La ratio dell’art. 343 c.p.

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 28 novembre 2019, n. 48555

Massima estrapolata:

La ratio dell’art. 343 c.p. risiede nella tutela dello Stato nell’esercizio della funzione giudiziaria ed il bene giuridico presidiato consiste non tanto e non solo nell’onore e nel prestigio del magistrato, inteso quale persona fisica materialmente destinataria della contumelia, bensì, ed in primo luogo, nell’ordinato esercizio dell’amministrazione della giustizia da parte dello Stato – e per esso da parte dei magistrati che lo rappresentano in udienza. [Nel caso di specie è stata esclusa l’applicabilità della scriminante del diritto di critica in quanto le espressioni offensive e oltraggiose pronunciate durante la lettura del dispositivo della sentenza risultavano dirette a colpire il magistrato nell’esercizio delle sue funzioni].

Sentenza 28 novembre 2019, n. 48555

Data udienza 14 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere

Dott. AGLIASTRO Mirella – rel. Consigliere

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/12/2017 della Corte di appello di Caltanissetta;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa AGLIASTRO Mirella;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa FODARONI M. Giuseppina, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito l’avv. (OMISSIS), il quale ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza in data 14/12/2017, confermava la pronuncia emessa dal Tribunale monocratico di Caltanissetta in data 16/9/2015 nei confronti di (OMISSIS) imputato del reato di cui all’articolo 343 c.p., poiche’ aveva offeso l’onore ed il prestigio del rappresentante della Pubblica Accusa di udienza, nell’ambito di un procedimento che lo vedeva coautore di gravi reati.
In data 23/11/2013, al termine di una udienza penale svolta dinanzi la Quarta Sezione del Tribunale di Palermo per il delitto di tentato omicidio in danno di due cittadini extracomunitari per il quale veniva emessa pronuncia di condanna alla pena di anni 19 di reclusione a carico di (OMISSIS), si verificava un episodio di insulti e intolleranza nei confronti del P.M. di udienza, per il quale, per la rilevanza penale, si e’ proceduto a carico del predetto (OMISSIS).
Si era verificato, infatti, che alla lettura del dispositivo, i parenti iniziavano ad urlare ed inveire; il (OMISSIS), in particolare, rivolgeva espressioni ironiche nei confronti del Pubblico Ministero e, con la sua condotta intemperante, esorbitava i limiti del legittimo dissenso, ponendo in essere modalita’ offensive del ruolo e del prestigio della funzione esercitata dalla persona offesa (“adesso e’ contento Pubblico Ministero-“, accompagnato da un applauso).
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS) per il tramite del proprio difensore di fiducia deducendo erronea applicazione dell’articolo 343 c.p. in relazione all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b).
Si ritiene che l’imputato avesse voluto manifestare il proprio dissenso circa la prospettazione accusatoria che aveva consentito all’Accusa di vedere affermata la responsabilita’ penale dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato e deve essere rigettato.
2. E’ stato affermato che ai fini della configurabilita’ del delitto di oltraggio ad un magistrato in udienza, rientrano nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di critica le espressioni o gli apprezzamenti che investono la legittimita’ o l’opportunita’ del provvedimento in se’ considerato, non invece quelli rivolti alla persona del magistrato. (Sez. 6, n. 20085 del 26/04/2011, Prencipe, Rv. 250070). Tale orientamento e’ stato citato anche dalla difesa dell’imputato, tuttavia non se ne e’ tratta la corretta conseguenza in ordine alla fattispecie concreta.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha sottolineato che l’esercizio del diritto di critica presuppone che le espressioni debbano essere contenute in termini corretti e misurati e non assumano toni lesivi della onorabilita’ del destinatario (Sez. 6, n. 14201 del 06/02/2009, Dodaro, Rv. 243832-01).
La ratio dell’articolo 343 c.p. e’ la tutela dello Stato nell’esercizio della funzione giudiziaria ed il reato sussiste quando tale interesse viene leso con espressioni di scherno o di minaccia nei confronti di chi in quel momento esercita la funzione di magistrato (Sez. 6, n. 37383 del 22/05/2003, Crimi, Rv. 226540).
3. La Corte di appello, nel confermare la sentenza impugnata, ha escluso la ricorrenza della scriminante del libero esercizio del diritto di critica nei confronti del magistrato requirente in occasione della lettura del dispositivo della sentenza che aveva condannato il ricorrente, poiche’ il dissenso era stato espresso con modalita’ offensive e non invece realizzando un “mero sfogo difensivo” rivolto a disapprovare l’attivita’ del Pubblico Ministero.
L’applicabilita’ della scriminante di cui all’articolo 598 c.p., comma 1, presuppone che le espressioni offensive concernano, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia e non siano adoperate contro la persona che rappresenta l’autorita’ giudiziaria (Sez. 6, n. 33262 del 03/06/2016, Mongelli, Rv. 267706-01).
4. Nel caso di specie, l’espressione indirizzata al P.M. ha assunto una evidente e obbiettiva natura oltraggiosa per le modalita’ irriguardose e perentorie con cui e’ stata proferita, proprio alla stregua del contegno irrispettoso dell’imputato, accompagnato da eloquente gestualita’ dell’ironico applauso.
Esula dai limiti del legittimo diritto di critica, come sopra delineata, la condotta posta in essere dal (OMISSIS) che si e’ estrinsecata in un insulto secco, proferito fuori da atti procedurali di pertinenza dell’imputato e senza collegamenti a specifiche e concrete argomentazioni difensive.
5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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