La scriminante dello stato di necessità

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|21 giugno 2021| n. 24255.

La scriminante dello stato di necessità è configurabile a condizione che l’agente non abbia altra scelta all’infuori di quella di subire il conseguente danno o di porre in essere l’azione che gli si imputa come reato e sempre che tra il pregiudizio temuto e l’azione di difesa sussista un giusto rapporto di proporzione. (Fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità della scriminante di cui all’art. 54 cod. pen. con riferimento alle condotte di sevizie e di torture perpetrate da un soggetto ristretto in un campo di prigionia per migranti che, per ottenere la sua liberazione ed un miglior trattamento, aveva collaborato con i carcerieri ponendo in essere gravi condotte criminose in danno di altri prigionieri, sul presupposto della ritenuta insussistenza della mancanza di alternativa alla commissione delle crudeli vessazioni, nonché della sproporzione tra il pericolo paventato e le indicibili crudeltà commesse).(Conf., Sez. 4, n. 8471 del 1973, Rv. 125559-01)

Sentenza|21 giugno 2021| n. 24255. La scriminante dello stato di necessità

Data udienza 16 marzo 2021

Integrale

Tag – parola: Concorso in associazione per delinquere e in rapina – Stato di necessità – Presupposti – Aggravante di cui al comma 3 dell’art. 630 cp – Omessa individuazione della condotta del concorrente per assenza dell’imputato ai fatti – Rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente

Dott. CAPOZZI Ange – rel. Consigliere

Dott. APRILE Ercole – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedetto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/7/2020 della Corte di assise di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente CAPOZZI Angelo;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale CIMMINO Alessandro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore dell’imputato avv. (OMISSIS) che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
lette le conclusioni delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), avv. (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso;
In procedimento svolto ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, commi 8 e 9, conv. in L. 18 dicembre 2020, n. 176.

La scriminante dello stato di necessità

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Palermo, a seguito di gravame proposto dall’imputato (OMISSIS) avverso la sentenza emessa il 16 luglio 2019 dalla locale Corte di assise, in parziale riforma della decisione, previa riqualificazione del delitto di cui al capo 1 (articolo 416 c.p.) ai sensi dell’articolo 110-416 c.p., ha rideterminato la pena inflitta all’imputato riconosciuto colpevole del predetto reato e di quello di cui al capo 2) (articolo 110 c.p., articolo 630 c.p., comma 3).
2. Le vicende oggetto del procedimento riguardano il coinvolgimento dell’imputato in un contesto associativo criminale che gestiva nella citta’ libica di Sabha un grande campo di prigionia chiamato il “ghetto di (OMISSIS)” dove venivano sequestrati, picchiati e torturati centinaia di uomini e donne provenienti per lo piu’ da paesi dell’Africa sub-sahariana che giungevano nel paese cirenaico per migrare verso paesi Europei e che, in cambio della loro liberazione, erano costretti a pagare all’organizzazione criminale delle somme di denaro di importo variabile. All’imputato e’ stato, altresi, contestato il concorso nel sequestro di persona a fini estorsivi di soggetti che per i maltrattamenti e le torture ricevuti sono deceduti.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, con atto del difensore, deduce:
3.1. Con il primo motivo, violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3 e articolo 546 c.p.p. e vizio cumulativo della motivazione in relazione alla dedotta mancanza di autonoma motivazione della sentenza di primo grado,frutto della trasposizione mediante tecnica del “copia-incolla” della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo nei confronti dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), la cui posizione e’ stata definita con rito abbreviato e che non poteva dirsi richiamata per relationem non essendo ne’ indicata ne’ disponibile agli atti. La Corte di assise di appello, pur riconoscendo la presenza di dati non pertinenti al processo e verosimilmente tratti da altri provvedimenti (provvedimenti de libertate o sentenza GUP del Tribunale di Palermo) ha comunque erroneamente ritenuto l’autonomia delle argomentazioni della prima sentenza.
3.2. Con il secondo motivo, vizio cumulativo della motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza dello stato di necessita’ in capo all’imputato, desumibile dalle stesse dichiarazioni delle due persone offese per le quali anche l’imputato era stato segregato e, poiche’ non disponeva dei soldi per conseguire la liberazione, era stato costretto a “lavorare” per l’organizzazione. In tal modo si profilava l’alternativa di collaborare con i carcerieri ponendo in essere azioni contra jus oppure rimanere sotto costrizione fisica e psicologica in uno stato di segregazione continuando a subire le torture. La Corte ha omesso di considerare tale spunto narrativo in sede di esame della deduzione difensiva in appello sulla sussistenza dello stato di necessita’. Inoltre, contraddittoriamente – da un lato – considera che la liberazione senza pagare il riscatto e’ stata la remunerazione per le prestazioni rese e – dall’altro – stigmatizza il perseguimento di un meschino utilitaristico fine da parte dell’imputato.

 

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Illogico e’ poi l’assunto secondo il quale l’imputato avrebbe potuto scegliere i compiti da svolgere all’interno del campo di prigionia, posto che anche la parte offesa (OMISSIS), che si e’ rifiutato di collaborare, avrebbe potuto fare la stessa cosa piuttosto che subire le torture. Ancora, illogico e’ l’assunto secondo il quale l’imputato avrebbe perpretrato le indicibili violenze e torture anche durante l’assenza dal campo dell'(OMISSIS) e dell'(OMISSIS), posto che l’imputato risultava senza soluzione di continuita’ sotto costrizione fisica e psicologica e costantemente sotto minaccia anche per la presenza dell’altro personaggio ((OMISSIS)), anch’egli carceriere, indicato dal teste (OMISSIS) durante le assenze degli altri carcerieri. Infine, risulta travisata anche la circostanza secondo la quale l’imputato svolgeva l’attivita’ di barbiere nel campo, partendo la Corte da una premessa errata (secondo cui il barbiere non era l’imputato) giungendo erroneamente ad affermare che l’imputato avrebbe potuto servire l’organizzazione con compiti diversi quali, per l’appunto, quella di barbiere.
3.3. Con il terzo motivo si deduce erronea applicazione dell’articolo 630 c.p., comma 3, e vizio cumulativo della motivazione in relazione alla affermazione di responsabilita’ in ordine al reato di cui al capo 2). La Corte parte da una premessa errata secondo la quale l’imputato aveva assistito ad alcuni tragici pestaggi con conseguenze letali, esclusa dalle testimonianze che – invece – hanno escluso la presenza dello stesso imputato durante le azioni omicidiarie; quanto alle morti per inedia le relative circostanze sono riferite dai testi che, a loro volta, dicono di averle apprese da altri senza poter collocare nel tempo i fatti.
3.4. Con il quarto motivo, si deduce inosservanza dell’articolo 114 c.p., in relazione al diniego della circostanza, nonostante il primo Giudice avesse individuato nella condotta dell’imputato gli elementi tipizzanti la minima importanza dell’apporto di chi risulta una pedina in condizioni di completo asservimento e potendo gli organizzatori realizzare i loro scopi anche senza l’apporto dell’imputato, che potevano sostituire con altra persona.

 

La scriminante dello stato di necessità

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ in parte fondato, in relazione al terzo motivo.
2. Il primo motivo e’ manifestamente infondato, oltre che genericamente proposto rispetto alla ritenuta insussistenza del vizio dedotto in appello e, comunque, della inincidenza sulla posizione del ricorrente dell’utilizzo di parti della motivazione resa in altri provvedimenti.
Quanto alla dedotta mancanza di autonoma motivazione, deve essere ribadito che la sovrapponibilita’ della sentenza di primo grado rispetto all’ordinanza adottata in sede cautelare non implica di per se’ solo la nullita’ della sentenza, in quanto il requisito dell’autonoma valutazione, previsto a pena di nullita’ solo con riferimento all’ordinanza cautelare in coerenza con la sua natura di provvedimento “inaudita altera parte”, non e’ invece contemplato dall’articolo 546 c.p.p., sicche’ l’adesione acritica alla decisione adottata in fase cautelare potra’ integrare il vizio di mancanza di motivazione solo ove comporti la carente giustificazione delle ragioni cola’ accolte, anche sotto l’aspetto della omessa considerazione delle opposte ragioni emerse all’esito del contraddittorio (Sez. 6 n. 38060 del 04/04/2019, Ancora, Rv. 277286).
Quanto all’utilizzo di parti della sentenza emessa in altro procedimento separatamente definito nei confronti di coimputati, generica e’ la censura mossa dal ricorrente che non prospetta l’incidenza di tale utilizzo sulle ragioni poste a base della decisione nei confronti del ricorrente.

 

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3. Il secondo motivo e’ proposto per ragioni in fatto che non possono trovare accesso in sede di legittimita’.
Ritiene questo Collegio che la Corte di appello, senza incorrere in vizi logici e giuridici, ha escluso la ricorrenza dello stato di necessita’ condividendo il ragionamento svolto dalla prima sentenza, al quale il ricorrente muove la sostanziale censura in fatto della mancanza di alternativa in capo al ricorrente rispetto alla realizzazione delle condotte delittuose consistite, nell’ambito dei compiti di vigilanza demandatigli dai capi dell’organizzazione criminale, nelle sistematiche sevizie dei prigionieri con tubi di gomma e cavi elettrici, realizzazione di telefonate estorsive ai familiari dei prigionieri durante le quali i prigionieri venivano picchiati per rafforzare la portata intimidatoria delle minacce.
La sentenza impugnata incensurabilmente ha smentito la dedotta mancanza di alternativa sulla base del sinallagma intervenuto tra i capi della organizzazione ed il ricorrente che, nell’aderirvi, non risulta aver manifestato alcuna remora morale o umana, avendo conseguito anche un piu’ comodo alloggiamento nel campo usufruendo del servizio degli altri prigionieri; ancora, ha considerato le stesse parole del teste (OMISSIS), che aveva rifiutato di aderire alla proposta di collaborare con l’organizzazione criminale infierendo sui prigionieri; infine, non illogicamente ha valorizzato il protagonismo del ricorrente nella gestione del campo di prigionia, anche in assenza dei capi, espressione di particolare zelo e spietatezza e, per altro verso, la concreta possibilita’ per l’imputato di prestare la sua opera a vantaggio della organizzazione con compiti ben diversi da quelli che ha accettato a realizzare.

 

La scriminante dello stato di necessità

 

Ritiene questa Corte che la motivazione espressa dalla sentenza impugnata si colloca nell’ambito del consolidato orientamento secondo il quale perche’ sussista lo stato di necessita occorre che l’azione costituente reato sia determinata non solo dalla incombenza di un pericolo grave, cui l’agente non abbia dato causa, ma anche dalla imminenza e dalla attualita’ del pericolo stesso di guisa che l’agente medesimo non abbia, in quel momento, altra scelta all’infuori di quella di subire il conseguente danno o di porre in essere l’azione che gli si imputa come reato e sempre che tra il pregiudizio temuto e l’azione di difesa sussista un giusto rapporto di proporzione (Sez. 4, n. 8471 del 29/03/1973, De Cales, Rv. 125559) essendosi dato conto – da un lato – della possibile alternativa collaborativa del ricorrente alla commissione delle crudeli vessazioni dei prigionieri e – dall’altro – della sproporzione tra il pericolo paventato e le indicibili crudelta’ commesse dal ricorrente con protagonismo.
4. Il terzo motivo e’ fondato.
4.1. Il Giudice del merito ha affermato la responsabilita’ del ricorrente sul rilievo (v. pg. 30 della sentenza) della assoluta frequenza della morte dei prigionieri nel campo sia in conseguenza di violenze che dello stato di inedia in cui erano costretti a vivere e della notorieta’ della brutalita’ con la quale alcuni prigionieri erano stati uccisi, anche a monito degli altri, sia per costringerli a pagare che per prevene’ possibili tentativi di fuga. Ha rilevato, inoltre, che l’imputato risultava aver assistito ad alcuni tragici pestaggi con conseguenze letali, mostrando di condividere quel contesto di brutali violenze rendendosene parte attiva. In tal modo, secondo la corte palermitana, l’imputato ha accettato il rischio legato la verificarsi dell’evento morte dei prigionieri, causalmente determinato dal prevedibile sviluppo dell’azione che – per mesi – lui stesso e’ concorso a realizzare.

 

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4.2. Ritiene questo Collegio che il sillogismo fattuale – sostanzialmente in chiave probabilistica – svolto dal Giudice di merito per coinvolgere il ricorrente nella morte di alcuni prigionieri sia per le vessazioni cui erano stati sottoposti che a seguito dell’inedia, non possa essere condiviso in mancanza della individuazione del nesso specifico tra le condotte ascritte al ricorrente – di cui e’ esclusa qualsiasi partecipazione alle esecuzioni capitali – ed il decesso di prigionieri, nella specie neanche individuati – al di la’ di quello in relazione al quale il ricorrente ha assistito al pestaggio – incorrendosi, altrimenti, ben oltre una inammissibile responsabilita’ oggettiva ed in una violazione di quegli stessi principi di legittimita’ enunciati dallo stesso Giudice di merito,al fine di definire l’elemento psicologico del reato, che presuppongono ancor prima e necessariamente l’attribuzione all’agente della condotta sequestrante del soggetto di cui consegua la morte.
In altri termini, non puo’ stabilirsi la responsabilita’ per il reato aggravato in parola solo in ragione della condivisione da parte del ricorrente del generale contesto delittuoso – ed in base alla sola frequenza dei decessi dei prigionieri – in assenza della individuazione ed attribuzione a questi di una condotta riferita a soggetto determinato del quale si e’ verificata la morte, non verificata neanche in relazione all’unico episodio in cui si e’ individuata la vittima, posto che al ricorrente e’ stato addebitata la circostanza di aver soltanto assistito al pestaggio con esiti mortali.
5. Il quarto motivo e’ manifestamente infondato, oltre che genericamente proposto per ragioni non consentite nel prospettare il preteso trascurabile apporto del ricorrente perche’ sostituibile pedina del tutto assoggettata al comando dei capi.
Ritiene, invero, questa Corte che ineccepibile e’ esclusione da parte del Giudice di merito della assoluta marginalita’ dell’apporto del ricorrente – nella quale si sostanzia la attenuante in parola – considerando la sistematica e variegata condotta illecita di questi, posta in essere anche in assenza dei capi della organizzazione, nonche’ la sua diretta incidenza sulla condizione di assoggettamento delle vittime, strumentale al perseguimento del programma delinquenziale dell’associazione, in conformita’ all’orientamento di legittimita’ secondo il quale in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all’articolo 114 c.p., non e’ sufficiente una minore efficacia causale dell’attivita’ prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto e’ necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale cosi’ lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell'”iter” criminoso (Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P., Rv. 274037).

 

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6. In conclusione, la sentenza deve essere annullata limitatamente alla aggravante di cui all’articolo 630 c.p., comma 3, con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Palermo per nuovo giudizio. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’articolo 630 c.p., comma 3, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Palermo. Rigetta nel resto il ricorso.

 

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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