La partecipazione degli interessati deve avvenir non già a valle bensì a monte del procedimento espropriativo

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 1 aprile 2019, n. 2114.

La massima estrapolata:

La partecipazione degli interessati deve avvenir non già a valle bensì a monte del procedimento espropriativo e quindi prima che venga adottato il provvedimento dichiarativo della pubblica utilità.

Sentenza 1 aprile 2019, n. 2114

Data udienza 14 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4717 del 2018, proposto dai signori Eg. An. Ma. Be. Pe. ed altri, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato Pi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. St. Gr. in Roma, corso (…);
contro
la Regione Autonoma Valle D’Aosta, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato prof. Fr. Sa. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, via (…);
nei confronti
della società Mo. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati He. Ga., Pa. Se. e Gi. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta n. 65 del 2017.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Autonoma Valle d’Aosta e della società Mo. S.p.A.;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 14 febbraio 2019 il Cons. Silvia Martino;
Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Pi. Ca., Fr. Sa. Ma. e He. Ga.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per la Valle d’Aosta, gli odierni appellanti impugnavano il decreto dell’Assessore al Turismo Sport Commercio e Trasporti presso la Regione Valle d’Aosta n. 14 del 29 dicembre 2013 di “classificazione” delle piste da discesa nel comprensorio sciistico del Mo. nei Comuni di (omissis) e (omissis).
Rappresentavano di essere proprietari di terreni nei suddetti Comuni, occupati, da molti anni, da piste di sci appartenenti al Comprensorio sciistico denominato “Mo. Sk.” e di avere concesso, nel corso del tempo (taluni fino dagli anni ’70 del secolo scorso), il godimento dei terreni in loro proprietà, dietro corrispettivo, alle società che si erano occupate della gestione degli impianti e delle piste del Comprensorio, poi confluite nell’attuale società Mo. s.p.a..
L’utilizzo dei terreni, da parte della società gestore del servizio, era potuto avvenire mediante la stipula di scritture private, diversamente qualificate, comprendenti la costituzione di servitù, la concessione di soprassuolo per la realizzazione di infrastrutturazioni, le servitù di sorvolo per i cavi degli impianti, etc., tutte opere strettamente connesse alla destinazione come piste da sci delle aree private.
Il gestore aveva così potuto disporre dei terreni per la realizzazione e l’utilizzo degli impianti scioviari e funiviari, delle relative infrastrutture e dei servizi accessori.
Nel corso del 2016, secondo quanto esposto dai ricorrenti in prime cure, la Società Mo. S.p.a. avviava una “campagna di razionalizzazione” del rapporto intercorrente con tutti i proprietari dei terreni gravati dal tracciato delle piste e dagli impianti.
Il 5 dicembre 2016 si teneva una riunione generale per affrontare la problematica, con successive interlocuzioni tra i legali.
In seguito a tali contatti gli odierni appellanti venivano a conoscenza dell’esistenza di decreti di “classificazione delle piste” che la Regione invocava per il mantenimento dell’utilizzo delle aree sciabili.
Tale decreto veniva avversato innanzi al TAR, alla stregua della complessa censura così rubricata:
1) Violazione o falsa applicazione degli artt. 7, 9, 10 e 10-bis della L. 241/1990 come s.m., nonché degli artt. 12, 14, 15 e 16 della LR 19/2007 – Violazione o falsa applicazione dell’art. 11 del dP.R. n. 327 del 2001, per quanto applicabile, nonché degli artt. 9 e 12 della legge regionale n. 11/2004, in quanto applicabili – Violazione di principi giurisprudenziali in tema di partecipazione al procedimento dichiarativo di pubblica utilità .
2. Nella resistenza della Regione, e della società controinteressata, il TAR, prescindendo dalle eccezioni di tardività e di inammissibilità per carenza di interesse, respingeva il ricorso nel merito, con compensazione delle spese.
3. La sentenza è stata impugnata dagli originari ricorrenti, rimasti soccombenti.
L’appello, è affidato ai seguenti motivi.
I. Travisamento. Eccesso di giurisdizione.
La dichiarazione di pubblica utilità è un provvedimento che incide direttamente nella sfera giuridica del proprietario. La partecipazione al procedimento ha il fine di consentire la rappresentazione degli ragioni dei privati e la composizione degli interessi, pubblici e privati, potenzialmente in conflitto.
Al contrario di quanto affermato dal TAR, l’atto che dichiara la pubblica utilità ha sempre un effetto immediatamente lesivo in quanto “affievolisce” il diritto di proprietà ;
II. Illogicità della motivazione – Erroneità dei presupposti.
Ai fini della partecipazione al procedimento, sarebbe del tutto irrilevante che, nel caso di specie, il comprensorio sciistico e il relativo tracciato fossero già esistenti.
Inoltre, in assenza di specifiche disposizioni, al fine di consentire la partecipazione dei privati al procedimento preordinato alla dichiarazione di pubblica utilità delle piste, la Regione avrebbe dovuto applicare il combinato disposto degli artt. 11, comma 1 e 16 comma 4 del d.P.R. n. 327 del 2001.
4. Si sono costituite, per resistere, la società Mo. s.p.a. e la Regione Autonoma della Valle d’Aosta.
Con memorie del 28 giugno e 29 giugno 2018, depositate in vista dell’esame dell’istanza cautelare, hanno in primo luogo dedotto e/o riproposto le eccezioni preliminari di irricevibilità e inammissibilità già sollevate in primo grado.
4.1. La Regione, in particolare, ha preliminarmente dedotto l’irricevibilità dell’appello per tardività, trattandosi, a suo dire, di controversia soggetta al rito c.d. “abbreviato” ai sensi dell’art. 119, comma 1, lett. f), del c.p.a..
In ogni caso, anche il ricorso di primo grado sarebbe stato irricevibile per tardività .
La Regione ricorda che gli appellanti hanno concluso accordi di asservimento dei loro terreni in un’epoca antecedente alle leggi regionali n. 27 del 2004 e n. 11 del 2014; anche la classificazione delle piste sulle quali insistono i terreni di cui sono proprietari è risalente nel tempo ed è avvenuta sotto il vigore del testo originario della l.r. n. 9 del 1992.
Ha richiamato, al riguardo, i decreti via via intervenuti, con i quali le piste sono state rinominate, senza variarne localizzazione e numero.
Il decreto assessorile n. 14 del 2013, oggetto del ricorso di primo grado, avrebbe dovuto essere impugnato entro sessanta giorni dalla relativa pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione e, comunque, nel termine di decadenza decorrente dalla ricezione della comunicazione di Mo. S.p.A. del 23 giugno 2016, con cui la stessa richiedeva ai proprietari di addivenire a un aggiornamento condiviso degli accordi contrattuali in essere, dando atto che “il decreto di classificazione della pista da sci, che ne delinea il tracciato, costituisce il presupposto per la applicazione delle procedure di asservimento dell’area sciabile ed equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza”.
In subordine, l’amministrazione ha invocato la nota in data 25 novembre 2016 del legale dei ricorrenti in cui si affermava che “è nota a tutti la esistenza di una normativa regionale che permette la adozione di provvedimenti espropriativi, finalizzati alla costituzione coattiva della servitù in questione” ovvero l’ulteriore comunicazione interlocutoria dei legali della società Mo. di fine dicembre 2016, nella quale si confermava l’esistenza dei decreti regionali di classificazione delle piste da sci, con valore di dichiarazione di pubblica utilità .
Il ricorso di primo grado sarebbe stato, comunque, inammissibile per difetto di interesse.
Secondo la Regione, il decreto impugnato non avrebbe efficacia lesiva poiché sia la legge regionale n. 27 del 2004 che la n. 11 del 2014, subordinano il procedimento di costituzione coattiva delle servitù di pista al mancato raggiungimento di accordi privatistici con i titolari delle aree interessate.
L’amministrazione ha evidenziato altresì che, al momento dell’adozione del decreto n. 14/2013, la legislazione regionale prevedeva l’attivazione delle procedure preordinate alla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle piste e delle relative opere accessorie soltanto su richiesta del gestore, nel caso in cui quest’ultimo non avesse acquisito aliunde la disponibilità delle aree interessate.
Ha sottolineato che, peraltro, anche ai sensi della sopravvenuta l.r. n. 11 del 2014 – che ha aggiunto l’art. 3-bis alla l.r. n. 9 del 1992 – il procedimento di costituzione coattiva della servitù di pista viene avviato solo in caso di esito negativo delle trattative volte alla conclusione di tali accordi.
La sentenza impugnata avrebbe quindi correttamente escluso la necessità della partecipazione dei proprietari interessati poiché la classificazione operata con il decreto impugnato “aderisce alla realtà esistente del comprensorio sciistico e ne conferma e fotografa l’articolazione (preesistente)”; in ogni caso, siffatta omissione non avrebbe effetto invalidante poiché la partecipazione dei privati non avrebbe potuto condurre ad un provvedimento di contenuto diverso.
4.2. Anche la società Mo. ha riproposto le eccezioni assorbite dal TAR.
Ha in particolare sottolineato che tutte le piste oggetto del decreto impugnato erano già state “classificate” sicché esso costituirebbe un atto meramente confermativo di quelli precedenti, restati inoppugnati.
L’unico fine del provvedimento sarebbe quello di individuare le aree “sciabili”, essendosi il gestore già procurato la disponibilità dei terreni interessati dai tracciati delle piste mediante accordi privatistici con i proprietari.
Anche la società ha invocato l’applicazione dell’art. 21- octies della l. n. 241/90 in ragione del carattere “vincolato” del decreto di classificazione il quale avrebbe il solo fine di “accertare” gli elementi tecnici proposti dal gestore e verificati da parte della competente Commissione
5. Con ordinanza n. 3082 del 6 luglio 2018, la Sezione ha disposto la sollecitazione fissazione dell’udienza di merito ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a.
6. Le parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica.
6.1. Gli appellanti hanno controdedotto alle eccezioni riproposte dalla Regione e dalla società Montersoa.
Nel merito, hanno sottolineato che proprio l’esistenza di accordi privatistici rendeva imprescindibile la comunicazione da parte della Regione in ordine alla volontà di avviare un distinto procedimento di natura autoritativa, preordinato alla costituzione di una servitù coattiva.
Quest’ultimo ha carattere discrezionale sicché, in relazione ad esso, non rilevano i precedenti decreti di classificazione che, comunque, sono stati sostituiti da quello sub iudice.
Anche nel procedimento in esame, i privati avrebbero potuto offrire il proprio apporto partecipativo, esternando, ad esempio, eventuali ragioni ostative alla individuazione di un certo tracciato, ovvero contrapponendo, alle esigenze di manutenzione e ricostruzione degli impianti, ragioni dominicali legate all’esercizio dell’agricoltura e della pastorizia (in particolare considerando che le piste, fuori dalla stagione invernale sono campi, prati, alpeggi sui quali montica il bestiame).
6.2. In replica, la società Mo. ha insistito sulla seguente dicotomia:
(i) se il gestore ha dichiarato di avere la disponibilità delle aree necessarie, il procedimento di classificazione non avrebbe alcun effetto sui diritti dei privati e non sarebbe assimilabile ad un ordinario procedimento espropriativo;
(ii) se il gestore ha dichiarato di non avere la disponibilità delle aree necessarie, il decreto di classificazione consente di avviare il procedimento volto alla costituzione coattiva della servitù di pista; è nell’ambito di tale procedimento che sono assicurate ai privati le prescritte garanzie partecipative.
6.3. La Regione ha evidenziato che, ai sensi dell’art. 13, comma 4, del d.P.R. n. 327 del 2001, l’efficacia del decreto assessorile impugnato è venuta meno a far data dal 20 dicembre 2018.
Tale circostanza sopravvenuta concretizzerebbe, a suo dire, una ulteriore ragione di improcedibilità del gravame, per carenza di interesse.
Ha comunque insistito sulla preliminare eccezione di irricevibilità sottolineando che presupposto per l’applicazione del rito abbreviato, nel caso in esame è, di per sé, l’esistenza di una dichiarazione di pubblica utilità poiché, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, “Si considera opera pubblica o di pubblica utilità anche la realizzazione degli interventi necessari per l’utilizzazione da parte della collettività di beni o di terreni, o di un loro insieme, di cui non è prevista la materiale modificazione o trasformazione”.
Analoga previsione è peraltro contenuta all’art. 1, comma 2, della legge regionale valdostana n. 11 del 2004, in materia di espropriazione per pubblica utilità .
L’amministrazione ha richiamato, al riguardo, la giurisprudenza di questa Sezione che in una fattispecie analoga a quella in esame ha statuito l’irrilevanza, ai fini di cui trattasi, della mancanza di una concreta e materiale attività di esecuzione di un’opera pubblica (sezione IV, sentenza 1911 del 2014).
7. L’appello, infine, è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 14 febbraio 2019.
8. Giova sintetizzare il quadro normativo di riferimento, quale vigente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato.
L’esercizio a uso pubblico delle piste da sci è stato disciplinato nella Regione Valle d’Aosta sin dalla l.r. n. 9 del 1992, emanata allo scopo di assicurarne adeguate condizioni di agibilità, con particolare riferimento all’aspetto della sicurezza.
Quest’ultima stabilisce, per quanto qui interessa, che le aree da destinare a uso pubblico per la pratica dello sci, suddivise in piste per lo sci di discesa e piste per lo sci di fondo, possono essere aperte al pubblico solo previa classificazione ai sensi dell’art. 3.
A tal fine, la disposizione in esame prevede la presentazione della domanda di classificazione della pista all’Assessorato competente, da parte del gestore degli impianti di risalita (o per lo sci di fondo da parte del soggetto che assicura manutenzione e battitura delle piste), munita di tutta la documentazione progettuale e tecnica prevista dalla legge stessa; la domanda viene poi trasmessa alla Commissione tecnico-consultiva per le piste di sci, istituita a norma del successivo art. 6; acquisito il parere di tale Commissione, l’Assessore regionale al turismo, sport e beni culturali provvede con proprio decreto, entro trenta giorni, alla classificazione della pista.
Il rilascio del provvedimento di classificazione di cui all’articolo 3, pone a carico del soggetto richiedente gli obblighi elencati nell’art. 8.
Le piste così classificate vengono incluse in apposito elenco regionale soggetto ad aggiornamento (art. 5).
Nel 2003, anche il legislatore statale, con la legge n. 363, ha dettato una disciplina ad hoc per la sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo.
In particolare l’art. 2 della legge in esame ha previsto l’individuazione, da parte elle Regioni, delle “aree sciabili attrezzate” (definite come “le superfici innevate, anche artificialmente, aperte al pubblico e comprendenti piste, impianti di risalita e di innevamento, abitualmente riservate alla pratica degli sport sulla neve quali: lo sci, nelle sue varie articolazioni; la tavola da neve, denominata “snowboard”; lo sci di fondo; la slitta e lo slittino; altri sport individuati dalle singole normative regionali”), e delle “aree a specifica destinazione per la pratica delle attività con attrezzi quali la slitta e lo slittino, ed eventualmente di altri sport della neve”, nonché delle “aree interdette, anche temporaneamente, alla pratica dello snowboard” (commi 1 e 2)
La norma soggiunge che “l’individuazione da parte delle regioni equivale alla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza e rappresenta il presupposto per la costituzione coattiva di servitù connesse alla gestione di tali aree, previo pagamento della relativa indennità, secondo quanto stabilito dalle regioni” (comma 3).
La Regione Valle d’Aosta ha recepito i principi dettati dalla legislazione statale con la legge regionale n. 27 del 15 novembre 2004, in particolare prevedendo all’art. 2 (“Individuazione delle aree sciabili”) che la classificazione delle piste da sci effettuata ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 9 del 1992 equivale a ogni effetto all’individuazione delle aree sciabili attrezzate di cui all’art. 2 della legge statale n. 363 del 2003.
Tale compendio normativo è stato poi modificato per effetto della legge regionale n. 11 del 25 novembre 2014, il quale, tra gli altri, ha inserito nella l. n. 9 del 1992, l’art. 3 – bis rubricato “Procedimento per la costituzione coattiva della servitù di pista”.
La norma prevede, al primo comma, che il procedimento per la costituzione coattiva della servitù di pista è avviato dal soggetto richiedente la classificazione della pista “a seguito di esito negativo delle trattative con il proprietario del fondo servente volte alla conclusione di accordi privatistici diretti alla costituzione volontaria della servitù di pista. A tal fine, trascorsi trenta giorni dalla data di inizio della trattativa, il soggetto interessato alla classificazione comunica al proprietario del terreno interessato l’avvio del procedimento per la costituzione coattiva della servitù di pista”.
Il richiedente deve allegare alla domanda di classificazione una dichiarazione attestante la disponibilità delle aree interessate ovvero copia della comunicazione di cui al comma 1, nonché le eventuali osservazioni pervenute (comma 2).
Secondo il comma 3 della medesima disposizione “Il decreto di cui all’articolo 3, comma 7, localizza l’area sciabile attrezzata, equivale alla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza di cui all’articolo 2, comma 3, della legge 24 dicembre 2003, n. 363 (Norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo), e costituisce il presupposto per l’applicazione delle procedure di asservimento dell’area sciabile, secondo le modalità di cui alla legge regionale 2 luglio 2004, n. 11 (Disciplina dell’espropriazione per pubblica utilità in Valle d’Aosta. Modificazioni della L.R. 11 novembre 1974, n. 44, e della L.R. 6 aprile 1998, n. 11).”
La costituzione coattiva di servitù di pista è poi disposta con provvedimento del dirigente della struttura regionale competente in materia di espropriazioni che, contestualmente, determina l’ammontare dell’indennità sulla base dei criteri stabiliti dalla Giunta regionale con propria deliberazione (comma 4).
Il settimo e ultimo comma dell’art. 3-bis stabilisce, infine, che la procedura di asservimento di cui ai commi precedenti deve essere avviata “anche nel caso di piste di sci già classificate e utilizzate in base ad un accordo con il proprietario del fondo interessato, allorquando l’accordo venga a scadere”; in tali casi, “il gestore della pista presenta alla struttura regionale competente in materia di piste di sci domanda di riclassificazione della pista alla quale allega la documentazione di cui al comma 2, al fine di ottenere la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza preordinata alla costituzione del titolo per la costituzione coattiva della servitù di pista”.
8.1. Nello specifico, il decreto impugnato, sulla scorta della domanda della società Mo., relativa all’aggiornamento della classificazione delle piste di discesa nel comprensorio in esame, degli elaborati tecnici e della dichiarazione di disponibilità delle aree nonché del parere della competente Commissione tecnico – consultiva, ha proceduto:
– a “revocare il precedente decreto n. 11, in data 25/11/2013, relativo alla classificazione delle piste di discesa […]”;
– ad attribuire alle piste la nuova classificazione, indicata in dettaglio al punto 2 del dispositivo;
– a “dichiarare, ai sensi dell’art. 2 della l.r. 27/2004, che le piste classificate di cui al precedente punto e le opere accessorie necessarie al loro funzionamento, sono individuate tra le aree sciabili attrezate e che quindi ciò equivale, ai sensi dell’art. 2 della l. 363/2003, a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza e rappresenta il presupposto per l’imposizione del vincolo preordinato all’asservimento coattivo per l’apposizione delle servitù di pista connesse alle gestione di tali aree previo pagamento dellarelativa indennità “.
9. Ciò posto, va in primo luogo respinta l’eccezione sollevata dalla Regione di improcedibilità dell’appello per tardività, dedotta sull’assunto che alla controversa in esame sia assoggettata al rito abbreviato ai sensi dell’art. 119, comma 1, lett.f) del c.p.a. inerente i “provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità […]”).
9.1. Il Collegio osserva che il provvedimento impugnato non è finalizzato all’ablazione del diritto di proprietà bensì alla costituzione di una servitù coattiva.
Si tratta quindi dell’espropriazione di diritti reali parziari.
Vero è che, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001 (e delle omologhe previsioni recate dalla l.r. n. 11 del 2 luglio 2004), l’espropriazione di “diritti relativi ad immobili per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità ” è disciplinata in maniera analoga a quella dei “beni” e che, ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, si considera “opera pubblica o di pubblica utilità anche la realizzazione degli interventi necessari per l’utilizzazione da parte della collettività di beni o di terreni, o di un loro insieme, di cui non è prevista la materiale modificazione o trasformazione”.
Tuttavia siffatta equiparazione riguarda la disciplina sostanziale delle procedure espropriative laddove invece il testo originario delle disposizioni processuali recate dall’art. 53 del medesimo testo unico distingueva tra “controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti all’applicazione delle disposizioni del testo unico”, devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e rito abbreviato, quest’ultimo limitato ai soli “giudizi aventi per oggetto i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità “.
Questa distinzione è poi rimasta anche nella formulazione del codice del processo amministrativo, laddove esso devolve alla giurisdizione esclusiva “le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni, in materia di espropriazione per pubblica utilità [… ]” (art. 133, comma 1, lett. g), ma delimita l’applicazione del rito abbreviato ai soli provvedimenti di “occupazione ed espropriazione di aree” destinate all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità .
Analogamente, la legge regionale n. 11 del 2014, nell’apportare rilevanti modifiche all’originario impianto della l.r. n. 9 del 1992, ha disciplinato separatamente la “servitù di pista” (art. 3 – bis della l. n. 9 del 1992) e l'”espropriazione di aree per la realizzazione di opere accessorie” (art. 3 – quinquies della medesima legge).
Vero è che sul piano sistematico – così come ritenuto da questo Consiglio nel precedente richiamato dalla Regione – vi è indubbia affinità tra il procedimento finalizzato all’esecuzione di un’opera pubblica e quello propedeutico ad una attività genericamente ablatoria, potendo le opere realizzate essere acquisite anche successivamente alla mano pubblica.
Tuttavia, nella materia processuale in esame, l’interpretazione sistematica non può considerarsi dirimente.
Le norme sul rito abbreviato delineano infatti “un sistema derogatorio della disciplina processuale, finalizzato a realizzare […] precisi obiettivi di accelerazione della definizione delle controversie in materia di opere pubbliche o di pubblica utilità e di attività e procedure connesse” (Corte Costituzionale, sentenza n. 427 del 10 novembre 1999).
Ed è proprio in ragione della peculiarità della materia relativa all’esecuzione delle opere pubbliche che, secondo la Corte, si giustifica la deroga al regime ordinario del processo amministrativo.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata induce perciò ad un’esegesi dell’art. 119 del c.p.a. rigorosamente limitata al dato letterale.
9.2. Per quanto occorrer possa, va comunque soggiunto che – sussistendo un’obiettiva incertezza e non essendovi, sul punto, una consolidata elaborazione giurisprudenziale – la situazione in esame rientrerebbe nel novero di quelle per cui il codice del processo amministrativo ha previsto (generalizzando l’istituto già disciplinato dagli articoli 34 e 36 del r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 e dall’art. 34 della l. 6 dicembre 1971 n. 1034) il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile.
Esso è infatti, il rimedio “più appropriato ad assicurare l’effettività del diritto di difesa, in situazioni nelle quali il mancato rispetto del termine non può ritenersi rimproverabile alla parte” (Cons. St., Adunanza plenaria, 27 luglio 2016, n. 22; cfr. anche sez. IV, 28 giugno 2018, n. 3973).
10. Le parti resistenti hanno poi sostenuto che il ricorso di primo grado fosse tardivo sia perché il decreto n. 14/2013 era stato da tempo pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione, sia perché, in ogni caso, era comunque decorso il termine di decadenza per averne i ricorrenti avuto piena conoscenza più di sessanta giorni prima dalla notificazione del ricorso di primo grado, in occasione dei contatti intervenuti alla fine del 2016 con la società Mo. per l’avvio delle trattative finalizzate al rinnovo degli accordi privatistici in essere.
10.1. Come in precedenza evidenziato, il decreto di “classificazione” impugnato ha valenza di dichiarazione di pubblica utilità ex lege.
Secondo una giurisprudenza del tutto consolidata, il termine per impugnare gli atti che hanno l’effetto di dichiarazione di pubblica utilità, in quanto relativi a beni specifici su cui viene impresso un vincolo di destinazione pubblica, decorre dalla conoscenza individuale che ne abbia avuto il proprietario, essendo insufficiente a tal fine la pubblicazione dell’atto (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2003, n. 1196).
Anche nel caso in cui è consentito, per il numero dei soggetti interessati, l’utilizzo di modalità semplificate, le stesse debbono comunque essere idonee a raggiungere lo scopo dell’effettiva conoscenza, “di guisa che il proprietario inciso sia posto in grado di optare” o meno “per la partecipazione procedimentale in chiave difensiva” (Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 2013, n. 2070).
La già richiamata legge regionale n. 11 del 2004 non si discosta da tale modello atteso che, pur non recando specifiche regole procedurali ai fini della partecipazione al procedimento espropriativo, richiama, per tutto quanto dalla stessa non espressamente disciplinato, le disposizioni del d.P.R. n. 327 del 2001 (art. 36).
Nel caso di specie, la pubblicazione del decreto n. 14/2013 effettuata sul Bollettino Ufficiale della Regione non era quindi idonea a far decorrere il termine di decadenza dell’azione di annullamento nei confronti dei proprietari delle aree oggetto di “classificazione” e, contestualmente, dichiarate di pubblica utilità .
Né può attribuirsi rilievo alle comunicazioni intervenute tra i ricorrenti, il loro legale e la società Mo. (antecedenti a quella del 2 febbraio 2017, alla quale risulta allegata una copia del decreto n. 14 del 2013), poiché si tratta di interlocuzioni generiche, in cui non sono mai menzionati né gli estremi del provvedimento né il suo contenuto essenziale.
Al riguardo, è poi sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza amministrativa secondo cui, sia pure con specifico riguardo ai progetti di opere pubbliche comportanti la dichiarazione di pubblica utilità, non è idonea a integrare la presunzione di piena consapevolezza della lesività dell’atto la semplice comunicazione dell’esistenza della relativa delibera “occorrendo invece che gliatti del procedimento espropriativo per cui è fatta la comunicazione siano allegati a quest’ultima, a fini di notifica, ovvero la stessa comunicazione ne riporti, quanto meno in sintesi, il contenuto più rilevante, così che possa ritenersi verificata la condizione della piena conoscenza degli atti del procedimento” (così, ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 22 settembre 2010, n. 7035).
10.2. Il Collegio reputa infine che non possa escludersi la perdurante utilità per i ricorrenti della presente decisione anche se l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, insita nel decreto di classificazione impugnato, è venuta meno per il decorso del termine massimo di cinque anni previsto dall’art. 13, comma 4, del d.P.R. n. 327/2001.
L’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo comporta infatti non solo l’eliminazione, ex tunc, degli effetti dallo stesso eventualmente prodotti ma anche, in virtù del contenuto conformativo della sentenza, l’individuazione delle prescrizioni alle quali l’amministrazione dovrà attenersi in sede di “riedizione” dell’esercizio del potere.
11. Gran parte delle argomentazioni spese dalle parte resistenti riguarda peraltro l’eccezione di carenza di interesse, originaria, all’annullamento del decreto n. 14/2013, e comunque l’insussistenza della violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento amministrativo.
Al riguardo, esse hanno sostenuto che – anche prima delle modifiche apportate dalla l.r. n. 11 del 2014 alla l.r. n. 9 del 1992 – il procedimento per la costituzione coattiva della servitù di pista poteva essere avviato soltanto a seguito dell’esito negativo delle trattative con il proprietario del fondo servente volte alla conclusione e/o al rinnovo di accordi privatistici, diretti alla costituzione volontaria della servitù .
Secondo tale tesi, le garanzie partecipative non devono essere osservate in sede di adozione del decreto di classificazione poiché esso non sarebbe preordinato alla costituzione coattiva della servitù, la quale viene disposta dalla Regione soltanto nell’ipotesi in cui il gestore della pista non si accordi con i proprietari delle aree sciabili, così come individuate nel medesimo decreto.
11.1. Anche queste argomentazioni non possono essere condivise.
Si è già ricordato che alla classificazione delle piste consegue la dichiarazione di pubblica utilità ex lege, per effetto del combinato disposto dell’art. 2 della l. n. 363 del 2003 e dell’art. 2della l.r. n. 27 del 2004.
La dichiarazione di pubblica utilità è il primo atto con cui si manifesta in concreto l’intenzione di esercitare il potere espropriativo (Cons. Stato, Sez. IV, 4 aprile 2012, n. 1991).
Nel caso di specie, essa costituisce quindi il primo atto del procedimento impositivo (ancorché solo eventuale) della servitù di pista e viene adottato a conclusione di un subprocedimento autonomo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2008, n. 2969), che determina “l’affievolimento a interesse legittimo del diritto soggettivo del proprietario espropriando e la costituzione, in capo all’Amministrazione, del potere espropriativo, con conseguente onere per il primo, in ragione del carattere immediatamente lesivo dell’atto in questione, di tempestiva impugnazione” (Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010 n. 1540).
La giurisprudenza di questo Consiglio ha poi costantemente affermato (a partire dall’ormai lontano arresto dell’Adunanza plenaria di cui alla decisione n. 14 del 15 settembre1999) che la partecipazione degli interessati deve avvenir non già a valle bensì a monte del procedimento espropriativo e quindi prima che venga adottato il provvedimento dichiarativo della pubblica utilità .
La preventiva comunicazione di avvio del procedimento rappresenta un principio generale dell’agere amministrativo e, a tale approdo, non fanno eccezione le procedure di espropriazione per pubblica utilità (cfr. in tal senso, oltre la pronuncia dell’Adunanza Plenaria del 1999, anche quelle del 20 dicembre 2002, n. 8 e del 24 gennaio 2000, n. 2).
In sostanza, il privato deve avere la possibilità di interloquire con l’amministrazione procedente prima della dichiarazione di pubblica utilità (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 5525 dell’11 novembre 2014).
Sotto questo profilo, diversamente da quanto ritenuto dal TAR, non fa alcuna differenza che il procedimento ablatorio sia finalizzato non già alla localizzazione di una specifica opera pubblica bensì all’individuazione delle c.d. “aree sciabili attrezzate”.
Come già ricordato, sul piano sostanziale, il d.P.R. n. 327/2001 considera “opera pubblica o di pubblica utilità anche la realizzazione degli interventi necessari perl’utilizzazione da parte della collettività di beni o di terreni, o di un loro insieme, di cui non è prevista la materiale modificazione o trasformazione” (art. 1, comma 2; cfr. anche l’art. 1, comma 2, della l.r. n. 11/2004).
Nella fattispecie, deve quindi convenirsi con i ricorrenti che, in mancanza di specifiche disposizioni contenute nella l.r. n. 11/2004 ovvero in quella n. 27/2004, la Regione avrebbe dovuto comunicare l’avvio del procedimento di classificazione – siccome rivolto anche all’adozione della dichiarazione di pubblica utilità sulle aree dei ricorrenti – facendo applicazione degli articoli 11 e 16, comma 4, del d.P.R. n. 327/2001, i quali, come già osservato dalla Sezione “congiurano nel fare ritenere il detto obbligo assolutamente cogente ed inderogabile in armonia con i principi affermati dalla Cedu” (sentenza n. 5525/2014, cit.).
12. Non miglior sorte merita poi l’argomento fondato sull’applicabilità dell’art. 21 octies della n. 241/1990 alla fattispecie in esame.
Premesso che la comunicazione di avvio del procedimento realizza una garanzia non meramente formale “rappresentando un necessario passaggio cognitivo-dialettico funzionale sia per la parte, che può opporre fatti e/o circostanze non considerati, sia per l’amministrazione che quelle osservazioni deve esaminare e valutare prima di approvare il progetto definitivo dell’opera” (così ancora la sentenza n. 5525 del 2014), va ricordato che i provvedimenti in materia espropriativa hanno carattere ampiamente discrezionale.
La “non annullabilità ” del provvedimento che abbia omesso le garanzie partecipative può quindi predicarsi soltanto se l’amministrazione è in grado di dimostrare che la scelta dell’area, l’estensione temporale del vincolo, o comunque ogni altro aspetto qualificante la dichiarazione di pubblica utilità, siano soluzioni assolutamente obbligate (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 2005, n. 2873).
Nel caso di specie, però, sia la Regione che la società controinteressata non hanno nemmeno tentato di dimostrare che il contenuto del decreto di classificazione fosse assolutamente “vincolato” anche perché, diversamente opinando, non si comprenderebbe a cosa serva lo stesso procedimento di classificazione (o riclassificazione).
Esso, come già in precedenza ricordato, ha lo scopo di consentire l’apertura al pubblico delle piste previa individuazione delle aree “sciabili” nonché di verificare la rispondenza di queste ultime ai requisiti tecnici prescritti tra cui, in primis, la localizzazione in “zone idrogeologicamente idonee e tali da consentirne un corretto inserimento ambientale” (così l’allegato A alla l.r. n. 9 del 1992).
In ogni caso, la circostanza che il provvedimento di classificazione abbia anche l’effetto di dichiarazione di pubblica utilità – finalizzata alla, sia pure eventuale, imposizione coattiva della servitù – impone il coinvolgimento dei privati proprietari delle aree indicate nella domanda di classificazione.
Non è poi condivisibile quanto sostenuto dal giudice di prime cure secondo cui “l’eventuale partecipazione dei privati-proprietari, in sede di “individuazione/classificazione” delle piste, si sarebbe rivelata sostanzialmente inutile, in quanto non avrebbe potuto comportare […] alcuna modifica in ordine al ” contenuto” del provvedimento di “classificazione-riclassificazione” che è stato adottato, in riferimento ad opere e tracciati già esistenti, rispetto ai quali i proprietari non possono vantare alcuna posizione giuridica protetta, avendo sempre “accettato” la collocazione delle piste ed il relativo utilizzo (con corrispettivo determinato pattiziamente)”.
Vi è infatti una profonda differenza ontologica tra un assetto di interessi liberamente disposto attraverso l’esercizio dell’autonomia negoziale e quello derivante dall’esercizio di un potere autoritativo, per il legittimo esercizio del quale la legge richiede, in conformità ai principi di cui all’art. 97 Cost., la completa emersione di tutti gli interessi, pubblici e privati, in gioco.
Né potrebbe ragionevolmente sostenersi che i decreti di classificazione via via succedutisi nel tempo avessero carattere meramente “ricognitivo” ovvero che l’ultimo della serie sia “meramente confermativo” di quelli in precedenza adottati sol perché avente ad oggetto un tracciato già da tempo esistente ed utilizzato grazie ad accordi privatistici.
Non occorre infatti spendere molte parole per ricordare che il provvedimento dichiarativo della pubblica utilità di un bene, o di un’opera pubblica, istituisce un vincolo di scopo preordinato al trasferimento coattivo del medesimo mediante espropriazione, sicché esso non ha un funzione di mero accertamento bensì “modifica”, con effetti costitutivi, una situazione giuridica preesistente.
Inoltre, come ricordato dalla stessa Regione, si tratta di un provvedimento necessariamente “ad tempus”, sicché nell’ipotesi in cui, nel termine prescritto, non sia stato adottato il decreto di esproprio, ai fini dell’adozione di una nuova, legittima dichiarazione di pubblica utilità, il procedimento dovrà essere rinnovato “ab imis” (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2017, n. 276).
13. In definitiva, per quanto appena argomentato, l’appello merita accoglimento.
Ne consegue, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso instaurativo del giudizio di primo grado e l’annullamento dell’impugnato decreto n. 14 del 29 dicembre 2013.
La novità delle questioni, giustifica l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, di cui in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso instaurativo del giudizio di primo ed annulla il decreto dell’Assessore al Turismo Sport Commercio e Trasporti presso la Regione Valle d’Aosta n. 14 del 29 dicembre 2013, Prot. 19789/SIF.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore

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