Corte di Cassazione, sezione terza penale,
Sentenza 21 agosto 2019, n. 36309.
Massima estrapolata:
La sentenza non definitiva della commissione tributaria che annulla per vizio formale la cartella relativa ad omessi versamenti iva non fa venir meno la pretesa erariale con la conseguenza che il sequestro preventivo operato in sede penale è legittimo. Solo un provvedimento di sgravio dell’ente impositore, infatti, rappresentando la rinuncia al tributo, può giustificare l’annullamento della misura cautelare.
Sentenza 21 agosto 2019, n. 36309
Data udienza 13 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – rel. Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 05/11/2018 del Tribunale di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CERRONI Claudio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso
udito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 5 novembre 2018 il Tribunale di Messina, quale Giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha rigettato l’appello proposto per conto di (OMISSIS), indagato per il reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10-ter in qualita’ di legale rappresentante della s.r.l. (OMISSIS), nei confronti dell’ordinanza del 5 marzo 2018 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha rigettato la richiesta di revoca, totale o parziale, del sequestro preventivo per equivalente a suo tempo disposto fino a concorrenza di Euro 383.246,00.
2. Avverso il predetto provvedimento e’ stato proposto ricorso per cassazione con un motivo di impugnazione.
2.1. In particolare, il ricorrente ha eccepito vizio di motivazione e violazione di legge, dal momento che andava censurata l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui non era venuta meno la pretesa fiscale ancorche’ fosse stata annullata, per vizio formale, la cartella di pagamento in esito a giudizio tributario.
Al contrario, erano invece venuti meno il profitto ed il prezzo del reato, e quindi il presupposto della misura cautelare.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilita’ del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso e’ inammissibile.
4.1. In relazione al motivo d’impugnazione proposto, e’ stato correttamente rilevato ad es. che il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non e’ configurabile, e non e’ quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della Commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015, Lombardi Stronati, Rv. 264789).
Siffatto sgravio, infatti, renderebbe privo di qualsiasi giustificazione “allo stato” (secondo la peculiare natura del giudizio cautelare, necessariamente rebus sic stantibus) il mantenimento del sequestro in assenza di qualsivoglia “attuale” pretesa erariale, sembrando non esservi infatti nell’attualita’ nulla da salvaguardare a seguito non solo dell’annullamento degli avvisi di accertamento ma anche del conseguente provvedimento di “sgravio” del debito tributario, cio’ che manifesterebbe l’assenza, appunto, attuale, di pretese erariali, rendendo quindi illegittimo il sequestro funzionale alla confisca per equivalente di un profitto, in atto, inesistente (cosi’, in motivazione, Sez. 3 n. 39187 cit.).
E’ noto, al riguardo, che lo sgravio e’ qualcosa di completamente diverso dall’annullamento della cartella da parte di un giudice o dello stesso agente della riscossione, dal momento che esso proviene dall’ente impositore il quale, in tal modo, formalizza la cancellazione della propria pretesa.
Il provvedimento di sgravio fiscale emesso dall’Agenzia delle Entrate ha invero natura di atto pubblico fidefacente, ed e’ costitutivo dell’effetto di estinzione del debito erariale (Sez. 5, n. 34912 del 07/03/2016, Machi’, Rv. 267832).
In specie, esso non risulta essere intervenuto.
4.1.1. Cio’ posto, il ricorso, che invece deduce il venire meno della pretesa tributaria traendo spunto dalla decisione della Commissione tributaria di Messina, la quale aveva annullato la cartella di pagamento anche relativamente all’imposta sul valore aggiunto non versata per l’anno 2013, non si confronta col contenuto del provvedimento impugnato.
In proposito infatti era stato dato atto che l’annullamento era intervenuto per un vizio formale del procedimento, e che cio’ non esplicava appunto influenza sulla pretesa creditoria dell’Amministrazione finanziaria.
4.1.2. La considerazione si presenta del tutto assorbente, e rende manifestamente infondata l’impugnazione.
5. Ne consegue l’inammissibilita’ del ricorso.
Tenuto altresi’ conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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