La violazione dei doveri fondamentali compiuta da uno psicologo in qualità di CTU

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|24 gennaio 2023| n. 2032.

La violazione dei doveri fondamentali compiuta da uno psicologo in qualità di CTU

La violazione dei doveri fondamentali – quali quello di dignità e decoro della professione – compiuta da uno psicologo in qualità di CTU, in un processo civile nell’ambito delle indagini a lui demandate, comporta la soggezione del consulente tecnico, oltre che alla vigilanza del Presidente del Tribunale ai sensi degli artt. 19 ss. disp. att. c.p.c., alla responsabilità disciplinare dell’Ordine di appartenenza ai sensi della l. n. 56 del 1989.

Sentenza|24 gennaio 2023| n. 2032. La violazione dei doveri fondamentali compiuta da uno psicologo in qualità di CTU

Data udienza 28 settembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Professioni – Disciplinare – Psicologa che consente al figlio di eseguire test su pazienti – Soggetto non abilitato alla professione ma solo laureato in psicologia – Sospensione per tre mesi

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 5819-2020 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5463/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/09/2022 dal Consigliere ANTONIO SCARPA;
viste le conclusioni motivate, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CORRADO MISTRI, il quale ha chiesto la declaratoria di parziale inammissibilita’ e comunque il rigetto del ricorso.

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FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) ha proposto ricorso, articolato in nove motivi, avverso la sentenza n. 5463/2019 della Corte d’appello di Roma, pubblicata in data 11 settembre 2019.
Resiste con controricorso il (OMISSIS).
La dottoressa (OMISSIS) impugno’ dinanzi al Tribunale di Roma, ai sensi della L. 18 febbraio 1989, n. 56, articoli 17 e 19 (Ordinamento della professione di psicologo), la deliberazione n. 472 emessa dall’ (OMISSIS) in data (OMISSIS), con cui le era stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione di tre mesi dalla professione. L’addebito contestato riguardava l’avvenuta somministrazione, da parte di suo figlio, laureato in psicologia ma non abilitato alla professione, di una serie di test ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS), parti di un giudizio civile in cui la dottoressa (OMISSIS) era stata nominata CTU. Con l’impugnazione vennero eccepite l’incompetenza del Consiglio dell’Ordine alla adozione della sanzione disciplinare (avendone competenza il Tribunale di Velletri ai sensi dell’articolo 19 disp. att. c.p.c.) e la violazione del diritto di difesa dell’incolpata, essendosi il Consiglio dell’Ordine riunito in assenza della (OMISSIS) e nonostante la comunicazione del suo legittimo impedimento a partecipare all’adunanza; nel merito, venne poi contestata la sanzione irrogata, evidenziando la ricorrente che nel corso delle operazioni peritali aveva somministrato dei test ad entrambe le parti del giudizio, avvalendosi della cooperazione del proprio figlio, dottor (OMISSIS), tirocinante presso di lei, che si era tuttavia limitato alla consegna delle tavole utili ai fini dello svolgimento dei test, i cui risultati finali erano stati personalmente siglati ed elaborati da lei stessa. La dottoressa (OMISSIS) rilevo’ inoltre la sproporzione tra il fatto contestato e la sanzione applicata. All’esito del giudizio di impugnazione, il Tribunale di Roma, con sentenza del 20 giugno 2018, revoco’ la sanzione irrogata alla ricorrente.

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L’ (OMISSIS) propose gravame, accolto dalla Corte d’appello di Roma con la sentenza pubblicata in data 11 settembre 2019. La decisione di secondo grado ha dapprima disatteso l’eccezione di inammissibilita’ dell’appello ex articolo 342 c.p.c., essendo chiaramente individuata dall’appellante la parte del provvedimento di primo grado oggetto di critica e specificati i motivi di impugnazione; sono state quindi dichiarate inammissibili le eccezioni di incompetenza territoriale e di lesione del diritto di difesa, riproposte dalla dottoressa (OMISSIS), necessitando le stesse della formulazione di appello incidentale, in quanto espressamente esaminate e respinte nella sentenza di primo grado; nel merito dell’appello, la Corte di Roma ha sostenuto che la ricostruzione operata dal Tribunale, secondo la quale la dottoressa (OMISSIS) non era stata “completamente assente” allorche’ i test vennero consegnati agli esaminandi da suo figlio, giacche’ faceva “la spola andando e venendo dalla stanza in cui erano effettuati”, avrebbe comunque onerato l’incolpata di dar prova della propria presenza allorche’ i test erano stati effettuati, rimanendo in ogni caso integrata la violazione dell’articolo 8 del codice deontologico per l’acclarata presenza soltanto sporadica della stessa psicologa, per non aver la medesima contrastato l’esercizio abusivo della professione, come definita dalla L. 18 febbraio 1989, n. 56, articoli 1 e 3, da parte di (OMISSIS), laureato triennale in psicologia non iscritto nell’apposita sezione dell’albo in psicologia; la sentenza impugnata ha, nella specie, sottolineato le peculiarita’ del “test di Rorschach”, indagine della personalita’ che si basa sulla interpretazione delle risposte rese dal soggetto ad essa sottoposto e che impone la costante presenza dello psicologo; la Corte d’appello ha dunque negato la condivisibilita’ del ragionamento seguito dal Tribunale che, pur ritenendo esistente la violazione, aveva valutato eccessiva la sanzione revocandola integralmente, in assenza di una richiesta di irrogazione di sanzione meno afflittiva; infine, la sentenza impugnata ha ravvisato la fondatezza della motivazione del provvedimento sanzionatorio emesso dall’ (OMISSIS), per avere la dottoressa (OMISSIS) usufruito della collaborazione del figlio, non abilitato, delegandogli impropriamente la somministrazione del test.
Il ricorso e’ stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
La ricorrente ha presentato memoria.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

1.II primo motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia “l’inammissibilita’ dell’atto di appello per violazione dell’articolo 342 c.p.c. e dell’articolo 348 bis c.p.c.”. Si assume che l’atto di appello proposto dall’ (OMISSIS) fosse carente del requisito formale della individuazione chiara e specifica delle parti impugnate della sentenza di primo grado, come anche della richiesta di una differente ricostruzione del fatto storico rispetto a quella operata dal Tribunale. Neppure poteva reputarsi sufficiente la dedotta violazione di legge per difetto di motivazione. In ogni caso, secondo la ricorrente, l’atto di appello non avrebbe potuto superare il vaglio ex articolo 348 bis c.p.c., in ragione della prognosi ex ante di una ragionevole probabilita’ di accoglimento.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione sempre dell’articolo 342 c.p.c. e deduce ancora l’inammissibilita’ dell’appello per violazione del principio di autosufficienza e per assoluto difetto di un’esposizione dei fatti, del petitum e della causa petendi.
1.1.I primi due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, vista l’assoluta comunanza delle censure formulate, e si rivelano carenti di specificita’, ai sensi dell’articolo 366, comma 1, n. 4 e n. 6, c.p.c., e comunque non fondati.
Secondo quanto chiarito da Cass. Sez. Unite, 16/11/2017, n. 27199, gli articoli 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilita’, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversita’ rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

La violazione dei doveri fondamentali compiuta da uno psicologo in qualità di CTU

I primi due motivi di ricorso allegano genericamente la violazione dell’articolo 342 c.p.c., e non indicano il contenuto essenziale dell’atto di appello, su cui le censure della ricorrente sono fondate, ne’ si riferiscono compiutamente a quanto affermato nella decisione di secondo grado.
Dalla sentenza della Corte d’appello di Roma (pagina 4) e dall’esame diretto dell’atto di appello risulta, invero, che l’ (OMISSIS) aveva formulato quattro motivi di gravame avverso la pronuncia di primo grado, lamentandone il vizio di motivazione in ordine alla risultanze probatorie (in particolare con riguardo alle dichiarazioni rese dalla dottoressa (OMISSIS) circa l’asserita “spola” fatta mentre veniva eseguito il “test di Rorschach”, all’onere accollato all’Ordine circa l’assenza della psicologa nel corso della somministrazione dello stesso test ed alla inadeguatezza in ogni caso anche della condotta ammessa dalla medesima dichiarante) ed alla ritenuta sproporzione della sanzione della sospensione inflitta (criticando il primo giudice per aver sostituito la propria discrezionale valutazione della gravita’ della condotta acclarata a quella piuttosto spettante all’Ordine). L’atto di appello proposto dall’ (OMISSIS) non si limitava, pertanto, a chiedere, senza indicare alcuna ragione di doglianza, la riforma dell’ap-pellata sentenza, contenendo esso le ragioni di critica alla decisione di primo grado. Il giudice d’appello, pertanto, ha correttamente ritenuto ammissibile il gravame e risposto nel merito alle censure mosse dall’appellante.
E’ poi evidente la inammissibilita’ della dedotta violazione dell’articolo 348 bis c.p.c. La scelta del giudice d’appello di definire il giudizio prendendo in esame il merito della pretesa azionata non puo’ mai dirsi proceduralmente viziata sul presupposto che si sarebbe dovuta affermare l’inammissibilita’ del gravame per assenza di ragionevole probabilita’ di accoglimento ai sensi dell’articolo 348-ter, comma 1, c.p.c., e cio’ tanto piu’ ove, come nella specie, l’impugnazione sia stata poi accolta, restando piuttosto impugnabile per cassazione, per vizi suoi propri “in procedendo” o “in iudicando”, la sentenza che ha definito l’appello (cfr. Cass. Sez. 6 – L, 29/11/2021, n. 37272).
2. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione degli articoli 19, 20, 21 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, allega l’incompetenza del Consiglio dell’Ordine, attesa la competenza del Presidente del Tribunale, ed ancora deduce la violazione dell’articolo 346 c.p.c. Per la ricorrente, l’eccezione di incompetenza disattesa dal Tribunale non avrebbe imposto la proposizione di appello incidentale, bastandone la riproposizione a norma dell’articolo 346 c.p.c.

La violazione dei doveri fondamentali compiuta da uno psicologo in qualità di CTU

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione del diritto di difesa, ex Cost., articolo 24, e la violazione del principio del contraddittorio. Si ribadisce che neppure al riguardo occorreva la proposizione di appello incidentale. La questione attiene al legittimo impedimento della (OMISSIS) comunicato al Consiglio dell’Ordine.
Il quinto motivo di ricorso denuncia sempre la violazione dell’articolo 24 Cost, la violazione del diritto di difesa e la violazione del principio del contraddittorio. La questione attiene alle omesse notifiche della fissazione di adunanza e del provvedimento disciplinare.
2.1. Terzo, quarto e quinto motivo devono esaminarsi congiuntamente perche’ avvinti da una comune questione pregiudiziale. 2.2. La Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibili le eccezioni di incompetenza territoriale e di lesione del diritto di difesa, riproposte dalla dottoressa (OMISSIS), necessitando le stesse la formulazione di appello incidentale, in quanto espressamente esaminate e respinte nella sentenza di primo grado.
Il Tribunale di Roma, invero, aveva disatteso sia l’eccezione di incompetenza, affermando che il giudizio non verte in ipotesi di procedimento disciplinare promosso dal presidente del tribunale nell’esercizio del potere di vigilanza sui consulenti tecnici ex articolo 19 disp. att. c.p.c., trattandosi di responsabilita’ deontologica regolata dalla legge professionale e di competenza dell’ordine di appartenenza; sia l’eccezione di violazione del diritto di difesa, valutando che nella email inviata il (OMISSIS) la dottoressa (OMISSIS), adducendo il proprio impedimento a comparire all’adunanza consiliare fissata, non aveva richiesto di essere sentita personalmente, e che comunque il ricorso in sede giurisdizionale era stato tempestivamente depositato, cosi’ togliendo rilievo alle doglianze sulla mancata notificazione.
La decisione assunta sul punto dalla Corte d’appello di Roma e’ allora, conforme all’orientamento di questa Corte.
Giacche’ le eccezioni della dottoressa (OMISSIS), attinenti alla incompetenza del Consiglio dell’Ordine ed alla competenza del Presidente del Tribunale, alla violazione del diritto di difesa ed alla violazione del principio del contraddittorio, erano state respinte in primo grado in modo espresso, attraverso enunciazioni che ne evidenziavano la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della relativa cognizione, da parte dell’attrice rimasta comunque vittoriosa quanto all’esito finale della lite, imponeva la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex articolo 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’articolo 329, comma 2, c.p.c.), ne’ sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, ove tali eccezioni non fossero state oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure (cfr. Cass. Sez. Unite, 12/05/2017, n. 11799; Cass. Sez. Unite, 21/03/2019, n. 7940).
Avendo il giudice d’appello dichiarato inammissibili le eccezioni soltanto riproposte, e non devolute mediante gravame incidentale, il rigetto del ricorso per cassazione avente ad oggetto tale statuizione di inammissibilita’ sottrae a questa Corte la valutazione sul merito delle medesime eccezioni, non potendo formare oggetto di censura nel giudizio di legittimita’ le decisioni del giudice di primo grado su punti della controversia non esaminati nella sentenza d’appello per via di una pregiudiziale di rito di carattere impediente.
3. Il sesto motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione di legge dell’articolo 8 codice deontologico e l’eccesso di potere per sviamento ed illogicita’ manifesta. Si espone che la dottoressa (OMISSIS) “e’ stata suo malgrado coinvolta in qualita’ di CTU in un giudizio dai caratteri altamente conflittuali avente ad oggetto – tra l’altro, l’affidamento di un minore” e che, in quanto tale, la ricorrente poteva essere soggetta alla sola potesta’, anche disciplinare, del giudice, non potendo il Consiglio dell’Ordine sanzionare il consulente per comportamenti tenuti nell’esecuzione dell’incarico peritale. Vengono poi ripercorsi i termini della vicenda, le doglianze indirizzate all’Ordine degli Psicologi da una delle parti del processo per i comportamenti deontologicamente rilevanti, le modalita’ di svolgimento dei test somministrati ad entrambi i contendenti, “avvalendosi della cooperazione del Dott. (OMISSIS)”, figlio e tirocinante della (OMISSIS), e l’iter della vicenda disciplinare.
Il settimo motivo di ricorso denuncia sempre la violazione dell’articolo 8 codice deontologico e si sofferma sulla carenza dell’elemento soggettivo dell’illecito disciplinare, deducendo che la (OMISSIS), prima di affidare i compiti inerenti ai test al dottor (OMISSIS), aveva ottenuto risposta positiva nelle informazioni chieste al Centro Studi Psicologia Applicata, e poi sottolineando le qualifiche professionali del dottor (OMISSIS) (psicologo forense, specializzato in psicodiagnostica clinica, discente ad un corso di 252 ore avente ad oggetto proprio i test di Ror-schach), la natura meramente esecutiva della consegna delle tavole affidata al tirocinante, la presenza costante e non “sporadica” della ricorrente durante lo svolgimento dei test, i cui risultati aveva poi siglato ed illustrato.
L’ottavo motivo di ricorso censura l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, ovvero l’omessa valutazione dell’assenza di precedenti disciplinari.
Il nono motivo di ricorso allega la violazione della L. n. 56 del 18 febbraio 1989, articolo 26, l’eccesso di potere per difetto di tipizzazione delle sanzioni e per difetto di proporzionalita’, ed ancora l’omessa valutazione della gravita’ del fatto contestato. La censura si riferisce alla reale entita’ e gravita’ del comportamento addebitato ed alla proporzione fra infrazione e sanzione applicata, risultando al piu’ sufficiente irrogare un ammonimento.
3.1. Gli ultimi quattro motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente, giacche’ connessi, e devono essere respinti.
3.2. Innanzitutto, il sesto ed il settimo motivo si fondano sulla deduzione di fatti (l’oggetto dell’incarico peritale, l’esposto della signora (OMISSIS), i titoli di studio ed il percorso di formazione del dottor (OMISSIS), le informazioni rese dal Centro Studi Psicologia Applicata sulle attivita’ che potesse svolgere I tirocinante) che non sono menzionati nella sentenza impugnata, e non viene indicato, come prescritto dall’articolo 366, comma 1, n. 6, c.p.c., “come” e “quando” tali fatti fossero stati utilmente allegati nei pregressi gradi di merito e percio’ oggetto di discussione processuale tra le parti.
3.3. La L. 18 febbraio 1989, n. 56, articolo 26 della (Ordinamento della professione di psicologo) prevede che all’iscritto nell’albo che si renda colpevole di abuso o mancanza nell’esercizio della professione o che comunque si comporti in modo non conforme alla dignita’ o al decoro professionale, a seconda della gravita’ del fatto, puo’ essere inflitta da parte del consiglio regionale o provinciale dell’ordine una delle seguenti sanzioni disciplinari: a) avvertimento; b) censura; c) sospensione dall’esercizio professionale per un periodo non superiore ad un anno; d) radiazione.
L’articolo 8 del Codice Deontologico degli Psicologi, su cui specificamente poggia la sanzione inflitta alla dottoressa (OMISSIS), dispone poi che lo psicologo contrasta l’esercizio abusivo della professione come definita dalla L. 18 febbraio 1989, n. 56, articoli 1 e 3, e segnala al Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo o di usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza.
3.4. La Corte di appello di Roma ha in sostanza ribadito la ricostruzione fattuale gia’ operata dal Tribunale, secondo la quale la dottoressa (OMISSIS) non era stata “completamente assente” allorche’ i test vennero consegnati agli esaminandi da suo figlio (laureato triennale in psicologia ma non iscritto nell’apposita sezione dell’albo e percio’ non abilitato alla professione), giacche’ faceva “la spola andando e venendo dalla stanza in cui erano effettuati”, ritenendo tuttavia integrata l’infrazione disciplinare, in base a diversa valutazione della medesima vicenda. I giudici di appello hanno quindi stimato altresi’ la proporzionalita’ della sanzione della sospensione di tre mesi, condividendo la motivazione del provvedimento consiliare per le peculiarita’ del “test di Rorschach”, il quale consiste in una indagine della personalita’ basata sulla interpretazione delle risposte rese dal soggetto ad essa sottoposto e che impone la costante presenza dello psicologo.
3.5. E’ da considerare che, all’interno di un procedimento disciplinare a carico di uno psicologo, l’accertamento dei fatti non conformi alla dignita’ o al decoro della professione, l’individuazione delle regole di deontologia professionale, la loro interpretazione e la loro applicazione nella valutazione degli addebiti, attengono al merito del procedimento, e non sono sindacabili in sede di legittimita’ se adeguatamente motivate, in quanto si riferiscono a precetti extragiuridici, ovvero a regole interne alla categoria, e non ad atti normativi. Nella materia disciplinare non trova, d’altro canto, applicazione il principio di stretta tipicita’ dell’illecito, proprio del diritto penale, per cui non e’ prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, ma solo l’enunciazione dei doveri fondamentali, tra cui segnatamente, per la professione di psicologo, quelli di dignita’ e decoro, di cui alla L. n. 18 febbraio 1989, n. 56, articolo 26, ai quali il professionista deve improntare la propria attivita’. Non e’ in tal senso sindacabile in sede di legittimita’ l’affermazione della responsabilita’ disciplinare della psicologa che abbia delegato ad un collaboratore, privo del titolo abilitativo della iscrizione all’apposito albo, la somministrazione di un test di valutazione della personalita’, espressione della specifica competenza e del patrimonio di conoscenze della psicologia, e percio’ ricompresa tra le attivita’ della professione (cfr. Cass. Sez. pen. 2, 07/03/2017 – dep. 03/04/2017 – n. 16566; Cass. Sez. pen. 2, 15/11/2011 – dep. 24/11/2011 – n. 43328; Cass.
Sez. pen. 3, 24/04/2008 – dep. 04/06/2008 – n. 22268; Cass. Sez. pen. 6, 03/03/2004 – dep. 16/04/2004 -, n. 17702).
3.6. Non e’ rilevante che la condotta oggetto di contestazione sia stata mantenuta dal professionista quale consulente tecnico d’ufficio in un processo civile e nel compimento delle indagini che gli sono state commesse dal giudice, restando il consulente tecnico soggetto, oltre che alla vigilanza esercitata dal presidente del tribunale, ex articoli 19 e ss. disp. att. c.p.c., altresi’ alle leggi professionali che prevedono e regolano la responsabilita’ disciplinare dei membri dell’ordine.
3.7. Del pari, nei procedimenti disciplinari a carico di psicologi, l’apprezzamento della gravita’ del fatto e della condotta addebitata all’incolpato, rilevante ai fini della scelta della sanzione opportuna, ai sensi della L. n. 56 del 1989, articolo 26, e’ rimesso all’ordine professionale, ed il controllo di legittimita’ sull’applicazione di tale norma non consente al giudice di sostituirsi al Consiglio dell’ordine nel giudizio di adeguatezza della sanzione irrogata, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, ove si riveli un palese sviamento di potere, ossia l’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale e’ stato conferito.
La sentenza della Corte d’appello di Roma contiene una congrua ed adeguata motivazione in ordine all’accertamento del fatto, all’apprezzamento della sua rilevanza rispetto all’imputazione, alla scelta della sanzione della sospensione e, in generale, alla valutazione delle risultanze processuali, neppure essendo necessario che il giudice, nel controllo sulla legittimita’ della sanzione disciplinare, prenda in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’incolpato (quale, ad esempio, la sua incensuratezza), tanto piu’ se sprovvisti di decisivita’, e cioe’ di idoneita’ a determinare ex necesse, ove esaminati, una diversa decisione).
4. Il ricorso va percio’ rigettato, con condanna della ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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