L’appello autonomo tardivo

Corte di Cassazione, sezione sesta civile, Ordinanza 2 luglio 2020, n. 13607.

La massima estrapolata:

In tema d’impugnazioni, l’appello autonomo tardivo, anche dopo la riunione dei procedimenti, non può essere considerato come un appello incidentale tardivo, operando la preclusione della decadenza stabilita dall’articolo 333 del Cpc, finalizzata a salvaguardare la tempestività dell’impugnazione incidentale, altrimenti proponibile, fuori dal primo procedimento, senza termine, e l’unitarietà del processo, pregiudicata da un’impugnazione autonoma, che, in mancanza di riunione, può generare contraddittorietà di giudicati.

Ordinanza 2 luglio 2020, n. 13607

Data udienza 13 febbraio 2020

Tag/parola chiave: Azione revocatoria – Cessione bene immobile – Dichiarazione inefficacia ex art. 2901 c.c. – Appello – Tardività – Appello principale tardivo non convertibile in appello incidentale tardivo – Ricorso per cassazione – Inammissibilità – Non consentito riesame nel merito

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 6437-2019 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SPA nella qualita’ di mandataria della (OMISSIS) SPA, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7835/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI MARCO.

RILEVATO

che:
con sentenza resa in data 10/12/2018, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da (OMISSIS), e rigettato l’appello proposto (OMISSIS), avverso la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta dal (OMISSIS) s.p.a., ha dichiarato inefficace, nei confronti di quest’ultima, ai sensi dell’articolo 2901 c.c., l’atto con il quale il (OMISSIS) (debitore della societa’ attrice) aveva ceduto un proprio bene immobile in favore di (OMISSIS);
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, rilevata la tardivita’ dell’appello proposto da (OMISSIS), ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva ritenuto sussistenti tutti i presupposti soggettivi e oggettivi per l’accoglimento dell’azione revocatoria spiegata dall’attrice;
avverso la sentenza d’appello, (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;
il (OMISSIS) s.p.a. resiste con controricorso;
a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria.

CONSIDERATO

che:
preliminarmente, di dover disattendere l’eccezione sollevata dalla societa’ controricorrente in ordine alla pretesa tardivita’ dell’odierno ricorso per cassazione, risultando, dagli atti depositati, che gli odierni ricorrenti hanno richiesto la notificazione del ricorso in data 11/2/2019, e dunque entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla notificazione (in data 13/12/2018) della sentenza impugnata;
con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 111 Cost., nonche’ dell’articolo 153 c.p.c., comma 2, degli articoli 327 e 333 c.p.c. e dell’articolo 343 c.p.c., comma 1 (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente rilevato la tardivita’ dell’appello proposto dalla (OMISSIS), trascurando di qualificarne la natura di impugnazione incidentale, come tale ammissibile benche’ tardiva;
il motivo e’ manifestamente infondato;
al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema d’impugnazioni, l’appello autonomo tardivo, anche dopo la riunione dei procedimenti, non puo’ essere considerato come un appello incidentale tardivo, operando la preclusione della decadenza stabilita dall’articolo 333 c.p.c., finalizzata a salvaguardare la tempestivita’ dell’impugnazione incidentale, altrimenti proponibile, fuori dal primo procedimento, senza termine, e l’unitarieta’ del processo, pregiudicata da un’impugnazione autonoma, che, in mancanza di riunione, puo’ generare contraddittorieta’ di giudicati (Sez. 5, Sentenza n. 20497 del 12/10/2016, Rv. 641288 – 01);
nella specie, legittimamente il giudice d’appello ha dichiarato inammissibile l’impugnazione autonomamente proposta dalla (OMISSIS) (escludendone la conversione in appello incidentale tardivo), avendo sottolineato come quest’ultima avesse proposto tardivamente un proprio appello autonomo addirittura in epoca anteriore all’autonoma proposizione, da parte del (OMISSIS), del proprio appello avverso la medesima sentenza;
cio’ posto, non avendo la ricorrente osservato il termine d’impugnazione decorrente dalla notificazione della sentenza, quest’ultima doveva ritenersi gia’ passata in cosa giudicata nei relativi confronti, si’ da precluderle la possibilita’ di impugnare;
varra’ al riguardo precisare come, avendo la (OMISSIS) gia’ esercitato la facolta’ di impugnare in modo tardivo la sentenza di primo grado, la relativa situazione processuale – lungi dal potersi assimilare a quella di chi, non avendo impugnato, recupera detta facolta’ a seguito dell’impugnazione altrui a noma dell’articolo 334 c.p.c. (con la possibilita’ di impugnare oltre i termini) – doveva ritenersi quella di chi, avendo gia’ impugnato con appello principale inammissibile, avrebbe potuto proporre impugnazione ai sensi dell’articolo 334 c.p.c. solo attraverso un nuovo appello nelle forme dell’impugnazione incidentale tardiva (circostanza non verificatasi nel caso di specie), non potendo attribuirsi tale qualificazione al pregresso autonomo atto di appello, sulla base di una sorta di conversione da ritenersi del tutto impropria, tanto sotto il profilo cronologico, quanto sotto quello funzionale;
con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 2697 c.c. e dell’articolo 115 c.p.c., nonche’ per vizio di motivazione (in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente valutato gli elementi di prova complessivamente acquisiti al giudizio, non tenendo conto di tutte le circostanze di fatto allegate, e incorrendo in evidenti contraddizioni, con particolare riguardo alle circostanze relative alla conoscenza, da parte della (OMISSIS), del pregiudizio che l’atto di disposizione impugnato comportasse per le ragioni della societa’ attrice;
con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 2901 c.c., nonche’ per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente valutato gli elementi di prova complessivamente acquisiti, con particolare riguardo al ricorso dei presupposti di carattere oggettivo e soggettivo indispensabili ai fini dell’accoglimento della domanda revocatoria ex adverso proposta;
il secondo il terzo motivo – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;
al riguardo, osserva il Collegio come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5), i ricorrenti si siano sostanzialmente spinti a sollecitare la corte di legittimita’ a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;
in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, i ricorrenti risultano aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non gia’ della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in se’ incontroverso, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;
infatti, osserva il Collegio come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’articolo 2729 c.c.) non puo’ in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacita’ rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza, con la conseguente oggettiva inidoneita’ della censura in esame a dedurre la violazione dell’articolo 2729 c.c. nei termini analiticamente indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 (v. in motivazione sub par. 4. e segg.);
nel caso di specie, al di la’ del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruita’ dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessita’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
cio’ posto, i motivi d’impugnazione cosi’ formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimita’ della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
infatti, quanto al preteso vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, e’ appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente la’ dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisivita’, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);
pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, gia’ del tutto consolidato, secondo cui non e’ consentito richiamare la corte di legittimita’ al riesame del merito della causa, le odierne doglianza dei ricorrenti devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non gia’ l’omissione rilevante ai fini dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 cit., bensi’ la congruita’ del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearita’ argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere disposto il rigetto del ricorso, cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore della societa’ controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli articoli 1-bis e articolo 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 5.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli articoli 1-bis e articolo 13.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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