Laddove l’abuso riguardi un fabbricato suddiviso in più unità immobiliari

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 12 novembre 2019, n. 7766.

La massima estrapolata:

Laddove l’abuso riguardi un fabbricato suddiviso in più unità immobiliari, ancorché dotate di autonomia funzionale, il limite volumetrico vada riferito all’edificio nel suo complesso e non alle singole unità immobiliari di cui il medesimo si compone, costituendo la previsione di una cubatura massima (pari a 750 mc) un limite assoluto e inderogabile che risulterebbe, in caso contrario, facilmente aggirabile.

Sentenza 12 novembre 2019, n. 7766

Data udienza 29 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3117 del 2018, proposto da
Mi. Di Sa., rappresentata e difesa dagli avvocati Ge. Ma. e Gi. Ti., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Le. Na., in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fe. Ge., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli: Sezione II, n. 4755/2017, resa tra le parti, concernente il diniego di condono edilizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2019 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati F. La., per delega di G. Ma., e F. Ge.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con determinazione 15/11/2016 n. 15907 il Comune di (omissis) ha respinto due istanze di condono edilizio presentate, ai sensi della L. 23/12/1994, n. 724, dal sig. Ni. Au. in relazione all’abusivo aumento di cubatura realizzato in due distinte unità immobiliari facenti parte di un unico fabbricato.
Il Comune ha ritenuto l’abuso insanabile in quanto l’ampliamento complessivamente eseguito superava il limite volumetrico massimo di 750 mc stabilito dall’art. 39, comma 1, della citata L. n. 724/1994.
La sig.ra Mi. Di Sa., divenuta nelle more proprietaria delle due unità immobiliari (per acquisto ad un’asta giudiziaria) ha ritenuto il diniego illegittimo, per cui lo ha impugnato con ricorso al T.A.R. Campania – Napoli, il quale, con sentenza 11/10/2017, n. 4755, lo ha respinto.
Avverso la sentenza ha proposto appello la sig.ra Di Sa..
Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune di (omissis).
Con successiva memoria la parte appellante ha meglio illustrato le proprie tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 29/10/2019 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo si denuncia l’errore asseritamente commesso dal Tribunale nel ritenere correttamente applicato l’art. 39, comma 1, della citata L. n. 724/1994.
E invero la detta disposizione dovrebbe essere intesa nel senso che, laddove il medesimo fabbricato sia distinto in plurime unità immobiliari, ciascuna dotata di una propria autonomia funzionale, il limite di cubatura vada riferito a ciascuna di esse, indipendentemente dal fatto che l’abuso sia stato compiuto dal medesimo soggetto.
La doglianza è infondata.
L’art. 39, comma 1, della menzionata L. n. 724/1994 dispone, per quanto qui rileva: “Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi…”.
La norma va intesa nel senso che, laddove l’abuso riguardi un fabbricato suddiviso in più unità immobiliari, ancorché dotate di autonomia funzionale, il limite volumetrico vada riferito all’edificio nel suo complesso e non alle singole unità immobiliari di cui il medesimo si compone, costituendo la previsione di una cubatura massima (pari a 750 mc) un limite assoluto e inderogabile che risulterebbe, in caso contrario, facilmente aggirabile (Corte Cost. 23/7/1996, n. 302; Cons Stato Sez. V, 3/3/2001 n. 1229 e 22/11/1996, n. 1388; C.Si. 19/6/2013, n. 603; Cass. Pen., Sez. III, 24/5/2019, n. 36251 e 2/10/2013, n. 12353).
Col secondo motivo l’appellante lamenta che i limiti volumetrici di cui al ricordato art. 39, comma 1, della L. n. 724/1994 non troverebbero applicazione nei casi in cui l’istanza di condono edilizio sia presentata o coltivata (come nella fattispecie) da soggetto diverso dall’autore dell’illecito edilizio e ciò tanto più nelle ipotesi, come quella di specie, in cui il bene sia pervenuto all’attuale proprietario a seguito di procedura esecutiva immobiliare.
Peraltro, nel caso che occupa, l’appellante vanterebbe un affidamento tutelabile sulla sanabilità delle opere, in quanto in tal senso si era espresso il perito del giudice dell’espropriazione dal cui avviso, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, il Comune non avrebbe potuto discostarsi, stante il principio di unitarietà dell’ordinamento.
La doglianza non merita condivisione.
Al riguardo è sufficiente osservare che la soglia massima dei 750 mc prevista dall’art. 39, comma 1, della L. n. 724/1994, ai fini della sanabilità degli abusi ivi contemplati, costituisce un limite insuperabile di natura oggettiva riguardante il bene, per cui risulta del tutto irrilevante sia la divaricazione soggettiva tra colui che chiede il condono (o gli subentra) e l’autore dell’illecito, sia lo stato di buona fede e di affidamento di chi ambisce a ottenere la sanatoria.
Per le medesime ragioni appena indicate risulta, nella specie, del tutto ininfluente il convincimento espresso dal esperto nominato dal giudice della procedura esecutiva ex art. 568 c.p.c. in ordine alla ritenuta sanabilità dell’intervento.
Sul punto giova precisare che nessun argomento contrario può trarsi dall’art. 173-bis, comma 1, n. 7 delle norme di attuazione al c.p.c., in base al quale dalla relazione di stima del valore dell’immobile redatta dal detto esperto deve risultare “il controllo della possibilità di sanatoria” degli abusi riscontrati, essendo tale valutazione funzionale alla sola determinazione del valore del bene espropriato.
L’appello va, in definitiva, respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore della parte appellata, liquidandole forfettariamente in complessivi Euro 4.000/00 (quattromila), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Francesco Mele – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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