La prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 24 settembre 2018, n. 40920.

Le massime estrapolate:

La prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell’articolo 292 c.p.p., comma 1, lettera c), come modificato dalla L. 16 aprile 2015, n. 47 e’ osservata quando l’ordinanza cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto; fermo restando che, in presenza di posizioni analoghe o di imputazioni descrittive di fatti commessi con modalita’ “seriali”, non e’ necessario che il giudice ribadisca ogni volta le regole di giudizio alle quali si e’ ispirato, potendo ricorrere ad una valutazione cumulativa purche’, dal contesto del provvedimento, risulti evidente la ragione giustificativa della misura in relazione ai soggetti attinti e agli addebiti di volta in volta, considerati per essi sussistenti

Il giudice del riesame, nello svolgimento della propria delicata funzione di controllo in materia, deve manifestare particolare attenzione nel discernere l’ipotesi del difetto di autonoma valutazione – che ricorre, notoriamente, anche in caso di motivazione graficamente assente, ovvero sostanzialmente mancante o comunque connotata da mera apparenza.

Sentenza 24 settembre 2018, n. 40920

Data udienza 19 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere

Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere

Dott. VIGNA Maria – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la ordinanza del 17/02/2018 del Tribunale del riesame di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Sabina Vigna;
sentite le conclusioni del Procuratore generale Alfredo Pompeo Viola che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
udito il difensore di (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), che si e’ riportato alle note difensive e ha chiesto la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso del Pubblico ministero.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Palermo ha annullato l’ordinanza del locale Giudice per le indagini preliminari del 11 gennaio 2018 con la quale era stata applicata a (OMISSIS) la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’articolo 416-bis cod. pen. (capo A), perche’, quale appartenente della “famiglia mafiosa di (OMISSIS)” e uomo di fiducia del rappresentante della famiglia, (OMISSIS), manteneva un costante collegamento con gli altri capi dell’associazione mafiosa finalizzato alla trattazione degli affari illeciti dell’organizzazione.
In particolare, il Collegio della cautela ha ravvisato nell’ordinanza del G.i.p. il vizio di omessa autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a carico del (OMISSIS).
1.1. L’ordinanza in questione, dopo avere premesso la legittimita’ del ricorso alla tecnica della motivazione per relationem, ha espresso la propria adesione al filone giurisprudenziale piu’ rigoroso, in materia di ordinanze cautelari concernenti una pluralita’ indagati e/o una pluralita’ di addebiti, escludendo che l’autonoma valutazione del quadro indiziario possa essere fatta discendere dal parziale rigetto della richiesta di misura e richiedendo che tale valutazione sia individuabile per ciascuna posizione e con riferimento ai singoli addebiti ipotizzati, nel rispetto dei diritti e principi costituzionali che informano la materia in esame.
Il provvedimento impugnato ha evidenziato, altresi’, che la trattazione degli addebiti per cui si procede a carico del prevenuto consiste nella fedele riproduzione delle pagine della richiesta del Pubblico ministero, eccezione fatta per alcuni snodi della vicenda ritenuti del tutto irrilevanti dal decidente e non riportati nel corpo dell’ordinanza cautelare.
In conclusione, a detta del giudice del riesame, nell’ordinanza genetica si rinvengono “mere clausole di stile”, ben lungi dalla prescritta considerazione logica e critica degli elementi acquisiti, cosi’ risultando non solo inespresso l’iter logico-giuridico che ha condotto il giudice a ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico di (OMISSIS) per gli addebiti a lui mossi, il che radica il vizio di “assoluta mancanza di motivazione”, relativamente al profilo della gravita’ indiziaria.
2. Ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo deducendo i seguenti motivi:
2.1. Contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione, nonche’ erronea applicazione della legge penale con particolare riferimento all’articolo 272 c.p.p., articolo 292 c.p.p., comma 2 e articolo 309 c.p.p., comma 9.
Il G.i.p., come lo stesso Tribunale del riesame ha dato atto, ha svolto un’attivita’ di selezione degli elementi indiziari addotti dal Pubblico ministero; tale attivita’ ha costituito il primo passo rispetto all’autonoma valutazione.
Nel provvedimento impugnato si da contezza degli elementi di fatto piu’ significativi riportati nella richiesta cautelare ed e’ stata effettuata una selezione di tali elementi, riportando solo quelli piu’ rilevanti a parere del G.i.p. rispetto a quelli ben piu’ ampi riportati dal Pubblico ministero nella sua richiesta.
Inoltre, e’ stata accolta parzialmente la richiesta del Pubblico ministero, sia in relazione alle imputazioni che agli indagati ai quali applicare la misura cautelare, ed e’ stata graduata l’applicazione delle misure applicate rispetto alle richieste dalla Procura della Repubblica. Infatti, a fronte delle settantasei richieste di applicazione di custodia cautelare in carcere formulate dal Pubblico ministero, il G.i.p. ha emesso sessantatre misure cautelari, di cui quarantotto in carcere, undici arresti domiciliari e cinque obblighi di presentazione alla P.G., escludendo la sussistenza di numerose fattispecie di reato rispetto a quelle contestate ed aggravanti a effetto speciale per taluni reati – fine.
La conclusione a cui e’ giunto il Tribunale del riesame e’ frutto di un ragionamento contraddittorio e formalistico. Del resto, se cosi’ non fosse, non si comprenderebbe perche’ lo stesso Tribunale del riesame non abbia annullato integralmente l’ordinanza custodiate in oggetto, che e’ redatta interamente con lo stesso metodo analitico valutativo che viene censurato solo in ventotto casi, rispetto alle complessive sessantatre misure cautelari applicate.
2.2. Violazione di legge con riferimento all’articolo 272 c.p.p., articolo 292 c.p.p., comma 2 e articolo 309 c.p.p., comma 9.
La giurisprudenza piu’ rigorosa alla quale il Tribunale ha dichiarato di volere aderire ha ritenuto che la tecnica del “copia incolla” ovvero della incorporazione della richiesta del provvedimento coercitivo o ancora del rinvio per relationem siano tutte opzioni possibili per la redazione del provvedimento, sempre che siano esplicitati i criteri adottati dal G.i.p. a fondamento della decisione.
Nel caso in esame, il G.i.p. dopo aver effettuato una premessa di ordine metodologico di carattere generale e quindi valida per tutti gli imputati, ha sottolineato l’importanza dei summit ed incontri monitorati dai sistemi di videosorveglianza fra gli esponenti delle varie famiglie, i quali vengono ritenuti indispensabili nella valutazione degli indizi raccolti riguardo ad ogni singolo indagato.
Con riferimento al ricorrente, il G.i.p. ha riconosciuto la sussistenza di gravi indizi di reato solo in relazione al reato di partecipazione all’associazione mafiosa e non anche a quello di direzione cui all’articolo 416-bis cod. pen. e ha motivato facendo riferimento alle conversazioni intercorse con altri esponenti di spicco delle famiglie mafiose.
Quanto alle esigenze cautelari, le stesse vengono trattate a pagina 1173-1175 ove si sottolinea che per i reati ascritti al ricorrente opera la presunzione di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 3.
3. In data 5.06.2018 il difensore ha depositato note di udienza nelle quali sottolinea come il ricorso del Pubblico ministero sia apodittico e non indichi i riferimenti normativi che si assumono violati.
Ne’ sono stati confutati con logici argomenti a contrario i passaggi motivazionali dell’ordinanza impugnata.
Il ricorso e’ quindi inammissibile per genericita’ dei motivi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato, imponendosi per l’effetto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza di cui trattasi.
2. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno evidenziato come “il legislatore del 2015 ha chiaramente mostrato, anche con interventi paralleli su piu’ norme (l’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c) e articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c-bis)), di considerare fra gli obiettivi connotanti la riforma quello di sanzionare qualsiasi prassi di automatico recepimento, ad opera del giudice, delle tesi dell’ufficio richiedente, cosi da rendere effettivo il doveroso controllo giurisdizionale preteso dalla Costituzione prima che dalla legge ordinaria, e da rendere altresi’ forte la dimostrazione della specifica valutazione dell’organo giudiziario di prima istanza sui requisiti fondanti la misura, precludendone la sanatoria che potrebbe derivare dall’intervento surrogatorio pieno del giudice della impugnazione, pure rimasto previsto nello stesso comma 9” (cosi’, Sez. U., n. 18954 del 31/03/ 2016, Capasso, Rv. 266789).
Il tratto innovativo della riforma introdotta non riguarda tanto la previsione del rafforzamento dell’obbligo di motivazione del giudice nella parte in cui si richiede l’idoneita’ del provvedimento impositivo a soddisfare la necessita’ di una chiara intelligibilita’ dell’iter logico-argomentativo posto a fondamento del provvedimento coercitivo al fine di evitare motivazioni apparenti non sostanzialmente riferibili ad un giudice terzo, quanto, piuttosto, nella modifica dei poteri attribuiti, in fase decisoria, al Tribunale del riesame, con la previsione di cui all’articolo 309 cod. proc. pen., comma 9.
Al Tribunale e’, infatti, attribuito il potere di annullamento dell’ordinanza che non contenga l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292 cod. proc. pen., delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa.
La riforma impedisce dunque al giudice del riesame di riformare i provvedimenti cautelari afflitti dalle piu’ gravi carenze motivazionali (motivazione “radicalmente assente o meramente apparente”, o “mancante in senso grafico” o consistente in mere “clausole di stile” di consistenza argomentativa nulla), mentre permane il potere di correggere le argomentazioni insufficienti, parzialmente carenti o contraddittorie.
La questione attiene alla verifica delle condizioni minime in presenza delle quali e’ possibile affermare che il giudice della cautela abbia compiuto un effettivo e autonomo giudizio valutativo.
2.1. Questa Corte di legittimita’ ha spiegato che la prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell’articolo 292 c.p.p., comma 1, lettera c), come modificato dalla L. 16 aprile 2015, n. 47 e’ osservata quando l’ordinanza cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto; fermo restando che, in presenza di posizioni analoghe o di imputazioni descrittive di fatti commessi con modalita’ “seriali”, non e’ necessario che il giudice ribadisca ogni volta le regole di giudizio alle quali si e’ ispirato, potendo ricorrere ad una valutazione cumulativa purche’, dal contesto del provvedimento, risulti evidente la ragione giustificativa della misura in relazione ai soggetti attinti e agli addebiti di volta in volta, considerati per essi sussistenti (Sez. 6, n. 1430 del 03/10/2017, dep. 15/01/2018, Palazzo, Rv. 272179; Sez. 3, n. 28979 del 11/05/2016, Sabounjian, Rv. 267350).
2.2. In particolare, e’ stato puntualizzato che, ai fini dell’autonoma valutazione non rileva un’analisi puramente strutturale delle proposizioni che compongono la trama motivazionale, la lunghezza dei periodi sintattici o l’uso, peraltro imposto dal contenuto motivazionale del provvedimento giurisdizionale, di comuni e ricorrenti incisi stilistici, ma e’ necessario e sufficiente verificare che siano stati esplicitati, indipendentemente dal richiamo in tutto o in parte di altri atti del procedimento, i criteri adottati dal giudice della decisione, ossia le ragioni che giustificano l’emanazione del titolo cautelare (cosi’, Sez. 6, n. 13864 del 16/03/2017, Marra, Rv. 269648; nello stesso senso, tra le altre, Sez. 5, n. 11912 del 2/12/2015, dep. 21/03/2016, Belsito, Rv.266428).
2.3. Si e’, inoltre, osservato che “in tema di motivazione delle ordinanze cautelari personali, la previsione di “autonoma valutazione” delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, introdotta all’articolo 292 c.p.p., comma 1, lettera c) dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, impone al giudice di esplicitare, indipendentemente dal richiamo in tutto o in parte di altri atti del procedimento, i criteri adottati a fondamento della decisione e non implica, invece, la necessita’ di una riscrittura “originale” degli elementi o circostanze rilevanti ai fini della disposizione della misura (Sez. 6, n. 13864 del 16/03/2017, Rv. 269648).
Di qui la particolare attenzione che e’ stata dedicata, segnatamente a due ricorrenti tipologie di provvedimenti, l’una costituita dalla motivazione per relationem e l’altra – pure coincidente con il caso di specie – dalla incorporazione nell’ordinanza del giudice della richiesta presentata dal Pubblico ministero.
In linea generale, e’ stata ribadita, pur dopo l’entrata in vigore della L. n. 47 del 2015, la legittimita’ del ricorso a tali forme di motivazione, sempre che sia possibile affermare che il giudice abbia fatto luogo ad “un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto” (in tal senso, Sez. 3, n. 28979 del 11/05/2016 Rv. 267350): il che non puo’ che valere, in forza dell’autonomia che connota i singoli rapporti che s’instaurano in seno al procedimento, per ciascun indagato e in relazione ai distinti fatti oggetto di incolpazione (cfr., in parte motiva, la gia’ citata Sez. 6, sent. n. 13864/2017), in tal senso ribadendo quindi il Collegio la propria adesione all’indirizzo giurisprudenziale piu’ rigoroso, a fronte di quello che ritiene sufficiente, onde integrare il requisito dell’autonoma valutazione, il fatto che l’ordinanza, “benche’ redatta con la tecnica del c.d. copia-incolla, accolga la richiesta del Pubblico ministero solo per talune imputazioni cautelari ovvero solo per alcuni indagati, in quanto il parziale diniego opposto dal giudice o la diversa gradazione delle misure costituiscono, di per se’, indice di una autonoma valutazione critica e non meramente adesiva, della richiesta cautelare, nell’intero complesso delle sue articolazioni interne” (cosi’, da ultimo, Sez. 2, n. 2575 del 4/05/2017, Rv. 270662).
Tale orientamento, secondo questo Collegio, non risulta rispettoso della valenza costituzionale dei principi in gioco, quali la tutela della liberta’ delle persone e il correlato diritto di difesa, nonche’ l’esercizio indipendente della giurisdizione, dovendo il giudice che decide la compressione della liberta’ di un determinato soggetto incentrare la propria valutazione sulla specifica posizione del soggetto attinto dalla misura cautelare che costituisce oggetto di giudizio.
2.4. Alla luce dei principi sopra esposti, ritiene il Collegio che, mentre gli elementi fattuali possono essere trascritti dal G.i.p. cosi’ come indicati nella richiesta del Pubblico ministero e senza alcuna aggiunta, costituendo il dato oggettivo posto alla base della richiesta, per cio’ che concerne il profilo prettamente valutativo, e’ essenziale che lo stesso sia esplicitato, trattandosi del dato realmente qualificante della decisione assunta.
La sussistenza dello stesso va, ovviamente, analizzata, alla luce della totalita’ dell’impianto motivazionale del provvedimento in esame (cfr. Sez. 6, n. 30777 del 20/06/2018; Sez. 6, n. 3067 del 03.10.2017, dep. 23.01.2018, Rv. 272135).
3. Deve evidenziarsi che il Tribunale del riesame di Palermo, pur richiamando i principi sopra enunciati, non si e’ a essi realmente attenuto, si’ da non sfuggire alle censure formalizzate dal Pubblico ministero ricorrente.
3.1. Invero, appare parziale la disamina compiuta dal Tribunale della cautela, che di per se’ vale a infirmare gravemente la tenuta logica del provvedimento impugnato: quest’ultimo – come gia’ si e’ avuto modo di rilevare nella sintesi del suo contenuto in precedenza effettuata – nei pochi passaggi che dedica alla verifica concreta dell’ordinanza del G.i.p. (avendo profuso la maggior parte dell’impegno motivazionale nella individuazione dei principi di ordine generale sottesi all’applicazione dell’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c)), ha omesso di valutare le ampie parti del ricorso, collocate altrove ed integralmente riprodotte nel corpo del relativo atto, in cui il G.i.p. si e’ soffermato sulla “premessa interpretativa indispensabile” – tale definita dalla stessa ordinanza genetica – ai fini della comprensione ed esegesi del quadro cautelare, con peculiare riferimento al significato delle captazioni in atti, onde decrittarne l’apparente liceita’, alla luce altresi’ della “composizione dei mandamenti e delle singole famiglie mafiose investigate”. Non senza aggiungere il riferimento del ricorrente alle ulteriori parti dell’ordinanza genetica – delle quali pure non v’e’ traccia nel provvedimento impugnato – dalle quali emerge che l’apprezzamento del quadro indiziario, sempre in relazione all’anzidetto reato associativo, e’ stato operato dal G.i.p. alla luce sia della partecipazione del prevenuto ad una serie di incontri con esponenti ritenuti mafiosi (tra i quali (OMISSIS) e (OMISSIS)), sia degli elementi portati dagli inquirenti in relazione al reato – fine di cui al capo J) che avrebbero visto il coinvolgimento del (OMISSIS), elementi che, pur reputati non sufficienti ad integrare il reato di estorsione, sono stati comunque tutti valutati dal G.i.p. medesimo come significativi ai fini della costruzione indiziaria della partecipazione del prevenuto all’associazione per delinquere sub A).
Deve aggiungersi, a riprova del fatto che e’ stata effettuata una autonoma valutazione della posizione di (OMISSIS), che il G.i.p. ha escluso nei suoi confronti,
discostandosi dalla richiesta del Pubblico ministero, l’aggravante del ruolo di vertice dell’organizzazione mafiosa, di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 2.
3.2. Il doveroso apprezzamento complessivo del quadro indiziario – quale trasfuso nell’ordinanza genetica nella sua totalita’, in adesione ai principi sopra enunciati – non puo’ che comportare l’annullamento, in parte qua, del provvedimento in esame, dando atto, per un verso, che i menzionati richiami alle parti suindicate dell’ordinanza genetica vanno intesi non certo quale non consentita sollecitazione ad una lettura dei fatti in chiave conforme alla prospettazione accusatoria, bensi’ unicamente come dato di cui il Tribunale ha omesso il doveroso apprezzamento, ferma la piena liberta’ in sede di valutazione; e, per altro verso, che l’affermazione di ordine generale – che qui si ribadisce nuovamente – circa la necessita’ della dimostrazione dell’esistenza della prescritta valutazione autonoma per ciascun imputato e per ciascuna imputazione, va rapportata alla peculiarita’ delle singole posizioni. A significare, cioe’, che, al di fuori di ogni automatismo, il giudice e’ comunque tenuto a porsi il problema relativo al significato del parziale rigetto della richiesta cautelare, al fine di tenere doverosamente conto di eventuali connessioni esistenti fra i singoli addebiti, tali che l’adozione di soluzioni differenziate rispetto alla richiesta cautelare sia suscettibile, all’esito della relativa disamina ed in considerazione della gia’ rilevata “liberta’ di forme”, di essere apprezzata come indice dell’avvenuto rispetto del requisito richiesto dall’articolo 292 cod. proc. pen., fermo restando – come pure si e’ avuto modo di rimarcare in precedenza – che il giudice del riesame, nello svolgimento della propria delicata funzione di controllo in materia, deve manifestare particolare attenzione nel discernere l’ipotesi del difetto di autonoma valutazione – che ricorre, notoriamente, anche in caso di motivazione graficamente assente, ovvero sostanzialmente mancante o comunque connotata da mera apparenza: cfr. Sez. 5, sent. n. 11922 del 02.12.2015 – dep. 21.03.2016, Rv. 266428) – da quella dell’insufficienza della motivazione, rispetto alla quale ultima possono trovare applicazione i poteri integrativi consentiti dalla legge.
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, gli atti devono dunque essere rimessi al giudice del rinvio che, nel rispetto dei principi di diritto sopra enunciati, fara’ luogo a nuovo esame, nella pienezza dei propri poteri.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo esame, al Tribunale di Palermo.

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