L’appaltatore deve addebitare l’Iva al committente e l’operazione si considera effettuata nel momento dell’emissione della fattura

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 ottobre 2022| n. 31051.

L’appaltatore deve addebitare l’Iva al committente e l’operazione si considera effettuata nel momento dell’emissione della fattura

L’appaltatore deve emettere, per l’ammontare del corrispettivo dovutogli, una fattura che costituisce la base imponibile dell’Iva e rappresenta, dal punto di vista civilistico, l’evento generatore anche del credito per la sua rivalsa (credito autonomo rispetto a quello per la prestazione, anche se ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso): l’articolo 18, comma 1, del Dpr n. 633 del 1972 prevede, infatti, che l’appaltatore debba addebitare l’Iva al committente e l’operazione si considera effettuata nel momento dell’emissione della fattura o in quello, eventualmente successivo, del pagamento del corrispettivo, in coerenza con la logica dell’imposta in questione, per la quale ciò che rileva è l’operazione economica.

Ordinanza|20 ottobre 2022| n. 31051. L’appaltatore deve addebitare l’Iva al committente e l’operazione si considera effettuata nel momento dell’emissione della fattura

Data udienza 15 settembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: APPALTO PRIVATO – CORRISPETTIVO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

Dott. LA BATTAGLIA Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 21308/2017 proposto da:
(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
SOCIETA’ SEMPLICE (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1419/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 10/08/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/09/2022 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO; Data pubblicazione 20/10/2022.

L’appaltatore deve addebitare l’Iva al committente e l’operazione si considera effettuata nel momento dell’emissione della fattura

OSSERVA

1. La vicenda, per quel che qui rileva, puo’ sintetizzarsi nei termini riportati dalla sentenza n. 6818/2013 di questa Corte:
“1. La ricorrente societa’ (OMISSIS) impugna con due motivi la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1544 del 2005, pubblicata il 14 ottobre 2005 e non notificata, con ricorso passato alla notifica al 22 novembre 2006 e notificato a mani il 23 novembre 2006. Resiste con controricorso la societa’ intimata, (OMISSIS). La Corte d’appello di Torino rigettava l’appello principale proposto dall’odierna ricorrente, accogliendo invece quello incidentale della resistente quanto alla regolazione delle spese. La controversia riguardava il mancato pagamento del saldo dovuto, pari a L. 316.314.400, per tutte le opere eseguite dalla ricorrente in virtu’ del contratto di appalto stipulato inter partes per la ristrutturazione della villa di proprieta’ della societa’ (OMISSIS) in (OMISSIS), nonche’ per la realizzazione di una autorimessa interrata.
2. Il Tribunale, espletata c.t.u., riteneva che l’appalto era stato convenuto a forfait e che la Societa’ committente aveva corrisposto tramite acconti un importo superiore al dovuto, tenuto conto del costo delle opere extra contratto e delle spese necessarie per l’eliminazione dei vizi riscontrati. Accoglieva, quindi, l’opposizione proposta dalla (OMISSIS) al decreto ingiuntivo ottenuto dalla (OMISSIS). 3. La Corte d’appello, adita da entrambe le parti, confermava per quanto qui interessa, la sentenza impugnata quanto alla determinazione del dovuto, ritenendo che l’appalto era stato convenuto a forfait; che la c. t. u. aveva correttamente calcolato l’importo dovuto per le opere extra contratto e per le spese necessarie per l’eliminazione dei vizi, osservando che le critiche avanzate dalla societa’ appaltatrice sulle risultanze peritali si risolvevano in “apodittiche dichiarazioni di errori del c.t.u.” senza indicazione di “elementi tecnici piu’ precisi e rigorosi… idonei a smontare l’adesione, pur legittima, del giudice di primo grado alle affermazioni rese da un consulente terzo rispetto alle parti”. Rilevava, inoltre, la Corte territoriale che non poteva essere riconosciuto il richiesto importo dell’Iva sulle somme dovute perche’ era pacifico che le fatture non siano state emesse”. 4. La ricorrente formula due motivi. Resiste con controricorso la parte intimata”.
2. Con il primo motivo la ricorrente aveva denunciato “l’omessa od insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi del giudizio”, in particolare lamentando l’adesione acritica alle conclusioni del c.t.u., senza prendere in esame i rilievi puntuali mossi dal c.t.p.
La Corte di cassazione riportava il passaggio motivazionale pertinente della sentenza impugnata, la quale aveva reputato che i “rilievi (del c.t.p.) contengono, pero’, formulazioni di contrasto e non propongono se non apodittiche dichiarazioni di errori da parte del c. t. u., senza indicare elementi tecnici piu’ precisi e rigorosi che siano idonei a smontare l’adesione, pur legittima, del giudice di primo grado alle affermazioni rese da un consulente terzo rispetto alle parti”.
Alla luce del testo al tempo vigente dell’articolo 360, 5, c.p.c. (“omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”) accoglieva la censura nei termini seguenti: “A fronte di tale sintetica motivazione, la ricorrente riporta per esteso (seppure in nota) nel ricorso le critiche avanzate alla relazione del c. t. u., nonche’ le osservazioni tecniche del consulente di parte. A fronte di tale minuziosa e ampia critica su aspetti specifici della c. t. u., il giudice di primo grado prima e la Corte d’appello poi non poteva limitare il suo argomentare a un mero richiamo adesivo alla consulenza tecnica”.
Il secondo motivo, con il quale la ricorrente si era doluta del mancato computo dell’IVA, veniva dichiarato assorbito.
2. Riassunta la causa, la Corte d’appello di Torino, in sede di rinvio, confermata la revoca del decreto ingiuntivo, condanno’ la (OMISSIS) a restituire alla (OMISSIS) la somma di Euro 5.284,00, invece che di Euro 57.904,88, siccome disposto dal Tribunale con la sentenza che era stata confermata in appello.
3. Avverso quest’ultima sentenza la Societa’ (OMISSIS). propone ricorso sulla base di quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria. La Societa’ semplice (OMISSIS) resiste con controricorso.
4. Con i primi due motivi, tra loro correlati, la ricorrente denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. Motivazione apparente e fittizia”, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, con violazione degli articoli 132, n. 4 e 384 c.p.c.
Con il complesso censuratorio richiamato la ricorrente lamenta, in sintesi, che il Giudice del rinvio non ha assolto al dovere di rendere effettiva motivazione, che le era stato imposto dalla sentenza di cassazione.
In particolare la ricorrente lamenta che la sentenza aveva condiviso il deprezzamento del 10% proposto dal c.t.u. per asseriti vizi dell’opera, nonostante gli stessi fossero stati eliminati a manufatto completato e la motivazione, “apodittica e tautologica”, si era limitata a riportare il giudizio del consulente, il quale, si legge nella sentenza, “ha invece motivato il perche’ del riconoscimento, evidenziando che esso si ricollegava “a quelle opere gia’ effettuate e a quelle manchevolezze alle quali non e’ possibile porre rimedio””. Per contro, non erano state esaminate le critiche, con le quali si era evidenziato che i vizi erano stati sanati. Fittizia, poi, doveva reputarsi la motivazione quanto ai lavori pretesamente eseguiti con dimensioni errate, nonche’ la scelta di operare la decurtazione su tutti i lavori e in misura “sproporzionata”. Da qui anche la denuncia di omesso esame di un fatto decisivo e di violazione dell’articolo 384 c.p.c.
4.1. La critica e’ infondata.
In primo luogo deve precisarsi che il giudice del rinvio e’ tenuto ad applicare la norma processuale vigente al tempo della decisione (“tempus regit actum”) – cfr., ex multis, Sez. 2, n. 9991/2017 -. Quanto allo specifico vizio di cui al n. 5 dell’articolo 360, c.p.c., si e’ chiarito che il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio disposto a norma dell’articolo 383 c.p.c. e’ disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all’epoca della proposizione dell’impugnazione, in base al generale principio processuale “tempus regit actum” ed a quello secondo cui il giudizio di rinvio, a seguito di cassazione, integra una nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria. Da cio’ consegue che, se la sentenza conclusiva del giudizio di rinvio e’ stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, vale a dire dal giorno 11 settembre 2012, trova applicazione l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) nella nuova formulazione restrittiva introdotta dell’articolo 54, comma 1, lettera b), del suddetto Decreto Legge (Sez. 6, n. 26654, 18/12/2014, Rv. 633893; conf., Sez. 3, n. 10693/2016).
Alla stregua di quanto sopra esposto deve escludersi sussistere l’ipotizzato vizio di omesso esame d’un fatto controverso e decisivo, anche sotto il profilo della dedotta apparenza motivazionale.
L’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dall’articolo 54 del d. L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oqqetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli articoli 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831).
Qui, ben lungi dall’avere evidenziato un fatto storico di tal fatta, pretermesso dal giudice, la ricorrente invoca una sorta d’improprio terzo grado, al quale assegnare un nuovo vaglio probatorio, in altri termini, non evidenzia un fatto decisivo ignorato, ma esige una nuova calibratura delle acquisizioni probatorie, una diversa opzione ricognitiva della vicenda, in questa sede non consentita.
Quanto alla dedotta apparenza della motivazione deve osservarsi che: a) la Corte territoriale, attraverso costrutto motivazionale pienamente comprensibile, ha spiegato le ragioni che l’avevano portata a disattendere le critiche alle conclusioni del ctu; b) la giustificazione motivazionale e’ di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le piu’ varie, ipotetiche, congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145, ex multis; ma gia’ S.U. n. 22232/2016);
– a tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilita’ al caso concreto preso in esame, di talche’ appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioe’ un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto;
– siccome ha gia’ avuto modo questa Corte di piu’ volte chiarire, la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dall’articolo 54 del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione, con la conseguenza che e’ pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
E’ evidente che, nonostante gli sforzi dialettici della ricorrente, non si versa qui in alcuna delle ipotesi residuali di cui sopra: l’argomento utilizzato dal giudice e’ puntualmente ripercorribile, collegato al caso esaminato e alle risultanze di causa Quel che, in sostanza la ricorrente contesta e’ il risultato del vaglio probatorio e in particolare, degli accertamenti peritali. In altri termini, non si e’ in presenza di una generica condivisione della sentenza di primo grado in ordine alle valutazioni del consulente del giudice, avendo il Giudice del rinvio dato mostra di avere analiticamente preso in esame la relazione peritale, posta a raffronto con le critiche mosse dall’appellante (pagg. 22-31).
5. Con il terzo e il quarto motivo, rispettivamente denuncianti violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 articolo 18 e l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonche’ apparenza motivazionale, la ricorrente lamenta il negato riconoscimento dell’I.V.A. per il corrispettivo residuo di L. 508.500.000 gia’ corrisposto.
5.1. La doglianza e’ infondata.
La Corte locale ha giustificato la decisione in quanto non risultava essere stata emessa fattura in relazione al predetto corrispettivo, il che non consentiva di affermare che l’appellante avesse riversato alcunche’ all’Erario per il predetto titolo. Inoltre, dato il tempo trascorso, l’azione fiscale era comunque prescritta.
Risulta decisivo il primo argomento.
Questa Corte ha avuto modo di spiegare che l’appaltatore deve emettere, per l’ammontare del corrispettivo dovutogli, una fattura che costituisce la base imponibile dell’IVA e rappresenta, dal punto di vista civilistico, l’evento generatore anche del credito per la sua rivalsa (credito autonomo rispetto a quello per la prestazione, anche se ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso): l’articolo 18, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 prevede, infatti, che l’appaltatore debba addebitare l’IVA al committente e l’operazione si considera effettuata nel momento dell’emissione della fattura o in quello, eventualmente successivo, del pagamento del corrispettivo, in coerenza con la logica dell’imposta in questione, per la quale cio’ che rileva e’ l'”operazione economica (sez. 1 n. 22276, 3/11/2016, Rv. 642647).
Cio’ posto, non avendo la ricorrente emesso fattura per la parte di corrispettivo, a suo tempo incassato, ammontante a L. 508.500.000, non ha ragione di pretendere la corresponsione dell’I.V.A., che si tramuterebbe in un ingiusto arricchimento, non essendovi titolo fiscale che giustifichi rivalsa nei confronti del committente.
6. Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualita’ della causa, nonche’ delle svolte attivita’, siccome in dispositivo.
7. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 articolo 13, comma 1-quater (inserito dal L. n. 228 del 2012 articolo 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ in favore della controricorrente, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;
ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 articolo 13, comma 1-quater (inserito dal L. n. 228 del 2012 articolo 1, comma 17), si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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