Lo. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda n. 711/2014, resa tra le parti, concernente l’approvazione della relazione generale sull’accertamento di terre sottoposte all’uso civico.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Regione Veneto;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 9 marzo 2021 il Cons. Oreste Mario Caputo;
preso atto del deposito delle note d’udienza formulate ai sensi dell’art. 25, D.L. 137/2020, conv. in legge 176/2020, e dell’art. 4, D.L. 28/2020, da parte degli avvocati Cu. e Be.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Seconda n. 11/2014, di reiezione del ricorso collettivo proposto dai sig.ri Gi. Be. ed altri, utilizzatori di alcuni manufatti denominati “cassonetti”, ubicati nella (omissis) del Comune di (omissis), avverso la deliberazione del Consiglio comunale (n. 1 dell’8 febbraio 2000), nella parte in cui ha approvato la relazione generale sull’accertamento delle terre di uso civico.
L’amministrazione civica nella deliberazione impugnata ha, altresì, qualificato l’utilizzo dei cassonetti come “occupazione illegittima senza titolo”, con l’intento di disporre la dismissione dei fabbricati da parte degli utilizzatori e la conseguente “presa di possesso da parte del Comune”, nonché l’immediato accatastamento dei fabbricati non ancora censiti come fabbricati rurali.
1.1 Con motivi aggiunti, i ricorrenti hanno impugnato le successive deliberazioni del Consiglio Comunale (n. 33 del 30 ottobre 2002) e della Giunta comunale (n. 1884 del 18 giugno 2004), cui ha fatto seguito la deliberazione della Regione Veneto d’approvazione definitiva del “progetto di accertamento e riordino delle terre di uso civico del Comune di (omissis)”.
2. Dopo aver respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla Regione Veneto in favore della giurisdizione del Commissario Regionale, sul rilievo che l’emanazione delle delibere impugnate è espressione di potere amministrativo (cfr., Cass. civ., Sez. Unite, ord., 2 agosto 2008, n. 28541), e dopo aver rilevato che la giurisdizione amministrativa s’estende al procedimento di “legittimazione” ai sensi dell’art. 9 l. 1766/1927, il TAR ha respinto il ricorso nel merito.
2.1 Contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, fin dal 1904, l’intento del Comune, secondo i giudici di prime cure, “era quello di disciplinare l’utilizzo dei cassonetti e non di instaurare un rapporto concessorio con i privati”.
Il Comune, s’aggiunge in sentenza, “non avrebbe potuto attribuire un godimento a tempo indeterminato ai possessori dell’epoca esistenti, costituendo attuazione di un principio generale che l’uso dei beni gravati da uso civico deve essere correlato ad un utilizzo temporaneo e precario”.
Inoltre, secondo il TAR, i ricorrenti non hanno provato che le migliorie realizzate sono correlate all’uso agricolo del bene, in dissonanza dall’orientamento giurisprudenziale (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 1998, n. 1379) a mente del quale “le sostanziali e permanenti migliorie, previste dall’articolo 9 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, come presupposto necessario alla legittimazione dell’occupazione di terreni gravati da uso civico, devono consistere in opere finalizzate alla coltivazione o comunque allo sfruttamento agricolo e zootecnico del suolo e alla soddisfazione dell’interesse agrario della collettività in misura tale da non richiedere il ricorso alla reintegra”.
3. Appellano la sentenza i sig.ri Gi. Be. ed altri.
Resistono il Comune di (omissis) e la Regione Veneto.
4. Alla pubblica udienza del 9 marzo 2020, tenuta in modalità telematica da remoto, la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
5. Con il primo motivo d’appello, i ricorrenti deducono l’errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nel non considerare che con la deliberazione risalente al 1904 il Comune avrebbe rilasciato in loro favore la concessione amministrativa gratuita ed a tempo indeterminato, revocabile solo sulla base di una congrua motivazione che dimostri come l’uso particolare dei terreni civici non sia più compatibile “con il primario interesse della collettività degli eneghesi”.
Tale motivazione nel caso in esame, lamentano i ricorrenti, sarebbe mancata.
5.1 Il motivo è infondato.
L’amministrazione civica, dopo aver richiamato sul punto il contenzioso con i ricorrenti risalente ai primi anni ’70, ha accertato che i manufatti per cui è causa non sono più adibiti all’uso originario, in quanto utilizzati per finalità turistico-ricreative.
Inoltre, l’utilizzo dei cassonetta, realizzati sui terreni destinati all’uso civico, non è mai stato assistito da alcun titolo idoneo che consentisse ai possessori all’epoca esistenti il godimento a tempo indeterminato di beni gravati da uso civico.
L’uso abusivo senza titolo, contra ius del bene pubblico, ancorché protratto nel tempo, è ex se sanzionabile senza necessità alcuna d’adottare un atto di revoca.
6. Con il secondo motivo d’appello, i ricorrenti censurano il procedimento adottato dal Comune con particolare riferimento alla motivazione del provvedimento di reiezione delle osservazioni proposte avverso la delibera n. 33/2002, integrativa della delibera 1/2000.
6.1 Il motivo è infondato.
La motivazione del provvedimento di valutazione delle osservazioni dà conto delle ragioni di reiezione, ravvisabili nella insussistenza di alcun titolo che legittimasse i ricorrenti all’occupazione del terreni gravati da uso civico.
La coincidenza semantica e lessicale di motivi addotti a sostegno della reiezione con gli argomenti già espressi negli atti del procedimento (cfr. deliberazione n. 1/2000) non depone affatto per l’assenza di congrua motivazione del provvedimento che ha esaminato e respinto le osservazioni.
7. Con il terzo motivo d’appello, si deduce che la sentenza di prime cure sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto assenti i presupposti di fatti richiesti dall’art. 9, lett. a) e b), l. 1766/1927.
7.1 Il motivo è infondato.
L’art. 9 l. 1766/1927 subordina il procedimento di “legittimazione” alla prova d’avere apportato migliorie agro-forestale sul fondo interne, ovvero l’aver realizzato opere di trasformazione agro-forestale.
Viceversa, gli interventi eseguiti dai ricorrenti hanno avuto ad oggetto esclusivamente il miglior uso dei cassonetta aventi destinazione “turistico-ricreativa: ossia hanno perseguito una finalità socio economico ed ambientale diversa da quella avuta di mira dalla norma richiamata.
8. Con il quarto motivo d’appello i ricorrenti censurano per difetto di motivazione la sentenza di prime cure, laddove essa ha respinto le censure avverso il diniego di “sclassificazione” ai sensi dell’art. 7, 2° comma, l.r. 31/1994.
8.1 Il motivo è infondato.
Il fatto che in altra parte del territorio – (omissis) – l’amministrazione abbia disposto la sclassificazione delle aree civiche non depone affatto per la contraddittorietà dell’atto di diniego opposto dall’amministrazione con riguardo alle aree per cui è causa.
La relazione del tecnico incaricato dal Comune, propedeutica all’approvazione progetto di accertamento e riordino delle terre di uso civico del Comune di (omissis), dà conto che i “casonetti” possono essere recuperati alla destinazione rurale, all’attività silvo-pastorali, salvaguardano l’ambiente ed il paesaggio identitario della valle.
Sulla base della relazione tecnica, l’amministrazione, nell’esercizio della discrezionalità tecnica ad essa riservata, ha motivatamente negato che sussistessero i presupposti per la “sclassificazione” richiesta dai ricorrenti.
9. Conclusivamente l’appello deve essere respinto.
10. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 164 del 2015, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna i signori Gi. Be. ed altri al pagamento, a carico di ciascuno di essi, delle spese del grado di giudizio che si liquidano in 2000,00 (duemila) euro, oltre diritti ed accessori in favore del Comune di (omissis) e la Regione Veneto da dividersi fra loro in parti uguali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2021 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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