La parte che ha determinato la nullità di atti processuali il potere di rilievo d’ufficio della nullità

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 gennaio 2023| n. 1200.

La parte che ha determinato la nullità di atti processuali il potere di rilievo d’ufficio della nullità

La regola dettata dall’articolo 157, comma 3, cod. proc. civ., secondo cui la parte che ha determinato la nullità non può rilevarla, non opera quando si tratti di una nullità rilevabile anche d’ufficio, ma tale inoperatività è correlata alla durata del potere ufficioso del giudice, sicché una volta che quest’ultimo abbia deciso la causa omettendo di rilevare la nullità, la regola si riespande, con la conseguenza che la parte che vi ha dato causa con il suo comportamento, ed anche quella che, omettendo di rilevarla, abbia contribuito al permanere della stessa, non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza, a meno che si tratti di una nullità per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo (Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta in materia di telecomunicazioni, la Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso proposto avverso la sentenza impugnata, ha ritenuto destituito di fondamento il motivo di impugnazione con cui il ricorrente aveva lamentato che la condizione di procedibilità della domanda monitoria non potesse nella circostanza considerarsi avverata, in quanto, in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione, per la controparte era comparso il difensore privo di valida procura: il ricorrente, tuttavia, osserva la decisione in esame, non ha dato invero conto di averne già fatto oggetto di eccezione all’atto della costituzione dopo la riassunzione del giudizio ex articolo 157, comma 3, cod. proc. civ., non potendo d’altro canto ipotizzarsi la relativa rilevabilità d’ufficio, essendosi il potere di relativa rilevazione – come quello di eccezione – pertanto consumato al tempo dell’ultima difesa in sede di giudizio di gravame risultando in realtà precluso, in difetto di previsione normativa che ne consenta la rilevazione d’ufficio da parte del giudice in ogni stato e grado del processo, dalla mancanza della relativa eccezione di parte). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, sentenza 27 luglio 2021, n. 21529; Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 27 31 gennaio 2019, n. 2841; Cassazione, sezione civile III, sentenza 30 agosto 2018, n. 21381).

Ordinanza|17 gennaio 2023| n. 1200. La parte che ha determinato la nullità di atti processuali il potere di rilievo d’ufficio della nullità

Data udienza 17 maggio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Atti processuali – Parte determinante la nullità – Rilievo – Esclusione – Articolo 157, comma 3, Cpc – Non operatività per una nullità rilevabile anche d’ufficio – Inoperatività correlata alla durata del potere ufficioso del giudice – Decisione della causa – Omesso rilievo della nullità – Non deducibilità come motivo di nullità della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 22443/2019 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato ex lege in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) Spa, in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 114/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/1/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/5/2022 dal Cons. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

La parte che ha determinato la nullità di atti processuali il potere di rilievo d’ufficio della nullità

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 14/1/2019 la Corte d’Appello di Milano, dichiarata la cessazione della materia del contendere in ordine al tentativo obbligatorio di conciliazione, in accoglimento del gravame interposto dalla societa’ (OMISSIS) (ora (OMISSIS) s.p.a.) e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Milano 25/3/2015, ha accolto la domanda da quest’ultima nei confronti del sig. (OMISSIS) in origine monitoriamente azionata di pagamento di somma a titolo di “saldo del corrispettivo per forniture e servizi telefonici resi… di cui alle fatture elencate nel ricorso monitorio”.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il (OMISSIS) propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la societa’ (OMISSIS) s.p.a. (gia’ (OMISSIS)).

La parte che ha determinato la nullità di atti processuali il potere di rilievo d’ufficio della nullità

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 112 e 342 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che “con l’atto di appello ha chiesto alla Corte territoriale espressamente di “accertare e dichiarare che la richiesta di D.I. non doveva essere preceduta dal tentativo di conciliazione avanti al Corecom””, sicche’ “la predetta Corte ha comunque violato il precetto di cui all’articolo 112 c.p.c., in quanto ha pronunciato oltre il limite del gravame, quindi pronuncia affetta dal vizio di ultrapetizione”.
Con il 2 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” della L. n. 249 del 1997, articolo 1, articoli 1, 3, 4 preleggi, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 3 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’articolo 9 Regolamento Agcom 173/2007 Cons, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente interpretato il tentativo obbligatorio di conciliazione de quo come condizione di procedibilita’ anziche’ di proponibilita’ della domanda monitoria, in contrasto con la lettera della legge e del regolamento.
Lamenta che nella specie la condizione di procedibilita’ non puo’ in ogni caso considerarsi avverata, in quanto in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione per controparte e’ comparsa l’avvocato (OMISSIS), invero sfornita di valida procura.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati.
Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno (con pronunzia emessa ex articolo 363 c.p.c., comma 1, n. 3) avuto modo di affermare, in tema di controversie tra gli organismi di telecomunicazione e gli utenti il mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto alla L. n. 3 249 del 1997, articolo 1 per poter introdurre una controversia in materia di telecomunicazioni da’ luogo alla improcedibilita’, e non alla improponibilita’ della domanda; ne consegue che, ove difetti tale adempimento, il giudizio debba essere sospeso con concessione di un termine per svolgere il tentativo di conciliazione e prosegua all’esito di esso, non potendosi definire, come nell’ipotesi dell’improponibilita’, con una pronuncia in rito (v. Cass., Sez. Un., 28/4/2020, n. 8241).
Costituendo il tentativo di conciliazione una condizione (non gia’ di proponibilita’ ma solo) di procedibilita’ della domanda, il giudice – anche di appello – e’ dunque tenuto a sospendere il giudizio e a fissare un termine per consentire alle parti di dar luogo al tentativo di conciliazione de quo, con rinvio dell’udienza ad un momento successivo, per la eventuale prosecuzione dinanzi a se’ in caso di relativo esito negativo o di inutile decorso del termine concesso, con rinnovazione del giudizio, fatta in ogni caso salva l’originaria introduzione dell’azione agli effetti sostanziali e processuali, per cui restano validi gli atti compiuti e ferme le preclusioni gia’ maturate (v. Cass., Sez. Un., 28/4/2020, n. 8241, Cfr. altresi’ Cass., 28/2/2018, n. 4575; Cass., 4/12/2015, n. 24711 Cass., 2/9/2015, n. 17480. E gia’ Cass., 27/6/2011, n. 14103. Da ultimo v. Cass., 16/5/2022, n. 15502).
Orbene, di tale principio la corte di merito ha nella specie fatto invero piena e corretta applicazione.
Quanto alla dedotta comparizione per controparte – in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione – dell’avvocato (OMISSIS) sfornita di valida procura, l’odierno ricorrente non da’ invero conto di averne gia’ fatto oggetto di eccezione all’atto della costituzione dopo la riassunzione del giudizio ex articolo 157 c.p.c., comma 3, non potendo d’altro canto ipotizzarsi la relativa rilevabilita’ d’ufficio, essendosi il potere di relativa rilevazione -come quello di eccezione-pertanto consumato al tempo dell’ultima difesa in sede di giudizio di gravame, risultando in realta’ precluso, in difetto di previsione normativa che ne consenta la rilevazione d’ufficio da parte del giudice in ogni stato e grado del processo, dalla mancanza della relativa eccezione di parte.
Trova infatti nel caso applicazione il principio affermato da questa Corte, che va anche nel caso ribadito, in base al quale la regola dettata dall’articolo 157 c.p.c., comma 3 – secondo cui la parte che ha determinato la nullita’ non puo’ rilevarla – non opera quando si tratti di una nullita’ rilevabile anche d’ufficio, ma tale inoperativita’ e’ correlata alla durata del potere ufficioso del giudice, sicche’ una volta che quest’ultimo abbia deciso la causa omettendo di rilevare la nullita’, la regola si riespande, con la conseguenza che la parte che vi ha dato causa con il suo comportamento, ed anche quella che omettendo di rilevarla abbia contribuito al permanere della stessa, non possono dedurla come motivo di nullita’ della sentenza, a meno che si tratti di una nullita’ per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo (v. Cass., 30/8/2018, n. 21381, richiamata in motivazione da Cass., Sez. Un., 31/1/2019, n. 2841. Cfr. altresi’ Cass., 27/7/2021, n. 21529).
Con il 4 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’articolo 346 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia ritenuto rinunciate “le proprie contestazioni avverso le pretese azionate nei suoi confronti dall’appellante”, laddove il giudice di prime cure l’aveva dichiarate assorbite, pronunziando solo in punto di rito dichiarando improponibile la domanda della Vodafone, sicche’ siffatta pronunzia non ha invero integrato l’ipotesi del mancato accoglimento – anche implicito – delle domande e delle eccezioni in quanto “assorbite”, con conseguente inammissibilita’ della presunzione di rinunzia alle domande o eccezioni formulate nel 1 grado di giudizio.
Il motivo e’ inammissibile.
Esso risulta formulato in violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente fonda la propria censura su atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, la propria “opposizione” al decreto ingiuntivo, le mosse “contestazioni avverso le pretese azionate nei suoi confronti dall’appellante (OMISSIS)”, le proposte “domande ed eccezioni di merito”) limitandosi invero a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte strettamente d’interesse in questa sede – debitamente riportarli nel ricorso ne’ fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (pure) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimita’ (v. Cass., 6/11/2012, n. 19157; Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
A tale stregua non deduce la formulata censura in modo da renderla chiara ed intellegibile in base alla lettura del ricorso.
Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
Emerge dunque evidente, stante quanto sopra rilevato ed esposto, come l’odierno ricorrente inammissibilmente prospetti in realta’ una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimita’, nonche’ una rivalutazione delle emergenze probatorie (in particolare della documentazione acquisita in atti e della assunta prova testimoniale), laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimita’ riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimita’ non e’ un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto gia’ considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
All’inammissibilita’ e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’eventuale ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, se comma 1 bis dovuto.

 

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