La sentenza che dichiara l’improcedibilità dell’azione penale

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 12 maggio 2020, n. 14690.

Massima estrapolata:

La sentenza che dichiara l’improcedibilità dell’azione penale o l’estinzione del reato, se pronunciata in pubblica udienza dopo la costituzione delle parti, va comunque considerata come sentenza dibattimentale ed è, pertanto, soggetta all’appello, qualunque sia il “nomen iuris” attribuitole dal giudice.

Sentenza 12 maggio 2020, n. 14690

Data udienza 21 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Falso ideologico in atto pubblico – Testamento pubblico e atto di donazione – False attestazioni – Prescrizione del reato – Sentenza dibattimentale e predibattimentale – Differenze – Casi consentiti – Appellabilità – Limitata alla sola sentenza dibattimentale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PEZZULLO Rosa – Presidente

Dott. CATENA Rossella – Consigliere

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – rel. Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/02/2019 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Michele Romano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Filippi Paola, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali e la conferma delle statuizioni civili;
udito il difensore del ricorrente, avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce ha riformato la sentenza del 23 giugno 2015 del Tribunale di Lecce – emessa in pubblica udienza e dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti, ma prima della dichiarazione di apertura del dibattimento – che, invocando l’articolo 129 c.p.p., ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per due delitti di falso ideologico in atto pubblico perche’ estinti per prescrizione, escludendo l’aggravante di cui all’articolo 476 c.p., comma 2.
La Corte di appello, dopo avere proceduto all’istruttoria dibattimentale, ha affermato la penale responsabilita’ del (OMISSIS) per i due delitti di falso ideologico in atto pubblico aggravato ai sensi dell’articolo 476 c.p., comma 2, e, applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante e ritenuta la continuazione tra i reati, lo ha condannato alla pena di giustizia, nonche’ al risarcimento del danno in favore della parte civile (OMISSIS), e ha dichiarato la falsita’ degli atti.
Al (OMISSIS) si contesta di avere, in qualita’ di notaio, falsamente attestato in un testamento pubblico ed in un atto di donazione di avere ricevuto da (OMISSIS) dichiarazioni a lui in realta’ non rese, in quanto il (OMISSIS) era infermo di mente ed incapace di manifestare alcuna delle volonta’ riportate dal (OMISSIS) in tali atti, redatti in data 31 marzo 2006.
2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’articolo 469 c.p.p. e mancanza di motivazione in ordine al rigetto dell’eccezione, sollevata dal ricorrente nel secondo grado di giudizio, di inammissibilita’ dell’appello per essere la sentenza di primo grado stata emessa ai sensi della disposizione appena citata.
Nel corso del giudizio di secondo grado era stata eccepita l’inammissibilita’ degli appelli proposti dal Pubblico ministero e dalla parte civile avverso la sentenza del Tribunale in quanto emessa ai sensi dell’articolo 469 c.p.p. dopo che il Giudice aveva controllato la regolare costituzione delle parti e avere sentito queste ultime in ordine alla maturazione dei termini di prescrizione, ma senza che fosse stato dichiarato aperto il dibattimento e senza acquisire atti o richieste delle parti.
La Corte di appello aveva rigettato l’eccezione sulla base di un precedente di legittimita’ (Sez. 2, n. 2153 del 16/12/2016, dep. 2017, Vicario, Rv. 269002) che aveva escluso che la sentenza impugnata – con la quale, in pubblica udienza e dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti e dopo che era stato dichiarato chiuso il dibattimento, era stato applicato l’articolo 129 c.p.p., depennando in dispositivo la menzione dell’articolo 469 c.p.p. – integrasse una sentenza predibattimentale.
In realta’, nella giurisprudenza della Corte di cassazione si contrappongono due orientamenti. Un primo orientamento individua il termine finale per la pronuncia della sentenza predibattimentale nell’accertamento della regolare costituzione delle parti, ove effettuato in pubblica udienza. Un secondo orientamento ammette che la sentenza ex articolo 469 c.p.p. possa essere emessa in pubblica udienza e dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti, purche’ prima della dichiarazione di apertura del dibattimento; il discrimine e’ costituito esclusivamente dalla dichiarazione di apertura del dibattimento e le sentenze pronunciate prima di questo momento sono sempre predibattimentali ed inappellabili.
Il ricorrente sostiene la esattezza di questo secondo orientamento, sulla base delle ragioni espresse in altro precedente di questa Corte di cassazione (Sez. 5, n. 19517 del 15/04/2016, Zennaro, Rv. 267241), che trovano supporto in altra decisione delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 3027 del 19/12/2001, dep. 2002, Angelucci, Rv. 220555) e la conseguente inappellabilita’ della sentenza, pur quando emessa al di fuori dei casi previsti dalla citata disposizione.
La Corte di appello, nell’appoggiare il primo orientamento, non aveva spiegato le ragioni della sua scelta e la motivazione doveva ritenersi apparente.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione in ordine alle condizioni psicofisiche di (OMISSIS) al momento della stipula degli atti pubblici ed all’accertamento, da parte del notaio, della capacita’ di intendere e di volere del cliente, nonche’ sul dolo del reato.
La Corte di appello aveva affermato che l’accertamento della volonta’ negoziale del (OMISSIS) implicasse un’attivita’ preliminare di interlocuzione con il testatore che aveva reso agevole la comprensione della sua incapacita’ di intendere e volere. In realta’ l’esperienza insegna che tale accertamento non e’ sempre agevole, anche perche’ periodi in cui il soggetto e’ incapace possono alternarsi con periodi in cui e’ pienamente capace. Non puo’ addossarsi al notaio la responsabilita’ e l’onere di accertare se il soggetto che gli chiede di stipulare un atto sia capace di intendere e volere.
Per affermare la penale responsabilita’ del notaio occorreva accertare che al momento di stipula dell’atto fosse evidente l’incapacita’ del (OMISSIS). La Corte di appello aveva ritenuto provata tale circostanza sulla base della documentazione medica in atti e della interpretazione di tali documenti fornita dai consulenti medico-legali del Pubblico ministero.
In realta’ la documentazione medica era di due anni anteriore alla stipula degli atti e non descriveva quali fossero le condizioni del (OMISSIS) al momento in cui sarebbero stati commessi i delitti contestati.
Inoltre, la stessa Corte di appello aveva affermato che le condizioni di salute del (OMISSIS) non escludevano “intervalli di lucidita’” anche se “con frequenza molto bassa” e non poteva quindi escludersi che il (OMISSIS) avesse dichiarato al notaio le sue volonta’ negoziali in uno di tali intervalli.
Ne’ la penale responsabilita’ del notaio poteva essere affermata, come invece sostenuto nella sentenza impugnata, sol perche’ non erano state effettuate, in prossimita’ della redazione degli atti pubblici, autonome indagini cliniche sulla capacita’ di intendere e di volere del (OMISSIS), poiche’ in tal modo si determinava un’inversione dell’onere della prova.
Inoltre, la Corte di appello aveva travisato la deposizione del testimone (OMISSIS), il quale, all’udienza del 16 marzo 2018, aveva riferito che, per ragioni tecniche, occorsero ben due incontri con il (OMISSIS), il quale si relazionava tranquillamente con il notaio e, pur avendo difficolta’ nell’esprimersi, si faceva comprendere. Il (OMISSIS) aveva dichiarato che il (OMISSIS), pur presentando menomazioni fisiche che lo costringevano su una sedie a rotelle e gli impedivano di vergare la sua sottoscrizione, era lucido e che la sua volonta’ di stipulare gli atti pubblici sussisteva.
Il testimone ha affermato anche che il notaio aveva accertato che il (OMISSIS) avesse compreso il contenuto dell’atto.
Inoltre, la Corte di appello aveva travisato il certificato medico redatto in data 22 febbraio 2006 da (OMISSIS), medico curante del (OMISSIS), e la deposizione testimoniale di quest’ultimo.
Nel certificato si attestava che il (OMISSIS) era affetto da emiparesi destra e che tuttavia egli conservava intatte le sue capacita’ mentali e cognitive.
La Corte aveva ritenuto l’attestazione non idonea a certificare che il (OMISSIS) si trovasse in un “lucido intervallo” in quanto il (OMISSIS) si era dichiarato non in possesso di cognizioni scientifiche che potessero supportare scientificamente la possibilita’ che una grave demenza regredisse.
Tuttavia, la Corte di appello non aveva ritenuto falso il certificato, tanto che essa aveva omesso di disporre la trasmissione degli atti al Pubblico ministero affinche’ procedesse a carico del (OMISSIS) per il reato di falsa testimonianza.
Se, allora, il (OMISSIS), che era medico, si era limitato a commettere un errore di valutazione, non era dato comprendere le ragioni per cui tale errore non potesse essere stato commesso anche dal (OMISSIS), che medico non era, in occasione della stipula degli atti pubblici. Per tale ragione la motivazione risultava illogica in ordine alla sussistenza del dolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non e’ inammissibile ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, sicche’ non e’ precluso a questa Corte rilevare e dichiarare cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p. (Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. 4, n. 31344 del 11/06/2013, Petito).
2. Per il reato per cui e’ processo, invero, e’ decorso, successivamente alla sentenza impugnata, il termine massimo di prescrizione. Il reato e’ stato commesso in data 31 marzo 2006 e, poiche’ la pena edittale e’ pari ad anni dieci, il termine massimo, ai sensi dell’articolo 161 c.p.p., comma 4, e’ pari ad anni dodici e mesi sei, al quale bisogna aggiungere un periodo complessivo di sospensione pari a mesi sette.
3. Tanto premesso, si osserva che il primo motivo di ricorso non e’ manifestamente infondato – in relazione al tema della natura della sentenza pronunciata in pubblica udienza, nella fase degli atti introduttivi e, comunque, prima della apertura del dibattimento – con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere il reato ascritto all’imputato estinto per prescrizione.
Invero, nel caso di specie la sentenza del Tribunale e’ stata emessa in udienza pubblica, dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti, ma prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Nel modulo prestampato attraverso la cui compilazione e’ stato redatto il verbale di udienza la dicitura “Il Giudice dichiara aperto il dibattimento” e quella in cui si da’ atto della lettura in udienza del capo di imputazione risultano depennate.
In merito alla natura della sentenza in pubblica udienza e dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti sussistono due orientamenti nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione.
Secondo un primo orientamento (Sez. 5, n. 19517 del 15/04/2016, Zennaro, Rv. 267241; Sez. 2, n. 8667 del 07/02/2012, Raciti, Rv. 252481) – la sentenza pronunciata in pubblica udienza, nella fase degli atti introduttivi e, comunque, prima della apertura del dibattimento, e’ a tutti gli effetti predibattimentale e inappellabile, anche se deliberata al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, in quanto il termine finale utile per la pronuncia della sentenza di proscioglimento ex articolo 469 c.p.p. sarebbe quello che precede la dichiarazione di apertura del dibattimento, che segna il passaggio irreversibile dalla fase degli atti introduttivi del dibattimento al dibattimento vero e proprio (Sez. 6, n. 5387 del 09/03/1999, Mina).
Secondo un diverso orientamento che questa Corte ritiene di condividere, la sentenza pronunciata in udienza pubblica e dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti non puo’ essere qualificata come predibattimentale (Sez. 1, n. 25121 del 15/04/2003, Morrone, Rv. 224695; Sez. 4, n. 48310 del 28/11/2008, Pensalfini, Rv. 242394; Sez. 1, n. 48124 del 03/12/2008, Piscitello, Rv. 242486; Sez. 2, n. 51513 del 04/12/2013, Di Marco, Rv. 258075) soprattutto nel caso di specie, in cui il Tribunale, onde affermare la estinzione del reato per prescrizione, ha previamente escluso l’aggravante di cui all’articolo 476 c.p., comma 2, ritenendola insussistente.
Questa Corte di cassazione ha in piu’ occasioni affermato che ove la sentenza – anche laddove dichiari l’improcedibilita’ dell’azione penale o l’estinzione del reato – sia pronunciata in pubblica udienza, dopo le formalita’ di verifica della costituzione delle parti, essa deve considerarsi come sentenza dibattimentale ed e’, pertanto, soggetta all’appello, a prescindere anche dal nomen iuris attribuitole (Sez. 2, Sentenza n. 48340 del 17/11/2004, Carducci, Rv. 230535; Sez. 2, n. 51513 del 04/12/2013, Di Marco, Rv. 258075; Sez. 2, n. 2153 del 16/12/2016, dep. 2017, Vicario, Rv. 269002).
Inoltre, la sentenza predibattimentale e’ prevista per i casi in cui l’azione penale non puo’ essere iniziata o proseguita nonche’ nell’ipotesi della sussistenza di una causa estintiva del reato – sempre che per accertarlo non sia necessario procedere ai dibattimento – salvo quanto previsto dall’articolo 129 c.p.p., comma 2, vale a dire ferma restando la regola del proscioglimento nel merito, in presenza di una causa estintiva del reato, ove dagli atti risulti la innocenza dell’imputato.
Nel caso di specie il Tribunale non ha affermato che il reato, per come contestato – ossia con l’aggravante di cui all’articolo 476 c.p., comma 2 -, era estinto per prescrizione, ma, onde pervenire alla dichiarazione di estinzione del reato, ha dovuto previamente escludere l’aggravante, operando una specifica valutazione del merito sulla base di quanto risultava dagli atti del processo, il che esclude che tale decisione integri una sentenza predibattimentale.
4. Il secondo motivo e’ inammissibile.
Il motivo di ricorso e’ manifestamente infondato laddove si lamenta il travisamento della deposizione del teste (OMISSIS) e del certificato del Dott. (OMISSIS), in quanto dalla sentenza della Corte di appello risulta chiaramente che la Corte territoriale ha ritenuto inattendibili sia il teste (OMISSIS), in quanto coinvolto nella vicenda per essere un dipendente dello studio notarile, sia il certificato del (OMISSIS), in quanto contrastante con altro precedente certificato dello stesso sanitario, che ha ammesso di non possedere conoscenze specifiche che gli consentissero di sostenere scientificamente che una grave demenza senile potesse regredire.
La Corte di appello non ha tenuto conto delle prove sopra indicate non perche’ ha omesso di valutarle o perche’ ha mal percepito il loro significato, ma perche’ ha ritenuto inattendibili e non credibili coloro dai quali provenivano le dichiarazioni raccolte nel verbale di udienza e nel certificato medico.
Nel resto il motivo di ricorso, sebbene presentato come diretto a lamentare la illogicita’ della motivazione, e’ volto a sollecitare un nuovo giudizio di merito, non consentito in questa sede.
Il controllo di logicita’ del giudizio di fatto non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realta’, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilita’ per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa.
5. Ai sensi dell’articolo 578 c.p.p., la estinzione del reato per prescrizione intervenuta dopo la sentenza di primo grado non travolge le statuizioni civili, in relazione alle quali il ricorso del (OMISSIS) deve essere rigettato, in considerazione della infondatezza del primo motivo e della inammissibilita’ del secondo motivo di ricorso.
6. Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione, mentre agli effetti civili il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata per essere il reato ascritto all’imputato estinto per intervenuta prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili.

 

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