La presentazione della domanda di condono

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 4 maggio 2020, n. 2830.

La massima estrapolata:

La presentazione della domanda di condono sospende il procedimento per l’applicazione di sanzioni amministrative, con la conseguenza che, pendendo la definizione di tali domande, non può essere – tra l’altro – adottato alcun provvedimento di demolizione.
La sospensione dei procedimenti sanzionatori non si applica con riguardo alle opere c.dd. “scorporabili”, in quanto realizzate in modo abusivo successivamente alla presentazione della domanda di condono, ovvero per le opere in essa non ricomprese

Sentenza 4 maggio 2020, n. 2830

Data udienza 10 dicembre 2019

Tag – parola chiave: Condono edilizio – Cambio di destinazione d’uso – Successiva compravendita dell’immobile – Ordinanze di sospensione lavori e ripristino stato dei luoghi – Destinatari – Acquirenti non responsabili dell’abuso – Profili di illegittimità – Costruzioni in conglomerato cementizio – Norme anti sismiche

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5011 del 2009, proposto dai signori -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato Pa. Va., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, (…),
contro
– il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pi. To., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
– la Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ro. Ma. Pr., dell’Avvocatura Regionale, con domicilio eletto in Roma presso l’Avvocatura della Regione Lazio, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente sospensione lavori e ripristino stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Regione Lazio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2019, il Consigliere Fulvio Rocco e uditi per la parte appellante l’avvocato Pa. Va. e per l’appellata Regione Lazio l’avvocato Ro. Ma. Pr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1. Gli attuali appellanti, coniugi -OMISSIS-, hanno acquistato con atto dd. 27 maggio 2005 Rep. N. 16372 a rogito del dott. Fa. To., notaio in (omissis) (Roma) un appartamento ubicato nella stessa -OMISSIS-.
Dante causa dei medesimi coniugi era il costruttore signor -OMISSIS- dicembre 1999, riservandosi la proprietà di una delle due unità immobiliari di cui lo stesso risulta composto.
In data 9 dicembre 2004, ossia antecedentemente all’acquisto dell’appartamento da parte degli attuali appellanti, l-OMISSIS- aveva presentato al Comune di (omissis) due domande di condono edilizio à sensi dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni in l. 24 novembre 2003, n. 326, l’una con il numero di protocollo n. -OMISSIS- relativa al “Cambio di destinazione d’uso al piano terra con frazionamento dell’immobile; costruzione di una cantina al piano S1” e l’altra con il numero di protocollo n. -OMISSIS- relativa alla “costruzione di un garage al piano S1”: e ciò in dipendenza della circostanza che mediante l’anzidetta concessione edilizia n. -OMISSIS- del 1999 era stata originariamente assentita la realizzazione di un manufatto destinato al ricovero di attrezzi agricoli.
Della pendenza di tali domande di condono edilizio è stata fatta rituale menzione nel contratto di compravendita, à sensi dell’art. 40, secondo comma, della l. 28 febbraio 1985, n. -OMISSIS-, come modificato dagli artt. 8, comma 5-quater, e 8-bis, comma 2, del d.l. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 1985, n. 298 e, successivamente, dall’art. 7, comma 1, del d.l. 12 gennaio 1988, n. 2, convertito con modificazioni dalla l. 13 marzo 1988, nonché à sensi dell’art. 2, comma 68, della l. 23 dicembre 1996, n. 662.
Va precisato che l’appartamento acquistato dagli attuali appellanti – al pari di quello contiguo rimasto in proprietà all-OMISSIS- – si sviluppa in verticale sui piani interrato, terra e sottotetto, oltre a un locale garage.
Il -OMISSIS-hanno abitato l’appartamento subito dopo l’acquisto e riferiscono di non aver ivi eseguito alcun lavoro edile su tale immobile.
In data 8 agosto 2005, ossia meno di tre mesi dopo la stipula dell’anzidetta compravendita, è stata loro notificata l’ordinanza n. -OMISSIS-dd. 3 agosto 2005 a firma del Responsabile del Settore Urbanistica del Comune di (omissis), con la quale “vista la relazione di sopralluogo del 29 luglio 2005 Prot. n. -OMISSIS- dalla quale è stato accertato che sono state eseguite in difformità dalla concessione edilizia n. -OMISSIS- del 29 dicembre 1999 opere relative ad un fabbricato ad uso agricolo consistenti nella trasformazione d’uso del piano sottotetto in abitazione per una superficie utile di mq. 36,32 ed un volume di mc. 69,14, nella realizzazione di un piano interrato per una superficie utile residenziale di circa mq. 35,34 e cubatura di mc. 106,80 e di un garage di superficie non residenziale pari a mq. 19,32 e volumetria pari a mc. 59,00, il tutto realizzato su un terreno distinto al N.C.T. del Comune di (omissis) al foglio 8, particella n. -OMISSIS-; visto che per parte delle opere realizzate in difformità dalla concessione risultano presentate n. 2 domande di illecito edilizio (sic) ai sensi della l. n. 326 del 2004 e della l.r. n. 12 del 2004; considerato che non risultano presentate domande di illecito edilizio (sic) per le trasformazioni ad uso abitativo del locale sottotetto e del locale seminterrato; considerato che per i lavori realizzati in difformità non risulta presentata la richiesta del nulla osta sismico alla Regione Lazio – Genio Civile di Roma in ottemperanza alla l. n. 64 del 1994”, ha ingiunto ai medesimi signori -OMISSIS-di provvedere alla “rimessa in pristino dello stato dei luoghi relativamente a tutto quanto realizzato in difformità alla concessione edilizia n. -OMISSIS- del 1999 e dalle” (non meglio specificate) “richieste di illecito edilizio in attesa di istruttoria, con avvertenza che, in difetto, trascorsi 90 (novanta) giorni dalla notifica della presente, le opere stesse saranno demolite a spese dei responsabili dell’abuso ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001”.
Giova da subito evidenziare che analoga ordinanza, recante il n. -OMISSIS-di pari data, è stata notificata anche all-OMISSIS- con riguardo all’unità immobiliare di sua proprietà .
In data 25 agosto 2005 è stata quindi notificata ai signori -OMISSIS-l’ulteriore ordinanza del medesimo Responsabile del Settore Urbanistica n. -OMISSIS- dd. 8 agosto 2005 – Pratica n. -OMISSIS-, recante “Rettifica ordinanza n. -OMISSIS-del 3 agosto 2008”, con la quale “visto che” nella surriportata ordinanza n. -OMISSIS-del 3 agosto 2005 “non veniva riportata nel preambolo la descrizione di tutte le opere realizzate in difformità alla concessione edilizia n. -OMISSIS- del 1999, così come venivano specificate nella relazione tecnica di sopralluogo del 29 luglio 2005, Prot. n. -OMISSIS-“, è stata – per l’appunto – disposta la rettifica del preambolo della predetta ordinanza n. -OMISSIS-del 3 agosto 2005, nel senso che veniva pertanto contestata la “trasformazione d’uso del piano terra da agricolo in residenziale per una superficie utile pari a m. 56,16 e cubatura pari a mc 187,50, nella trasformazione d’uso del piano sottotetto in abitazione per una superficie utile di mq 36,32 ed un volume di mc 69.14, nella realizzazione di un piano interrato per una superficie utile residenziale di circa mq 35,34 e cubatura di mc 106,80, e di un garage di superficie non residenziale pari a mq 19,32 e volumetria pari a mc 59.00, il tutto realizzato su un terreno distinto al N. C. T. del Comune di (omissis) al foglio 8 particella n. -OMISSIS-“.
L’Amministrazione comunale ha trasmesso gli atti alla Regione Lazio e alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Tivoli per il seguito di rispettiva competenza.
1.2. Per quanto attiene alla Regione Lazio, con decreto n. -OMISSIS- dd. 12 ottobre 2005 il Dirigente dell’Area Decentrata Lavori Pubblici di Roma – Ufficio edilizia pubblica e privata in zone sismiche disponeva la “sospensione di lavori” -, “visto il processo verbale n. -OMISSIS- del 5 settembre 2005 redatto dalla Polizia Municipale del Comune di (omissis)” redatto nei confronti del -OMISSIS- e della -OMISSIS- “per aver realizzato una costruzione… senza avere osservato agli obblighi (sic) di cui agli artt. 64 e 65 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (artt. 2 e 4 della l. 5 novembre 1971, n. 1086) recanti norme per la disciplina delle opere in conglomerato cementizio armato normale e precompresso ed a struttura metallica ed agli artt. 93 e 94 del d.P.R. stesso, Capo IV (artt. 17 e 18 della l. 2 febbraio 1974, n. 64), recanti provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche; considerato che il predetto processo verbale contiene sufficienti elementi di valutazione in ordine alle infrazioni di cui trattasi, tali da non richiedere ulteriori accertamenti istruttori”, ha disposto “l’immediata sospensione dei lavori”, con le contestuali avvertenze che gli stessi “non potranno essere ripresi senza che sia stato provveduto a tutti gli adempimenti previsti dalla normativa indicata in premessa e previo il possesso delle autorizzazioni e concessioni previste dalla vigente normativa in materia di edilizia e senza che questa Area abbia accertato che sia stato provveduto agli adempimenti di cui al presente capoverso” e che “con riferimento all’art. 96 del d.P.R. n. 380 del 2001 si precisa che l’eventuale provvedimento autorizzativo in sanatoria dovrà essere soggetto agli adempimenti di cui all’art. 35 della l. 28 febbraio 1095, n. -OMISSIS- e successive modifiche ed integrazioni”.
Giova sin d’ora evidenziare, al riguardo di tale provvedimento, che in data 26 ottobre 2005 il collaudatore ha depositato il certificato di idoneità statica -sismica.
1.3. Con ricorso proposto sub R.G. n. 10299 del 2005 innanzi al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, il -OMISSIS-hanno quindi chiesto l’annullamento sia delle predette ordinanze nn. -OMISSIS-e -OMISSIS- del Comune di (omissis), sia del surriferito decreto n. -OMISSIS- del 12 ottobre 2005 emesso dall’Amministrazione regionale.
I ricorrenti in primo grado hanno dedotto avverso le due ordinanze emesse dal Comune di (omissis) i seguenti ordini di censure:
1) eccesso di potere per erronei presupposti di fatto e per carenza di istruttoria, in quanto le due ordinanze provvedimento recavano un calcolo delle volumetrie realizzate in difformità non rispondente alla realtà e senza considerare le due domande di condono edilizio presentate dal dante causa dei ricorrenti;
2) violazione di legge con riferimento alle previsioni dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 convertito con modificazioni dalla l. n. 326 del 2003, nonché della l..r. 8 novembre 2004, n. 12, in quanto le medesime ordinanze contrastavano con tali disposizioni di legge nella misura in cui non consideravano l’esistenza delle predette due domande di condono edilizio;
3) eccesso di potere per carenza di motivazione, in quanto difettava un’adeguata individuazione dei presunti illeciti contestati;
4) eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento.
Avverso il provvedimento regionale sono stati viceversa dedotti i seguenti, due ulteriori ordini di censure:
5) illegittimità dell’ordine di sospensione per difetto di istruttoria e per carenza dei presupposti, posto che al momento in cui tale provvedimento era stato adottato non vi era alcun lavoro in corso, con la conseguenza che lo stesso si fondava su erronei presupposti di fatto;
6) violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 64, 65, 93 e 95 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (artt. 2 e 4, nonché 17 e 18 della l. 5 novembre 1971, n. 1086), in quanto tali disposizioni normative, recanti la disciplina delle costruzioni in zone sismiche, sarebbero state violate avuto riguardo all’idoneità sotto tale profilo della costruzione contestata, come risulta dal certificato depositato presso l’Ufficio regionale competente in data 26 ottobre 2005.
1.4. In tale primo grado di giudizio si sono costituiti il Comune di (omissis) e la Regione Lazio, concludendo entrambi per la reiezione del ricorso.
1.5. Giova evidenziare che, pendente il giudizio innanzi al T.A.R., è intervenuta la sentenza n. -OMISSIS-D emessa dal Tribunale ordinario di Tivoli nel procedimento penale R.g. 5056/2005 e R.g. Dib. 229/07 a carico dei medesimi signori De -OMISSIS- e -OMISSIS-, che assolveva gli stessi per non aver commesso il fatto in ordine ai reati di cui all’art. 44, lett. b), 71, 72 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Copia di tale sentenza, passata in giudicato, è stata depositata in data 15 giugno 2007 dal patrocinio dei medesimi ricorrenti nel fascicolo della causa proposta innanzi al giudice amministrativo.
Con memoria successivamente depositata dal medesimo patrocinio presso il T.A.R. è stato evidenziato – tra l’altro – che tale assoluzione era fondata sull’assunto dello stesso giudice penale secondo cui non si poteva nella fattispecie “escludere che le difformità per cui è oggi processo” risalissero “ad epoca precedente all’acquisto del possesso da parte degli imputati” e che la consulenza tecnica acquisita in quella stessa sede “rivela(va) che: l’edificio per cui è processo venne autorizzato con concessione edilizia n. -OMISSIS- del 29 dicembre 1999, rilasciata in favore di -OMISSIS-; il 30 dicembre 2002 venne comunicata al Comune di (omissis) la fine di lavori, il 9 dicembre 2004 -OMISSIS-presentò, con riferimento ad alcune delle difformità per cui oggi è processo, due domande di condono. Va poi aggiunto che gli ampliamenti per cui oggi è processo incidono sulle strutture portanti dell’edificio ed è quindi verosimile che la realizzazione del piano primo o del piano interrato sia coeva all’edificazione della porzione di manufatto assentita. La comunicazione- notizia di · reato in data 6 settembre 2005 ed il materiale fotografico ad essa allegato provano che alla data del sopralluogo, effettuato il 23 giugno 2005, i lavori non erano in corso ed il fabbricato risulta ultimato in ogni rifinitura”.
1.6. Giova – altresì – qui evidenziare che medio tempore anche il costruttore -OMISSIS-aveva impugnato sub R.G. 11483 del 2005 innanzi al T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, l’ordinanza n. -OMISSIS- del 3 agosto 2005 con cui la quale – specularmente – il Comune di (omissis) aveva disposto la riduzione in pristino dello stato dei luoghi ivi indicati con riferimento alla porzione di edificio di cui egli aveva conservato la proprietà .
Con ordinanza n. -OMISSIS-dd. 2 febbraio 2006 emessa à sensi dell’allora vigente art. 21 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dagli artt. 1 e 3 della l. 21 luglio 2000, n. 205, la Sezione I-quater dell’adito T.A.R. aveva accolto solo in parte l’istanza cautelare di tale ricorrente avente ad oggetto la sospensione interinale dell’efficacia del provvedimento impugnato.
L-OMISSIS- ha peraltro proposto al riguardo ricorso cautelare, sempre à sensi della predetta disciplina processuale pro tempore vigente, e in accoglimento di tale impugnativa la Sezione IV^ del Consiglio di Stato, con propria ordinanza n. -OMISSIS-dd. 26 luglio 2006 ha “ritenuto che il provvedimento relativo al ripristino dello stato dei luoghi oggetto dell’impugnativa in primo grado debba essere integralmente sospeso fino alle definitive determinazioni che il Comune dovrà adottare in ordine alla istanza di condono edilizio presentata dal ricorrente”.
1.7. Con sentenza n. 7-OMISSIS-4 dd. 26 luglio 2008 la medesima Sezione I^-quater dell’adito T.A.R. ha viceversa respinto il ricorso proposto dal De -OMISSIS- e dalla -OMISSIS-, affermando che “per quanto concerne le doglianze mosse avverso le due ordinanze su citate adottate dal Comune di (omissis), è a dirsi che esse muovono dall’assunto che detti provvedimenti, nel contestare le opere abusive, muoverebbero da presupposti erronei ed, in particolare, non terrebbero in alcun conto le due domande di condono edilizio presentate in data 9 dicembre 2004 dal dante causa degli odierni istanti…. Non è affatto così . Vi è ivi, infatti, una precisazione in ordine alla circostanza che ‘per parte delle opere realizzate in difformità dalla concessione (edilizia) risultano presentate n. 2 domande di illecito edilizio ai sensi della l. n. 326 del 2004 e della L.r. n. 12 del 2004’. Nel successivo capoverso vi è un’ulteriore puntualizzazione circa gli interventi per cui manca anche la richiesta di sanatoria: si tratta delle trasformazioni ad uso abitativo del locale sottotetto e del locale seminterrato. L’integrazione rispetto all’ordinanza n. -OMISSIS-del 3 agosto 2005, eseguita con ordinanza n. -OMISSIS- dell’8 agosto 2005, concerne unicamente il primo periodo del preambolo, restando inalterate altre parti, ivi compresi detto precipuo richiamo alle domande di condono edilizio ed il rilievo in ordine all’assenza di domanda di condono edilizio per alcune parti ben individuate. Tale periodo, successivamente integrato, fa una mera ricognizione delle opere difformi dalla concessione edilizia n. -OMISSIS- del 1999, che tuttavia, a differenza da quanto asserito nel presente ricorso, non tutte integrano gli abusi contestati, essendo tali solo alcune di esse, segnatamente le trasformazioni ad uso abitativo del locale sottotetto e del locale seminterrato. Deve aggiungersi che vi è un chiara indicazione degli estremi della relazione di sopralluogo, come tale, integrante motivazione per relationem, nella quale viene fatta una descrizione dettagliata di ogni singola opera, con l’ulteriore precisazione circa quelle per le quali sia già stata presentata domanda di condono edilizio…. Ne deriva che sono prive di fondamento le censure rivolte contro le ordinanze comunali, atteso che l’aver tenuto conto delle domande di condono denota un corretto esercizio del potere amministrativo, fondato su un’esatta rappresentazione dello stato dei luoghi nonché delle pratiche pendenti, conforme anche alle norme in materia di condono edilizio…. Quanto all’ordine di sospensione, contenuto nel decreto regionale, pure qui contestato, esso costituisce applicazione dell’art. 97 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il quale prevede appunto che, laddove siano accertate violazioni della normativa stabilita per la costruzione in zone sismiche, si adotti un decreto avente ad oggetto ordine di sospensione….Parte ricorrente evidenzia altresì che sarebbe stato presentato un certificato di idoneità statica, sufficiente a tali fini, ai sensi dell’art. 35 della l. 28 febbraio 1985, n. -OMISSIS-. In proposito si rende necessario in primo luogo precisare che detto deposito ha avuto luogo solo in data 26 ottobre 2005, perciò successivamente all’emanazione del provvedimento regionale de quo, il che comporta che esso non sia per questo viziato. Va inoltre rilevato che la procedura seguita in questa situazione dai ricorrenti ai fini sismici è ammessa non in via generale, ma unicamente con riguardo alle opere oggetto di domanda di condono, atteso che la disposizione applicata rientra nel Capo IV della menzionata legge, a ciò dedicato, alla cui applicazione, per le opere ultimate entro il 31 marzo 2003, demanda l’art. 32, comma 25, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n. 326. Nella specie detto certificato concerne tutte le opere difformi dalla concessione edilizia n. -OMISSIS- del 1999, perciò anche quelle non interessate dalle domande di condono, per le quali era prescritta l’autorizzazione sismica, secondo le regole ordinarie…. Deve concludersi che il ricorso è infondato e va rigettato, con riferimento a tutti i provvedimenti gravati”.
Il T.A.R. ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese e degli onorari del primo grado del presente giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 750,00 (settecentocinquanta/00), oltre ad I.V.A. e Cassa di previdenza forense, da dividersi in parti uguali tra il Comune di (omissis) e la Regione Lazio.
2.1. Con l’appello in epigrafe il -OMISSIS-chiedono ora la riforma di tale sentenza, e deducono al riguardo i seguenti ordini di motivi:
1) Violazione di legge con riferimento al combinato disposto dell’art. 32, comma 36, del d.l. n. 269 del 2003 convertito con modificazioni in l. n. 326 del 2003 e dell’art. 44 della l. 28 febbraio 1985, n. -OMISSIS-, e con riferimento all’art. 6 della l.r. 8 novembre 2004, n. 12; motivazione illogica su un punto essenziale ai fini del decidere.
A tale riguardo gli appellanti richiamano la consolidata giurisprudenza secondo cui dalla presentazione della domanda di sanatoria, in base al combinato disposto dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 convertito con modificazioni in l. n. 326 del 2003 003 n. 269 e dell’art. 42 della l. 28 febbraio 1985, n. -OMISSIS-, discende ex lege la sospensione dell’efficacia dei provvedimenti amministrativi sanzionatori in materia edilizia.
Gli appellanti richiamano – altresì – l’art. 6, comma 3, prima parte, della l.r. n. 12 del 2004, in forza del quale “la presentazione della domanda e della relativa documentazione, il pagamento degli oneri concessori e dell’oblazione, la presentazione delle denunce di cui all’articolo 32, comma 37, del d.l. n. 269 del 2003 e successive modifiche, con le modalità e nei termini previsti dalla normativa vigente, nonché la mancata adozione di un provvedimento negativo del comune entro i trentasei mesi dalla data di scadenza del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori… equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria”.
Secondo gli appellanti la sentenza impugnata violerebbe tali disposizioni normative laddove in essa si ritiene che la circostanza per cui nell’ordinanza n. -OMISSIS-del 2005 del Comune di (omissis) siano state menzionate le due domande di condono edilizio del costruttore -OMISSIS-in data 9 dicembre 2004 – l’una prot. 0-OMISSIS- per il cambio di destinazione d’uso con frazionamento dell’edificio in due unità immobiliari, segnatamente per “cambio di destinazione d’uso al piano terra con frazionamento dell’immobile, costruzione di un soppalco al piano S.1”, l’altra prot. 0-OMISSIS- per la sanatoria della “costruzione di un garage al piano S1” – comportasse la legittimità delle impugnate ordinanze.
Ma – affermano sempre gli appellanti – il giudice di primo grado avrebbe con ciò reso una pronuncia non soltanto contra legem, ma anche intrinsecamente illogica, in quanto in tal modo non sarebbe stato considerato che proprio la “pendenza” delle surriferite domande di condono suddette “estingueva ai sensi delle disposizioni di legge sopra citate gli illeciti per i quali è stato ordinato con le impugnate ordinanze del Comune di (omissis) il ripristino dello stato dei luoghi” (cfr. pagg. 19 e 20 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).
A conforto della propria tesi gli appellanti richiamano – altresì – l’anzidetta ordinanza n. -OMISSIS-dd. 2 febbraio 2006 resa dalla Sezione IV di questo Consiglio di Stato nell’omologa impugnazione proposta dal costruttore -OMISSIS-e con la quale è stata sospesa l’efficacia di ana provvedimento emanato nei suoi confronti “fino alle definitive determinazioni che il Comune dovrà adottare in ordine alla istanza di condono edilizio presentata del ricorrente”: comprova, questa, eloquente che le domande di condono edilizio impediscono l’operatività (e ad avviso dei medesimi appellanti la stessa adottabilità ) delle ordinanze di ripristino dello stato dei luoghi.
Gli appellanti reputano inoltre che ad analoghe conclusioni condurrebbe la predetta sentenza n. 141/2007 resa dal Tribunale Ordinario di Tivoli e con la quale essi sono stati assolti anche in considerazione che la presentazione delle domande di condono escludeva la presenza dell’illecito: e ciò, mentre il T.A.R. sarebbe pervenuto alla conclusione opposta, vale a dire che la presenza dei condoni, pur espressamente richiamati nell’ordinanza n. -OMISSIS-del 2005 conferirebbe legittimità all’ingiunzione di ripristino in essa contenuta.
Viceversa – rimarcano sempre gli appellanti – l’illegittimità delle ordinanze nn. -OMISSIS-e -OMISSIS- deriverebbe proprio dal non avere le stesse preso in considerazione l’esistenza delle due domande di condono, nonché l’oggetto delle stesse, riguardante proprio gli illeciti per cui era stato disposto dal Comune il ripristino dello stato dei luoghi.
2) Violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento ai principi desumibili dall’art. 654 c.p.p.
Ad avviso degli appellanti il T.A.R. del Lazio, nel rendere la sua decisione, avrebbe dovuto considerare in forza dell’art. 654 c.p.p. i fatti accertati in sede penale mediante la predetta sentenza di assoluzione pronunciata con formula piena à sensi dell’art. 530, comma 1, c.p.p.: e ciò in quanto il giudice penale ha accertato che alla data del sopralluogo del tecnico del Comune di (omissis), avvenuto il 23 giugno 2005 e le cui risultanze hanno comportato l’emanazione dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, “i lavori non erano in corso ed il fabbricato risulta(va) ultimato in ogni rifinitura”.
Come detto innanzi lo stesso giudice penale ha – altresì – espressamente rilevato che il 9 dicembre 2004 l-OMISSIS- aveva presentato con riferimento ad alcune delle difformità per cui oggi è processo due domande di condono.
Nondimeno – evidenziano gli appellanti – pur presenza di tali accertamenti di fatto compiuti in sede penale, il T.A.R. ha per contro ritenuto che il Comune di (omissis), nell’emanare l’ordinanza di ripristino, avrebbe tenuto conto delle domande di condono, astenendosi con ciò dal rilevare che se l’Amministrazione comunale non si fosse limitata a menzionarle genericamente ma le avesse prese in considerazione nel loro effettivo contenuto, avrebbe dovuto anche ineluttabilmente considerare – che le irregolarità per le quali era stata ordinata la rimessa in pristino erano le medesime per cui era stato chiesto il condono edilizio, come per l’appunto accertato in sede penale.
In dipendenza di ciò, pertanto, ad avviso degli appellanti il T.A.R. avrebbe in tal modo violato la vincolatività del giudicato penale imposta al giudice civile e amministrativo dal predetto art. 654 c.p.p.
3) Motivazione illogica e contraddittoria. Erroneo presupposto di fatto.
Con riguardo al decreto della Regione Lazio n. -OMISSIS- del 12 ottobre 2005 gli appellanti deducono l’erroneità della sentenza impugnata laddove si afferma che l’art. 97 del t.u. approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, imponeva comunque l’adozione, da parte dell’Amministrazione regionale, dell’ordine di sospensione dei lavori: e ciò, peraltro, senza considerare che per adottare tale provvedimento necessita all’evidenza la sussistenza del presupposto per cui vi siano dei lavori in corso, tali quindi da poter essere sospesi.
Nella fattispecie – viceversa – nessun lavoro era a quel momento in corso, posto che al momento dell’adozione di tale provvedimento l’immobile aveva da tempo ricevuto la sua definitiva struttura e destinazione d’uso.
Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata risulterebbe del tutto illogica e contraddittoria.
Del resto – rilevano sempre gli appellanti – l’art. 97 predetto chiaramente presupporrebbe, ai fini dell’adozione del provvedimento di sospensione, che si versi in una situazione di lavori in atto nel momento dell’adozione del provvedimento recante tale ordine, posto che il suo comma 3 testualmente dispone che “l’Ufficio territoriale del Governo, su richiesta del Dirigente dell’Ufficio di cui al comma 1 assicura l’intervento della forza pubblica, ove ciò sia necessario per l’esecuzione dell’ordine di sospensione”, con ciò inequivocabilmente confermando che l’emanazione di tale ordine è in effetti prevista per i soli casi di lavori in corso, potendo essere soltanto in tale evenienza necessario ricorrere alla forza pubblica per interromperli.
4) Violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 35, comma 6, della l. 28 febbraio 1985, n. -OMISSIS-, ed agli artt. 94 e 97 del t.u. approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Gli appellanti evidenziano che il giudice di primo grado, sempre con riferimento al predetto decreto dell’Amministrazione regionale, ha ritenuto che il certificato di idoneità statica e sismica rilasciato dall’ing. -OMISSIS-e depositato anche agli atti di causa non abbia inciso sulla legittimità dell’ordine di sospensione dei lavori, e ciò in quanto il deposito presso l’Amministrazione regionale è intervenuto 14 giorni dopo l’emanazione del provvedimento di sospensione medesimo.
Secondo gli appellanti il certificato di idoneità sismica è stato presentato senza che fosse stato necessario alcun lavoro di adeguamento, posto che dal punto di vista sismico l’immobile era già in regola anche allorquando il decreto di sospensione era stato adottato.
In dipendenza di ciò, quindi, gli appellanti reputano che anche sotto questo ulteriore profilo il provvedimento dell’Amministrazione regionale sia stato adottato in carenza dei presupposti di legge,
Per contro – reputano sempre gli appellanti – il giudice di primo grado, oltre ad avere erroneamente tolto ogni rilevanza al certificato di idoneità sismica presentato il 26 ottobre 2005, ha anche erroneamente affermato che il certificato medesimo, in quanto prescritto dal capo IV della l. n. -OMISSIS- del 1985, potrebbe intervenire soltanto con riguardo alle opere oggetto di condono, con la conseguenza che, riguardando il certificato depositato il 26 ottobre 2005 tutte le opere difformi dalla concessione edilizia n. -OMISSIS- del 1999 e quindi anche quelle non interessate dalla domanda di condono, per queste ultime sarebbe stata necessaria l’autorizzazione sismica, secondo le regole ordinarie.
Questo assunto è contestato dagli appellanti in quanto esso sostanzierebbe a loro avviso una palese violazione e falsa applicazione dell’art. 35 della l. n. -OMISSIS- del 1985, posto che nella fattispecie tutte le opere edili eseguite in difformità dell’originaria concessione erano state condonate ed il certificato di idoneità sismica si riferirebbe pertanto ad opere oggetto di domanda di condono.
In tal senso – rimarcano sempre gli appellanti – il certificato in questione riguarderebbe infatti tutte le strutture realizzate e condonate, posto che successivamente al condono non sono stati effettuati dagli acquirenti dell’immobile nuovi lavori; detto altrimenti, e diversamente da quanto ritenuto dal T.A.R., non esisterebbero quindi opere la cui esecuzione presupponesse la ordinaria autorizzazione sismica, da rilasciarsi al di fuori dell’ambito di operatività del condono.
2.2. Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione dell’appello.
2.3. Si è parimenti costituita nel presente grado di giudizio la Regione Lazio, rassegnando analoghe conclusioni.
2.4. Con due ulteriori memorie gli appellanti hanno insistito per l’accoglimento delle proprie deduzioni, evidenziando – altresì – che con sentenza n. -OMISSIS- dd. 24 giugno 2009, passata in giudicato, la medesima Sezione I^-quater del T.A.R. per il Lazio ha accolto l’omo ricorso ivi proposto dal costruttore -OMISSIS-con riguardo all’ingiunzione a demolire emanata nei suoi confronti, della quale è stato – per l’appunto – disposto ope iudicis l’annullamento in quanto trattasi di provvedimento “emesso prima del preventivo esame delle domande di condono edilizio e perché non reca una sufficiente motivazione in ordine alla ritenuta applicabilità dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001” (cfr. ivi).
2.5. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.
3.1. Tutto ciò premesso l’appello in epigrafe va accolto nei limiti di quanto qui appresso specificato.
3.2. Il Collegio innanzitutto rileva che non può essere accolto l’ordine di motivi con il quale è stata dedotta l’avvenuta violazione dell’art. 654 c.p.p.
La disciplina contenuta in tale articolo del codice del rito penale invero rileverebbe in astratto al fine di affermare la vincolatività, anche per la presente fattispecie, del giudicato penale di assoluzione “nel giudizio amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto soggettivo o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”.
Posto ciò, va evidenziato che gli attuali appellanti sono stati assolti dall’imputazione per il reato di cui all’art. 44, lett. b), del t.u. approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – contemplante all’epoca dei fatti di causa la pena dell’arresto fino a due anni e l’ammenda da Euro 10.328,00 a Euro 103.290,00 nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso di costruire – con formula piena, à sensi dell’art. 530, comma 1, c.p.p., “per non avere commesso il fatto”, ossia per non aver materialmente eseguito le opere abusive; e, che con la medesima formula essi sono stati pure assolti per i reati di cui agli artt. 71 e 72 del medesimo t.u., riguardanti la violazione della disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica, nonché per il reato di cui all’art. 95 dello stesso t.u., viceversa riguardante le costruzioni nelle zone sismiche.
Tale giudicato, peraltro, à sensi del predetto art. 654 c.p.p. non può assumere rilievo ai fini del presente procedimento innanzi al giudice amministrativo, e ciò in quanto il giudice penale non ha nella specie escluso, mediante la ben diversa formula di assoluzione “perché il fatto non sussiste”, la materiale sussistenza degli abusi edilizi, bensì ha preso incidentalmente atto al riguardo della circostanza dell’avvenuta presentazione da parte dell-OMISSIS- (e non già, quindi, da parte degli attuali appellanti) delle domande per il loro condono che, ove accolte, estinguerebbero viceversa tali reati à sensi del combinato disposto dell’art. 32, comma 36, del d.l. n. 269 del 2003 convertito con l. n. 326 del 2003 e dell’art. 38, comma 2, della l. 28 febbraio 1985, n. -OMISSIS- (cfr. sul punto, ad es., Cass. pen., Sez. III, 14 giugno 2007, n. 23131).
Se così è, anche per il caso di specie va dunque ribadito che “il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino non è l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia: sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio – ossia in virtù del diritto dominicale il proprietario – che il responsabile dell’abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi, posto che l’acquirente dell’immobile abusivo o del sedime su cui è stato realizzato succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi relativi al bene ceduto facenti capo al precedente proprietario, ivi compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartita, pur essendo stato l’abuso commesso prima del passaggio di proprietà ” (così, puntualmente, Cons. Stato, Sez. VI, 11 dicembre 2018, n. 6893; cfr. nello stesso senso, ex plurimis, Cons. Stato, A.P. 17 ottobre 2017, n. 9, Sez. VI, 30 giugno 2017, n. 3210, e Sez. V, 10 gennaio 2007, n. 40), restando ovviamente salva la possibilità per il terzo acquirente che sia in buona fede di rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell’avvenuta demolizione (cfr. sul punto, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 14 agosto 2015, n. 3933).
Né, a maggior ragione, può essere accolta la prospettazione degli appellanti secondo cui il T.A.R. avrebbe emanato nella specie una sentenza non soltanto contra legem, ma anche “illogica”, non considerando che proprio la “pendenza” delle surriferite domande di condono suddette “estingueva ai sensi delle disposizioni di legge sopra citate gli illeciti per i quali è stato ordinato con le impugnate ordinanze del Comune di (omissis) il ripristino dello stato dei luoghi” (cfr. pagg. 19 e 20 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).
L’estinzione del reato di cui all’art. 44, lett. b), del t.u. approvato con d.lgs. n. 380 del 2001 non opera infatti in dipendenza della mera presentazione nei termini di legge della domanda di condono edilizio, bensì, à sensi del comma 36 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 convertito con modificazioni con l. n. 326 del 2003, consegue anche dal successivo adempimento della corresponsione dell’intera oblazione prevista, nonché per effetto del decorso del termine di trentasei mesi dalla data da cui risulta effettuato tale pagamento: e ciò anche avuto riguardo a quanto ulteriormente disposto dal susseguente comma 37, prima parte, in forza del quale soltanto “il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione” prevista in proposito, “della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell’imposta comunale degli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, nonché, ove dovute, delle denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l’occupazione del suolo pubblico, entro il 31 ottobre 2005, nonché il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l’adozione di un provvedimento negativo del Comune, equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria”.
Nel caso di specie pare addirittura superfluo rimarcare che, essendo state presentate in data 9 dicembre 2004 le due domande di condono edilizio ed essendo intervenute nell’agosto del 2005 le ordinanze nn. -OMISSIS-e -OMISSIS- per cui ora è causa, il condono edilizio non poteva ritenersi formato per silentium.
3.3. In buona sostanza, secondo la sentenza qui impugnata, l’ordinanza n. -OMISSIS-come integrata dall’ordinanza n. -OMISSIS- risulterebbe legittima in quanto, essendo esaustivamente motivata per relationem mediante il richiamo al prodromico verbale di accesso ai luoghi Prot. n. -OMISSIS- dd. 29 luglio 2005 recante la ricognizione delle opere difformi dalla concessione edilizia n. -OMISSIS- del 1999, nei provvedimenti complessivamente impugnati si distinguerebbe tra le opere rese oggetto delle domande di condono edilizio e quanto – viceversa – non è stato compreso nelle domande medesime, ossia, “segnatamente le trasformazioni ad uso abitativo del locale sottotetto e del locale seminterrato” (cfr. ivi), con la conseguente applicazione al riguardo della sanzione della demolizione di cui all’art. 31 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001.
Va evidenziato in proposito che dopo circa un anno la medesima Sezione I^-quater del T.A.R. per il Lazio, mediante la susseguente sua sentenza n. -OMISSIS- dd. 24 giugno 2009, resa nel predetto ricorso ivi proposto sub R.G. 11483 del 2005 proposto dall-OMISSIS- – speculare sul punto qui in questione – è viceversa pervenuta ad una conclusione di segno opposto.
Mediante tale pronuncia l’impugnativa dell-OMISSIS- è stata invero accolta con riguardo alla censura secondo la quale l’Amministrazione comunale “avrebbe dovuto prima procedere all’esame delle domande di condono e, poi, all’irrogazione delle sanzioni, e, comunque, avrebbe dovuto indicare le specifiche ragioni per cui la fattispecie è stata sussunta nell’ambito applicativo dell’art. 31 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001” (cfr. ivi).
Infatti, “alcune delle opere contestate come abusive dal Comune di (omissis) sono interessate da due istanze di condono. In particolare, le domande di sanatoria hanno ad oggetto il frazionamento dell’immobile, il cambio di destinazione d’uso al piano terra per 50,00 mq., la costruzione di un soppalco per mq. 30,00 e di una cantina di 40,00 (pratica -OMISSIS- del 09/12/04 prot. n. 21272) e la realizzazione di un garage (pratica n. 638 del 09/12/04 prot. n. 21276). Secondo quanto risulta dalla stessa relazione prot. n. 18842 del 29 luglio 205 redatta dall’Ufficio urbanistica del Comune di (omissis), le opere non coperte dalle istanze di sanatoria sono sostanzialmente identificabili nel cambio di destinazione del piano sottotetto e del piano seminterrato e risultano materialmente connesse con quelle già fornite di titolo abilitativo o astrattamente assentibili perché oggetto delle domande di condono. La peculiare situazione di fatto ora delineata avrebbe dovuto indurre l’amministrazione, in ossequio a quanto desumibile dai principi di logicità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, a provvedere in relazione alle domande di condono presentate dal ricorrente e, solo successivamente, ad adottare la sanzione ripristinatoria. Tale “modus operandi”, cui sembra riferirsi lo stesso Consiglio di Stato nell’ordinanza n. 3869/06 del 26 luglio 206 con cui è stata sospesa l’efficacia dell’atto impugnato ‘fino alle definitive determinazioni che il Comune dovrà adottare in ordine alla istanza di condono edilizio presentata dal ricorrentè , appare, per altro coerente con il disposto dell’art. 38 della l. n. -OMISSIS- del 1985, applicabile al condono edilizio previsto dal d.l. n. 269/03 in virtù del richiamo operato dall’art. 32 commi 25 e 28 del testo normativo in esame, secondo cui la presentazione entro il termine previsto dalla legge (nella fattispecie il 10 dicembre 2004) della domanda di condono accompagnata dall’attestazione del versamento della somma dovuta a titolo della prima rata dell’oblazione ‘sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrativè . Ne consegue che quando viene presentata una domanda di condono edilizio, proprio in base al disposto dell’art. 38 della l. n. -OMISSIS- del 1985, l’amministrazione non può emettere un provvedimento sanzionatorio senza avere previamente definito il procedimento scaturente dall’istanza di sanatoria ostandovi i principi di lealtà, coerenza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, i quali impongono la previa definizione del procedimento di condono prima di assumere iniziative potenzialmente pregiudizievoli per lo stesso esito della sanatoria edilizia… La previa definizione delle istanze di condono, avente ad oggetto opere connesse anche fisicamente alle altre sfornite di titolo abilitativo, avrebbe, per altro, consentito all’amministrazione di avere piena contezza circa l’entità delle opere non sanabili realizzate e, quindi, di operare una corretta valutazione in ordine alla normativa sanzionatoria applicabile nella fattispecie. In quest’ottica non può non rilevarsi che, come fondatamente dedotto con la medesima censura, il Comune di (omissis) non ha esplicitato in alcun modo le ragioni che lo hanno indotto a sussumere la fattispecie nell’ambito applicativo dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 e ciò nonostante ne avesse uno specifico onere non soltanto in base al principio generale previsto dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ma anche in relazione alle conseguenze particolarmente pregiudizievoli (tra cui l’acquisizione gratuita al patrimonio dell’ente locale) previste dalla norma a carico dell’autore dell’abuso. Tale difetto motivazionale appare vieppiù rilevante proprio in considerazione della presenza di domande di condono che, se accolte, costituirebbero titolo abilitativo idoneo alla cui luce valutare l’entità delle difformità complessivamente realizzate. In sintesi, il provvedimento impugnato appare illegittimo perché emesso prima del preventivo esame delle domande di condono edilizio e perché non reca una sufficiente motivazione in ordine alla ritenuta applicabilità dell’art. 31 del d.P.R.. n. 380 del 2001. Naturalmente, in relazione al vincolo conformativo derivante dal giudicato che si potrebbe formare sulla presente sentenza di annullamento (qualora non impugnata o riformata dal giudice di secondo grado), rimane salva la facoltà del Comune di riesercitare – senza i vizi accertati dal Collegio – il potere amministrativo di vigilanza e repressione allo stesso riconosciuto dalla normativa edilizia ed urbanistica vigente” (cfr. ibidem).
Questo Collegio – a sua volta – non può che far proprie tali notazioni di fondo – del resto già di fatto anticipate nella già più volte citata ordinanza cautelare n. -OMISSIS-dd. 26 luglio 2006 resa dalla Sezione IV di questo Consiglio di Stato – e trasporle puntualmente anche per la definizione della presente fattispecie.
Costituisce infatti giurisprudenza non smentita, né smentibile in dipendenza dell’inequivoco dato letterale che ivi esprime la voluntas legis, che l’art. 38 della l. n. -OMISSIS- del 1985 – richiamato anche dall’art. 32, commi 25 e 28 del d.l. n. 269 del 2003 convertito con l. n. 326 del 2003 – dispone che la presentazione della domanda di condono sospende il procedimento per l’applicazione di sanzioni amministrative, con la conseguenza che, pendendo la definizione di tali domande, non può essere – tra l’altro – adottato alcun provvedimento di demolizione (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2016, n. 5028, e 10 maggio 2013, n. 2541; Sez. V, 24 aprile 2013, n. 2280, 31 ottobre 2012, n. 5553 e 3 agosto 2004, n. 5412).
Invero, la giurisprudenza ha pure avuto modo di affermare che la sospensione dei procedimenti sanzionatori non si applica con riguardo alle opere c.dd. “scorporabili”, in quanto realizzate in modo abusivo successivamente alla presentazione della domanda di condono, ovvero per le opere in essa non ricomprese (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 28 aprile 2016, n. 2860).
Nel caso di specie, tuttavia, tale circostanza non ricorre in quanto – come esattamente rilevato nella sentenza surriportata – le opere rese oggetto delle due istanze di condono edilizio risultavano “comunque connesse anche fisicamente alle altre (opere)” – anche se sarebbe più esatto utilizzare qui il termine di “destinazioni d’uso”, per quanto ora si dirà appresso – per le quali la domanda di condono non era stata invero presentata.
Per l’appunto, soltanto l’esame delle anzidette istanze di condono poteva ragionevolmente consentire all’Amministrazione comunale, anche nella presente vicenda, di valutare appieno l’entità dell’abuso perpetrato e di correttamente valutare le disposizioni sanzionatorie eventualmente applicabili: e nella specie risulta infatti innegabile che il complesso delle opere di trasformazione materiale dell’immobile rispetto a quanto preventivato in sede di rilascio della concessione edilizia n. -OMISSIS- del 1999 è avvenuto in connessione al mutamento della destinazione d’uso non soltanto del piano terra dell’edificio, ma anche del locale sottotetto e del locale seminterrato, ancorché questi ultimi non siano stati espressamente considerati nelle due anzidette domande di sanatoria.
E, se così è, risulta altrettanto innegabile che soltanto l’esame di tali domande avrebbe consentito all’Amministrazione comunale di consapevolmente determinarsi nel senso di respingerle, ovvero di esprimere il proprio assenso al riguardo e di sanzionare separatamente i due mutamenti di destinazione d’uso considerando l’ipotesi di eventualmente applicare in proposito l’art. 37 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001.
L’avvenuta applicazione nella specie della sanzione della riduzione in pristino à sensi dell’art. 31 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001 risulta, pertanto, anche con riguardo alla posizione degli attuali appellanti, manifestamente illegittima, in quanto si sostanzia comunque nella demolizione di opere che, essendo ricomprese nelle predette due domande di condono edilizio, erano a quel momento assoggettate alla previa valutazione di tali istanze al fine della loro eventuale legittimazione e, nel contempo, impone la medesima sanzione demolitoria in presenza di due mutamenti di destinazioni d’uso astrattamente rientranti in un regime sanzionatorio del tutto diverso.
Anche nel presente caso, pertanto, il ricorso sul punto va accolto, e in conseguenza di ciò l’Amministrazione comunale dovrà provvedere alla riedizione dell’azione amministrativa di propria competenza determinandosi sulle due domande di condono edilizio segnatamente riferite all’immobile di proprietà degli attuali appellanti e, ove del caso, sanzionare gli abusi edilizi reputati non condonabili ovvero non rientranti nelle domande medesime.
Va in ogni caso precisato che l’eventuale accoglimento della domanda di condono edilizio da parte dell’Amministrazione comunale non potrà che determinare tra tale parte e gli attuali appellanti la cessazione della materia del contendere.
3.4.1. Per quanto da ultimo attiene ai motivi d’appello formulati nei riguardi del capo della sentenza impugnata relativo al decreto dell’Amministrazione regionale n. -OMISSIS- dd. 12 ottobre 2005, va innanzitutto premesso che negli artt. 64 usque 76 del t.u. approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è stato trasfuso e in parte riordinato il materiale normativo recante la disciplina della realizzazione delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso, nonché delle opere a struttura metallica, già contenuto nella l. 5 novembre. 1971, n. 1086, nel mentre nei susseguenti artt. 83 usque 106 del medesimo t.u. è stato parimenti trasfuso e altrettanto parzialmente riordinato il materiale normativo rinveniente dalla l. 3 febbraio 1974, n. 64, a sua volta recante “Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”.
Pur essendo le rispettive fattispecie contraddistinte da normazioni differenti nel loro contenuto, entrambe sono state comunque sistematicamente collocate nella Parte II del t.u. n. 380 del 2001, intitolata “Normativa tecnica per l’edilizia”, laddove in via generale si dispone – tra l’altro – all’art. 52, che “in tutti i Comuni della Repubblica le costruzioni sia pubbliche sia private debbono essere realizzate in osservanza delle norme tecniche riguardanti i vari elementi costruttivi fissate con decreti del Ministro per le infrastrutture e i trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici che si avvale anche della collaborazione del Consiglio nazionale delle ricerche. Qualora le norme tecniche riguardino costruzioni in zone sismiche esse sono adottate di concerto con il Ministro per l’interno. Dette norme definiscono: a) i criteri generali tecnico-costruttivi per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento; b) i carichi e sovraccarichi e loro combinazioni, anche in funzione del tipo e delle modalità costruttive e della destinazione dell’opera, nonché i criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni; c) le indagini sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, i criteri generali e le precisazioni tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione; i criteri generali e le precisazioni tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo di opere speciali, quali ponti, dighe, serbatoi, tubazioni, torri, costruzioni prefabbricate in genere, acquedotti, fognature; d) la protezione delle costruzioni dagli incendi”.
3.4.2. Per quanto qui segnatamente interessa, l’art. 64 del t.u. dispone che “la realizzazione delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica, deve avvenire in modo tale da assicurare la perfetta stabilità e sicurezza delle strutture e da evitare qualsiasi pericolo per la pubblica incolumità …. La costruzione delle opere di cui all’articolo 53, comma 1 (ossia opere eseguite in conglomerato cementizio normale, opere eseguite in conglomerato cementizio precompresso e opere a struttura metallica, come ivi rispettivamente definite), deve avvenire in base ad un progetto esecutivo redatto da un tecnico abilitato, iscritto nel relativo albo, nei limiti delle proprie competenze stabilite dalle leggi sugli ordini e collegi professionali…. L’esecuzione delle opere deve aver luogo sotto la direzione di un tecnico abilitato, iscritto nel relativo albo, nei limiti delle proprie competenze stabilite dalle leggi sugli ordini e collegi professionali…. Il progettista ha la responsabilità diretta della progettazione di tutte le strutture dell’opera comunque realizzate…. Il direttore dei lavori e il costruttore, ciascuno per la parte di sua competenza, hanno la responsabilità della rispondenza dell’opera al progetto, dell’osservanza delle prescrizioni di esecuzione del progetto, della qualità dei materiali impiegati, nonché, per quanto riguarda gli elementi prefabbricati, della posa in opera”.
Il susseguente art. 65 disponeva quindi, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa – ossia antecedentemente alle modifiche e alle integrazioni apportate recentemente dall’art. 3, comma 1, lett. a), del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla l. 14 giugno 2019, n. 55, che “le opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica, prima del loro inizio, devono essere denunciate dal costruttore allo sportello unico, che provvede a trasmettere tale denuncia al competente ufficio tecnico regionale…. Nella denuncia devono essere indicati i nomi ed i recapiti del committente, del progettista delle strutture, del direttore dei lavori e del costruttore…. Alla denuncia devono essere allegati: a) il progetto dell’opera in triplice copia, firmato dal progettista, dal quale risultino in modo chiaro ed esauriente le calcolazioni eseguite, l’ubicazione, il tipo, le dimensioni delle strutture, e quanto altro occorre per definire l’opera sia nei riguardi dell’esecuzione sia nei riguardi della conoscenza delle condizioni di sollecitazione; b) una relazione illustrativa in triplice copia firmata dal progettista e dal direttore dei lavori, dalla quale risultino le caratteristiche, le qualità e le dosature dei materiali che verranno impiegati nella costruzione…. Lo sportello unico restituisce al costruttore all’atto stesso della presentazione, una copia del progetto e della relazione con l’attestazione dell’avvenuto deposito. Anche le varianti che nel corso dei lavori si intendano introdurre alle opere… previste nel progetto originario, devono essere denunciate, prima di dare inizio alla loro esecuzione, allo sportello unico nella forma e con gli allegati previsti nel presente articolo”.
Sempre per quanto qui segnatamente interessa, l’art. 71 del t.u. sanziona “chiunque commette, dirige e, in qualità di costruttore, esegue le opere” predette “in violazione dell’articolo 64, commi 2, 3 e 4 (ossia, rispettivamente, gli obblighi di redazione del progetto esecutivo da parte del tecnico a ciò abilitato, l’obbligo della direzione dei lavori da parte del tecnico sempre a ciò abilitato e l’obbligo del progettista di assumere la responsabilità diretta della progettazione di tutte le strutture dell’opera comunque realizzate) con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da Euro 103,00 a Euro 1032,00”, nel mentre à sensi del susseguente art. 72 “il costruttore che omette o ritarda la denuncia prevista dall’articolo 65 è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da Euro 103,00 a Euro 1032,00”.
Come detto innanzi, gli attuali appellanti sono stati assolti in sede penale da tali reati “per non aver commesso il fatto”.
Importa a questo punto evidenziare che l’art. 68 del t.u. attribuisce al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale, nel cui territorio vengono realizzate le opere predette, il compito di vigilare sull’osservanza degli adempimenti sopradescritti, avvalendosi a tal fine dei funzionari ed agenti comunali, i quali, a loro volta, à sensi del susseguente art. 69, ove “accertino l’inosservanza degli adempimenti previsti nei precedenti articoli, redigono processo verbale che, a cura del dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, verrà inoltrato all’Autorità giudiziaria competente ed all’ufficio tecnico della Regione per i provvedimenti di cui all’articolo 70”.
Quest’ultimo articolo dispone a sua volta che “il dirigente dell’ufficio tecnico regionale, ricevuto il processo verbale redatto a norma dell’articolo 69 ed eseguiti gli opportuni accertamenti, ordina, con decreto notificato a mezzo di messo comunale, al committente, al direttore dei lavori e al costruttore la sospensione dei lavori…. I lavori non possono essere ripresi finché il dirigente dell’ufficio tecnico regionale non abbia accertato che sia stato provveduto agli adempimenti previsti dal presente capo…. Della disposta sospensione è data comunicazione al dirigente del competente ufficio comunale perché ne curi l’osservanza”.
3.4.3. Per quanto attiene alle opere da eseguirsi nelle zone sismiche così come determinate dall’art. 83 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001, va evidenziato che à sensi dell’art. 93 del t.u. medesimo “chiunque intenda” ivi “procedere a costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni, è tenuto a darne preavviso scritto allo sportello unico, che provvede a trasmetterne copia al competente ufficio tecnico della Regione, indicando il proprio domicilio, il nome e la residenza del progettista, del direttore dei lavori e dell’appaltatore…. Alla domanda deve essere allegato il progetto, in doppio esemplare e debitamente firmato da un ingegnere, architetto, geometra o perito edile iscritto nell’albo, nei limiti delle rispettive competenze, nonché dal direttore dei lavori…. Il contenuto minimo del progetto è determinato dal competente ufficio tecnico della Regione. In ogni caso il progetto deve essere esauriente per planimetria, piante, prospetti e sezioni ed accompagnato da una relazione tecnica, dal fascicolo dei calcoli delle strutture portanti, sia in fondazione sia in elevazione, e dai disegni dei particolari esecutivi delle strutture…. Al progetto deve inoltre essere allegata una relazione sulla fondazione, nella quale devono essere illustrati i criteri seguiti nella scelta del tipo di fondazione, le ipotesi assunte, i calcoli svolti nei riguardi del complesso terreno-opera di fondazione…. La relazione sulla fondazione deve essere corredata da grafici o da documentazioni, in quanto necessari…. In ogni Comune deve essere tenuto un registro delle denunzie dei lavori di cui al presente articolo….Il registro deve essere esibito, costantemente aggiornato, a semplice richiesta, ai funzionari, ufficiali ed agenti indicati nell’articolo 103”, ossia “gli ufficiali di polizia giudiziaria, gli ingegneri e geometri degli uffici tecnici delle amministrazioni statali e degli uffici tecnici regionali, provinciali e comunali, le guardie doganali e forestali, gli ufficiali e sottufficiali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e in generale tutti gli agenti giurati a servizio dello Stato, delle Province e dei Comuni” (cfr. ivi).
Il susseguente art. 94 dispone quindi che, “fermo restando l’obbligo del titolo abilitativo all’intervento edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all’uopo indicate nei decreti di cui all’articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della Regione…. L’autorizzazione è rilasciata entro sessanta giorni dalla richiesta e viene comunicata al Comune, subito dopo il rilascio, per i provvedimenti di sua competenza…. Avverso il provvedimento relativo alla domanda di autorizzazione, o nei confronti del mancato rilascio entro il termine” anzidetto “è ammesso ricorso al Presidente della Giunta regionale che decide con provvedimento definitivo…. I lavori devono essere diretti da un ingegnere, architetto, geometra o perito edile iscritto nell’albo, nei limiti delle rispettive competenze”.
A’ sensi dell’art. 95 del t.u. “chiunque violi” le sopradescritte disposizioni “è punito con l’ammenda da Euro 206,58 a Euro 10.329,14”: sanzione penale, questa, parimenti nella specie non applicata agli attuali appellanti in quanto assolti anche da tale imputazione “per non aver commesso il fatto”.
Anche in questo caso, à sensi dell’art. 96, comma 1, del t.u., “i funzionari, gli ufficiali ed agenti indicati all’articolo 103, appena accertato un fatto costituente violazione delle presenti norme, compilano processo verbale trasmettendolo immediatamente al competente ufficio tecnico della Regione”, il cui dirigente, “previ, occorrendo, ulteriori accertamenti di carattere tecnico, trasmette il processo verbale all’autorità giudiziaria competente con le sue deduzioni” (cfr. ibidem, comma 2) e “ordina, con decreto motivato, notificato a mezzo di messo comunale, al proprietario, nonché al direttore o appaltatore od esecutore delle opere, la sospensione dei lavori…. Copia del decreto è comunicata al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale ai fini dell’osservanza dell’ordine di sospensione…. L’ufficio territoriale del governo, su richiesta del dirigente… assicura l’intervento della forza pubblica, ove ciò sia necessario per l’esecuzione dell’ordine di sospensione…. L’ordine di sospensione produce i suoi effetti sino alla data in cui la pronuncia dell’autorità giudiziaria diviene irrevocabile” (cfr. art. 97 t.u. cit.).
3.4.4. Va evidenziato che le normative ora descritte sono contraddistinte dal comune istituto della sospensione cautelativa dei lavori, che in entrambi i casi è disposta dal dirigente dell’ufficio tecnico della Regione e innesca anche i conseguenti procedimenti penali.
Qualche tratto distintivo tra i due istituti può rilevarsi per il regime sanzionatorio in sede amministrativa, nel mentre rimane ferma in entrambe le discipline l’autonomia dell’eventuale sanatoria “ordinaria” rilasciata dall’autorità amministrativa rispetto alle conseguenze penali dell’illecito.
Per quanto attiene infatti alla mancata osservanza delle disposizioni dettate in materia di opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica, l’art. 70 del t.u. dispone, come si è visto innanzi, che – ferma restando l’applicazione delle sopradescritte sanzioni penali di cui agli artt. 71 e 72 del medesimo t.u. (cfr. al riguardo, ad es., Cass. Sez. III pen., 4 luglio 2017, n. 38953, 8 aprile 2014, n. 18709 e 11 febbraio 2014, n. 13861) – la sospensione dei lavori – assicurata nella sua effettività dalla vigilanza esercitata da parte delle competenti strutture dell’Amministrazione comunale – si protrae fino a quando “il dirigente dell’ufficio tecnico regionale non abbia accertato che sia stato provveduto agli adempimenti previsti”, ossia non venga prodotta dal costruttore la documentazione di cui ai predetti artt. 64 e 65.
In tal senso, quindi, dalla disciplina suesposta è dato desumere che la pur tardiva produzione della documentazione anzidetta, facendo venir meno la sospensione dei lavori, sana (peraltro sotto il mero profilo amministrativo) l’illegittimità ab origine costituita dal mancato deposito nei termini della documentazione medesima.
Ove il costruttore neppure provveda anche a tale tardivo adempimento, la sospensione – viceversa – opera di fatto sine die, ed ovviamente impedisce il rilascio da parte dell’Amministrazione comunale di ulteriori titoli edilizi al fine del completamento dell’opera, nel mentre non risulta espressamente contemplato uno specifico procedimento amministrativo per la rimozione delle opere nel presupposto della mancata produzione della documentazione mancante.
In tal senso pare dunque possibile concludere che l’ordinamento sanziona indirettamente il mancato adempimento, anche tardivo, del deposito della documentazione con l’impossibilità di ottenere il rilascio di qualsivoglia titolo edilizio dopo la scadenza di quelli in corso di validità ma paralizzati nei propri effetti in dipendenza della sopravvenuta sospensione dei lavori.
Per quanto attiene alle costruzioni realizzate nelle zone sismiche, l’art. 98, comma 3, del t.u. dispone invece che “con il decreto o con la sentenza di condanna” per il reato di cui all’art. 95, “il giudice ordina la demolizione delle opere o delle parti di esse costruite in difformità ” di quanto disposto dalle norme in materia, “ovvero impartisce le prescrizioni necessarie per rendere le opere conformi alle norme stesse, fissando il relativo termine”.
In caso di inottemperanza, il susseguente art. 99 dispone nel senso che provvede al riguardo l’ufficio tecnico regionale, comunque a spese del condannato e avvalendosi – ove del caso – dell’assistenza della forza pubblica, configurandosi pertanto in tale evenienza l’ufficio medesimo quale vero e proprio organo ausiliario del giudice istituito con legge speciale.
A’ sensi dell’art. 100 del t.u., qualora il reato sia viceversa estinto per qualsiasi causa, rimane in ogni caso fermo l’obbligo della demolizione delle opere ovvero l’esecuzione di modifiche idonee a renderle conformi alle norme vigenti, e a ciò provvede d’ufficio il Presidente della Regione, sentito l’organo tecnico consultivo della medesima Amministrazione regionale, sempre a spese del responsabile e con l’eventuale assistenza della forza pubblica.
Nondimeno, pare ammissibile anche per tali opere la possibilità del rilascio di un’autorizzazione à sensi dell’art. 94 del t.u. in sanatoria, ossia anche successivamente alla sospensione dei lavori ed essendo pendente il relativo procedimento penale: rilascio che, in effetti, non risulta di per sé precluso, stante l’assenza di disposizioni di legge espressamente a ciò contrarie.
Sotto il profilo penale peraltro, la giurisprudenza esclude in tale eventualità l’estinzione dell’illecito penale, in quanto è mantenuta ferma la sanzionabilità del pregresso comportamento del costruttore (così, ad es., anche recentemente, Cass. Sez. III pen., 7 maggio 2019, n. 19221, nonché, ex plurimis, id.,13 novembre 2018, n. 5-OMISSIS-0, 13 aprile 2005, n. 19256, e 16 novembre 1995, n. 12-OMISSIS-6): e ciò in quanto le contravvenzioni previste dalla normativa antisismica puniscono inosservanze formali, volte a presidiare il controllo preventivo della P.A.: dal che deriva che l’effettiva pericolosità della costruzione realizzata senza i prescritti adempimenti risulta del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato e la verifica postuma dell’assenza del pericolo ed il rilascio dei provvedimenti abilitativi non incide sulla illiceità della condotta, poiché gli illeciti sussistono in relazione al momento di inizio dell’attività (così, puntualmente, Cass. Sez. III pen., 15 aprile 2009, n. 2-OMISSIS-33).
3.4.5. Premesso tutto ciò, la contestazione principalmente dedotta al riguardo dagli attuali appellanti attiene alla circostanza che il provvedimento impugnato reca un ordine di sospensione dei lavori da essi considerato illegittimo nella figura sintomatica dell’eccesso di potere per travisamento dei fatti, in quanto al momento della sua adozione nessun lavoro era in corso nell’immobile.
Tale motivo d’appello non può peraltro essere accolto, in quanto l’ordine di sospensione impartito dal Dirigente del competente ufficio dell’Amministrazione regionale, con riguardo alla disciplina sia delle opere eseguite in cemento armato o a struttura metallica, sia delle opere realizzate nelle zone sismiche, ragionevolmente non presuppone la mera esistenza di lavori in corso, bensì anche quella di lavori già conclusi in violazione alle discipline anzidette, con la conseguenza che l’ordine medesimo si sostanzia in quest’ultima evenienza nella proibizione di effettuare sull’edificio qualsivoglia ulteriore lavoro, in quanto suscettibile di comprometterne la staticità .
3.4.6. Nondimeno, pur non annullando il decreto dirigenziale regionale qui in esame (i cui effetti risultano peraltro già ad oggi consunti), il Collegio non può che accogliere l’ulteriore ordine di motivi dedotti dagli appellanti nei riguardi della sentenza impugnata, laddove nel capo relativo a tale provvedimento, all’evidenza se ne travisa il suo stesso e del tutto inequivoco contenuto.
Nella parte conclusiva del decreto predetto testualmente “si precisa” – infatti – “che l’eventuale provvedimento autorizzativo in sanatoria dovrà essere soggetto agli adempimenti di cui all’art. 35 della l. 28 febbraio 1985, n. -OMISSIS- e successive modificazioni ed integrazioni”.
Nel caso di specie, quindi, pur disponendo la sospensione dei lavori, l’Amministrazione regionale non si è limitata ad ammettere gli attuali appellanti alle ipotesi di sanatoria “ordinaria” ermeneuticamente ricavabili – come si è visto innanzi, al § 3.4.4 della presente sentenza – dalla lettura delle disposizioni rispettivamente contenute negli artt. 64 usque 76 e 83 usque 106 del t.u. n. 380 del 2001, ma – del tutto legittimamente, e quindi ben diversamente da quanto invece disposto dall’Amministrazione comunale – ha riconosciuto l’oggettiva pendenza a quel momento di un procedimento di condono edilizio e ha pertanto informato gli interessati che l’inottemperanza alle disposizioni in materia di costruzioni in cemento armato e nelle zone sismiche poteva essere sanata mediante l’applicazione della disciplina contenuta al riguardo nel predetto art. 35 della l. n. -OMISSIS- del 1985, ricompreso anch’esso nella legislazione speciale propria del condono anzidetto.
Invero sin dall’origine il testo di tale articolo ha contemplato, tra la documentazione richiesta per conseguire il condono, anche l’obbligo di produrre la certificazione dell’idoneità statica dell’edificio reso oggetto della relativa istanza (cfr. ivi, terzo comma, lett. b).
Tale previsione è stata peraltro successivamente integrata con ulteriori disposizioni di dettaglio, segnatamente relative alle costruzioni in cemento armato e nelle zone sismiche ivi introdotte nei commi dal quarto al dodicesimo per effetto della novella contenuta dapprima nell’art. 8, secondo comma, del d.l.. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni con la l. 21 giugno 1985, n. 298, e, successivamente, dall’art. 4, comma 1, del d.l.12 gennaio 1988, n. 2, a sua volta convertito con modificazioni con la l. 13 marzo 1988, n. 68.
Questa particolare disciplina derogatoria dalle norme comuni dei due istituti sopradescritti, ma a sua volta non meno complessa, ha pertanto trovato applicazione non soltanto per il primo condono edilizio, in origine normato esclusivamente dall’art. 31 e ss. della l. n. -OMISSIS- del 1985, ma anche per quello successivamente disposto per effetto dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724 e – per quanto qui segnatamente interessa – pure per quello normato dall’art. 32, comma 25, e ss. del d.l. n. 263 del 2003 convertito con l. n. 326 del 2003, stante il richiamo che anche tali disposizioni di legge susseguentemente entrate in vigore recano nei confronti del predetto art. 35.
Importa inoltre rilevare che, nell’ipotesi di condono edilizio – ben diversa da quella della sanatoria “ordinaria” conseguente all’accertamento di conformità disposta a suo tempo per effetto dell’art. 13 della stessa l. n. -OMISSIS- del 1985 e ad oggi dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, l’oblazione al riguardo corrisposta à sensi dell’art. 38 della l. n. -OMISSIS- del 1985 estingue anche il reato previsto in tema di irregolare costruzione in zona sismica, posto che tale articolo di legge espressamente richiama anche l’art. 20 della l.,2 febbraio 1974, n. 64, vigente a quel momento e attualmente sostituito – per l’appunto – dall’art. 95 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001, al quale pertanto il richiamo medesimo, indubitabilmente di tipo “dinamico”, va ora riferito (cfr. sul punto, ad es., Cass. Sez. III pen, 14 marzo 2005, n. 20275).
Lo stesso vale anche per le sanzioni relative alle costruzioni assoggettate a condono edilizio e realizzate con la contestuale violazione delle disposizioni relative alle opere in conglomerato cementizio armato o a struttura metallica, posto che il medesimo art. 35 parimenti richiama in via espressa anche gli artt. 13, 15, 16 e 17 della l. 5 novembre 1971, n. 1086, vigenti a quel momento e presentemente sostituiti dagli artt. 71 e 72 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001, ai quali pertanto il richiamo medesimo va ora, per la medesima ragione dianzi esposta, parimenti riferito (cfr. sul punto ad es. Cass. Sez. III pen., 8 luglio 2008, n. 36558).
Orbene, nella sentenza impugnata recisamente si afferma che il certificato di idoneità statica nella specie prodotto dagli attuali in data 26 ottobre 2005 appellanti à sensi dell’art. 35 della l. n. -OMISSIS- del 1985 all’Amministrazione regionale non risulterebbe di per sé idoneo allo scopo, posto che “la procedura” da essi “seguita in questa situazione dai ricorrenti ai fini sismici” (ma non solo: anche ai fini delle opere eseguite in conglomerato cementizio) “è ammessa non in via generale, ma unicamente con riguardo alle opere oggetto di domanda di condono, atteso che la disposizione applicata rientra nel Capo IV della menzionata legge, a ciò dedicato, alla cui applicazione, per le opere ultimate entro il 31 marzo 2003, demanda l’art. 32, comma 25, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n. 326. Nella specie detto certificato concerne tutte le opere difformi dalla concessione edilizia n. -OMISSIS- del 1999, perciò anche quelle non interessate dalle domande di condono, per le quali era prescritta l’autorizzazione sismica (ma – ancora una volta – si dimentica la pratica relativa alle opere in conglomerato cementizio), secondo le regole ordinarie…. Deve concludersi che il ricorso è infondato e va rigettato” (cfr. ivi).
Come ben si vede, il giudice di primo grado, pur di mantenere fermo il proprio erroneo postulato di fondo secondo cui la circostanza della formalmente mancata menzione nelle due predette istanze di condono edilizio dell’avvenuto mutamento di destinazione del piano sottotetto e del piano seminterrato impedirebbe il rilascio del condono medesimo, perviene al risultato di manipolare lo stesso contenuto del decreto emesso dall’Amministrazione regionale, sostenendo – contro il suo stesso ed inequivoco dato letterale – che la pur unica certificazione di idoneità statica con esso richiesta à sensi dell’anzidetto art. 35 della l. n. -OMISSIS- del 1985 non potrebbe estendersi anche alle “opere” non ricomprese nelle istanze di condono predette, per le quali pertanto dovrebbe essere applicata la disciplina ordinariamente prevista dalla Parte II^ del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente sussistenza di un ulteriore obbligo di adempimenti anche in tal senso.
Ma – a prescindere dalla circostanza che articolando tale scorretto ragionamento lo stesso giudice ha scordato che l’impugnato provvedimento di sospensione dei lavori non riguardava soltanto l’omessa procedura relativa alle costruzioni in zona sismica ma anche quella riguardante l’utilizzazione dei conglomerati cementizi, risulta da subito evidente l’intrinseca illogicità di tale percorso argomentativo, perché in questo modo si pretenderebbe di assoggettare alle procedure ordinarie relative ad opere in conglomerato cementizio nonché realizzate in zona sismica delle mere circostanze fattuali che, se considerate per se stanti, non costituiscono – per l’appunto – “opere”, ossia i predetti mutamenti di destinazione d’uso del piano sottotetto e del piano seminterrato.
Consegue, quindi, da tutto ciò che anche la sentenza impugnata va riformata anche su tale capo, rilevando al riguardo la formale inerenza del certificato di idoneità statica prodotto in data 26 ottobre 2005 all’Amministrazione regionale dagli attuali appellanti à sensi dell’art. 35 della l. n. -OMISSIS- del 1985 e successive modifiche, a tutte le opere in ordine alle quali era concomitantemente pendente la domanda di condono edilizio.
Il fatto che agli atti di causa non risultino dedotte contestazioni su tale circostanza da parte della Regione Lazio – costituitasi nel presente grado di giudizio con mero atto di stile – non può che essere interpretato nel senso della congruità di tale produzione, con il conseguente venir meno di ogni interesse da parte degli attuali appellanti a contestare il decreto regionale di sospensione dei lavori in origine impugnato e, in difetto di ulteriori deduzioni al riguardo, da reputarsi quindi consunto ad oggi nei propri effetti impeditivi.
Ne consegue che in ordine a tale provvedimento il ricorso proposto in primo grado deve essere dichiarato improcedibile.
4. Le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensati tra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata:
– accoglie il ricorso proposto in primo grado limitatamente alle ordinanze n. -OMISSIS-dd. 3 agosto 2005 e n. -OMISSIS- dd. 8 agosto 2005 emesse dal Responsabile del Settore Urbanistica del Comune di (omissis) disponendone l’annullamento, salvi e riservati restando gli eventuali, ulteriori provvedimenti di competenza del Comune medesimo;
– dichiara improcedibile il medesimo ricorso proposto in primo grado avverso il decreto di sospensione dei lavori n. -OMISSIS- dd. 12 ottobre 2005 emesso dal Dirigente della Regione Lazio preposto all’Area Decentrata Lavori Pubblici di Roma.
Compensa integralmente tra tutte le parti le spese e gli onorari di entrambi i gradi del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Francesco Frigida – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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