La violazione del dovere di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c.

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 febbraio 2021| n. 3543.

La violazione del dovere di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c. riguarda la concorrenza che il prestatore possa svolgere non già, dopo la cessazione del rapporto, nei confronti del precedente datore di lavoro, ma quella che egli abbia svolto illecitamente nel corso del rapporto di lavoro, incluso il periodo di preavviso, al tal fine assumendo rilievo anche il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, che impone a ciascuna delle parti il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito di rigetto della richiesta risarcitoria avanzata dal datore di lavoro per aver omesso l’esame del fatto storico rappresentato dalla disponibilità, inizialmente accordata dal lavoratore all’atto di recesso, a prestare il periodo di preavviso e poi improvvisamente ritirata a distanza di pochi giorni, senza ottemperare alla redazione della scheda clienti, senza fissare gli appuntamenti con gli stessi, cancellando anzi ogni riferimento “commerciale” relativo alle aziende avute in gestione ed iniziando subito a lavorare per la concorrenza).

Ordinanza|11 febbraio 2021| n. 3543

Data udienza 22 settembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Recesso dal rapporto di lavoro – Effetto immediato – Obbligo del recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso – Natura obbligatoria – Omesso esame di fatti storici decisivi da parte del giudice di merito – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere

Dott. LORITO Matilde – Consigliere

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 19888/2017 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 736/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 20/06/2017 R.G.N. 370/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/09/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

RILEVATO

Che:
1. con sentenza 20 giugno 2017, la Corte d’appello di Bologna rigettava le domande risarcitorie proposte da (OMISSIS) s.p.a. nei confronti del dipendente (OMISSIS), in parziale accoglimento del suo appello incidentale, nel resto respinto ed integralmente quello principale della societa’ avverso la sentenza di primo grado, cosi’ parzialmente riformata, che ne aveva invece accolto in parte la domanda risarcitoria nei confronti del lavoratore receduto, per violazione dell’obbligo di fedelta’ (o comunque di leale concorrenza), che aveva pure condannato, esclusa la giusta causa del suo recesso, al pagamento dell’indennita’ di mancato preavviso, cosi’ come la societa’ datrice al ricalcolo degli emolumenti retributivi, anche differiti (tredicesima e quattordicesima mensilita’, ferie e permessi non goduti e T.f.r.), tenendo conto della retribuzione corrispostagli in natura;
2. a motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la responsabilita’ risarcitoria del dipendente receduto, in mancanza di un patto di concorrenza cui fosse tenuto dopo la cessazione del rapporto, avendo compiuto l’attivita’ di acquisizione per la nuova societa’ di brokeraggio assicurativo in epoca ad essa successiva, argomentando dalla natura obbligatoria del preavviso (comportante la cessazione immediata del rapporto di lavoro, con l’esclusivo obbligo di pagamento dell’indennita’ di mancato preavviso, in quanto non lavorato), per se’ sola non integrante illecito extracontrattuale, in assenza di altri necessari elementi contrari alla correttezza professionale (quali la denigrazione del precedente datore o altre condotte fraudolente), neppure allegati;
3. essa ribadiva poi, sulla scorta delle risultanze istruttorie scrutinate, l’insussistenza di una giusta causa di recesso del lavoratore e la spettanza, in suo favore, del suddetto ricomputo, integrato dall’effettiva misura della retribuzione corrispostagli, inclusiva della concessione in uso, anche privato, dell’autovettura aziendale, con limitazione ad una condanna generica, come richiesto dalla stessa parte;
4. con atto notificato il 23 agosto 2017, la societa’ ricorreva per cassazione avverso la sentenza con cinque motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’articolo 380bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

Che:
1. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 2043, 2598 e 2600 c.c., applicati agli articoli 2118, 2104, 2105 c.c., ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per la violazione dal lavoratore dell’obbligo di preavviso in via strumentale all’esercizio dell’attivita’ infedele di sottrazione di clienti della societa’ datrice, gia’ preparata in corso di rapporto ma resa operativa dopo la lettera del 5 maggio 2008 di improvvisa interruzione del periodo di preavviso, inizialmente lavorato dopo le dimissioni rassegnate il 15 aprile 2008, con il rifiuto del passaggio di consegne al nuovo incaricato della cura dei clienti gia’ da lui seguiti, (primo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione degli articoli 2104, 2105 c.c., in riferimento a comportamenti infedeli, nella prospettiva suindicata, tenuti anche prima della cessazione del rapporto di lavoro, come in particolare l’acquisizione dell’elenco dei clienti seguiti con i riferimenti personali di ognuno e la successiva cancellazione di tali dati dal proprio computer in Outlook, cosi’ rendendone piu’ gravosa e lunga l’attivita’ di recupero dalla societa’, al fine di ricontattarli (secondo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione degli articoli 2104, 2105 c.c., in riferimento all’avvio dell’attivita’ di storno di clientela da parte di (OMISSIS) gia’ prima della cessazione del rapporto in favore di una societa’ concorrente (con la quale aveva apertamente rappresentato a (OMISSIS) l’intenzione di instaurare un nuovo rapporto di lavoro), posta concretamente in atto con la repentina interruzione del periodo di preavviso lavorato (terzo motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono fondati;
3. e’ indubbia la natura non gia’ reale dell’indennita’ di preavviso (comportante, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine), ma obbligatoria: con la conseguenza che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facolta’ di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennita’ sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso (Cass. 4 novembre 2010, n. 22443; Cass. 30 settembre 2013, n. 23222; Cass. 6 giugno 2017, n. 13988; Cass. 26 ottobre 2018, n. 27294);
3.1. neppure e’ controverso che la violazione del dovere di fedelta’ sancito dall’articolo 2105 c.c., il quale si sostanzia nell’obbligo del lavoratore di astenersi da attivita’ contrarie agli interessi del datore di lavoro, senza necessita’ che esse siano idonee ad integrare una concorrenza sleale, a termini degli articoli 2592, 2593 e 2598 c.c. (Cass. 5 aprile 1990, n. 2822; Cass. 30 gennaio 2017, n. 2239), riguardi la concorrenza che il prestatore possa svolgere non gia’, dopo la cessazione del rapporto, nei confronti del precedente datore di lavoro, ma quella che egli abbia svolto illecitamente nel corso del rapporto di lavoro, attraverso lo sfruttamento di conoscenze tecniche e commerciali acquisite per effetto del rapporto stesso (Cass. 19 luglio 2004, n. 13394; Cass. 29 agosto 2014, n. 18459);
3.2. sussiste la violazione di legge denunciata di diligenza, quale specifica declinazione del principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, da intendere in senso oggettivo in quanto enunciante un dovere di solidarieta’, fondato sull’articolo 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocita’, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (Cass. 11 febbraio 2005, n. 2855; Cass. 7 giugno 2006, n. 13345; Cass. s.u. 25 novembre 2008, n. 28056; Cass. 22 gennaio 2009, n. 1618; Cass. 20 novembre 2010, n. 22819);
3.3. come noto, Verror in iudicando e’ integrato dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicante un problema interpretativo; diversamente dall’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340): ovviamente nei limiti del novellato testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
3.3. la Corte territoriale non ha correttamente applicato gli enunciati principi di diritto regolanti la materia, perche’ ha omesso l’esame del fatto storico, rappresentato dalla disponibilita’, inizialmente accordata dal lavoratore all’atto del recesso, a prestare il periodo di preavviso (fissato contrattualmente in quattro mesi) ed effettivamente lavorato per la durata di venti giorni (come accertato dalla sentenza del Tribunale, nella trascrizione al secondo capoverso di pg. 32 del ricorso), poi improvvisamente ritirata, “a distanza di pochi giorni dalla comunicazione del preavviso,… senza plausibili motivazioni…, senza ottemperare alla redazione della scheda clienti, senza fissare gli appuntamenti con gli stessi, cancellando anzi ogni riferimento “commerciale” relativo alle aziende avute in gestione ed iniziando subito, praticamente senza soluzione di continuita’, a lavorare per la concorrenza” (come da trascrizione della sentenza citata a pg. 33 del ricorso);
3.4. orbene, dalla semplice inferenza della natura obbligatoria del preavviso e della “pacifica insussistenza di un patto di non concorrenza”, la Corte territoriale ha ritenuto “che l’eventuale mero proporre, dopo la fine del rapporto di lavoro, una novazione soggettiva dei rapporti contrattuali con il proprio nuovo datore non configuri di per se’ solo un illecito extracontrattuale in concorso, essendo necessari altri elementi, contrari alla correttezza professionale, nella specie nemmeno allegati (denigrazione del pregresso datore o altre condotte fraudolente, proposte di prezzi integranti una forma di dumping e cosi’ via” (cosi’ all’ultimo capoverso di pg. 3 della sentenza): senza alcun esame del suindicato fatto, che radica la condotta di violazione degli obblighi di diligenza e di fedelta’, a carico di (OMISSIS), non gia’ (come legittimo, in assenza di un patto di non concorrenza successivo) dopo la cessazione del rapporto di lavoro, ma ancora nel suo corso;
3.5. tale omissione e’ pertanto decisiva, nel senso della sua idoneita’, qualora invece la Corte territoriale non fosse in essa incorsa, a determinare un diverso esito della controversia (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415), per la ragione detta;
4. la ricorrente deduce poi violazione e falsa applicazione degli articoli 2099, 2121 c.c., ed omessa pronuncia su un capo di impugnazione, per la mera conferma dalla Corte territoriale della statuizione del Tribunale di spettanza al lavoratore di inclusione del benefit dell’autovettura nelle retribuzioni differite, senza considerare le specifiche contestazioni della societa’ datrice, con particolare riferimento (specialmente per le mensilita’ aggiuntive, i ratei di ferie e i permessi retribuiti) alle previsioni contrattuali collettive, in assenza di disposizioni normative, come invece per il T.F.R. (quarto motivo);
5. esso e’ inammissibile sotto plurimi profili;
6. la questione giuridica, che implica un accertamento di fatto in ordine alla natura del benefit, non e’ stata trattata in alcun modo nella sentenza impugnata ed e’ dunque nuova: salvo che il ricorrente, che la deduca, assolva all’onere dell’allegazione di averla gia’ proposta dinanzi al giudice di merito, indicando, a pena di inammissibilita’, l’atto del giudizio precedente nel quale lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione (Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804; Cass. 31 agosto 2020, n. 18098); ma a cio’ non ha provveduto l’odierna ricorrente;
6.1. d’altro canto, e’ noto che l’accertamento della natura retributiva (qualora il beneficio si riferisca a spese effettuate dal lavoratore per adempiere, sia pur indirettamente, agli obblighi della prestazione lavorativa, risolvendosi in un adeguamento della retribuzione) ovvero risarcitoria (ove l’attribuzione si riferisca a spese che il lavoratore sia tenuto a sopportare nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, costituendo la reintegrazione di una diminuzione patrimoniale collegata alle modalita’ della prestazione lavorativa svolta) del trattamento economico aggiuntivo attribuito ad un dirigente con il riconoscimento di determinati benefit (quali, tra gli altri, l’uso dell’autovettura) sia riservato al giudice di merito, restando incensurabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato (Cass. 24 giugno 2009, n. 14835);
6.2. sicche’, anche a voler ritenere la deduzione con il mezzo in esame di un vizio motivo, ai sensi del novellato testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (solo vizio denunciabile in sede di legittimita’ in ordine al suddetto accertamento, operato dal Tribunale e recepito dalla Corte territoriale), ricorre l’ipotesi di cd. “doppia conforme” prevista dall’articolo 348 ter c.p.c., comma 5, non avendo la parte ricorrente, per evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui al novellato testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversita’ (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 31 agosto 2020, n. 18098);
7. infine, la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, per il laconico rigetto dell’appello della societa’, per il solo accoglimento dell’appello del lavoratore, in assenza di valutazione dei fatti decisivi suindicati e cosi’ pure in merito alla statuizione sulle spese (quinto motivo);
8. esso e’ assorbito;
9. per le suesposte ragioni i primi tre motivi di ricorso devono essere accolti, essendo il quarto inammissibile e il quinto assorbito, con la cassazione della sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti e rinvio, anche in relazione alla regolazione delle spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, inammissibile il quarto, assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche in relazione alla regolazione delle spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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