La presentazione di un’istanza di condono edilizio successivamente all’emanazione delle ordinanze di demolizione

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 28 settembre 2020, n. 5698.

La massima estrapolata:

La presentazione di un’istanza di condono edilizio successivamente all’emanazione delle ordinanze di demolizione e di eventuali atti repressivi consequenziali rileva sul piano processuale – quale conseguenza dei suoi effetti sostanziali – e rende inefficace tali provvedimenti e, quindi, improcedibile l’impugnazione proposta avverso gli stessi per sopravvenuto difetto di interesse alla sua decisione: e ciò in quanto una nuova valutazione provocata dall’istanza di condono comporterà comunque la necessaria formazione di un nuovo provvedimento (di accoglimento o di rigetto) che varrà in ogni caso a superare il provvedimento oggetto di impugnativa, in tal modo spostandosi l’interesse del responsabile dell’abuso edilizio dall’annullamento del provvedimento già adottato all’eventuale annullamento del provvedimento di reiezione dell’istanza di sanatoria.

Sentenza 28 settembre 2020, n. 5698

Data udienza 15 settembre 2020

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Realizzazione di un lago artificiale – Ordine di rimozione – Abuso edilizio – Ordine di demolizione – Presentazione istanza di condono – Effetti

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3048 del 2010, proposto dalla Società G.A. (Ge. Ac. Im.) a r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Or. Si. e Lo. Br., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Or. Si. in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, non costituitosi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.a.r. della Toscana, Sezione III, n. 126 del 29 gennaio 2009, resa inter partes, concernente l’ordine di rimozione di un lago artificiale realizzato abusivamente.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 15 settembre 2020, il consigliere Giovanni Sabbato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 2934 del 1994, proposto innanzi al T.a.r. per la Toscana, la società a r.l. G.A. (di seguito la società ) aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 41/L del 7 ottobre 1993 e dell’ordinanza n. 21/L del 6 maggio 1994, con le quali il Sindaco del Comune di (omissis) aveva disposto la rimozione di un lago artificiale.
2. Avverso tali atti aveva dedotto, tra l’altro, il difetto di partecipazione procedimentale, la violazione del regolamento edilizio e l’incompetenza dell’organo sindacale.
3. Il Tribunale adì to Sezione III ha respinto il ricorso, reputando infondate tutte le censure articolate.
4. In particolare il Tribunale ha ritenuto quanto segue:
– infondato è il motivo afferente al difetto di partecipazione procedimentale “alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 21 octies 1. 241/1990, il vizio non rivestirebbe comunque carattere invalidante, non potendo l’amministrazione adottare una diversa decisione”;
– “contrariamente a quanto afferma parte ricorrente, il manufatto rientra nella previsione di cui all’art. 5 del r.e. del Comune di (omissis): non può invero sostenersi che non si tratti di edificio, in quanto non rientrante nel centro abitato”;
– “Quanto al dedotto vizio di motivazione, si ritiene che sia sufficiente l’indicazione dell’abusività, al fine di giustificare l’adozione del provvedimento, sicché non è dato riscontrare alcuna violazione sotto tale profilo”.
5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello, notificato il 16 marzo 2010 e depositato il 9 aprile 2010, lamentando, attraverso sei motivi di gravame (pagine 2-9) ai quali ha fatto seguito la reiterazione dei motivi di primo grado, quanto di seguito sintetizzato:
I) il Tribunale avrebbe erroneamente affermato, in premessa, che la domanda di sanatoria era stata respinta (peraltro la circostanza della sua presentazione non era stata mai evidenziata dalle parti), essendo stato in realtà concesso il provvedimento di condono in data 7 aprile 1998;
II) avrebbe errato il Tribunale nel respingere la censura relativa al difetto di partecipazione procedimentale, non avendo avuto la società alcuna possibilità di partecipare al procedimento;
III) il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che l’opera, peraltro insistente da almeno un quarantennio, è soggetta alla formulazione dell’art. 5 del regolamento edilizio già solo per la mancanza della destinazione abitativa non essendo qualificabile come edificio;
IV) nel riproporsi le censure non esaminate dal Tribunale, si insiste nel rilevare che “all’epoca della costruzione del laghetto collinare l’area non era affatto protetta” ai sensi del d.l. 27 giugno 1985, n. 312;
V) il rapporto del Corpo Forestale del 21 agosto 1993, riguardando un piccolo incendio doloso, non avrebbe alcuna attinenza con le contestazioni sollevate con le impugnate ordinanze;
VI) le ordinanze non sarebbe assistite dalla necessaria motivazione circa la permanenza dell’interesse pubblico alla rimozione, stante il notevole lasso di tempo decorso dalla realizzazione dell’intervento.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado fatta salva l’eventuale cessazione della materia del contendere in caso di revoca delle ordinanze impugnate per la conseguita sanatoria.
7. Il Comune di (omissis), sebbene ritualmente intimato, non si è costituito nel presente giudizio.
8. In data 5 marzo e 9 settembre 2020, parte appellante ha depositato memorie insistendo per l’accoglimento del gravame in considerazione della rappresentata violazione dell’art. 32 della legge 22 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, e del vizio di illogicità per essere la realizzazione del lago (1957-1958) antecedente alla introduzione del vincolo (1985) e pertanto da ritenere protetto a sua volta.
9. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza del 15 settembre 2020, è stata ivi trattenuta in decisione.
10. Ritiene il Collegio che l’appello vada accolto nei termini di cui alla motivazione che segue.
10.1. Assume carattere preliminare e dirimente quanto documentato, ancorché per la prima volta, in questa sede d’appello in ordine al fatto che, in data 7 aprile 1998, il Comune di (omissis) rilasciava alla società odierna appellante concessione edilizia in sanatoria, ai sensi della normativa sul condono, “per la realizzazione di invaso artificiale ad uso lago per approvvigionamento idrico con progetto di adeguamento” (documento n. 5).
Non vi è ragione per ritenere che tale provvedimento non si riferisca proprio ed esattamente al laghetto artificiale contestato con le ordinanze impugnate in prime cure, circostanza evidenziata col primo motivo e senz’altro decisiva ai fini della soluzione della controversia determinando ineluttabilmente l’improcedibilità del ricorso di primo grado, stante la caducazione dei provvedimenti sanzionatori emessi dall’Amministrazione comunale per effetto della sanatoria. Tale riflesso processuale della conseguita sanatoria è suscettibile di essere rilevato ex officio da questo giudice d’appello, pur in mancanza di una precisa istanza di parte, atteso che tali questioni (quali, appunto, quelle pregiudiziali di rito), che non siano state oggetto di alcuna decisione nell’ambito della sentenza di primo grado, rimangono rilevabili dal giudice di appello anche in assenza di un motivo di gravame (relativamente ad esse) o della loro riproposizione ex art. 346 c.p.c.
10.2. Per vero, è già l’istanza di sanatoria (straordinaria), essendo essa inquadrabile nella cornice normativa della legge n. 47 del 1985 (invece che dell’art. 13 del medesimo compendio normativo sub specie di sanatoria cd. ordinaria), ad assumere diretta incidenza sulla permanenza dell’interesse a ricorrere avverso gli ordini demolitori, in quanto, come evidenziato – di recente – dalla Sezione, “La presentazione di un’istanza di condono edilizio successivamente all’emanazione delle ordinanze di demolizione e di eventuali atti repressivi consequenziali rileva sul piano processuale – quale conseguenza dei suoi effetti sostanziali – e rende inefficace tali provvedimenti e, quindi, improcedibile l’impugnazione proposta avverso gli stessi per sopravvenuto difetto di interesse alla sua decisione: e ciò in quanto una nuova valutazione provocata dall’istanza di condono comporterà comunque la necessaria formazione di un nuovo provvedimento (di accoglimento o di rigetto) che varrà in ogni caso a superare il provvedimento oggetto di impugnativa, in tal modo spostandosi l’interesse del responsabile dell’abuso edilizio dall’annullamento del provvedimento già adottato all’eventuale annullamento del provvedimento di reiezione dell’istanza di sanatoria” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 14 gennaio 2020, n. 340; id. sez. II, 20 dicembre 2019, n. 8637). Risulta infatti dagli atti di causa che la domanda di condono è stata presentata dalla società, in persona del suo legale rappresentante pro tempore (signora Ma. Br.) in data 28 febbraio 1995 e pertanto nel corso del giudizio di primo grado, determinando già solo per questo, come detto, l’improcedibilità di tale gravame.
10.3. Va rilevato, per incidens, che i laghetti collinari ed invasi ad uso irriguo rientrano tra gli interventi che comportano la trasformazione in via permanente di suolo inedificato, equiparati, ai sensi dei punti e.3) ed e.7) del comma 1 dell’art. 3 del T.U. n. 380/2001, agli interventi di nuova costruzione. Il conseguimento del provvedimento di sanatoria edilizia n. 98/12 del 7 aprile 1998 ad ogni modo assorbe questa ed ogni altra considerazione afferente al merito della controversia risultando l’intervento, sia pure in via postuma, ormai attratto nell’alveo delle opere legittimamente realizzate.
11. In conclusione, l’appello, assorbita ogni ulteriore deduzione, è da reputare fondato nei sensi sopra evidenziati e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, va dichiarato il ricorso di primo grado improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse.
12. Nulla va disposto in ordine alle spese del doppio grado di giudizio in ragione della mancata costituzione dell’Amministrazione in entrambi i giudizi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 3048/2010), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il ricorso di primo grado n. 2934/94 improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse.
Nulla per le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 settembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Italo Volpe – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere

 

 

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