L’art. 192 e gli artt. 240 e seguenti del T.u.a.

Consiglio di Stato, Sentenza|8 aprile 2021| n. 2847.

L’art. 192 e gli artt. 240 e seguenti del T.u.a, si diversificano completamente per presupposti e conseguenze, avuto riguardo, tra l’altro. alla posizione del proprietario del terreno, laddove incolpevole. Mentre, infatti, l’art. 192, concernente l’abbandono o deposito incontrollato di rifiuti, ne prevede il coinvolgimento in solido con il trasgressore solo in caso di dolo o colpa, il sistema della bonifica, che si sviluppa su più fasi, passando da rimedi cautelari urgenti alla definitiva messa in sicurezza, si palesa assai più complesso, pur sfociando alla fine nell’imposizione di un onere reale sul terreno allo scopo di garantire la responsabilità quanto meno patrimoniale del proprietario.

Sentenza|8 aprile 2021| n. 2847

Data udienza 9 marzo 2012

Integrale

Tag – parola chiave: Rifiuti – Ordine di bonifica adottao in base all’art. 50 d.lgs. n. 267/2000 – Ordine di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 – Presupposti e natura – Posizione del proprietario dell’area interessata – Differenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2189 del 2014, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Pe., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gr. Pu. in Roma, via (…)
contro
la signora Ma. Gr., non costituita in giudizio
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, Sezione Prima, n. 462/2013, resa tra le parti, concernente l’ordinanza di bonifica di un terreno già adibito a discarica di rifiuti solidi urbani.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;
Relatore, nell’udienza del giorno 9 marzo 2021, in collegamento da remoto in videoconferenza, il Cons. Antonella Manzione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La signora Ma. Gr., con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza contingibile e urgente n. 4 del 24 gennaio 2006, notificata il 16 febbraio 2006, emessa dal Sindaco del Comune di (omissis) al fine di imporle la bonifica, entro 90 giorni, di un terreno di sua proprietà già utilizzato dall’Amministrazione stessa quale sito di discarica, giusta apposito contratto di affitto triennale siglato in data 13 novembre 1997.
1.1. A sostegno delle proprie pretese, la ricorrente ha lamentato vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto svariati aspetti, tra cui, in particolare, il difetto dei presupposti, il travisamento dei fatti e la carenza di istruttoria, non essendo corretto trarre argomentazioni a supporto della ripartizione delle responsabilità dalla sentenza n. 491 del 2005 del Tribunale civile di Locri, che aveva respinto la domanda di riconoscimento del diritto alla rinnovazione del contratto e di risarcimento del danno. In estrema sintesi, secondo la ricorrente, il Comune di (omissis) avrebbe svolto un’istruttoria superficiale, basandosi sul presupposto sbagliato, riveniente dagli esiti del richiamato contenzioso, che con il contratto di affitto la proprietà si fosse assunta l’onere della bonifica, avendone “ammortizzato” i costi in ragione della pattuita corresponsione di un canone superiore al valore venale del bene.
2. Il T.A.R. per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con la sentenza di cui in epigrafe impugnata, ha accolto la censura, ritenendo che la richiamata sentenza del Tribunale di Locri non sia ostativa allo scopo, avendo fatto salvo “l’eventuale obbligo istituzionale dell’ente gestore della discarica”. Non essendo il contratto sufficiente ad alterare le normali regole di ripartizione delle responsabilità in materia di ripristino dello stato dei luoghi, essa non può che essere attribuita al Comune, in quanto gestore della discarica già ubicata sul terreno in controversia. Lo ha altresì condannato al pagamento delle spese di giudizio, quantificate in euro 2.000,00.
3. Il Comune ha appellato la sentenza, articolando i seguenti motivi:
3.1. Erronea applicazione del d.lgs. n. 152 del 2006, ultra ed extra petizione, violazione o falsa applicazione dell’art. 13 della l. n. 22 del 1997 e dell’art. 50 del d.lgs. n. 267 del 2000, errata rappresentazione e valutazione dei fatti di causa, travisamento, abnormità e illogicità della motivazione.
Secondo il Comune appellante, il T.A.R. ha in primo luogo sbagliato l’inquadramento giuridico della fattispecie in termini temporali, stante che le norme richiamate sono da ricondurre al d.lgs. n. 152 del 2006, laddove il provvedimento impugnato reca una data antecedente alla sua entrata in vigore. Ciò peraltro andando oltre le censure di parte, rivolte sì a contestare la responsabilità, ma nell’ambito di un provvedimento adottato sulla base dell’art. 50 del T.u.e.l. del 2000, del quale si censurava casomai la mancanza dei presupposti (motivo sub I). D’altro canto, anche facendo riferimento all’art. 13 del d.lgs. n. 22 del 1997, vigente ratione temporis, era corretto prescindere dai profili di responsabilità (motivo sub II). Quanto detto ancorché in realtà ridetti profili di responsabilità a carico della signora Gr. fossero ampiamente provati, giusta la documentata consapevolezza da parte della stessa della necessità di bonificare l’area, sia perché il relativo obbligo era stato affermato dal giudice civile con sentenza impugnata, ma non sospesa, sia perché la situazione di pericolo per l’ambiente era stato denunciata dalla A.S.L. con nota del 9 novembre 2005 (motivo sub III). Di fatto, quindi, non sarebbero stati verificati gli effettivi presupposti dell’ordinanza, avendo dato rilievo alla sola sentenza del Tribunale di Locri n. 491 del 2005, peraltro derubricata a mero “antefatto causale”, al solo scopo di contestarne le risultanze (motivo sub IV). Abnorme ed erronea si paleserebbe la valutazione del contenuto dell’accordo negoziale tra la ricorrente e il Comune, dequotando a clausola atipica e non derogatoria del quadro delle responsabilità quella con la quale la prima si era assunta l’onere della bonifica al momento della riconsegna del terreno, il cui utilizzo era stato sottoposto allo scopo ad un canone maggiorato rispetto all’effettivo valore di mercato. A conferma di ciò sarebbe intervenuta la sentenza assolutoria del Sindaco da parte del Tribunale penale di Locri n. 201 del 2008 (motivi sub VI e VI, enunciati invertendo la numerazione).
Con memoria ex art. 73 c.p.a., versata in atti in data 19 novembre 2020, il Comune ha ribadito la persistenza del proprio interesse alla decisione, non essendosi la vicenda ancora risolta.
4. La signora Ma. Gr. non si è costituita in giudizio.
5. All’udienza pubblica del 9 marzo 2021, svoltasi da remoto, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

6. Il Collegio ritiene l’appello fondato.
Appare dirimente al riguardo il corretto inquadramento del provvedimento impugnato, adottato in base all’art. 50 d.lgs. n. 267/2000, e non in base agli artt. 192 ovvero 240 del d.lgs. n. 152/2006, siccome ipotizzato dal primo giudice. La differenza è decisiva, perché l’ordinanza contingibile e urgente è emanata sul presupposto dell’urgenza, è finalisticamente orientata a cautelare l’incolumità e la salute pubblica e ha carattere ripristinatorio, sì da prescindere dall’accertamento della responsabilità nella causazione del fattore di pericolo che si intende rimuovere. L’ordine di rimozione emesso dal Sindaco sul presupposto dell’indifferibilità e dell’urgenza di provvedere non ha infatti carattere sanzionatorio, bensì soltanto ripristinatorio (sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 febbraio 2021, n. 1192). Pertanto, esso non poteva che incombere sulla proprietaria, cui il terreno era stato restituito ormai da anni, in quanto soggetto che ne ha la libera disponibilità .
Nel caso di specie, come chiaramente esplicitato nel provvedimento, la situazione stigmatizzata dalla A.S.L. con la nota del 9 novembre 2005 consisteva nello sversamento da percolato a causa del troppo pieno di una vasca a cielo aperto, così da generare “un liquame conseguente dalla putrefazione del materiale presente nella discarica che, fuoriuscendo dal pozzetto segue la pendenza del terreno raggiungendo un adiacente corso d’acqua per l’irrigazione dei terreni agricoli presenti nella zona”. Trattasi, cioè, di un fenomeno sicuramente riconducibile alla mancata bonifica (in senso atecnico, per quanto di seguito precisato) del terreno, ma non identificabile nella stessa, stante che l’inconveniente igienico non deriva dalla situazione dei terreni al momento della cessazione dell’affitto, ma dal loro mantenimento inalterato nel tempo, senza l’adozione di qualsivoglia accorgimento per evitare il dilavamento del materiale ancora presente. In sintesi, quand’anche si volesse addebitare la responsabilità della causa causae al Comune siccome gestore della discarica che insisteva anni prima in loco, essa non implicherebbe anche quella della causa causati, giusta il complesso di fattori che a distanza di anni hanno generato il fenomeno rilevato dalla A.S.L.
7. Ma vi è di più . Come rilevato dalla difesa civica nel medesimo motivo sub I la ricorrente in primo grado non aveva fatto alcun riferimento alle norme in materia ambientale, contestando piuttosto la sussistenza della contingibilità e urgenza quali presupposti legittimanti l’adozione dell’atto avversato, seppure avuto riguardo anche alla ritenuta responsabilità esclusiva del Comune nella causazione del fenomeno. La mancanza di specifiche censure sul punto, cristallizza definitivamente come legittimi ridetti presupposti, una volta ricondotta la vicenda nell’alveo dei ricordati poteri extra ordinem del Sindaco quale capo dell’amministrazione locale (art. 50 T.u.e.l., in contrapposizione ai poteri allo stesso spettanti quale ufficiale di governo ai sensi dell’art. 54). Come se non bastasse, il provvedimento impugnato reca la data del 24 gennaio 2006, non potendo pertanto neppure trovare applicazione il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Testo unico in materia ambientale), in quanto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006 ed entrato in vigore il 29 aprile dello stesso anno.
Infine, rileva ancora il Collegio, il primo giudice richiama indistintamente sia l’art. 192, sia gli artt. 240 e seguenti del T.u.a, con ciò rendendo a dir poco nebulosa la distinzione tra procedimenti che, al contrario, si diversificano completamente per presupposti e conseguenze, avuto riguardo peraltro proprio alla posizione del proprietario del terreno, laddove incolpevole. Mentre, infatti, l’art. 192, concernente l’abbandono o deposito incontrollato di rifiuti, ne prevede il coinvolgimento in solido con il trasgressore solo in caso di dolo o colpa, il sistema della bonifica, che si sviluppa su più fasi, passando da rimedi cautelari urgenti alla definitiva messa in sicurezza, si palesa assai più complesso, pur sfociando alla fine nell’imposizione di un onere reale sul terreno allo scopo di garantire la responsabilità quanto meno patrimoniale del proprietario (sul punto v. da ultimo Cons. Stato, A.P, 22 ottobre 2019, n. 10, che pur riguardando nello specifico la posizione della società subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento, ricostruisce analiticamente lo sviluppo della tematica, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria). La necessità di una bonifica, tuttavia, presuppone l’avvenuto accertamento di un fenomeno di contaminazione concretizzatosi nel superamento di determinati valori soglia, circostanza questa neppure emersa nel caso di specie, ove l’ordinanza consegue all’esigenza di cauterizzare l'”inconveniente igienico” rappresentato dalla A.S.L. Il termine “bonifica”, pertanto, è utilizzato in maniera evidentemente atecnica, ad indicare la necessità di rimuovere i rifiuti per scongiurarne la tracimazione del percolato nel vicino corso d’acqua.
8. Quanto detto giustifica pienamente l’accordo intervenuto tra le parti al momento dell’affitto, la cui natura atipica di atto volto al trasferimento della disponibilità di un’area per destinarla a discarica di rifiuti non implica anche necessariamente, siccome affermato dal primo giudice, l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi in capo al concessionario. Come già riconosciuto dal giudice civile all’esito del primo grado del giudizio instaurato con atto in data 22 aprile 2002 dall’odierna appellata (sentenza del Tribunale civile di Locri n. 495 del 2006, il cui esito in appello è rimasto ignoto agli atti di causa) nel caso di specie il contratto contemplava espressamente le sorti del terreno all’esito della fruizione, imponendo “la bonifica” alla proprietà, in cambio di un canone maggiorato. La salvezza della diversa “specifica responsabilità istituzionale a provvedere alla bonifica”, su cui fa leva il T.A.R. per circoscrivere la portata della decisione del giudice civile al solo rapporto negoziale tra le parti, non poteva non essere affermata avuto riguardo al ruolo attivo dell’Amministrazione a fronte di una situazione di pericolo per l’ambiente e per la salute, pure se conseguita ad inadempienza del privato rispetto agli obblighi in precedenza assunti, gravandola, ad esempio, dell’esecuzione in danno, laddove non ne sia possibile procrastinarne l’effettuazione.
9. La Sezione, dunque, sulla base delle risultanze documentali agli atti, ritiene che non vi sia la carenza istruttoria e il travisamento dei fatti ritenuti sussistenti, invece, da parte del primo giudice.
Nel caso di specie, cioè, la natura contingibile e urgente dell’ordinanza ha imposto al Comune di (omissis) di intervenire con solerzia e tempestività a seguito del richiamato accertamento tecnico compiuto dalla A.S.L. che attestava, nel novembre del 2005, che la persistenza di materiale in putrefazione nella (ex) discarica, dilavato dalle piogge, origina un liquame che confluisce in un pozzetto di raccolta liquidi e da lì, per tracimazione, seguendo la pendenza del terreno, nel vicino corso d’acqua.
10. In definitiva, per le considerazioni espresse, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.
11. Le spese sono liquidate come in dispositivo secondo il criterio della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie.
Condanna la signora Ma. Gr. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore del Comune di (omissis), che liquida in euro 2.000,00, oltre accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Sezione Quinta del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2012, tenutasi con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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