Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 5 settembre 2018, n. 21661.
La massima estrapolata:
La valutazione della non imputabilità della causa del ritardo, ai fini dell’ammissibilità della domanda di insinuazione al passivo, non può intendersi come semplice assenza di colpa, ma deve fondarsi su elementi oggettivi ed estranei al creditore, che nella specie il giudice di merito ha accertato come insussistenti con un apprezzamento di fatto, astrattamente censurabile in sede di legittimità mediante specifico mezzo che non è stato proposto secondo le coordinate del novellato articolo 360 c.p.c., n. 5. Ne consegue che, essendo il termine finale per la presentazione delle domande tardive stabilito a pena di decadenza, il suo decorso genera una presunzione di inammissibilità della domanda, essendo onere del creditore superare la presunzione, dimostrando che, in concreto, il ritardo sia dipeso da causa a lui non imputabile, il che implica una valutazione fattuale che è riservata al giudice di merito.
Sentenza 5 settembre 2018, n. 21662
Data udienza 2 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IOFRIDA Giulia – Presidente
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14070/2013 proposto da:
(OMISSIS), nella qualita’ di genitore esercente la potesta’ sulla figlia minore (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), rappresentate e difese dall’avv. (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANIA, del 29/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2018 dal cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso per il rigetto.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di eredi di (OMISSIS), chiesero l’ammissione al passivo del fallimento della (OMISSIS) srl del credito maturato dal proprio marito e padre a titolo di Tfr, il cui rapporto di lavoro era terminato il 31.10.2009.
Il giudice delegato dichiaro’ inammissibile la domanda, perche’ depositata il 23.5.2012, cioe’ oltre un anno dopo il deposito del decreto di esecutivita’ dello stato passivo (in data 14.11.2010).
L’opposizione degli eredi e’ stata rigettata dal Tribunale di Catania, secondo il quale essi non potevano fruire di un termine diverso e piu’ favorevole di quello spettante al loro congiunto; il (OMISSIS) non aveva chiesto l’ammissione del credito al passivo, benche’ sorto prima del fallimento; gli eredi avevano presentato la domanda solo il 23.5.2012, quando il termine di dodici mesi, di cui all’articolo 101, comma 4, L. Fall., era gia’ scaduto, pur considerando la sospensione del suddetto termine nel periodo della malattia (dal 1 marzo 2011 al giorno del decesso in data 4.6.2011) e la sospensione feriale (cfr. Cass. n. 4408/2016).
Avverso questo decreto i medesimi eredi hanno proposto ricorso per cassazione, notificato al Fallimento (OMISSIS), che non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato violazione e falsa applicazione dell’articolo 101 L. Fall., per avere ritenuto inammissibile la loro pur tardiva domanda di insinuazione al passivo, senza pero’ considerare che il (OMISSIS), ammalatosi nel marzo 2011 e deceduto il 4.6.2011, non aveva potuto presentarla nel termine di dodici mesi dalla data del decreto di esecutivita’ dello stato passivo (14.11.2010) e che il termine era rimasto sospeso nel periodo feriale; che per gli eredi decorreva un nuovo termine decadenziale di un anno dalla data del decesso del congiunto; che erroneamente il tribunale aveva ritenuto superato il termine, congruo, di diciotto mesi dal deposito del decreto di esecutivita’ dello stato passivo.
Il motivo e’ infondato.
I ricorrenti, eredi del (OMISSIS), hanno presentato una domanda di insinuazione al passivo, in data 23.5.2012, che correttamente e’ stata considerata dai giudici di merito come ultratardiva, a norma dell’articolo 101, comma 4, L. Fall., essendo spirato, gia’ ad aprile 2012, il termine annuale di cui all’articolo 101, comma 1, L.F. (non prorogato dal tribunale) per l’insinuazione tardiva, pur considerando la sospensione feriale e la malattia del (OMISSIS) nel periodo dal 1 marzo 2011 al 4.6.2011.
La valutazione della non imputabilita’ della causa del ritardo, ai fini dell’ammissibilita’ della domanda di insinuazione al passivo, non puo’ intendersi come semplice assenza di colpa, ma deve fondarsi su elementi oggettivi ed estranei al creditore, che nella specie il giudice di merito ha accertato come insussistenti con un apprezzamento di fatto (v. Cass. n. 19017/2017, n. 23302/2015, n. 20686/2013), astrattamente censurabile in sede di legittimita’ mediante specifico mezzo che non e’ stato proposto secondo le coordinate del novellato articolo 360 c.p.c., n. 5 (Cass., s.u., n. 8053 e 8054/2014).
Ne consegue che, essendo il termine finale per la presentazione delle domande tardive stabilito a pena di decadenza, il suo decorso genera, in linea di principio, una presunzione di inammissibilita’ della domanda, essendo onere del creditore superare la presunzione, dimostrando che, in concreto, il ritardo sia dipeso da causa a lui non imputabile, il che implica una valutazione fattuale che, come si e’ detto, e’ riservata al giudice di merito.
I ricorrenti sostengono che il decesso del creditore, determinando l’acquisto del credito da parte degli eredi, farebbe decorrere un nuovo termine per l’ammissione al passivo, annuale o di diciotto mesi (articolo 101, comma 1, L. Fall.). Tuttavia, da un lato, il termine di diciotto mesi e’ ipotizzabile solo quando quello di dodici mesi sia prorogato dal tribunale in caso di particolare complessita’ della procedura e, dall’altro, quello di dodici mesi decorre pur sempre dal deposito del decreto di esecutivita’ dello stato passivo, essendo azionato, come riconosciuto dai ricorrenti, il medesimo credito del loro congiunto.
Il ricorso e’ rigettato. Non si deve provvedere sulle spese, non avendo l’intimato svolto attivita’ difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Doppio contributo a carico del ricorrente come per legge.
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