Corte di Cassazione, civile, Sentenza|17 settembre 2021| n. 25195.

La cd. servitù irregolare – in dipendenza della tipicità dei diritti reali che costituiscono, nel loro complesso, un “numerus clausus” e che sono idonei a determinare anche un vincolo fondiario perpetuo – comporta l’insorgenza di un rapporto obbligatorio atipico tra le parti, avente la funzione di determinare una situazione di vantaggio a favore del soggetto indicato nel relativo atto costitutivo e non a realizzare uno scopo di utilità per un fondo (dominante) con l’imposizione di un peso su un altro fondo (servente), ragion per cui il suddetto rapporto va ritenuto incompatibile con la previsione di un obbligo personale di natura permanente a carico della parte che deve adempierlo, dovendo esso caratterizzarsi per la necessaria temporaneità del vincolo che ne deriva. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata nella parte in cui, dopo aver ricondotto la concreta fattispecie – accordo orale di concessione della posa in opera di un pozzetto di scolo delle acque meteoriche – nell’ambito della “servitù irregolare”, ha escluso il carattere provvisorio e temporaneo dell’accordo, in tal modo erroneamente inscrivendo la suddetta servitù nell’ambito di un quadro connotato da profili di realità.)

Sentenza|17 settembre 2021| n. 25195. La servitù irregolare

Data udienza 25 maggio 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Servitù irregolare – Limitazione della proprietà del fondo altrui a beneficio di un certo soggetto e non di un diverso fondo – Configurabilità purché l’obbligo personale derivante dalla servitù non sia caratterizzato da un vincolo permanente nel tempo – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 8914/’16) proposto da:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtu’ di procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtu’ di procure speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avv. (OMISSIS) e domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, in Roma, piazza Cavour;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Trento n. 315/2015 (depositata il 5 ottobre 2015 e non notificata);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 maggio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
lette le conclusioni della Procura generale, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Corrado Mistri, che ha chiesto l’accoglimento del proposto ricorso per quanto di ragione, con particolare riferimento al secondo motivo;
lette le memorie di entrambe le difese delle parti depositate ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RITENUTO IN FATTO

1. Con ricorso depositato ai sensi dell’articolo 702 bis c.p.c., nel giugno 2014 il sig. (OMISSIS) chiedeva, dinanzi al Tribunale di Trento, che venisse accertato, nei confronti del sig. (OMISSIS), che il pozzetto di scolo delle acque meteoriche, dei marciapiedi, del giardino e delle relative tubazioni al servizio della particella edilizia n. (OMISSIS) insisteva sulla particella edilizia n. (OMISSIS) di proprieta’ di esso ricorrente, e, per l’effetto, condannare il (OMISSIS) ad asportare il pozzetto, i tubi di collegamento ed ogni manufatto esistente all’interno della proprieta’ dello stesso istante, oltre a rimettere in pristino il precedente stato dei luoghi.
Nella costituzione del convenuto ed all’esito dell’espletata istruzione probatoria, l’adito Tribunale, con ordinanza depositata il 28 ottobre 2014, accoglieva parzialmente la domanda, rilevando che, nel caso di specie, era stata costituita una servitu’ irregolare di scolo delle acque meteoriche provenienti dal giardino del (OMISSIS) e che detta servitu’ non avrebbe potuto essere revocata “ad nutum” dal (OMISSIS), difettando la prova della provvisorieta’ dell’autorizzazione, mentre per lo scolo delle acque provenienti dal tetto dell’abitazione del (OMISSIS) il Tribunale ordinava la rimozione dalla p.f. (OMISSIS) delle condutture ivi adducenti l’acqua meteorica che proveniva dal tetto della p.e. (OMISSIS), con la conseguente condanna del resistente al pagamento della meta’ delle spese giudiziali, che venivano compensate per l’altra meta’.
2. Decidendo sull’appello dal (OMISSIS) e nella costituzione dell’appellato (OMISSIS), la Corte di appello di Trento, con sentenza n. 315/2015 (depositata il 5 ottobre 2015), rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.
A fondamento dell’adottata decisione la Corte trentina osservava che il giudice di primo grado aveva correttamente giustificato il suo convincimento in ordine alla mancanza del carattere precario del permesso concesso dal (OMISSIS) alla realizzazione, da parte del (OMISSIS), dello scarico e che, quindi, altrettanto legittimamente, l’attore avrebbe potuto ottenere solamente la rimozione dello scarico che non aveva costituito oggetto di convenzione, ovvero quello delle acque meteoriche provenienti dal tetto, la cui esecuzione, percio’, avrebbe dovuto considerarsi come un fatto illecito autonomo e, in quanto tale, sanzionabile con l’eliminazione del relativo scarico eseguito.
3. Il soccombente appellante ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza di appello, riferito a tre motivi. L’intimato ha resistito con controricorso. In un primo momento il ricorso veniva fissato per l’adunanza camerale del 16 dicembre 2020 ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c., ma all’esito della stessa il collegio deliberava di rimetterne la trattazione e la discussione in pubblica udienza, in prossimita’ della quale i difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e/o falsa applicazione e mancanza di decisione e/o di motivazione in relazione alla mancata contestazione da parte del resistente circa le opere-tubature e contestazione limitata alla sola opera-pozzetto.
2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1218, 1175 e 1176 c.c., avuto riguardo alla valutazione e qualificazione del rimedio operato dal giudice, avendo escluso che, nella fattispecie, ricorressero le condizioni per la configurazione della proposta azione come “negatoria servitutis”, pur avendo la Corte di appello qualificato il consenso reso da esso ricorrente al (OMISSIS) come atto costitutivo di una servitu’ irregolare.
3. Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato – sempre in ordine all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 872 c.c., comma 2, e degli articoli 112, 113 e 115 c.p.c., non avendo la Corte di appello ritenuto che, nel caso di specie, coevamente alla proposizione di un’actio negatoria servitutis (con riferimento alla rimozione delle opere lesive del suo diritto di proprieta’ realizzate dal (OMISSIS)), fosse stata formulata anche una domanda tendente ad ottenere la riduzione in pristino, come prevista dal citato articolo 872 c.c..
4. Rileva il collegio che il primo motivo e’ infondato e deve, percio’, essere respinto, non essendosi venute a configurare le prospettate violazioni, poiche’ dallo svolgimento del giudizio di primo grado e dalla stessa ammissione del ricorrente, il (OMISSIS) aveva, in effetti, chiesto in modo inequivoco il rigetto di tutte le domande avverse, dirette ad ottenere la rimozione sia del pozzetto che delle conduttore.
Di conseguenza, la Corte di appello trentina ha preso compiutamente in esame il complessivo “petitum” correlato alla domanda attorea, ordinando la rimozione delle sole condutture per lo scolo delle acque meteoriche provenienti dal tetto in quanto non avevano costituito oggetto di convenzione tra le parti e rigettando nel resto la domanda, sul presupposto che avrebbe dovuto ritenersi non revocabile “ad nutum”, in mancanza di prova sulla provvisorieta’ dell’autorizzazione ed alla stregua della natura di opere stabili sul terreno realizzate dal (OMISSIS), l’accordo per effetto del quale era stato collocato sulla particella n. (OMISSIS), di proprieta’ del (OMISSIS), un pozzetto di scolo – con relative tubature – delle acque meteoriche provenienti dal marciapiedi e dal guardino, al servizio della particella edilizia n. (OMISSIS) di proprieta’ dello stesso (OMISSIS).
5. Osserva il collegio che e’, invece, fondato il secondo motivo per le complessive ragioni che seguono.
E’ opportuno, innanzitutto, precisare che, con la formulazione di questo motivo, il ricorrente non contesta la qualificazione fatta dai giudici di merito dell’accordo orale di concessione della posa in opera di un pozzetto di scolo delle acque meteoriche sulla sua proprieta’ come costitutivo di una “servitu’ irregolare”, bensi’ la natura dell’opera in concreto realizzata, ritenuta dalla Corte di appello come non provvisoria, dovendosi secondo la prospettazione della difesa del (OMISSIS) – ravvisarsi, invece, la sussistenza di un’opera solo temporanea, da considerarsi eseguita in violazione dello stesso accordo intercorso tra le stesse parti, donde la configurabilita’ dell’inadempimento dell’obbligazione relativa all’oggetto previsto da parte del (OMISSIS) e la derivante revoca del consenso da esso ricorrente prestato alla permanenza del citato pozzetto di scolo sulla particella di sua proprieta’.
Pertanto, da un punto di vista generale, la difesa del ricorrente pone la questione, particolarmente dibattuta, sui limiti di ammissibilita’, in primo luogo, nel nostro sistema civilistico della figura della “servitu’ irregolare”, della conseguente individuazione delle sue caratteristiche giuridiche e del rapporto intercorrente con la categoria delle servitu’ prediali in senso proprio, e, quindi, della sua possibile compatibilita’, ancorche’ avente natura obbligatoria, con l’imposizione di un vincolo non temporalmente predeterminato.
Prima di risolvere in modo specifico la questione sottoposta al collegio con la censura in esame, e’ opportuno procedere ad un inquadramento di massima della categoria delle servitu’ prediali per poi affrontare il problema precipuo della configurabilita’ delle cc.dd. “servitu’ irregolari”.
Predialita’ ed unilateralita’, assieme alle connotazioni comuni dei diritti reali (ravvisabili nella possibilita’ del titolare di esercitare il proprio diritto senza che occorra l’attivita’
collaborativa di terzi, nel legame tra il diritto e l’oggetto su cui e’ costituito e nell’opponibilita’ “erga omnes”), delineano gli elementi costitutivi e, quindi, i confini di operativita’ delle servitu’ tradizionalmente intese e regolate dal codice civile (articoli 10271028).
Si e’, tuttavia, osservato in dottrina che, a differenza degli altri “iura in re aliena”, il contenuto delle servitu’ non deve uniformarsi del tutto alle tipologie previste dalla legge (la cui catalogazione, rimane, pur sempre, un “numerus (Ndr: testo originale non comprensibile)”), essendo consentito ai privati di determianrlo in relazione all’ulita’ che il (Ndr: testo originale non comprensibile), di volta in volta, e’ demandato a soddisfare, ma cio’ necessariamente a condizione che venga rispettata la struttura legale minima contemplata dal codice civile (con particolare riguardo agli articoli 1027 e 1028) e che, quindi, sia accertata la presenza degli elementi caratterizzanti il diritto in discorso. A tal proposito deve rilevarsi che risulta in particolare, inderogabile il requisito della predialita’ che esprime il principio di cooperazione fondiaria, esaltando il principio della possibile ordinaria “deviazione di inutilita’ da un fondo ad un altro, allo scopo di valorizzare – con funzione “servente” – una determinata proprieta’ immobiliare.
Il principio di tipicita’ legale necessaria dei diritti reali si traduce nella regola secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali al di fuori di quelle previste dalla legge e – secondo il recente orientamento espresso dalle Sezioni unite (con la sentenza n. 28972/2020, con la quale e’ stato affermato che proprio per effetto dell’operativita’ del principio appena richiamato e’ da ritenere preclusa la pattuizione avente ad oggetto l’attribuzione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” di una porzione condominiale) – tale caratterizzazione e’ supportata anche degli argomenti secondo i quali: – l’articolo 1322 c.c., colloca nel comparto contrattuale il principio dell’autonomia; – l’ordinamento mostra di guardare sotto ogni aspetto con sfavorevole a limitazioni particolarmente incisive del diritto di proprieta’; – l’articolo 2643 c.c., contiene un’elencazione tassativa dei diritti reali soggetti a trascrizione.
Sulla base di questa impostazione di fondo, quindi, so prospetta del tutto diversa l’ipotesi in cui la suddetta “utilitas” non sia destinata ad un altro fondo ma a vantaggio esclusivo di una determinata persona ed eventualmente a prescindere dalla qualita’ di proprietario o titolare di altro diritto reale.
A questo proposito si suole fare riferimento alla figura delle “servitu’ irregolari”, le quali, come e’ noto, non sono menzionate nel codice civile e che concernemente dottrina e giurisprudenza escludono dal novero dei diritto reali e che, invece sono riconducibili – sul piano pratico – a quelle convinzioni che hanno ad oggetto limitazioni della proprieta’ del fondo altrui a beneficio, pero’, di un certo soggetto.
La migliore dottrina ha asserito che la configurabilita’ delle servitu’ personali avrebbe, infatti, determinato la presenza nel sistema di una figura (Ndr: testo originale non comprensibile), difettante dell’essenza stessa della servitu’, ovvero della connotazione fondamentale della predialita’. Si e’, pero’, aggiunto che tale disconoscimento non ne ha significato, tuttavia, l’espunzione dall’ordinamento, ma semplicemente una riqualificazione in termini di rapporto obbligatorio, che, in alcun modo, legittima il riconoscimento di una categoria propria di “servitu’ atipiche”.
Con riferimento all’istituto delle “servitu’ irregolari” si contendono il campo, nella giurisprudenza di questa Corte, due orientamenti:
– un primo indirizzo ha stabilito che le convenzioni costitutive di servitu’ “personali” o “irregolari”, aventi come contenuto limitazioni della proprieta’ del fondo altrui a beneficio di un determinato soggetto e non di un diverso fondo, devono ritenersi disconosciute dal codice vigente, come da quello abrogato del 1865, essendo dirette a realizzare un interesse non meritevole di tutela perche’ concretizzantesi in una mera comodita’, del tutto personale, di coloro che accedono al preteso fondo servente, ma non in un’utilita’ oggettiva, pur se indiretta, del fondo dominante (cfr. Cass. n. 2233/1951, Cass. n. 16342/2002; Cass. n. 23708/2014 e Cass. n. 5603/2019);
– un secondo indirizzo ha ritenuto che in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’articolo 1322 c.c., e’ consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicita’ dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori; pertanto, invece di prevedere l’imposizione di un peso su un fondo (servente) per l’utilita’ di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una “qualitas fundi”, le parti ben possono pattuire un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilita’ fondiaria (v. Cass. n. 1387/1981; Cass. n. 2651/2010, Cass. n. 8363/2011 e Cass. n. 3091/2014).
Ad avviso del collegio sussistono ragioni preferenziali che fanno propendere per l’adesione a questo secondo orientamento, a condizione, pero’, che l’obbligo personale derivante dalla “servitu’ irregolare” non risulti caratterizzato da un vincolo permanente nel tempo.
Le servitu’ irregolari possono, quindi, essere ritenute ammissibili in quanto siano configurate come il frutto di rapporti obbligatori atipici, e, quindi, come figure che rinvengono una loro legittimazione generale nel principio essenziale della libera iniziativa economica privata, nel riconoscimento della proprieta’ privata e delle correlate facolta’, nonche’, piu’ specificamente, nel principio dell’autonomia negoziale, che consente, entro i limiti imposti dalla legge, con particolare riferimento al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela (ai sensi dell’articolo 1322 c.c., comma 2), la costituzione di diritti personali a contenuto obbligatorio che conferiscono ad un determinato soggetto la facolta’ di ritrarre apposite utilita’ dal fondo di proprieta’ altrui esclusivamente per il perseguimento di un vantaggio della persona o delle persone riportate nel relativo atto costitutivo, ma senza il conseguimento di un’utilita’ fondiaria in senso proprio. Da qui la conseguenza che nell’ipotesi di “servitu’ irregolare”, cosi’ come appena inquadrata, non e’ data, per la sua tutela, “actio in rem”, ma solo quella inerente al rapporto di natura obbligatoria in caso db inadempimento.
Il complesso di argomentazioni che precedono – dal quale discende l’incasellamento dell’istituto della “servitu’ irregolare” nell’ambito dei rapporti obbligatori atipici con esclusione di ogni connotato di realita’ – conduce, ad avviso del collegio, a riconoscere necessariamente allo stesso un carattere temporaneo, dovendosi considerare estranea al nostro ordinamento ed incompatibile con l’altrui diritto di proprieta’ la concezione di un’obbligazione personale di natura perpetua (che – se conclusa – sarebbe nulla), in quanto “disintegrerebbe” in modo temporalmente indefinito il diritto di proprieta’ dal suo contenuto economico (in tali termini si era pronunciata gia’ la risalente Cass. n. 1056/1050, seguita, successivamente, da Cass. n. 4530/1984 e, piu’ recentemente, da Cass. n. 193/2020), eliminandone la facolta’ essenziale di poter godere pienamente del bene che ne costituisce oggetto.
Anche in ambito successorio si e’ sostenuto che l’attribuzione patrimoniale gratuita di un bene con vincolo perpetuo di destinazione imposto dal disponente con clausola modale, e’ nulla per violazione dell’articolo 1379 c.c., risultando eccessivamente compromesso il diritto di proprieta’ dell’onerato, i cui poteri dispositivi sul bene destinato a circolare, a pena di inadempimento, con il medesimo vincolo risulterebbero sostanzialmente sterilizzati “sine die” (cfr. Cass. n. 15240/2017).
Alla stregua del riferito impianto argomentativo non puo’, percio’, essere recepito il contrario principio sostenuto da un minoritario orientamento di questa Corte (manifestatosi, soprattutto, con la risalente sentenza n. 1911/1969), secondo cui, nell’esercizio del loro potere di autonomia, le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto in relazione anche alla durata di esso, nei limiti imposti dalla legge, la quale, in effetti, spesso limita la durata dei contratti tipici da essa regolati, ma, ove limiti non ne siano stabiliti, il contratto obbligatorio puo’ essere anche voluto dai contraenti come perpetuo (tesi, questa, peraltro sostenuta anche da autorevole dottrina).
Deve, quindi, affermarsi l’applicabilita’, nel nostro ordinamento, del principio della generale inammissibilita’ delle obbligazioni perpetue, il quale non consente ai soggetti la possibilita’ di vincolarsi senza alcun termine. Per converso, in consonanza con la prevalente dottrina, la perpetuita’ del diritto si giustifica soltanto dove non si ponga un problema di soggetti vincolati a tempo indeterminato, per essere, invece, questa la ragione essenziale dell’illimitatezza temporale della proprieta’.
La stessa predominante dottrina, cui accede anche la prevalente giurisprudenza di questa Corte (cfr. la gia’ citata Cass. n. 1056/1950 e, per applicazioni pratiche, Cass. n. 3286/2002 e Cass. n. 26863/2008), considera, del resto, come immanente nel nostro sistema civilistico – quale espressione del generale canone della c.d. buona fede esecutiva di cui all’articolo 1375 c.c. – la possibilita’ dell’assoluta liberta’ di recedere da un contratto di durata quando le parti non abbiano previsto un termine, in tal senso riconoscendosi una piena legittimazione all’affermazione del principio generale di recedibilita’ dai contratti a tempo indeterminato, il quale e’ preposto alla tutela del debitore contro l’indefinita protrazione del vincolo ove la condotta imposta consista nello svolgimento di un’attivita’ o nell’astenersi da essa.
Cio’ posto e ritornando all’esame specifico del secondo motivo del ricorso, gia’ si e’ evidenziato che con esso il ricorrente non contesta la qualificazione giuridica – di “servitu’ irregolare” – attribuita al rapporto intercorso tra le parti, ma, sulla base della illustrata ricostruzione di tale istituto, ha invocato l’applicabilita’ della tutela contrattuale derivante dall’inadempimento degli accordi da parte del (OMISSIS), in tal senso correttamente denunciando la violazione degli articoli 1218, 1175 e 1176 c.c..
Coglie, quindi, nel segno il motivo laddove censura i’impugnata sentenza nella parte in cui, dopo aver ricondotto la concreta fattispecie nell’ambito della “servitu’ irregolare”, ha escluso il carattere provvisorio e temporaneo dell’accordo “osservando che sarebbe stato ben poco plausibile consentire solo in via temporanea la realizzazione di un’opera infissa al suolo”, ovvero del pozzetto di scolo (v. pag. 5 della relativa motivazione).
Ragionando in tal modo, infatti, la Corte territoriale – confermando sul punto la decisione di prime cure – ha erroneamente inscritto la suddetta servitu’, qualificata come irregolare, nell’ambito di un quadro connotato da profili di realita’, cosi’ facendone derivare, a carico del (OMISSIS), l’assunzione di un’obbligazione comportante una limitazione della sua proprieta’ senza alcun termine per il conseguimento di un diretto vantaggio del (OMISSIS) e non gia’ a favore del suo fondo.
Pertanto, il ricorrente, nel prospettare la violazione delle disposizioni che regolano l’inadempimento contrattuale (propriamente riconducibile alla natura obbligatoria degli impegni assunti dalle parti in dipendenza della costituzione di una servitu’ irregolare), ha esattamente confutato l’impugnata sentenza, non avendo la Corte trentina valutato propriamente la condotta del (OMISSIS) in relazione agli accordi – per l’appunto obbligatori conclusi tra le parti e con riferimento alla possibile violazione delle norme denunciate (ed “in primis” dell’articolo 1218 c.c.), conferendo, invece, una connotazione reale alla concreta fattispecie, di per se’ – per quanto precedentemente chiarito – incompatibile con la natura da riconoscersi alla “servitu’ irregolare”, escludendo il carattere provvisorio e temporaneo dell’obbligazione di cui si era fatto carico il (OMISSIS).
6. Per tutte le argomentazioni complessivamente svolte, il secondo motivo merita accoglimento, con il conseguente assorbimento del terzo (afferente ad un aspetto dipendente relativo alla reclamata diversa qualificazione dell’azione proposta dallo stesso ricorrente).
Da cio’ deriva la cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, che, nel rivalutare la fattispecie concretamente dedotta in giudizio, si uniformera’ al seguente principio di diritto: “la c.d. servitu’ irregolare – in dipendenza della tipicita’ dei diritti reali che costituiscono, nel loro complesso, un “numerus clausus” e che sono idonei a determinare anche un vincolo fondiario perpetuo – comporta l’insorgenza di un rapporto obbligatorio tra le parti, siccome avente la funzione di determinare una situazione di vantaggio a favore di un soggetto e non a realizzare uno scopo di utilita’ per un fondo (dominante) con l’imposizione di un peso su un altro fondo (servente), ragion per cui il suddetto rapporto va ritenuto incompatibile con la previsione di un obbligo di natura permanente a carico della parte che deve adempierlo, dovendo esso caratterizzarsi per la necessaria temporaneita’ del vincolo che ne deriva”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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