La verifica della legittimità dell’informativa

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 14 luglio 2020, n. 4542.

La massima estrapolata:

La verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio.

Sentenza 14 luglio 2020, n. 4542

Data udienza 25 giugno 2020

Tag – parola chiave: Antimafia – Informativa prefettizia – Verifica di legittimità – Modalità applicative

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10245 del 2019, proposto dalla signora -OMISSIS-, in proprio e in qualità di legale rappresentante della -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Zo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…),;
contro
il Ministero dell’Interno e la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Verona, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…),
per la riforma
della sentenza del Tar Veneto, sez. I, -OMISSIS-, non notificata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso l’informazione antimafia interdittiva, emessa nei confronti della -OMISSIS- e della signora -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la memoria difensiva del Ministero dell’Interno e della Prefettura – UTG di Verona, depositata in data 20 gennaio 2020;
Vista la memoria difensiva della signora -OMISSIS-, depositata in data 25 maggio 2020;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 25 giugno 2020, svoltasi da remoto in videoconferenza ex art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020, il Cons. Giulia Ferrari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. In data 15 maggio 2018, la Prefettura di Verona ha adottato l’informazione antimafia interdittiva, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, nei confronti della società -OMISSIS- – attiva nell’attività di distribuzione al dettaglio di carburante, oli lubrificanti e prodotti petroliferi – e della signora -OMISSIS-, in qualità di socio unico.
Il provvedimento ha, in particolare, tratto fondamento dai legami del signor -OMISSIS-, coniuge della signora -OMISSIS-, con la criminalità organizzata, idonei a generare sospetti sul rischio di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa. Il signor -OMISSIS-, in vari settori imprenditoriali, caratterizzati da forti connessioni con la malavita. E, infatti, due società afferenti a tale famiglia, -OMISSIS-sono state colpite da provvedimenti interdittivi antimafia, divenuti definitivi a seguito delle relative sentenze pronunciate dal Consiglio di Stato.
2. Con ricorso proposto innanzi al Tar Veneto, sez. I, la ricorrente, previa richiesta di sospensione dell’efficacia dell’atto avversato, ha evidenziato l’assenza dei presupposti posti a base di tale provvedimento, non idonei a dimostrare l’esistenza di un concreto rischio di condizionamento mafioso nell’attività imprenditoriale.
In particolare, la signora -OMISSIS- ha dedotto che i legami con il marito non supererebbero il mero rapporto di coniugio; che il signor -OMISSIS- non avrebbe legami con la criminalità organizzata; che non vi sarebbero collegamenti e/o sovrapposizioni tra la -OMISSIS- e la -OMISSIS-; che sarebbero irrilevanti i rapporti intercorsi tra la ricorrente e la signora -OMISSIS-società colpita da interdittiva antimafia nel maggio 2018. La ricorrente ha, altresì, formulato richiesta di risarcimento del danno.
3. Con ordinanza cautelare -OMISSIS-, il Tar Veneto ha respinto la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato. A seguito di proposizione di appello cautelare il Consiglio di Stato, con ordinanza cautelare n. -OMISSIS- ha confermato le conclusioni cui è giunto il primo giudice.
4. Con sentenza -OMISSIS- il Tar Veneto ha respinto il ricorso.
In particolare, il giudice di prime cure ha valorizzato gli innumerevoli elementi indiziari raccolti dalla Prefettura di Verona, deducendo l’esistenza, nell’ottica di un giudizio rispondente alla logica “del più probabile che non”, di una fitta rete di relazioni familiari e commerciali esistenti tra la famiglia -OMISSIS-, le società ad essa direttamente e indirettamente riconducibili e la criminalità organizzata.
5. La citata sentenza -OMISSIS- è stata impugnata con appello depositato -OMISSIS-, riproducendo sostanzialmente le censure non accolte in primo grado e ponendole in chiave critica rispetto alla sentenza avversata.
In particolare, il primo giudice avrebbe errato:
a) nel considerare irrilevante il decreto del Tribunale di -OMISSIS– prodotto dalla signora -OMISSIS-, in vista dell’udienza pubblica dinanzi al Tar Veneto – con il quale è stata rigettata la proposta di sequestro ex art. 20, d.lgs. n. 159 del 2011, avanzata dalla Direzione Investigativa Antimafia nei confronti del signor -OMISSIS-.
Al contrario, il sopravvenuto accertamento giudiziario avrebbe evidenziato l’assenza dei legami tra il marito della signora -OMISSIS- e la criminalità organizzata, mettendo in luce l’erroneità delle valutazioni espresse dalla Prefettura e la mancanza di attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa. Con riferimento ai provvedimenti adottati ad esito dei procedimenti di prevenzione opererebbe il principio del ne bis in idem, sicché in relazione all’accertamento del Tribunale di Palermo si sarebbe formato il giudicato, che sarebbe stato violato dalla sentenza ivi gravata;
b) nel ritenere fondati gli elementi valorizzati dall’Amministrazione a sostegno dell’atto avversato.
Al contrario, il signor -OMISSIS- avrebbe svolto una significativa attività di collaborazione con l’Autorità giudiziaria e le Forze dell’Ordine, anche per il tramite di associazioni antiracket; la detenzione di armi e munizioni da parte del marito dell’appellante sarebbe giustificata dall’esigenza di difesa personale, contro eventuali ritorsioni; la denuncia per dichiarazione fraudolenta resa mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, formulata a carico del signor -OMISSIS-, sarebbe insussistente, dato che l’Agenzia delle Entrate avrebbe successivamente confermato l’effettiva esistenza delle lavorazioni oggetto delle fatture; le somme utilizzate per i due aumenti di capitale (il primo di -OMISSIS-), operati in favore della -OMISSIS-, sarebbero frutto degli utili realizzati e non distribuiti dalla società negli esercizi precedenti, sicché non avrebbero una provenienza illecita;
c) nel rinvenire intrecci commerciali e societari tra i due coniugi, tali da influenzare l’attività della -OMISSIS-.
Al contrario, la partecipazione paritaria dei due coniugi nella -OMISSIS- sarebbe irrilevante, non essendoci elementi di sovrapposizione tra le due società, né sotto il profilo oggettivo, né sotto quello soggettivo; la circostanza che la contabilità della -OMISSIS- e di altre società riconducibili al signor -OMISSIS- sia gestita da uno stesso studio di commercialisti, sarebbe casuale e priva di qualsiasi disvalore;
d) nel valorizzare il collegamento tra la -OMISSIS- e la -OMISSIS-
Sarebbe insussistente qualsiasi legame tra le due realtà imprenditoriali e tale assunto sarebbe avvalorato dalla circostanza che le interdittive che hanno raggiunto le suddette società, si fonderebbero su medesimi presupposti insussistenti, ossia il legame del signor -OMISSIS- con la criminalità organizzata e l’influenza dello stesso sulle due imprese.
6. Il Ministero dell’Interno e la Prefettura – UTG di Verona si sono costituiti in giudizio, sostenendo l’infondatezza dell’appello.
7. Alla camera di consiglio del 23 gennaio 2020, convocata per l’esame dell’istanza cautelare, la causa è stata rinviata al merito.
8. All’udienza del 25 giugno 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, il gravame si incentra sull’informazione antimafia interdittiva, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, nei confronti della società -OMISSIS- (d’ora in poi, -OMISSIS-) – attiva nell’attività di distribuzione al dettaglio di carburante, oli lubrificanti e prodotti petroliferi – e della signora -OMISSIS-, in qualità di socio unico.
Il provvedimento ha, in particolare, tratto fondamento dai legami del signor -OMISSIS-, coniuge della signora -OMISSIS-, con la criminalità organizzata, idonei a generare sospetti sul rischio di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa.
Prima di affrontare il merito dell’appello, deve essere respinta l’istanza – presentata con la memoria depositata il 25 maggio 2020 – di sospensione c.d. impropria del giudizio nelle more della definizione, da parte della Corte di Giustizia Ue, della questione – rimessa dal Tar Bari, sez. III, ord., 13 gennaio 2020, n. 28 – relativa alla compatibilità degli artt. 91, 92 e 93, d.lgs. n. 159 del 2011 con il diritto euro-unitario sul rilievo che le norme del “Codice antimafia” – in contrasto con i principi desumibili dalla Carta di Nizza – “non prevedono il contraddittorio endoprocedimentale in favore del soggetto nei cui riguardi l’Amministrazione si propone di rilasciare” un’informazione antimafia interdittiva. Rileva il Collego che l’appellante non ha dedotto, con l’atto introduttivo del giudizio, il vizio di mancata partecipazione al procedimento, introdotto per la prima volta solo con la memoria, non notificata, depositata alla vigilia del udienza di discussione della causa.
2. Nel merito l’appello non è suscettibile di positiva valutazione.
Una molteplicità di elementi di fatto supportano – in applicazione del principio del “più probabile che non” – la conclusione alla quale è pervenuta, in punto di diritto, la Prefettura Verona prima e il Tar Veneto poi.
L’elemento che collega la società -OMISSIS- alla criminalità organizzata di stampo mafioso è il signor -OMISSIS-, coniuge di -OMISSIS- e con questa socio della -OMISSIS-.
Più in particolare la società -OMISSIS- è stata costituita -OMISSIS-, con sede legale a -OMISSIS-con capitale sociale iniziale di 950 euro, per l’esercizio di attività di gestione di impianti per la distribuzione di carburante e la vendita di prodotti petroliferi. Sin dal momento della sua costituzione, è stata sempre detenuta e amministrata da -OMISSIS-. Nel corso del tempo sono stati effettuati due distinti aumenti di capitale: nel 2016 il capitale sociale è stato aumentato a -OMISSIS-
Come si è detto, la Prefettura, nell’impugnata interdittiva, ha valorizzato il presunto collegamento della -OMISSIS- con la -OMISSIS-, società destinataria di vari provvedimenti interdittivi adottati dalla Prefettura di Milano e dalla Prefettura di Rovigo, confermati con le sentenze della sez. III del Consiglio di Stato 14 dicembre 2016, n. 5268, 17 gennaio 2017, n. 164 e 14 febbraio 2017, n. 671.
Il signor -OMISSIS- è soggetto vicino agli ambenti della malavita organizzata e, insieme ai componenti della famiglia, è stato oggetto di accertamenti da parte delle Prefetture di Milano prima, e di quella di Verona, poi.
In particolare -OMISSIS- ha avuto frequentazioni con soggetti contigui alla criminalità organizzata, quali i signori -OMISSIS- per associazione a delinquere di stampo mafioso, turbata libertà degli incanti e reati contro la P.A., scarcerato nel 2002 stante la cessazione della custodia cautelare in carcere disposta dai Gip del Tribunale di Palermo, quindi sottoposto a misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza irrogata dal Tribunale di Palermo per la durata di anni 3, terminata nel 2006.
Di questi soggetti, -OMISSIS-sono destinatari della misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza da parte del Tribunale di Agrigento il 29 febbraio 2012 per la durata di anni 3 e mesi 6; sottoposti al sequestro preventivo dei beni quale misura di prevenzione ai sensi dell’art. 2-ter, l. n. 575 del 1965; indagati il 23 maggio 2002 dal Nucleo Radiomobile dei Carabinieri di Cefalù (PA) unitamente ad altre -OMISSIS-, per associazione a delinquere di stampo mafioso, nell’ambito dell’operazione denominata -OMISSIS- in quanto, come indicate nella relativa nota Sdi, facenti parte “dell’associazione mafiosa denominata -OMISSIS-perché, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, per commettere delitti; per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli altri”; tratti in arresto il 14 luglio 2008 dal Nucleo Radiomobile dei Carabinieri di -OMISSIS- (AG), in esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere unitamente ad altri soggetti, tra cui anche -OMISSIS-, che, come da nota Sdi “a vario titolo, rispondono di associazione di tipo mafioso ed estorsione aggravata dall’aver commesso il fatto con le tipiche modalità mafiose. Le indagini hanno permesso di accertare che la famiglia -OMISSIS-, mediante atti intimidatori, minacce ed altro ha monopolizzato il mercato edile di -OMISSIS- costringendo gli imprenditori locali e quelli che hanno lavorato in quel territorio a rivolgersi a loro per qualsiasi tipologia di attività .
A questi elementi si aggiunge che nel gennaio 2006 -OMISSIS- è stato tratto in arresto, unitamente al padre -OMISSIS-, per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., a conclusione dell’operazione denominata -OMISSIS- Dalle indagini è emersa la vicinanza all’associazione mafiosa denominata -OMISSIS-, in particolare alla “famiglia mafiosa” di -OMISSIS–, scarcerato per aver collaborato con la giustizia e poi assolto con sentenza del 6 novembre 2009 della Corte di appello di Palermo, ha continuato a frequentare, anche durante e dopo tale vicenda giudiziaria, la criminalità organizzata. Tale ultima circostanza è stata ben evidenziata nella sentenza n. 164 del 2017 della sez. III del Consiglio di Stato.
Dalla nota DIA – Centro Operativo di Milano emerge poi che -OMISSIS-
“nell’ambito dell’operazione -OMISSIS-risulta essere colui che più attivamente si è occupato delle imprese di famiglia perseguendo i propri interessi, in stretto contatto con il padre –OMISSIS- con l’utilizzo di metodi tipicamente mafiosi”. -OMISSIS- è stato inoltre coinvolto in episodi, ben descritti nell’impugnata interdittiva, che connotano comunque una gravità di comportamenti di cui si è reso protagonista. Ci si riferisce, ad esempio, al lancio di un bossolo all’indirizzo dei Carabinieri di vigilanza all’abitazione di un magistrato, alla detenzione illegale di armi per di più clandestine (circostanza che quindi – contrariamente a quanto afferma parte appellante – non risulta compatibile con un legittimo possesso a scopo asseritamente di auto difesa, come affermato dal Consiglio di Stato 17 gennaio 2017, n. 164 nella sentenza in cui ha preso posizione sulla infondatezza dei motivi proposti avverso l’interdittiva disposta nei confronti della -OMISSIS-) fino al coinvolgimento in un’indagine relativa nell’abbattimento doloso di un edificio.
Lo stesso -OMISSIS-, nel denunciare un episodio in cui sarebbe stato vittima, insieme al fratello -OMISSIS-, in un cantiere nel quale avrebbe subito la distruzione di due camion, ha affermato che i fatti sarebbero accaduti mentre lavorava per conto della società -OMISSIS-. Si tratta di soggetti – persone giuridiche e fisiche – colpiti da vicende penali. In particolare, la -OMISSIS-è stata destinataria non solo di provvedimento interdittivo antimafia della Prefettura di Crotone ma, successivamente, anche di provvedimento di confisca ex art. 416 bis, comma 7, c.p. per l’ampio utilizzo strumentale fattone da parte dell’organizzazione criminale ndranghetista disvelata dall’operazione “-OMISSIS-è stato condannato, con sentenza emessa dal Tribunale di Bologna il 22 aprile 2016 nell’ambito del procedimento cd. -OMISSIS-alla pena di anni 12 e mesi 6 di reclusione e al pagamento della multa di euro 8.000,00, in relazione a plurimi capi di imputazione, in particolare perché colpevole del delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso. -OMISSIS-
Come si è detto, anche alcuni familiari di -OMISSIS- sono vicini agli ambienti malavitosi di stampo mafioso.
Il padre -OMISSIS- è stato sottoposto dal Tribunale di Palermo alla misura della sorveglianza speciale di P.S. per due anni. Il-OMISSIS- non menzione, per violazione delle disposizioni contro la mafia. Ancora, il -OMISSIS-è stato denunciato, in stato di libertà, dal Nucleo Operativo dei Carabinieri di Palermo per associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento a seguito di incendio ed altro ma assolto da tutti questi reati con sentenza del 21 febbraio 1992 dalla sez. V del Tribunale di Palermo. Infine -OMISSIS-è stato denunciato, insieme al figlio -OMISSIS-, per associazione a delinquere di tipo mafioso.
Il fratello di –OMISSIS–, è stato sposato, per qualche anno, con -OMISSIS- già detenuto per associazione di tipo mafioso e ritenuto capo della famiglia della cosca roccamenese. Dopo la condanna in primo grado il 31 dicembre 2004 con sentenza del Tribunale di Palermo, la Corte d’Appello di Palermo lo ha assolto, con sentenza del 19 luglio 2006 per il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso per non aver commesso il fatto. Il Tribunale Sez. M.P. di Palermo, il 19 luglio 2005 ha applicato la Sorveglianza Speciale di P.S. con obbligo dì soggiorno nel Comune di residenza per la durata di anni tre. Anche -OMISSIS-, come -OMISSIS-, ha avuto rapporti con –OMISSIS-
Un secondo fratello di –OMISSIS-, il 18 luglio 2000 è stato arrestato dalla Compagnia Carabinieri di -OMISSIS-condannato ad anni 1 e mesi 8 di reclusione ed alla multa di -OMISSIS-. A suo carico sussistono anche provvedimenti restrittivi e di prevenzione con applicazione della misura di sorveglianza; infine, è stato padrino di cresima del figlio di –OMISSIS-, già detenuto ex art. 416 bis c.p. e sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
La sorella di -OMISSIS-, che annovera numerosi procedenti di polizia, è stata coniugata sino -OMISSIS-, anch’egli con precedenti di polizia, in un primo tempo socio della -OMISSIS-, che, come si è detto, è società controllata dalla famiglia -OMISSIS-, essendo detenuta da -OMISSIS- (che insieme al fratello -OMISSIS- il 19 luglio 2010 ha acquistato le quote da -OMISSIS-) e dalla moglie -OMISSIS-, e colpita da interdittive antimafia, confermate dal Consiglio di Stato con le sentenze -OMISSIS-, n. 164 del 2017 e n. 671 del 2017.
Utile il richiamo alle motivazioni rese dal giudice di appello per confermare, nelle tre occasioni, l’interdittiva emessa nei confronti della -OMISSIS-. In tali pronunce, passate in giudicato, la Sezione aveva già offerto una lettura di alcuni dei fatti richiamati dal Prefetto di Milano nella interdittiva oggetto del presente gravame.
La prima sentenza -OMISSIS-, resa sull’appello della Prefettura di Milano sul ricorso che era stato proposto dalla -OMISSIS- per l’annullamento dell’informativa antimafia emessa il 21 novembre 2014, ha affermato che “il complesso dei rapporti, non chiari né tuttora chiariti, di -OMISSIS– con soggetti appartenenti o contigui alla criminalità organizzata – e, in particolare, anche se non solo, con gli imprenditori -OMISSIS- – la cui scarsa trasparenza, ai fini che qui interessano, la sentenza impugnata non ha convincentemente analizzato né superato”; che “anche il possesso di due pistole con matricola abrasa, da parte di -OMISSIS–, costituisce circostanza di un certo rilievo indiziario, che certo non può essere trovare alcuna giustificazione nell’autodifesa contro eventuali ritorsioni”; “la ‘comunanzà o la trasmigrazione di mezzi e dipendenti tra -OMISSIS- ad altre società in vario modo destinatarie di provvedimenti interdittivi e/o misure di prevenzione giudiziarie, circostanza che non sembra essere scalfita dalla considerazione, fatta propria dal Tar per la Lombardia, che l’assunzione di lavoratori prima alle dipendenze dei fratelli -OMISSIS- sia avvenuta prima della proposta di applicazione del sequestro sull’azienda dei fratelli, essendo ben consolidati i rapporti tra -OMISSIS– e i fratelli -OMISSIS-, né con una non meglio precisata ‘necessità fisiologicà di vendita dei veicoli alla -OMISSIS-. Nella sentenza -OMISSIS- si richiama altresì una precedente pronuncia, la -OMISSIS-, che aveva messo bene in rilievo, in relazione ai rapporti tra -OMISSIS- e altra società -OMISSIS- pure colpita da informativa antimafia, il quadro di relazioni non semplicemente amicali e collaborative, ma di intensa comunanza economica che lega -OMISSIS- s.r.l. ad un contesto imprenditoriale fortemente compromesso con la criminalità organizzata, basato su legami che, unitamente al contesto familiare e ai rapporti personali con soggetti appartenenti all’ambiente criminale mafioso, costituiscono un dato sintomatico di relazioni non riconducibili a normali schemi commerciali e di cooperazione tra imprese, ma ad una più accentuata e non chiara commistione di interessi e attività economiche. La Sezione aveva quindi concluso nel senso che il perdurare di un contesto oggettivo e di legami tutti interni a questo contesto, che rendono plausibile la infiltrazione mafiosa, costituisce un elemento concreto che dà luogo alla applicazione dell’art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011. Un dato oggettivo di questa portata, rappresentato da una pluralità di elementi convergenti, non viene meno solo perché le due famiglie in questo caso coinvolte affermano in diversi giudizi di essersi allontanate da questo ambiente ed essersi iscritte ad una Associazione antiracket. Anche ammettendo che tale circostanza sia veritiera, questa nuova situazione (che deve risultare da dati che siano oggettivi tanto quanto quelli che sono alla base della interdittiva), potrà essere portata all’attenzione dell’Amministrazione per l’adozione di successivi autonomi provvedimenti, non potendo inficiare retroattivamente la legittimità dell’interdittiva del 2014.
Con la sentenza n. 164 del 2017 la sez. III del Consiglio di Stato, richiamando le argomentazioni della sentenza -OMISSIS-, ha riformato la sentenza del Tar Milano che aveva accolto il ricorso, proposto dalla -OMISSIS- avverso l’interdittiva antimafia del Prefetto di Milano 24 aprile 2014, confermativa del provvedimento interdittivo del 20 novembre 2013; il giudice di appello ha affermato che la valutazione del rischio di permeabilità della società da parte della criminalità organizzata è confermato dal rilievo del Prefetto secondo cui la dissociazione del signor -OMISSIS- dagli ambienti malavitosi dell’area di riferimento è smentita dalla ripetuta frequentazione con soggetti pregiudicati appartenenti al contesto criminale mafioso, avvenuta anche dopo la decisione di collaborare con la giustizia.
Infine, con la sentenza -OMISSIS-la Sezione ha accolto l’appello proposto dalla Prefettura di Rovigo, confermando così l’interdittiva emessa da detta Prefettura a carico della -OMISSIS- e la solidità del quadro indiziario posto a base delle informative emesse, sulla base di identici (o consimili) elementi, dalla Prefettura di Milano a carico della stessa società . Ha affermato il giudice di appello che l’impugnata sentenza del Tar Veneto (n. 673 del 2016) ha trascurato di considerare, nella loro sistematica connessione, tutti gli elementi valorizzati dall’informativa antimafia anche a seguito del disposto riesame, elementi che, diversamente da quanto ha concluso lo stesso Tar, non si può ritenere abbiano perso la propria rilevanza ai fini antimafia. Si fa riferimento innanzitutto al complesso dei rapporti personali ed imprenditoriali, non chiari né tuttora chiariti, di -OMISSIS–, dominus della società, con soggetti ritenuti contigui alla criminalità organizzata (in particolar modo con -OMISSIS-la cui scarsa trasparenza la sentenza impugnata non ha convincentemente analizzato né sconfessato. Si richiama ancora una volta il possesso di due pistole con matricola abrasa, da parte di -OMISSIS–, che costituisce circostanza di un certo rilievo indiziario, che non può trovare alcuna giustificazione nell’autodifesa contro eventuali ritorsioni; rappresenta, invece, un elemento induttivo dal quale desumere, come affermato nella sentenza n. 164 del 2017, la volontà di non recidere i rapporti con la realtà criminale di origine. Si aggiunge, come ulteriore elemento di sicura valenza indiziaria valorizzato dall’informativa, la “comunanza” o la trasmigrazione di mezzi e dipendenti tra -OMISSIS- ad altre società in vario modo destinatarie di provvedimenti interdittivi e/o misure di prevenzione giudiziarie, quali, ad esempio, la -OMISSIS-, da parte del Tribunale di Rovereto, a carico di –OMISSIS-, corroborano la valutazione prefettizia di verosimile inquinamento mafioso.
3. Tale quadro fattuale porta, come si è detto, a confermare anche l’interdittiva del 15 maggio 2018 della Prefettura di Verona, in applicazione del principio, costantemente affermato dalla Sezione (30 giugno 2020, n. 4168; 325 giugno 2020, n. 4091), secondo cui la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Ai fini dell’adozione dell’interdittiva occorre, da un lato, non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, “ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale” (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483).
4. Le ragioni poste dal Prefetto di Verona a fondamento dell’interdittiva appaiono al Collegio sufficienti, non essendo richiesto – alla Prefettura come al Giudice amministrativo – di pervenire ad un grado di convincimento che resista ad ogni ragionevole dubbio.
È, infatti, sufficiente, ai fini dell’emissione di un’informativa interdittiva antimafia e della valutazione in sede giurisdizionale in ordine alla sua legittimità, l’essere ragionevolmente persuasi della ricorrenza, nel caso che viene in rilievo, di indici fortemente sintomatici di contiguità, connivenza o comunque condivisione di intenti criminali. Il metro di valutazione è, come si è detto, quello del “più probabile che non”, nel rispetto d’altronde della ratio dell’istituto e delle finalità di “cautela avanzata” di fronte ad ogni pericolo o tentativo di infiltrazione mafiosa nel tessuto della attività economica, specialmente se esercitata in ambiti tradizionalmente di interesse per le mafie (Cons. St., sez. III, 30 giugno 2020, n. 4168).
Come chiarito di recente anche dalla Corte costituzionale n. 57 del 26 marzo 2020 – di fatto confermando la giurisprudenza della Sezione – a supportare il provvedimento interdittivo sono sufficienti anche situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale.
Tra queste: i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale; le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa; la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dal d.lgs. n. 159 del 2011; i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità ” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa; la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”; l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità .
Nel caso in esame, come si è detto, sussistono una congerie di elementi atti a concludere per la permeabilità mafiosa della Veneta Autotrasporti s.r.l. evinti dalla Prefettura di Verona sulla scorta dei citati elementi informativi; dalla pluralità di elementi sopra descritti emerge, infatti, un articolato intreccio di legami familiari e cointeressenze tra l’effettivo dominus della società con soggetti collegati o comunque vicini alla criminalità organizzata.
5. Ciò chiarito, e passando all’esame dei singoli motivi, afferma l’appellante che illegittimamente sono stati posti a fondamento dell’interdittiva fatti considerati rilevanti nel lontano 2014 nei confronti della -OMISSIS-.
Il rilievo non è suscettibile di positiva valutazione.
Ed invero, con riferimento al requisito dell’attualità la giurisprudenza della Sezione (2 gennaio 2020, n. 2; 2 maggio 2019, n. 2855) è consolidata nel ritenere che i fatti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia possono anche essere risalenti nel tempo, nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata. Infatti, il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza della risalenza dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi, quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l’impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d’ombra della mafiosità .
Ha ancora chiarito la Sezione (8 luglio 2020, n. 4370) che per l’adozione dell’informativa antimafia interdittiva occorre non la prova della attualità di singole concrete infiltrazioni mafiose o di specifici pregiudizi penali, bensì una visione d’insieme di una pluralità di elementi anche solo indiziari ma concordanti dai quali sia possibile dedurre, alla stregua di un giudizio probabilistico, un attuale e concreto rischio di ingerenza o di condizionamento da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose.
Ne consegue l’infondatezza di tale profilo di doglianza, tenuto conto che non sono stati addotti elementi tali da dimostrare, in base al principio della probabilità cruciale, l’esistenza di una effettiva cesura tra la -OMISSIS- e la -OMISSIS- (Cons. St., sez. III, 13 maggio 2020, n. 3039).
6. Non assume rilevanza neanche la circostanza che tutto ruota intorno al rapporto di coniugio tra la -OMISSIS- e il -OMISSIS-. L’evidente gravità del quadro indiziario che ruota intorno a -OMISSIS- rende infatti irrilevante tale dato, atteso che la convergenza degli indizi su una unica tipologia (nella specie, i rapporti familiari) non può escludere, come afferma il giudice di primo grado, che gli stessi siano da soli in grado di supportare l’interdittiva.
7. Ancora, non può essere utilizzato come elemento atto a dimostrare l’estraneità dei -OMISSIS- alla malavita organizzata la presunta iscrizione di -OMISSIS- ad una Associazione antiracket. Il provvedimento interdittivo richiama alcune intercettazioni, riportate nell’ambito del decreto di sequestro rt. 156/2015 R.M.P emesso dal Tribunale di Palermo, dalle quali si evince un “percorso di avvicinamento” dei fratelli -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- con talune Associazioni antiracket, al fine di poter usufruire dei vantaggi connessi a far parte delle predette associazioni. Giova aggiungere che questa Sezione (20 febbraio 2019, n. 1182) già aveva segnalato come la costituzione di una Associazioni antiracket o l’iscrizione alla stressa costituisca un nuovo strumento utilizzato dalla mafia per insinuarsi nell’economia del Paese: accreditarsi l’opinione pubblica e le forze dell’ordine, passando per vittima della criminalità organizzata, di cui, invece, si muovono le fila. Passare per vittima di un reato può essere un ottimo espediente per celare di essere, invece, tra i mandanti dello stesso.
Contrariamente a quanto afferma parte appellante, non è sicura prova di non vicinanza agli ambienti malavitosi la “collaborazione” che -OMISSIS- avrebbe avuto con l’Autorità giudiziaria, risultando – come si è detto sub 1 – che anche dopo tale asserita collaborazione avrebbe comunque frequentato pregiudicati o comunque legati a sodalizi criminali, quali -OMISSIS-. Si è inoltre reso protagonista di episodi che sono ben lontani dal provare l’abbandono definitivo della strada dell’illegalità . Tra questi basta ricordare la denuncia dalla Guardia di Finanza di -OMISSIS-) per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, commesso in concorso con altri soggetti nella gestione della società -OMISSIS-. Il -OMISSIS- ha dunque proseguito, attraverso la propria attività imprenditoriale, nella commissione di illeciti di natura patrimoniale con lo scopo di frodare lo Stato, contraddicendo così il dichiarato impegno per la legalità .
8. Indice della riconducibilità della società alla famiglia -OMISSIS- è anche la circostanza che la -OMISSIS- si avvale del medesimo studio di commercialisti che ha gestito la contabilità di altre società riconducibili al Sig. –OMISSIS-
9. Irrilevante è il carattere non penale di alcuni episodi descritti nell’interdittiva. Come di recente ribadito anche dal giudice delle leggi con la sentenza n. 57 del 26 marzo 2020, gli elementi posti a base dell’informativa, proprio per la ratio ad essa sottesa, possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (Cons. St., sez. III, 2 maggio 2019, n. 2855; 27 novembre 2018, n. 6707). La connotazione prognostica della valutazione di permeabilità criminale, suscettibile di legittimare l’adozione della misura antimafia, ne rimarca la differenza, in termini di spessore probatorio delle acquisizioni istruttorie sulle quali si fonda, rispetto all’accertamento penale, legittimando la perdurante valenza degli elementi indiziari raccolti nel corso delle indagini preliminari, anche quando, conclusosi il relativo giudizio, quegli elementi non abbiano attinto il livello di dignità dimostrativa della prova piena, quale si forma nel contraddittorio dibattimentale: ciò quantomeno nei casi in cui l’esito finale del giudizio penale non si ponga – come nel caso di specie, nel quale il giudice penale ha escluso lo “stabile” collegamento – in rapporto di palese ed insanabile antinomia rispetto a quegli elementi, attestandone la radicale inutilizzabilità in chiave preventiva (Cons.St., sez. III, 15 marzo 2019, n. 1715).
Prova della correttezza di tale conclusione è proprio nell’episodio relativo all’indagine sull’abbattimento doloso di un edificio in relazione al quale il -OMISSIS- è stato sì assolto per insufficienza di prove, ma nel relativo procedimento penale è stata accertata la sua stabile contiguità, non solo familiare ma anche e soprattutto imprenditoriale, con il boss -OMISSIS-, il quale distribuiva gli appalti e i lavori da eseguire nel territorio di -OMISSIS-
10. La gravità del quadro indiziario non è scalfita dal decreto del Tribunale di Palermo, con il quale è stata rigettata la richiesta di sequestro avanzata nei confronti di -OMISSIS- e da quello che ha respinto la richiesta di applicazione della misura di prevenzione della confisca.
É sufficiente sul punto ricordare che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, non si è formato alcun giudicato, trattandosi di procedimenti del tutto autonomi che hanno ad oggetto accertamenti distinti: la pericolosità sociale, l’uno e il pericolo di condizionamento mafioso l’altro, ai sensi dell’art. 20, d.lgs. n. 159 del 2011. Il giudicato si è invece formato su quanto affermato da questa Sezione nelle sentenze -OMISSIS-, n. 164 del 2017 e -OMISSIS-in relazione alle interdittive emesse nei confronti della -OMISSIS-, anch’essa riconducibile a -OMISSIS–.
Inoltre, come condivisibilmente rilevato dal giudice di primo grado, la misura di prevenzione del sequestro richiede che il soggetto interessato rientri in una delle specifiche categorie soggettive indicate dalla normativa e che ne sia al contempo accertata la pericolosità sociale, secondo gli indici delineati dalla giurisprudenza sopra richiamata. L’informazione interdittiva antimafia, invece, presuppone la presenza di “elementi dai quali sia possibile desumere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa”, ovvero di “elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”.
11. Da tutto quanto sopra esposto risulta evidente che correttamente il coacervo degli elementi sopra descritti e di molti altri dettagliatamente illustrati nella informativa impugnata dinanzi al Tar Veneto è stato ritenuto dal Prefetto di Verona sufficiente ad evidenziare il pericolo di contiguità con la mafia, con un giudizio peraltro connotato da ampia discrezionalità di apprezzamento, con conseguente sindacabilità in sede giurisdizionale delle conclusioni alle quali l’autorità perviene solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010).
La sufficienza degli elementi esaminati, letti in una visione unitaria e non atomistica, esonera il Collegio dal verificare il corretto utilizzo, da parte della Prefettura, di altri fatti ritenuti, da parte appellante, non correttamente richiamati quali sintomo della permeabilità della società alla criminalità organizzata; ci si riferisce, ad esempio, alla denuncia dalla Guardia di Finanza di -OMISSIS-) per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, commesso in concorso con altri soggetti nella gestione della società -OMISSIS- o al collegamento con altra-OMISSIS– anch’essa colpita da interdittiva perché riconducibile alla famiglia -OMISSIS-.
12. In conclusione, dovendo l’asserita illegittimità del provvedimento essere verificata in relazione agli elementi di fatto presenti al momento della sua adozione, l’interdittiva impugnata dinanzi al Tar Veneto resiste al vaglio di questo giudice. Ciò non toglie la possibilità per l’interessato di fare istanza alla Prefettura perché verifichi se i fatti nuovi medio tempore intervenuti (rappresentati alla vigilia dell’udienza di discussione da parte appellante, quali il decreto -OMISSIS- possano supportare una diversa conclusioni in ordine al rischio di infiltrazione mafiosa.
13. La reiezione dei motivi di illegittimità dell’informativa antimafia emessa dal Prefetto di Verona comporta il rigetto dell’istanza di condanna delle odierne appellate al risarcimento del danno patito dalla signora -OMISSIS- e dalla -OMISSIS- in conseguenza dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati, atteso che l’illegittimità del provvedimento impugnato è condizione necessaria per accordare il risarcimento richiesto; la reiezione della parte impugnatoria del gravame impedisce infatti che il danno stesso possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’Amministrazione (Cons. St., sez. V, 1 ottobre 2015, n. 4588; id., sez. IV, 29 dicembre 2014, n. 6417; id., sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6013; id. 27 agosto 2014, n. 4382; id. 13 gennaio 2014, n. 85; id., sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4628; id., sez. V, 15 gennaio 2013, n. 176).
14. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
15. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante alle spese a gli onorari del giudizio, che liquida in Euro 5.000,00 (cinquemila euro).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di parte appellante e dei fatti alla stessa riconducibili.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2020, svoltasi da remoto in videoconferenza ex artt. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020 e 4, d.l. n. 28 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere, Estensore
Solveig Cogliani – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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