L’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo comporta la definitiva caducazione del provvedimento monitorio

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 315.

L’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo comporta la definitiva caducazione del provvedimento monitorio

L’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo comporta la definitiva caducazione del provvedimento monitorio, sicché l’eventuale riforma della sentenza di primo grado da parte del giudice d’appello – anche ove impropriamente conclusa con un dispositivo con il quale si “conferma” lo stesso – non determina la “riviviscenza” del decreto ingiuntivo già revocato, che, pertanto, non può costituire titolo per iniziare o proseguire l’esecuzione forzata (Nel caso di specie, rilevato che la corte territoriale, accogliendo il gravame e rigettando l’opposizione, aveva totalmente omesso di prendere posizione sulla domanda riguardante la condanna dell’appellata alla corresponsione della somma di cui al decreto ingiuntivo opposto, limitandosi a confermare quest’ultimo, nonostante il tribunale lo avesse travolto, revocandolo e accogliendo l’opposizione, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso incidentale in adesione al ribadito principio, ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condannato la società ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, della somma liquidata con il caducato decreto ingiuntivo). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 6 settembre 2017, n. 20868).

Ordinanza|| n. 315. L’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo comporta la definitiva caducazione del provvedimento monitorio

Data udienza  9 novembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Procedimento civile – Procedimento monitorio – Giudizio di opposizione – Sentenza di accoglimento – Effetto sostitutivo del decreto ingiuntivo – Sussistenza – Riforma in appello di tale decisione – “Riviviscenza” del decreto ingiuntivo – Esclusione – Conseguenze. (Cpc, articoli 99, 112, 474, 633 e 645)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta da

Dott. FALASCHI Milena – Presidente

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22694/2018 R.G. proposto da

(…) S.R.L., rappresentata e difesa dall’avv. Gi.Au., presso il cui studio in Roma, via (…), è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

Ca.Pr. S.R.L., rappresentata e difesa dall’avv. An.Ri., presso il cui studio in Roma, via (…), è elettivamente domiciliata

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 3967/2018 della Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 11/6/2018 e notificata a mezzo pec il 11/6/2018 .

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/11/2023 dalla dott.ssa Valeria Pirari.

L’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo comporta la definitiva caducazione del provvedimento monitorio

Rilevato che:

1. Con decreto n. 21337/2008, il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda monitoria proposta da Ca.Pr. s.r.l. onde conseguire il saldo del corrispettivo di Euro 150.600,00 dovuto per il noleggio, per quattro mesi, dei materiali indicati nel preventivo del 15 Marzo 2007, tenuto conto dell’acconto versato di Euro 50.000,00, ingiunse alla (…) s.r.l. il pagamento di Euro 100.600,00.

Il giudizio di opposizione, incardinato dalla società ingiunta onde ottenere la revoca del decreto e, in riconvenzione, la ripetizione della somma di Euro 50.000,00 ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., nel quale si costituì la Ca.Pr. s.r.l., chiedendo il rigetto della pretesa, si concluse con la sentenza n. 11964/2013, con la quale il Tribunale di Roma, in accoglimento della proposta opposizione e della contestuale domanda riconvenzionale, revocò il decreto ingiuntivo e condannò l’opposta al pagamento, in favore dell’opponente, della somma di Euro 50.000,00, oltre interessi a titolo di ripetizione dell’indebito.

Il giudizio d’appello, incardinato dalla Ca.Pr. s.r.l., nel quale si costituì la (…) s.r.l., chiedendone il rigetto, si concluse con la sentenza n. 3967/2018, con la quale la Corte d’Appello di Roma accolse il gravame, rigettando l’opposizione a decreto ingiuntivo e la domanda di ripetizione dell’indebito proposta in via riconvenzionale, confermò il decreto ingiuntivo e condannò l’appellata alla restituzione, in favore dell’appellante, delle somme versate in spontanea esecuzione della sentenza di primo grado.

2. Contro la predetta ordinanza, la (…) s.r.l. propone ricorso per Cassazione sulla base di sette motivi, illustrati anche con memoria. Si difende con controricorso Ca.Pr. s.r.l., proponendo a sua volta ricorso incidentale fondato su un unico motivo, illustrato anche con memoria.

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Considerato che:

1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta l’omessa indicazione delle ragioni in diritto poste alla base della decisione stante la mancata indicazione, nella parte motiva, degli articoli di legge e delle massime giurisprudenziali applicate, con conseguente motivazione apparente e violazione degli artt. 132, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 111, sesto comma, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. La ricorrente ha, in particolare, evidenziato come detta mancanza impedisse di controllare il procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, specialmente con riguardo all’avvenuta disapplicazione dell’art. 2712 cod. civ., giacché i giudici, a fronte del tempestivo e dettagliato disconoscimento, da parte sua, della riproduzione meccanica mediante fax, avevano riconosciuto al predetto documento efficacia di prova privilegiata, accertando la conformità all’originale della copia sulla base di presunzioni, avevano invertito l’onere della prova proprio del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, affermando la validità, efficacia e adempimento di un contratto a prestazioni corrispettive, e avevano applicato il principio di non contestazione ad un periodo antecedente alla riforma del 2009, nel quale il principio non poteva operare.

1.2 Il motivo è infondato.

La motivazione è, infatti, solo apparente e la sentenza è nulla perché “affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U, 03/11/2016, n. 22232). La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, deve invero essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché è denunciabile in Cassazione soltanto l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, esaurendosi nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella ‘motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487), situazioni queste nelle quali non rientra il mancato richiamo a norme di legge o a precedenti giurisprudenziali.

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Nella specie, i giudici di merito hanno congruamente chiarito i motivi del proprio convincimento attraverso il puntuale esame di tutte le questioni sottoposte al loro giudizio (validità del contratto, esatta esecuzione della prestazione della controricorrente e inadempimento della ricorrente), sicché la sentenza non può dirsi affetta da nullità per difetto di motivazione.

2.1 Con il secondo motivo, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione dalle parti, con riferimento all’omessa valutazione delle eccezioni formulate dall’opponente – accolte in primo grado – in ordine all’inesistenza del contratto posto alla base della pretesa creditoria formulata dalla convenuta opposta, in violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. Ad avviso della ricorrente, la Corte d’appello aveva omesso di analizzare le censure da essa proposte in ordine all’insussistenza del fatto costitutivo della pretesa creditoria delle controparte e, in particolare, all’inesistenza del contratto e all’indeterminatezza delle prestazioni in esso contenute, posto che il documento, trasmesso via fax e posto a fondamento della decisione, era privo di sottoscrizione nelle due pagine contenenti l’an e il quantum debeatur, essendo lo stesso vergato soltanto nell’ultima delle tre pagine, che non erano stati trasmessi preventivi da sottoscrivere e ritrasmettere firmati e che il contratto non era stato eseguito, sicché avevano ricostruito erroneamente i fatti di causa, ancorandoli esclusivamente alle prospettazioni della parte opposta e invertendo il procedimento logico-giuridico di formazione della sentenza.

2.2 Il motivo è inammissibile.

Le ragioni poste a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata devono, infatti, avere i caratteri non solo della specificità e della completezza, ma anche della riferibilità alla decisione stessa (Cass., Sez. 3, 2/8/2002, n. 11530), aspetti questi del tutto disattesi nella specie.

La censura non attinge, infatti, la ratio decidendi risultante dalla motivazione della sentenza impugnata, nella quale i giudici d’appello hanno per vero ampiamente affrontato il problema afferente alla conclusione del contratto, precisando che l’opponente, pur avendo negato l’autografia della sottoscrizione apposta in calce all’ultimo foglio del documento trasmesso mediante fax, non aveva contestato che la trasmissione del preventivo avesse avuto luogo mediante l’uso di un apparecchio telefax installato nella sua utenza telefonica, che il documento trasmesso attraverso questa modalità non impedisse al giudice di accertare la sua conformità all’originale anche con altri mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni, e che la prova della sua veridicità andasse ricercata sia nella mancata contestazione in ordine alla riferibilità della spedizione del documento all’apparecchio telefax della stessa ricorrente, sia nell’accettazione senza riserve, da parte sua, della fattura del 27/7/2007, cui aveva dato seguito attraverso il pagamento degli acconti, costituente in sé comportamento concludente dimostrativo della conclusione del contratto in assenza di convincente giustificazione della loro causale alternativa, sia nella messa a disposizione del materiale, oggetto della scrittura, confermata dal teste Fa..

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Deriva allora da quanto detto, l’inammissibilità della censura.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2712 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello attribuito valore di prova privilegiata alla riproduzione meccanica mediante fax del documento posto a fondamento della pretesa creditoria, benché da essa tempestivamente e dettagliatamente disconosciuta.

I giudici di merito avevano, infatti, conferito efficacia di prova privilegiata al fax, che la controparte affermava di aver trasmesso e che era stato disconosciuto, anziché alla scrittura privata prodotta in originale, dando per scontato che il preventivo fosse stato effettivamente presentato e ironizzando sul fatto che il suo originale fosse detenuto dalla stessa appellata e non fosse stato da essa prodotto in giudizio, senza considerare che il fax non avrebbe potuto essere considerato elemento di prova proprio in ragione della intervenuta contestazione, che il documento era privo di sottoscrizione, peraltro disconosciuta, e che l’unica procedura rigorosa, in caso di contestazione, era quella prevista dagli artt. 214 e ss. cod. proc. civ., in assenza della quale la riproduzione meccanica non poteva assurgere a piena prova sulle circostanze dedotte dalla parte che intendeva avvalersi del documento.

4. Con il quarto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2712 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 2719 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, nonostante il disconoscimento del preventivo trasmesso mediante fax, avevano accertato mediante presunzioni la sua conformità all’originale, affermando falsamente che l’appellata avesse negato la sola autografia della firma appostavi, ma non anche la sua trasmissione mediante telefax, senza considerare che la stessa, nell’atto di citazione e nella memoria ex art. 183 cod. proc. civ., aveva disconosciuto tempestivamente la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta, posto che il numero di fax stampigliato nel preventivo, non indicato in alcun atto di causa, non era stato oggetto di attività istruttoria dell’opponente, non avendo questa articolato in merito alcun capitolo di prova e non potendo i giudici colmare in alcun modo detta carenza istruttoria, e che il fax stesso recava, alla pagina 2, la data del luglio 2007, a fronte di una prestazione che avrebbe dovuto essere eseguita a marzo del 2007, oltre ad avere negato di averlo trasmesso alla controparte e non ricevuto da essa, sicché i giudici avevano confuso il disconoscimento del fax- che fa perdere la qualità di prova dello stesso – con quello del suo mancato riconoscimento – che consente al giudice di apprezzare liberamente le riproduzioni legittimamente acquisite -, posto che la parte si era presentata con una fotocopia priva di ricevuta di trasmissione o spedizione, nella quale non era neanche indicato il numero telefonico della destinataria.

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5. Col quinto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 115 cod. proc. civ., nella formulazione precedente alla riforma di cui alla legge n. 69 del 2009, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, con riguardo alla fattura del 27 luglio 2007, emessa dalla controparte e posta a fondamento dell’esistenza del credito dedotto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, avevano fatto applicazione del principio di non contestazione in data antecedente alla sua codificazione del 4 luglio 2009, sostenendo che la conclusione e successiva esecuzione del contratto fossero dimostrati dall’accettazione senza riserve da parte dell’opponente di tale documento, senza considerare che la consegna della fattura n. 115/2007 non era stata dimostrata, che il decreto ingiuntivo era stato notificato nel Febbraio 2009 e, dunque, in epoca antecedente alla riforma dell’art. 115 cod. proc. civ. sulla obbligatorietà della contestazione dei fatti, che la fattura e l’estratto delle scritture contabili, già costituenti titolo idoneo per il decreto ingiuntivo, non costituivano fonte di prova in favore della parte che li aveva emessi e che il mero silenzio non costituiva ammissione del fatto. Inoltre, era falso che la fattura non fosse stata contestata, essendo stata contestata, già nell’atto di citazione, sia come fatto storico, sia come irregolarità per la mancata vidimazione dell’estratto autentico delle scritture contabili.

6. Col sesto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1325, 1326, 1418, 2697 cod. civ., in combinato disposto con gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello, nell’accertare l’esistenza e la validità dell’obbligazione sottoposta al suo esame, aveva ritenuto il contratto perfezionato nonostante l’indeterminabilità dell’oggetto, essendo questo costituito da un preventivo redatto dalla stessa opposta, mai prodotto in originale e spedito via fax, privo di sottoscrizione nelle parti indicanti corrispettivo e modalità di adempimento e vergato solo nell’ultima pagina con firma illeggibile, tempestivamente disconosciuta, e nonostante l’opposta avesse omesso di produrre i documenti in originale, in uno con le scritture di comparazione, onde consentire di dar seguito alla loro verificazione.

Quanto, infine, all’adempimento dell’opposta, quest’ultima aveva affermato di non avere consegnato la merce, ma di averla custodita nel proprio magazzino, mettendola a disposizione dell’opponente, mentre il teste, che, secondo i giudici, aveva confermato la prestazione dell’opposta, l’oggetto e il contenuto del contratto e l’inadempimento dell’opponente, non era attendibile, essendosi definito consulente di quest’ultima e avendo affermato di non ricordare il testo del preventivo.

7. Il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo, da trattare congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sono infondati, sebbene debba correggersi la motivazione della sentenza.

Occorre, innanzitutto, evidenziare come i giudici di merito, nell’analizzare il preventivo formulato dalla controricorrente, trasmesso via fax alla ricorrente e da questa asseritamente firmato, a dimostrazione dell’intervenuta conclusione del contratto di noleggio, abbiano ritenuto che non si dovesse ricorrere al procedimento di verificazione in quanto l’originale del documento, essendo stato trasmesso via fax, era rimasto nella disponibilità di colui che lo aveva disconosciuto senza produrlo in giudizio, sostenendo, quindi, che la società opponente si fosse limitata a negare l’autografia della firma di sottoscrizione in calce al preventivo, ma non anche la trasmissione del documento mediante apparecchio telefax installato sulla sua utenza telefonica, e proseguendo nell’esame delle prove presuntive (appartenenza del telefax alla ricorrente, accettazione della riserve della fattura trasmessa e suo parziale pagamento e messa a disposizione dei materiali oggetto di contratto di noleggio), che avrebbero consentito di dimostrare il perfezionamento del contratto.

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Orbene, la riproduzione di un atto mediante il servizio “telefax”, che costituisce un sistema di posta elettronica volto ad accelerare il trasferimento della corrispondenza mediante la riproduzione a distanza (con l’utilizzazione di reti telefoniche e terminali facsimile) del contenuto di documenti, rientra tra le riproduzioni meccaniche indicate, con elencazione meramente esemplificativa, dall’art. 2712 cod. civ., le quali formano piena prova dei fatti o delle cose rappresentati, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesimi (Cass., Sez. 3, 24/11/2005, n. 24814; Cass., Sez. L, 20/3/2009, n. 6911; Cass., Sez. 6-2, 27/2/2019, n. 5778) attraverso un atto difensivo che non deve essere solo tempestivo, soggiacendo a precise preclusioni processuali, ma anche chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (Cass., Sez. 6-1, 13/5/2021, n. 12794; Cass., Sez. L, 2/9/2016, n. 17526).

Ed è proprio questa la condotta difensiva posta in essere dalla società opponente, la quale ha disconosciuto la sottoscrizione apposta al preventivo, dalla cui veridicità sarebbe, invece, scaturita la prova della sua adesione ad esso e, dunque, l’avvenuta conclusione del contratto di noleggio, così contestando la conformità ai fatti delle deduzioni poste dalla controparte a fondamento della sua pretesa creditoria.

Ciò significa che il disconoscimento della sottoscrizione avrebbe dovuto essere seguito dal giudizio di verificazione, finalizzato alla rimozione del valore del documento nei confronti della controparte processuale (sugli effetti della verificazione vedi Cass., Sez. 1, 28/2/2007, n. 4728), derivando, altrimenti, dal riconoscimento tacito della scrittura privata ai sensi dell’art. 215 cod. proc. civ. e correlativamente dalla verificazione della stessa ex art. 216 stesso codice, il valore di piena prova fino a querela di falso, secondo quanto dispone l’art. 2702 cod. civ., della provenienza della scrittura da chi ne appare come sottoscrittore (Cass., Sez. L, 12/5/2008, n. 11674).

E non è un caso, infatti, che l’onere del disconoscimento della scrittura privata, e correlativamente l’eventuale verificarsi del riconoscimento tacito ai sensi dell’art. 215 cod. proc. civ., presuppongano che il documento prodotto contro una parte provenga dalla stessa, ovvero da un soggetto che la rappresenti, in virtù di un rapporto organico (quale, per esempio, il rappresentante legale di una società, anche se non più in carica al momento del giudizio), oppure perché munito di procura (Cass., Sez. 22/12/1994, n. 11074).

Sotto questo profilo, dunque, la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta, laddove, pur confermando che la società aveva negato l’autografia della firma di sottoscrizione in calce al preventivo, ha affermato che non residuassero “utili margini per far luogo al subprocedimento di verificazione per la semplice ragione che, discutendosi di una scrittura trasmessa a mezzo fax, l’originare della stessa è rimasto nella detenzione della parte che ha disconosciuto la copia pervenuta al destinatario della comunicazione via fax, sicché non si vede come quest’ultimo potesse chiedere la verificazione senza disporre dell’originale che era nel possesso del mittente, che si è guardato dal produrlo in giudizio per consentire le indagini del caso” e che, comunque, non fosse stato negato che la trasmissione del preventivo avesse avuto luogo mediante l’uso dell’apparecchio telefax installato sulla sua utenza telefonica, senza dar luogo al procedimento di verificazione.

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Nonostante ciò, non può non osservarsi come le censure non tengano conto del fatto che soltanto nei contratti per i quali sia richiesta, per legge o per volontà delle parti, la forma scritta ad probationem ovvero ad substantiam, colui che intenda avvalersi del documento in giudizio ha, ove la sottoscrizione non sia stata autenticata al momento dell’apposizione né riconosciuta, ancorché tacitamente, dalla controparte, l’onere di avviare, pur senza formule sacramentali, il procedimento di verificazione, producendo in giudizio il contratto in originale, senza che possa avvalersi della prova testimoniale o di quella per presunzioni per dimostrare l’esistenza, il contenuto e la sottoscrizione del documento medesimo, salvo che ne abbia previamente dedotto e dimostrato la perdita incolpevole dell’originale (in questi termini, Cass., Sez. 2, 16/10/2017, n. 24306), ma non anche quando, come nella specie, il contratto sia a forma libera, incombendo, in tal caso, su chi ne invoca l’esistenza, validità ed efficacia, l’onere di dimostrare l’avvenuto perfezionamento del negozio, anche mediante presunzioni semplici, purché aventi i caratteri della gravità e precisione, nonché, qualora siano più d’una, della concordanza ex art. 2729 cod. civ., la cui valenza probatoria deve essere valutata e adeguatamente motivata dal giudice del merito (Cass., Sez. 1, 24/5/2018, n. 12971).

E’ allora alla stregua di tale principio che deve ritenersi corretto l’operato dei giudici di merito, che, lungi dall’attribuire portata dirimente al contenuto del fax, ancorché disconosciuto, hanno altresì valorizzato la mancata contestazione della fattura emessa dall’appellante, l’intervenuto pagamento di un acconto sulla stessa, non altrimenti giustificabile in assenza di plausibili deduzioni sul punto, e l’avvenuta sua esecuzione attraverso la messa a disposizione delle merci da parte dell’appellante, come affermato dal teste sentito.

E una volta che il compendio probatorio nella sua unitarietà è stato valutato nei predetti termini, non vi è spazio per una sua rivisitazione, atteso che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare, secondo il suo prudente apprezzamento, le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (in questi termini, Cass., Sez. L, 13/6/2014, n. 13485).

Né può dirsi che l’elemento decisivo del ragionamento decisorio contenuto nella sentenza impugnata, ossia il richiamo alla mancata contestazione della fattura da parte del ricorrente, che l’aveva anche onorata con il parziale pagamento, possa essere attinto da inutilizzabilità in ragione della inapplicabilità, ratione temporis, del principio di non contestazione codificato nell’art. 115 cod. proc. civ. dalla legge 18 giugno 2019, n. 69, in vigore dal 4 luglio 2009.

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Come questa Corte ha avuto modo di affermare, infatti, il convenuto, ai sensi dell’art. 167 cod. proc. civ., era tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di “non contestazione” a seguito della modifica dell’art. 115 cod. proc. civ., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, coordinandosi esso con quello di allegazione dei fatti di causa incombente sull’attore, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la “sussistenza dei presupposti di legge” per l’accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica (Cass., Sez. 3, 6/10/2015, n. 19896; Cass., Sez. 6-3, 26/11/2020, n. 26908), sicché è erronea l’affermazione, contenuta nel quinto motivo, secondo cui il principio in questione non potrebbe essere applicato antecedentemente all’entrata in vigore della legge modificativa dell’art. 115 cod. proc. civ.

La censura è, peraltro, prima ancora inammissibile, in quanto prospettata genericamente, in violazione del principio secondo cui il ricorso per Cassazione, con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione, non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito abbia ritenuto integrata (o, al contrario, esclusa) la non contestazione negata (o, al contrario invocata) dal ricorrente, quantomeno nella misura necessaria ad integrare la specificità del motivo e a consentirne la valutazione senza necessità di procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte, sicché la parte che, in sede di ricorso per Cassazione, ne deduca la violazione è tenuta ad indicare specificamente in quale atto processuale il fatto, che assume non essere stato contestato (o essere stato contestato), sia stato a suo tempo esposto (Cass., Sez. 5, 6/12/2018, n. 31619).

Consegue da quanto detto l’infondatezza dei motivi.

8.1 Col settimo motivo, si lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 cod. civ., con riferimento agli artt. 2697 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ., perché, in seguito alla mancata dimostrazione dell’esistenza del contratto e dell’adempimento da parte dell’opposta, la sentenza della Corte d’Appello avrebbe dovuto essere cassata nella parte in cui aveva riformato la pronuncia relativa alla restituzione dell’indebito.

8.2 Il rigetto dei motivi che precedono comportano l’assorbimento della censura in esame, dipendendo la condanna della controricorrente alla restituzione delle somme indebitamente percepite, cui essa si riferisce, dall’esito delle questioni afferenti alla validità del contratto.

9. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la controricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 635 cod. proc. civ., in combinato disposto con gli artt. 99, 112, 277, primo comma, e 359 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello di Roma confermato il decreto opposto e ritenuto assorbita la domanda subordinata, formulata anche in primo grado, con la quale era stata chiesta la condanna della ricorrente alla corresponsione dell’importo di Euro 100.600,00 ovvero quello maggiore o minore accertato in corso di causa o ritenuto di giustizia, oltre agli interessi. Infatti, la Corte d’appello, una volta accertato che la sua domanda principale non era accoglibile, avrebbe dovuto accogliere quella subordinata, sicché, non avendolo fatto, il diritto di ottenere il predetto pagamento non poteva essere messo in esecuzione.

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10. Il motivo è fondato.

Risulta dalla sentenza impugnata che la Corte d’Appello ha totalmente omesso di prendere posizione sulla domanda riguardante la condanna dell’appellata alla corresponsione della somma di cui al decreto ingiuntivo opposto, limitandosi a confermare quest’ultimo, benché il Tribunale lo avesse travolto, revocandolo e accogliendo l’opposizione e la contestuale domanda in riconvenzione.

Tale decisione si pone però in contrasto col principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo comporta la definitiva caducazione del provvedimento monitorio, sicché l’eventuale riforma della sentenza di primo grado da parte del giudice d’appello – anche ove impropriamente conclusa con un dispositivo con il quale si “conferma” lo stesso – non determina la “riviviscenza” del decreto ingiuntivo già revocato, che, pertanto, non può costituire titolo per iniziare o proseguire l’esecuzione forzata (in questi termini, Cass., Sez. 6-3, 6/9/2017, n. 20868).

Non essendovi questioni di fatto da analizzare, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., condannando la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente della somma di Euro 100.600,00, oltre interessi, liquidata con il caducato decreto ingiuntivo n. 21337/13 del Tribunale di Roma in favore della Ca.Pr. s.r.l.

11. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso principale, l’inammissibilità del secondo e l’assorbimento del settimo, e accolto quello incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata e, decidendo nel merito, deve condannarsi la (…) s.r.l. al pagamento di euro 100.600,00, oltre interessi, in favore della Ca.Pr. s.r.l. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.

L’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo comporta la definitiva caducazione del provvedimento monitorio

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, accoglie quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna la (…) s.r.l. al pagamento, in favore della Ca.Pr. s.r.l., della somma di Euro 100.600,00, oltre a interessi dalla domanda fino al saldo.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Roma, 9 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2024.

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