La verifica della sussistenza del vizio di violazione o elusione del giudicato

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 29 ottobre 2018, n. 6131.

La massima estrapolata:

La verifica della sussistenza del vizio di violazione o elusione del giudicato implica il riscontro della difformità specifica dall’atto rispetto all’obbligo processuale di attenersi esattamente all’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire.

Sentenza 29 ottobre 2018, n. 6131

Data udienza 11 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1163 del 2018, proposto da:
Qu. – 20. So. Co. So., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. To., domiciliata ex art. 25 Cod. proc. amm. presso il Consiglio di Stato, Segreteria, in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Mi., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
Stazione Unica Appaltante (omissis);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – SEZ. STACCATA DI LATINA: SEZIONE I n. 00582/2017, resa tra le parti, concernente procedura di gara del Comune di (omissis).
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica dell’11 ottobre 2018 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Pa. su delega di To., Mi. Sa.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

La Qu. – 20. So. Co. So. ha impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, gli atti con i quali il Comune di (omissis) ha indetto la gara per l’affidamento del servizio di refezione scolastica per gli anni 2017/2020, formulando in tale ambito domande demolitorie e risarcitorie.
A sostegno dell’azione la Qu. rappresentava, in fatto, che con sentenza 1° marzo 2016, n. 116, confermata dal Consiglio di Stato (decisione 17 ottobre 2016, n. 4272), il medesimo Tribunale aveva accolto il ricorso proposto dalla società avverso l’aggiudicazione alla Al. Fo. della gara bandita nel 2014 per l’affidamento dello stesso servizio in relazione agli anni 2015-2017, disponendo una nuova valutazione delle offerte tecniche. Tale rinnovata valutazione, effettuata dall’Amministrazione il 29 dicembre 2016, si concludeva con il provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara alla Qu., adottato il 5 maggio 2017, ovvero allorquando era già scaduto il periodo temporale del servizio indicato nella gara oggetto della controversia risoltasi in suo favore.
In diritto, la Qu. contestava sotto vari profili la procedura di gara bandita per il triennio 2017-2020, ritenendola, in sintesi, affetta da violazione ed elusione del predetto giudicato: la società sarebbe stata l’unica e legittima affidataria del servizio per il triennio 2017-2020, a nulla valendo la scadenza temporale del servizio precedentemente bandito, in quanto mai effettuato dalla società, che ne aveva diritto, per cause imputabili esclusivamente all’atteggiamento dilatorio della stazione appaltante.
Con la sentenza indicata in epigrafe l’adito Tribunale ha concluso per la legittimità degli atti gravati, ritenendo sia l’inesistenza di una ipotesi di violazione o elusione del giudicato, avendo l’Amministrazione ottemperato alle due sentenze favorevoli alla ricorrente con l’aggiudicazione definitiva di cui sopra, sia la dovutezza della nuova procedura concorsuale, bandita, a seguito della scadenza del periodo temporale 2015-2017 della pregressa procedura, per l’affidamento del nuovo e diverso servizio di refezione scolastica per il successivo triennio 2017-2020.
La sentenza ha anche escluso che la Qu. potesse vantare un legittimo affidamento a espletare il servizio per cui è causa, in quanto il pregresso contenzioso a lei favorevole, in applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato e in assenza di domande di declaratoria di inefficacia del contratto stipulato con la Al. Fo. e di subentro, ha determinato esclusivamente l’annullamento dell’aggiudicazione ivi impugnata, di talchè, scaduto il periodo temporale fissato nel bando del 2014, l’Amministrazione ben poteva indire una nuova gara per l’affidamento del servizio per il periodo successivo, senza dover effettuare alcuna attività in via di autotutela e porre in essere i connessi adempimenti, quali la comunicazione alla Qu. dell’avvio del relativo procedimento.
Quanto alla domanda di risarcimento del danno, la sentenza ha rilevato la violazione del principio del ne bis in idem, posto che la stessa domanda, contenuta nel ricorso esitato con la sentenza n. 116/2016, era stata rigettata nel merito con decisione confermata in appello, e l’inosservanza del termine di decadenza per la sua proposizione, di cui all’art. 30, comma 3, Cod. proc. amm..
In conclusione, il ricorso è stato in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile, con condanna della società al pagamento in favore del Comune resistente delle spese di lite.
La Qu. ha proposto avverso detta sentenza l’odierno atto di appello, deducendo:
1) error in iudicando – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – violazione e falsa applicazione di legge (art. 21-septies, l. 241/90 e art. 97 Cost.) – nullità per violazione o elusione del giudicato – difetto o carenza di istruttoria – illogicità o irragionevolezza manifesta;
2) error in iudicando – sulla errata motivazione in ordine alla asserita inammissibilità dell’istanza risarcitoria – sul danno da lucro cessante derivante dalla mancata esecuzione del servizio – sul danno curriculare – sulla diligenza e buona fede della Qu. ex art. 1227 Cod. civ..
L’appellante, svolti i predetti motivi di appello, ha chiesto la riforma della sentenza appellata e ha reiterato le difese svolte in primo grado, concludendo per l’annullamento degli atti gravati e la condanna del Comune di (omissis) al risarcimento del danno derivante dalla mancata esecuzione dell’appalto, ragguagliato all’utile di impresa ipotizzato nelle giustificazioni rese e accettate in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta presentate nell’ambito della gara del 2014 (Euro 162.652,00), o al minor importo corrispondente al lucro cessante nella misura del 10% del valore del servizio (Euro 158.000,00), ovvero ancora da determinarsi in via equitativa, oltre il danno curriculare.
Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio, depositando due memorie e concludendo per la reiezione dell’appello, nonché per la cancellazione degli ultimi due capoversi dell’atto, ai sensi dell’art. 89 Cod. proc. civ..
La controversia è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza dell’11 ottobre 2018.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello la Qu. – 20. So. Co. So. contesta la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, 27 novembre 2017, n. 582, sotto cinque distinti profili.
1.1. Anzitutto l’appellante sostiene che la sentenza sia affetta da insufficiente e contraddittoria motivazione nel ritenere che la gara indetta dal Comune di (omissis) per l’affidamento del servizio di refezione scolastica per gli anni 2017/2020 non ha violato o eluso il giudicato.
Per la società, tale vizio sussiste in quanto il contenzioso proposto da Qu. avverso l’aggiudicazione a Al. Fo. della gara indetta per l’affidamento del servizio nel triennio antecedente (2015-2017) si è concluso con la sentenza del medesimo Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, 1° marzo 2016, n. 116, favorevole alla società, confermata dal Consiglio di Stato con decisione 17 ottobre 2016, n. 4272.
Ciononostante – si prosegue – la Al. Fo. ha svolto il servizio sino alla scadenza contrattuale (maggio 2017), avendo l’Amministrazione comunale provveduto con evidente ritardo a prendere atto delle predette sentenze e ad adottare tutti gli atti conseguenti (approvazione della nuova graduatoria che ha individuato la Qu. come aggiudicataria; richiesta alla medesima delle giustificazioni in ordine all’anomalia dell’offerta; verifica del possesso dei requisiti generali), di talché l’aggiudicazione definitiva è avvenuta solo in data 5 maggio 2017 ed è divenuta efficace il 9 giugno 2027, quando l’affidamento oggetto del giudizio era già terminato.
Indi – sempre per l’appellante – se lo svolgimento del servizio da parte della Al. Fo. era in qualche modo giustificabile prima dell’aggiudicazione definitiva a Qu., non si comprenderebbe come, intervenuta tale aggiudicazione, sia sfuggito che l’indizione della nuova gara era volta per aggirare il portato delle dette sentenze, evitando l’affidamento alla Qu. nonostante l’illegittimità dell’originaria aggiudicazione.
Rileva il Collegio che, in tema di apprezzamento dell’esatto adempimento dell’obbligo dell’amministrazione di conformazione al giudicato, per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita riconosciutogli da una sentenza, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha più volte ribadito che la verifica va condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza (Cons. Stato, V, 20 aprile 2015, n. 2002; 9 maggio 2001, n. 2607; IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1964) e comporta una puntuale attività di interpretazione del giudicato al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando, sulla base della sequenza “petitum – causa petendi – motivi – decisum” (tra tante, Cons. Stato, IV, 19 maggio 2008, n. 2312; V, 7 gennaio 2009, n. 10), volto anche a escludere il riconoscimento di un diritto nuovo e ulteriore rispetto a quello accertato, anche se conseguente o collegato (V, 24 gennaio 2013, n. 462; IV, 17 gennaio 2002, n. 247).
Ne deriva che il nuovo atto emanato dall’amministrazione, dopo l’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento illegittimo, è da considerare adottato in violazione o elusione del giudicato solo quando da quest’ultimo derivi un obbligo così puntuale e vincolato che il suo contenuto sia integralmente desumibile nei suoi tratti essenziali dalla sentenza (Cons. Stato, VI, 3 maggio 2011, n. 2602; IV, 13 gennaio 2010, n. 70; 4 ottobre 2007, n. 5188), perciò la verifica della sussistenza del vizio di violazione o elusione del giudicato implica il riscontro della difformità specifica dall’atto rispetto all’obbligo processuale di attenersi esattamente all’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire (Cons. Stato, IV, 21 maggio 2010, n. 3233; sez. V, 6 maggio 2013, n. 2418; VI, 7 giugno 2011, n. 3415; 5 dicembre 2005, n. 6963).
La violazione del giudicato è dunque configurabile quando il nuovo atto riproduca i medesimi vizi già censurati in giudizio ovvero quando sia in contrasto con precise e puntuali prescrizioni provenienti dalla statuizione della sentenza: mentre si ha elusione del giudicato quando l’amministrazione, pur provvedendo formalmente a dare esecuzione alle statuizioni della sentenza, persegue l’obiettivo di aggirarle in termini sostanziali, giungendo surrettiziamente allo stesso esito già ritenuto illegittimo (IV, 1° aprile 2011, n. 2070; 4 marzo 2011, n. 1415; 31 dicembre 2009, n. 9296).
Applicando tali consolidati principi, il motivo di appello in esame appare non fondato.
Come visto, la prima regula iuris per identificare la fattispecie di elusione o violazione del giudicato è la possibilità di operare una verifica attinente all’ambito del medesimo quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza invocata come parametro della legittimità dell’azione amministrativa.
L’esecuzione del dictum giudiziale è preordinata a reintegrare in via specifica la lesione della sfera giuridica perpetrata con l’illegittimità e non può che collocarsi nell’alveo procedimentale nel quale essa si è verificata e nei limiti di quanto accertato dal giudice sulla base della domanda proposta dall’interessato.
Lo stato di fatto e di diritto investito dalle argomentazioni della odierna appellante non soddisfa tale condizione.
Le sentenze favorevoli all’appellante hanno avuto a oggetto il vaglio della legittimità dell’aggiudicazione di una gara per l’affidamento di un servizio, l’appalto di refezione scolastica comunale, relativo a un lasso temporale ben definito, costituito dagli anni 2015-2017.
La pretesa qui avanzata dall’appellante tramite la domanda demolitoria del nuovo bando, è invece lo svolgimento di un nuovo servizio, tale essendo quello di refezione scolastica del Comune per il triennio 2017-2020, diverso e successivo rispetto a quello sopra considerato.
Pertanto la sentenza appellata, affermando che il nuovo bando di gara non è inficiato da violazione o elusione del giudicato, trattandosi di diverso affidamento, e considerato che l’Amministrazione aveva ottemperato alle sentenze favorevoli alla Qu. provvedendo all’aggiudicazione in suo favore della gara già bandita (ciò che costituiva l’unico oggetto della domanda a suo tempo formulata in giudizio), si deve concludere che è stato fatto buon governo dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.
La conclusione non muta anche a considare il ritardo con cui l’Amministrazione ha provveduto alla nuova aggiudicazione: è infatti un elemento afferente a determinazioni e a un contesto di rapporti estranei alla sfera dell’azione amministrativa implicata dal nuovo bando, che non può ridondare in un profilo di illegittimità, ma avrebbe, al più, potuto determinare, nella ricorrenza dei presupposti, il ristoro per equivalente: che però la società non risulta aver chiesto nella sede propria del ricorso per ottemperanza, pure a suo tempo proposto dalla società ed esitato con la sentenza della Sezione staccata del Tribunale amministrativo 6 febbraio 2017, n. 70.
1.2. Con la seconda censura dello stesso motivo l’appellante afferma che la sentenza erra per aver ritenuto rilevante la mancata impugnazione del contratto intercorso tra l’Amministrazione e Al. Fo. e per aver omesso considerazioni sulla circostanza che l’Amministrazione comunale non ha revocato la precedente gara.
Queste argomentazioni fondano sulla convinzione dell’appellante che l’oggetto dell’aggiudicazione sia da individuare non nel diritto a svolgere il servizio per l’arco temporale indicato dalla lex specialis, bensì nel diritto all’ottenimento di un contratto la cui durata temporale equivale a quella indicata nella legge di gara, fondata sul vigente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, All. XIV, punto C.10, che prevede l’indicazione, tra le informazioni che devono figurare negli avvisi e bandi di gara, della sola “durata del contratto”.
L’assunto non è fondato.
L’appalto cui si riferisce l’appellante è stato bandito ai sensi del previgente Codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, il cui art. 64, comma 4, dispone che il bando di gara contiene gli elementi indicati nello stesso Codice, le informazioni di cui all’Allegato IX A e ogni altra informazione ritenuta utile dalla stazione appaltante.
A sua volta, il punto 8 del predetto Allegato IX A contempla, tra le informazioni che devono figurare nei bandi e negli avvisi di appalti pubblici il “termine ultimo per la realizzazione dei lavori, per il completamento delle forniture o per la prestazione dei servizi o durata dell’appalto di lavori/forniture/servizi”.
La procedura di gara per il servizio di refezione scolastica dove Qu. è risultata aggiudicataria all’esito del contenzioso esitato con le citate sentenze, conformemente alla detta previsione, ha inequivocabilmente individuato la durata dell’appalto nel triennio 2015-2017.
Le sentenze non hanno statuito in capo a Qu. il diritto allo svolgimento del servizio per un periodo triennale indeterminato, come quello qui evocato, che infatti l’appellante mutua da una norma di legge successiva alla indizione della procedura e da sentenze diverse da quelle che riguardano la fattispecie.
Bene, pertanto, la sentenza appellata ha rilevato che, alla scadenza del periodo previsto dal bando precedente, l’Amministrazione ha legittimamente indetto una nuova gara per l’affidamento del servizio per il triennio successivo.
La sentenza merita conferma anche dove non ha attribuito rilevanza alla mancata revoca da parte dell’Amministrazione della precedente gara.
Rileva sul punto il principio, rammentato nella stessa sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4272 del 2016 che ha confermato la statuizione di primo grado n. 116/2016 favorevole a Qu., per cui la pronuncia giudiziale di inefficacia del contratto stipulato con l’aggiudicataria non è “una conseguenza necessaria dell’annullamento dell’aggiudicazione (tra le tante, Cons. Stato, VI, 8 agosto 2014, n. 4225)”, in quanto, “al di fuori dei casi di maggiore gravità espressamente disciplinati dall’art. 121 Cod. proc. amm., la declaratoria giudiziale di inefficacia del contratto costituisce una mera eventualità, il cui verificarsi è subordinato all’espressa domanda del ricorrente. La non proposizione di una tale domanda può rilevare solo in termini di valutazione circa la risarcibilità del danno subì to per effetto dell’illegittima aggiudicazione a soggetto diverso…”.
Deriva che, se l’Amministrazione aveva facoltà di intervenire in autotutela sulla gara conclusa con l’aggiudicazione a Al. Fo. accertata in giudizio come illegittima, il ricorso a tale via non era a suo tempo pretendibile da Qu., che non aveva proposto, in quel contenzioso, una domanda di declaratoria di inefficacia del contratto nelle more stipulato, al fine del suo subentro; né può oggi ridondare in illegittimità del bando con cui l’Amministrazione, scaduto quel contratto, ha provveduto a bandire una nuova procedura pubblica al fine di assicurare il servizio di refezione scolastica per il triennio successivo.
1.3. Con altra censura del motivo in esame l’appellante torna a ribadire l’erroneità della motivazione della sentenza, incentrata sulla mancata “impugnazione” del contratto intervenuto tra l’Amministrazione comunale e Al. Fo., qui rilevando come tale condizione, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza, non poteva far escludere l’insorgenza di un legittimo affidamento in capo a Qu. a espletare il servizio.
Il presupposto da cui muove l’appellante è che la nuova aggiudicazione a Qu. avrebbe fatto automaticamente venir meno il precedente affidamento e il contratto di appalto stipulato con Al. Fo..
L’assunto è erroneo.
Nel caso di specie l’Amministrazione, come osserva la stessa appellante, non ha ritenuto di agire in autotutela.
Inoltre, trova operatività il principio, cui si è attenuta la detta sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4272 del 2016, secondo cui “il contratto pubblico – dalla natura e dai caratteri ben diversi dal provvedimento amministrativo – non può essere oggetto di un’azione di annullamento”, da cui deriva che la sorte del contratto è legata alle scelte del ricorrente, che, impugnando l’aggiudicazione, può domandare il risarcimento in forma specifica ovvero agire in giudizio per la declaratoria di inefficacia del contratto e per il conseguente subentro.
Si osserva ancora che l’orientamento della giurisprudenza invocato nella censura (Cons. Stato, Ad. plen., n. 9/2008) sull’automatica caducazione del contratto conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione, anche alla luce dell’art. 121 Cod. proc. amm., è ormai superato.
Infine, l’appellante non può essere seguita neppure sull’illegittimità di alcuni atti (affidamenti provvisori e proroghe) in forza dei quali Al. Fo. ha reso il servizio di refezione scolastica nel triennio 2015-2017: ciò che è evidentemente irrilevante ai fini dello scrutinio di legittimità dei provvedimenti con cui l’Amministrazione ha bandito la nuova procedura per il triennio 2017-2020.
Stessa sorte segue l’affermazione che l’aggiudicazione definitiva emessa in suo favore il 5 maggio 2017 non potrebbe non sottintendere l’affidamento alla società del servizio per il successivo triennio; questo assunto va escluso, visto il contesto anche temporale nel quale tale aggiudicazione si è inserita e del bando qui sub iudice.
1.4. Va respinta la successiva doglianza con cui l’appellante invoca la lesione del legittimo affidamento sulla possibilità di espletare il servizio per il periodo di un triennio a decorrere dall’aggiudicazione conseguita nel 2017.
La stessa appellante richiama la consolidata giurisprudenza per cui il legittimo affidamento sorge solo per effetto di comportamenti precisi, provenienti da fonti istituzionali, che abbiano fatto sorgere nell’interessato fondate speranze di ottenere un determinato bene della vita: tali comportamenti non risultano qui predicabili, né alla luce della condotta complessivamente serbata dal Comune di (omissis), che non corrisponde al delineato contesto, tanto che la stessa società ne ha sottolineato la costante valenza negativa per la società ; né alla luce del provvedimento di aggiudicazione, intervenuto quando ormai il servizio che ne era oggetto era esaurito.
1.5. Con l’ultima doglianza del primo motivo l’appellante sostiene l’erronea motivazione della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che non vi fosse l’obbligo dell’Amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento dell’annullamento della precedente gara, preordinato all’indizione della nuova procedura, e l’avvio della stessa nuova procedura.
La doglianza va respinta, perché fondata sulla tesi, che permea l’intero atto di appello, circa la perdurante validità della gara bandita nel 2014: di tale tesi è già stata sopra rilevata l’inconferenza, atteso che il procedimento concorsuale per l’affidamento del servizio di refezione scolastica nel triennio 2015-2017, all’atto dell’indizione della nuova gara per il triennio 2017-2020, era completamente esaurito.
1.6. In definitiva, il primo motivo di appello va respinto.
2. Con il secondo motivo la Qu. contesta la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria, ritenendola frutto di erronee motivazioni, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, per un verso non sarebbe stato violato il principio del ne bis in idem, per altro verso non sarebbero decorsi i termini di cui all’art. 30, comma 3, Cod. proc. amm..
A sostegno del primo assunto, l’appellante espone che la domanda risarcitoria proposta qui attiene a un presupposto diverso da quello fatto valere in occasione dell’impugnazione dell’aggiudicazione della gara a Al. Fo., dove la domanda risarcitoria era stata ritenuta inammissibile, costituito dall’adozione del nuovo bando nonostante l’aggiudicazione poi conseguita dalla società nella vecchia gara per via giudiziaria, che la società non ha potuto svolgere.
A sostegno del secondo assunto, l’appellante espone che non si sarebbe maturata una decadenza o prescrizione, essendo stata l’istanza risarcitoria avanzata tempestivamente con il ricorso di primo grado.
Entrambi i motivi non sono meritevoli di positiva considerazione.
Le argomentazioni che assistono la prima delle censure descritte e, in generale, l’intero appello, confermano, piuttosto che confutare, che la società, nell’avanzare la domanda risarcitoria nell’ambito dell’odierna azione demolitoria proposta avverso il nuovo bando, ancorché nella nuova veste formale di aggiudicataria della gara bandita nel 2014, fa valere la stessa posizione sostanziale azionata nel precedente contenzioso.
Quanto alla seconda censura, va respinta per genericità, non avendo l’appellante assolto l’onere di confutare puntualmente le conclusioni assunte dal primo giudice.
3. Per tutto quanto precede l’appello in esame va respinto.
4. La domanda della appellata di cancellazione ex art. 89 Cod. proc. civ. di frasi offensive o sconvenienti contenute negli ultimi due capoversi dell’atto di appello non va accolta.
La cancellazione va infatti esclusa allorché l’uso di tali espressioni non risulti dettato da un passionale e incomposto intento dispregiativo – rivelando un puro e gratuito intento offensivo nei confronti della controparte – ma conservi pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive, e risulti finalizzato a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento della controparte, la scarsa attendibilità delle sue affermazioni (ex multis, Cass. civ. n. 26195/2016; Sez. lav., 18 ottobre 2016, n. 21031; Cons. Stato, VI, 20 novembre 1995 n. 1318): connessione che qui si rinviene, atteso che gli accenni della appellante a recenti vicende giudiziarie che hanno interessato il Comune appellato si profilano volti ad attribuire maggior forza all’affermazione, già largamente esplicitata in altre parti del ricorso, che l’Amministrazione abbia male operato nella fattispecie di interesse della società .
5. La peculiarità della vicenda controversa giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di lite del grado.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore