La notificazione del controricorso

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 febbraio 2021| n. 3685.

La notificazione del controricorso è validamente effettuata all’indirizzo di posta elettronica certificata indicata dal difensore di fiducia del ricorrente per cassazione esercente fuori giurisdizione, indipendentemente dalla limitazione di siffatta indicazione alle sole comunicazioni di cancelleria giacché, a seguito dell’introduzione dell’art. 16-sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv., con modific., dalla l. n. 221 del 2012, fermo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c. e salvo che non sia possibile per causa imputabile al destinatario, le notificazioni e le comunicazioni vanno eseguite al “domicilio digitale” di cui ciascun avvocato è dotato, corrispondente all’indirizzo P.E.C. – risultante dal ReGindE – indicato, una volta per tutte, al Consiglio dell’ordine di appartenenza e conoscibile dai terzi attraverso la consultazione dell’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC).

Ordinanza|12 febbraio 2021| n. 3685

Data udienza 16 dicembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Contratto d’opera – Ricostruzione dei fatti di causa – Accertamento di fatto del giudice di merito – Insindacabilità – Censura relativa all’omessa motivazione del giudice d’appello sull’eccezione di nullità della prova testimoniale – Onere del ricorrente di indicare che l’eccezione è stata sollevata tempestivamente subito dopo l’assunzione – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 1005-2016 proposto da:
(OMISSIS) SAS (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2328/2015 del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 02/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/12/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.
Lette le memorie della ricorrente.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. (OMISSIS) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale, su istanza della ditta individuale (OMISSIS), le era stato intimato il pagamento della somma di Euro 15.635,72, quale corrispettivo per la fornitura del materiale necessario per la realizzazione di un’edicola funeraria, come da fattura n. (OMISSIS).
Deduceva che in realta’ la realizzazione dell’opera era stata richiesta alla ditta (OMISSIS), la quale aveva predisposto un preventivo per il complessivo importo di Euro 28.200,00, comprensivo anche della fornitura dei marmi necessari e che, insieme con il legale rappresentante della detta societa’, aveva provveduto alla scelta del materiale necessario presso un’impresa fornitrice, avendo comunque effettuato il pagamento dell’intero importo pattuito nei confronti della societa’ appaltatrice.
Negava pertanto l’esistenza di un rapporto contrattuale con la l’impresa ricorrente e concludeva per il rigetto della domanda. Si costituiva l’opposto che, invece, sosteneva che l’opponente, unitamente al marito, si era recata piu’ volte presso i propri locali espositivi e che il rappresentante della (OMISSIS) si era solo limitato ad accompagnare la (OMISSIS) che, quindi, era debitrice della somma richiesta.
All’esito dell’istruttoria il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 2328/2015 revocava il decreto opposto, rigettando la domanda della ricorrente, con l’obbligo di rimborsare le spese di lite nonche’ di risarcire il danno ex articolo 96 c.p.c. a carico dell’opposto.
Alla luce dell’istruttoria espletata escludeva che vi fosse un rapporto contrattuale diretto tra le parti, essendo stato provato che la (OMISSIS) aveva stipulato un contratto di appalto per la realizzazione di un’edicola funeraria, il cui corrispettivo era comprensivo anche dei costi per l’acquisto dei materiali, effettivamente scelti presso la ditta opposta.
Tale conclusione si fondava, oltre che sulla lettura del contratto intercorso tra la (OMISSIS) e l’opponente, anche sulla deposizione dei testi, ed in particolare del teste (OMISSIS) che aveva confermato di avere ordinato i marmi per conto della (OMISSIS), della quale era rappresentante, riconoscendo quindi che era la detta societa’ debitrice del corrispettivo per la fornitura, avendo invece la (OMISSIS) esattamente onorato gli impegni contrattuali assunti verso la societa’ appaltatrice.
Tale deposizione non risultava adeguatamente contrastata dalle dichiarazioni rese dallo stesso (OMISSIS) che si era limitato a negare di avere nella sua contabilita’ la fattura alla quale aveva fatto riferimento il teste, e che risultava intestata alla societa’.
Era quindi da escludersi che la pretesa creditoria potesse essere proposta nei confronti della (OMISSIS).
Tuttavia, ricorreva anche la responsabilita’ ex articolo 96 c.p.c. del creditore essendo emerso che la domanda era stata avanzata in maniera azzardata, avendo il (OMISSIS) agito in giudizio sebbene fosse a conoscenza del reale andamento dei rapporti contrattuali, e del fatto che quindi non poteva vantare alcuna pretesa verso l’opponente.
La Corte d’Appello di Torino, a seguito di gravame del (OMISSIS), con ordinanza del 4 novembre 2015, dichiarava inammissibile l’appello ex articolo 348 ter c.p.c. ritenendo che lo stesso non avesse ragionevoli probabilita’ di accoglimento, essendo risultata condivisibile la valutazione del materiale istruttorio come operata dal Tribunale e corretta la conclusione, secondo cui il creditore ricorrente non avesse offerto la prova dell’esistenza di un contratto concluso direttamente con l’opposta, palesandosi corretta anche la valutazione circa la ricorrenza dei presupposti per la condanna ex articolo 96 c.p.c.
Per la cassazione della sentenza del Tribunale propone ricorso La (OMISSIS) S.a.s., subentrata nelle more all’originaria creditrice, sulla base di quattro motivi, illustrati da memorie.
L’intimata resiste con controricorso.
2. Preliminarmente va rilevato che il ricorso risulta notificato nel rispetto del termine di sessanta giorni decorrente dalla stessa pubblicazione dell’ordinanza di inammissibilita’ ex articolo 348 ter c.p.c., il che rende irrilevante ai fini della procedibilita’ del ricorso, il deposito anche della comunicazione di cancelleria, posto che anche a voler ammettere che la comunicazione sia avvenuta lo stesso giorno della pubblicazione, il ricorso si palesa in ogni caso tempestivo, venendo meno quindi l’esigenza sottesa alla previsione di cui all’articolo 369 c.p.c., di depositare oltre alla copia autentica del provvedimento impugnato, anche la relata di notifica, ovvero, come rileva nel caso in esame, la comunicazione di cancelleria (evento idoneo a far decorrere il termine breve per l’impugnazione).
Sempre in via preliminare deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del controricorso in quanto notificato presso l’indirizzo pec del difensore della ricorrente, anziche’ presso il domicilio eletto in occasione del deposito del ricorso, e cio’ sul presupposto che l’indicazione dell’indirizzo di cui sopra sarebbe stata fatta ai soli fini delle comunicazioni e non anche delle notificazioni.
Rileva a tal fine quanto precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui (cfr. Cass. n. 14140/2019) in materia di notificazioni al difensore, a seguito dell’introduzione del “domicilio digitale”, corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, secondo le previsioni di cui al Decreto Legge n. 179 del 201, articolo 16 sexies conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal Decreto Legge n. 90 del 2014, conv., con modif., in L. n. 114 del 2014, la notificazione dell’atto, nella specie di appello, va eseguita all’indirizzo PEC del difensore costituito risultante dal ReGIndE, pur non indicato negli atti dal difensore medesimo (conf. Cass. 14914/2018; Cass. n. 30139/2017; Cass. n. 17048/2017).
E’ pur vero che le Sezioni unite avevano osservato che, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli articoli 125 e 366 c.p.c., apportate dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, articolo 25 esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorita’ giudiziaria innanzi alla quale e’ in corso il giudizio, ai sensi del Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 82 consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’articolo 125 c.p.c. per gli atti di parte e dall’articolo 366 c.p.c. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine (Sez. U, Sentenza n. 10143 del 20/06/2012, Rv. 622883). Come e’ altrettanto vero che successive pronunce di questa Corte avevano tuttavia ridimensionato il rilievo della “elezione” (in senso improprio) del domicilio telematico, essendo stato affermato, infatti, che, mentre l’indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni e’ idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto puo’ affermarsi nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25215 del 27/11/2014, Rv. 633275; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2133 del 03/02/2016, Rv. 638920, in motivazione). Tale orientamento traeva spunto dal tenore dell’articolo 125 c.p.c., comma 1, come modificato dal Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138, articolo 2, comma 35-ter convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011, n. 148 (c.d. Decreto sviluppo) secondo cui, negli atti di parte, “il difensore deve, altresi’, indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax”. In epoca pressoche’ coeva, la L. 12 novembre 2011, n. 183 (Legge di stabilita’ 2012), ha modificato anche l’articolo 366 c.p.c., in tema di giudizio di cassazione, prevedendo che il ricorrente debba eleggere domicilio in Roma ovvero indicare in ricorso l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine; in mancanza, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione. Questi interventi legislativi, evidentemente volti ad incentivare l’uso degli strumenti informatici nel processo civile, risultavano pero’ scarsamente coordinati fra di loro e con le regole preesistenti in materia di notificazioni telematiche. E’ in tale quadro normativo che si collocano le vicende processuali costituenti oggetto delle pronunce di questa Corte precedentemente citate.
Tali conclusioni, pero’, non sono piu’ attuali, in quanto la disciplina delle notificazioni telematiche e’ stata ulteriormente modificata.
Anzitutto, l’articolo 125 c.p.c. e’ stato nuovamente rimaneggiato, ad opera del Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, articolo 45-bis, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari). La modifica e’ consistita, per l’appunto, nella soppressione dell’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo PEC del difensore. Inoltre, il Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, ha aggiunto al Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221; c.d. Agenda digitale), l’articolo 16-sexies, intitolato “Domicilio digitale”. La disposizione prevede che, “salvo quanto previsto dall’articolo 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalita’ puo’ procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, articolo 6 bis nonche’ dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia”. Il menzionato Decreto Legislativo n. 82 del 2005, articolo 6-bis (Codice dell’amministrazione digitale) prevede l’istituzione, presso il Ministero per lo sviluppo economico, di un pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti. L’indirizzo di posta elettronica certificata e’ “agganciato” in maniera univoca al codice fiscale del titolare. In conclusione, oggi l’unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante ai fini processuali e’ quello che il difensore ha indicato, una volta per tutte, al Consiglio dell’ordine di appartenenza. In tal modo, l’articolo 125 c.p.c. e’ stato allineato alla normativa generale in materia di domicilio digitale. Il difensore non ha piu’ l’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo di posta elettronica certificata, ne’ la facolta’ di indicare uno diverso da quello comunicato al Consiglio dell’ordine o di restringerne l’operativita’ alle sole comunicazioni di cancelleria. Il difensore deve indicare, piuttosto, il proprio codice fiscale; cio’ vale come criterio di univoca individuazione dell’utente SICID e consente, tramite il registro pubblico UNI-PEC, di risalire all’indirizzo di posta elettronica certificata.
1.6. Resta invece fermo il contenuto dell’articolo 366 c.p.c., comma 2, che, limitatamente al giudizio di cassazione, che prevede la domiciliazione ex lege del difensore presso la cancelleria della Corte nel caso in cui non abbia eletto domicilio nel comune di Roma, ne’ abbia indicato il proprio indirizzo di posta elettronica.
Poiche’, oggi ciascun avvocato e’ munito di un proprio “domicilio digitale”, conoscibile da parte dei terzi attraverso la consultazione dell’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) e corrispondente all’indirizzo PEC che l’avvocato ha indicato al Consiglio dell’ordine di appartenenza e da questi e’ stato comunicato al Ministero della giustizia per l’inserimento nel registro generale degli indirizzi elettronici, tale disciplina implica un considerevole ridimensionamento dell’ambito applicativo del Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 82.
Infatti, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria e’ oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario. Nelle restanti ipotesi, ovverosia quando l’indirizzo PEC e’ disponibile, e’ fatto espresso divieto di procedere a notificazioni o comunicazioni presso la cancelleria, a prescindere dall’elezione o meno di un domicilio “fisico” nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa.
Ne consegue che (cfr. Cass. n. 12876/2018), la notificazione del decreto di fissazione dell’udienza camerale e della proposta del relatore e’ validamente effettuata all’indirizzo PEC del difensore di fiducia, quale risultante dal Reginde, indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi del Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16 sexies conv., con modif., in L. n. 221 del 2012, non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato, non potendo quindi avere portata idonea ad escludere tale notificazione la limitazione della parte dell’indicazione del detto indirizzo per le sole comunicazioni.
3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli articoli 1173, 1362, 1363, 1365-1371, 2697, 2726, 2729 c.c. in relazione all’onere della prova circa i rapporti contrattuali tra le parti ed al presunto contratto d’opera intercorrente tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS) Soc. coop., con erronea applicazione dei principi sull’onere della prova, del pagamento e delle presunzioni.
Contraddittorieta’ ed illogicita’ dell’assunto motivazionale posto a base della decisione. Travisamento del dato e del fatto processuale. Violazione dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicita’ della motivazione adottata in relazione al cd. contratto d’appalto d’opera. Violazione dell’articolo 2724 c.c. per avere ritenuto il documento come principio di prova per l’ammissione del teste (OMISSIS). Travisamento del dato processuale per non aver ravvisato l’esistenza di due contratti distinti, l’uno di fornitura materiale e progettazione tra (OMISSIS) S.a.s. (gia’ ditta individuale (OMISSIS)) e (OMISSIS), e l’altro, tra quest’ultima e la coop. (OMISSIS) di manodopera.
Si rileva che la soluzione del Tribunale ha negato inopinatamente l’esistenza del rapporto contrattuale diretto con la controricorrente, valorizzando un semplice foglio nemmeno dattiloscritto, con delle semplici annotazioni manoscritte di presunti pagamenti tra il legale rappresentante della (OMISSIS) e la (OMISSIS). E’ stata quindi fornita un’erronea interpretazione di tale contratto che non poteva quindi far ritenere l’esistenza di un contratto d’appalto comprensivo della manodopera oltre che della fornitura dei materiali.
Il motivo e’ inammissibile in quanto mira a contestare la ricostruzione del fatto, come operata secondo l’apprezzamento riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimita’, anche perche’ supportato da congrua e logica motivazione.
Ancorche’ nella premessa la ricorrente sottolinei come con il motivo non si intenda censurare l’apprezzamento in fatto del giudice di merito, ma piuttosto denunciare una falsa o erronea applicazione delle norme di diritto, le argomentazioni sviluppate nel mezzo denotano con evidenza come in realta’ la critica attinga direttamente l’accertamento dei fatti come operato in sentenza.
In primo luogo, va evidenziato il palese difetto del requisito di specificita’ del motivo ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui si sottopone a critica la valutazione del giudice di merito quanto alla rilevanza del contratto d’appalto che il Tribunale ha ritenuto essere intervenuto tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS), avendo la ricorrente omesso di ritrascriverne in ricorso il contenuto ovvero di riportarne le clausole piu’ significative, al fine di consentire alla Corte, sulla base della lettura del ricorso, di poter apprezzare l’effettiva ricorrenza della violazione delle regole di ermeneutica contrattuale.
Ne deriva che anche le violazioni delle norme di cui agli articoli 1362 e 1363 c.c. appaiono meramente enunciate ma non adeguatamente specificate, in assenza della puntuale indicazione delle espressioni letterali che sarebbero state oggetto di erronea valutazione da parte del Tribunale ovvero dell’individuazione delle clausole che avrebbero deposto per una conclusione diversa da quella raggiunta dal Tribunale, facendo ricorso ad un’interpretazione di carattere sistematico. In realta’, come si ricava dalla lettura del provvedimento impugnato, la conclusione cui e’ pervenuto il giudice di merito consiste nell’affermare che emergeva la prova, sia per effetto del documento intervenuto tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS), sia per effetto delle deposizioni testimoniali raccolte (e precisamente quelle dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS)), che l’appalto ricomprendeva nel corrispettivo sia la fornitura della manodopera che l’acquisto dei materiali necessari alla realizzazione dell’opus, e che il rapporto con la societa’ ricorrente si era limitato alla sola visita presso i suoi locali al fine di permettere la scelta dei marmi da utilizzare, ma senza che potesse reputarsi intervenuto un rapporto contrattuale con la parte intimata, come peraltro evidenziato dal tenore della deposizione del teste (OMISSIS), i cui passi salienti risultano fedelmente riportati in motivazione, al fine di corroborare l’assunto che la (OMISSIS) era in realta’ tenuta a corrispondere alla (OMISSIS) il corrispettivo per la fornitura dei marmi e non gia’ la (OMISSIS).
Le ulteriori violazioni di legge dedotte dalla ricorrente sono evidentemente ricollegate ad un’alternativa ricostruzione dei fatti di causa, e cioe’ all’affermazione, evidentemente smentita dal Tribunale alla luce dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie, che la scelta dei materiali da parte della (OMISSIS) fosse risultata idonea a dare vita ad un autonomo rapporto contrattuale destinato ad affiancarsi a quello gia’ esistente con la (OMISSIS), e limitato alla sola fornitura della manodopera.
La critica pero’ risente evidentemente della personale ricostruzione dei fatti di causa operata dalla ricorrente, in contrasto con quella invece offerta dalla sentenza gravata, frutto di una non sindacabile valutazione, e corroborata da logica e coerente motivazione, che sfugge alle critiche mosse, anche avuto riguardo alla novellata previsione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (vizio peraltro nella fattispecie non denunciabile attesa l’applicabilita’ dell’articolo 348 ter c.p.c.), ed essendo escluso che la motivazione sia connotata da quelle insanabili anomalie e contraddizioni che secondo quanto previsto dalle Sezioni Unite (Cass. n. 8053/2014) consentono la denuncia della violazione di cui all’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
Il motivo aspira quindi ad una diversa ricostruzione dei fatti di causa come depone il chiaro riferimento alla denuncia di un travisamento del dato processuale (travisamento che invece non ricorre), per non essersi affermata l’esistenza di due contratti distinti, e non anche di uno solo, come invece opinato dal Tribunale.
4. Il secondo motivo di ricorso denuncia “la violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. per violazione o falsa applicazione dell’articolo 246 c.p.c., anche in relazione all’articolo 100 c.p.c. per avere il Tribunale ammesso il teste (OMISSIS), che ha un interesse che potrebbe legittimare la sua partecipazione al giudizio, Violazione dell’articolo 106 e 269 c.p.c. per non avere inteso il giudice di prime cure considerare il (OMISSIS) almeno come terzo chiamato in garanzia”.
Si deduce che il (OMISSIS) era procuratore ed amministratore della (OMISSIS), e ne era stata eccepita nella memoria istruttoria l’incapacita’ a deporre, in quanto soggetto che avrebbe potuto intervenire nello stesso processo.
Di tale eccezione era stato dato atto anche nell’ordinanza di ammissione della prova testimoniale, sebbene fosse stata disattesa.
Poiche’ il (OMISSIS) si pone come possibile controparte nel giudizio non poteva essere sentito come teste, cosi’ che la sua indicazione come teste equivale ad una chiamata in garanzia da parte della (OMISSIS).
Il motivo deve essere disatteso.
Premessa l’infondatezza della tesi di parte ricorrente secondo cui l’indicazione del (OMISSIS) come teste equivarrebbe ad una chiamata in garanzia, mancando una domanda siffatta ne’ avendo la ricorrente inteso estendere a questi la domanda proposta con il ricorso monitorio (il che quindi denota l’inconsistenza della censura riferita alla violazione degli articoli 106 e 269 c.p.c.), del pari priva di fondamento e’ la denuncia della violazione dell’articolo 246 c.p.c.
La giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che (Cass. n. 23896/2016) qualora, in sede di ricorso per cassazione, venga dedotta l’omessa motivazione del giudice d’appello sull’eccezione di nullita’ della prova testimoniale (nella specie, per incapacita’ ex articolo 246 c.p.c.), il ricorrente ha l’onere, anche in virtu’ dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare che detta eccezione e’ stata sollevata tempestivamente ai sensi dell’articolo 157 c.p.c., comma 2, subito dopo l’assunzione della prova e, se disattesa, riproposta in sede di precisazione delle conclusioni ed in appello ex articolo 346 c.p.c., dovendo, in mancanza, ritenersi irrituale la relativa eccezione e pertanto sanata la nullita’, avendo la stessa carattere relativo (conf. Cass. n. 10120/2019; Cass. S.U. n. 21670/2013; Cass. n. 6555/2005).
Peraltro, e’ stato precisato che (Cass. n. 18036/2014) poiche’ l’eccezione di nullita’ della testimonianza per incapacita’ a deporre deve essere sollevata immediatamente dopo l’escussione del teste ovvero, in caso di assenza del procuratore della parte all’incombente istruttorio, entro la successiva udienza, restando, in mancanza, sanata, non assume rilievo che la parte abbia preventivamente formulato, ai sensi dell’articolo 246 c.p.c., un’eccezione d’incapacita’ a testimoniare, che non include l’eccezione di nullita’ della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione (conf. Cass. n. 14276/2017).
Il mezzo di impugnazione si limita semplicemente a riferire di avere sollevato l’eccezione di incapacita’ del teste indicato nelle memorie istruttorie di cui all’articolo 183 c.p.c., comma 6, (circostanza di cui da’ atto anche il provvedimento di ammissione delle prove), ma omette di riferire se tale eccezione sia stata poi reiterata subito dopo l’escussione del teste ed in caso positivo, se sia stata anche reiterata in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, di guisa che in assenza di tale riproposizione, l’avvenuta sanatoria non puo’ ritenersi suscettibile di essere poi messa in discussione per effetto della successiva deduzione dell’incapacita’ come motivo di appello.
5. Il terzo motivo di ricorso denuncia la “violazione o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. in relazione all’articolo 246 c.p.c. per l’erronea interpretazione delle prove testimoniali circa l’attendibilita’ e la veridicita’ della fonte e per avere scelto a priori una versione dei fatti, limitandosi a ricercare e selezionare gli elementi di prova che la confermano, trascurando tutti gli altri. Violazione dell’obbligo di motivare. Valutazione non sorretta da motivazione congrua ovvero motivazione che presenta vizi logici e giuridici. Erroneo valore probatorio, con errata applicazione delle norme, attribuito al documento proveniente dalla parte (annotazione dei pagamenti ovvero “contratto d’appalto d’opera”) che ha voglia di giovarsene e che non puo’ costituire prova in favore della stessa, ne’ determina inversione dell’onere probatorio nel caso in cui la parte contro la quale e’ prodotto ( (OMISSIS) S.a.s.) contesti il diritto, anche relativamente alla sua entita’.”.
Si contesta la valutazione di attendibilita’ del teste e si critica l’apprezzamento delle prove operato dal giudice di merito che appare soggettiva ed arbitraria, mancando una motivazione puntuale e completa su tutti gli elementi di prova.
Anche tale motivo e’ inammissibile in quanto attinge direttamente l’apprezzamento e la valutazione delle risultanze istruttorie come operati dal giudice di merito nell’adempimento del compito esclusivo ad esso riservato.
Nel richiamare le considerazioni gia’ sviluppate in occasione della disamina del primo motivo di ricorso quanto alla valutazione del contratto intercorso tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS) ed all’inammissibilita’ di accedere alla diversa ricostruzione in fatto dei rapporti contrattuali intervenuti tra le parti, va qui ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21239/2019) se e’ vero che la capacita’ a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilita’ del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’articolo 246 c.p.c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicita’ della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilita’ della dichiarazione in relazione alle qualita’ personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), e’ altrettanto consolidato il principio per cui (Cass. n. 21187/2019) sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilita’ e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonche’ la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. E’, pertanto, insindacabile, in sede di legittimita’, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice.
Infatti, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilita’ dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale e’ libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu’ attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti; tale attivita’ selettiva si estende all’effettiva idoneita’ del teste a riferire la verita’, in quanto determinante a fornire il convincimento sull’efficacia dimostrativa della fonte-mezzo di prova (Cass. n. 16467/2017; Cass. n. 16056/2016).
A seguito della novella del 2012, le Sezioni Unite (Cass. 8054/2014) hanno altresi’ sottolineato che “L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per se’ vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”. La sentenza impugnata ha adeguatamente motivato circa le ragioni che hanno sorretto il proprio convincimento, avendo evidenziato quali fossero gli elementi probatori che confortano la conclusione raggiunta avendo quindi, quanto meno in via implicita, escluso che la deposizioni valorizzate fossero connotate da inattendibilita’, essendo invece di converso del tutto generica la critica mossa dalla ricorrente che denuncia anche una mancata considerazione di contrastanti elementi probatori nemmeno puntualmente indicati.
6. Il quarto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c., in quanto il giudice del merito non ha fornito alcuna motivazione in merito alla sussistenza dei presupposti per la condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 1. Insussistenza dei presupposti applicativi voluti dalla norma. Omessa e/o insufficiente e/o contraddittorieta’ dell’apparato motivazionale. Si assume che la condanna della ricorrente per responsabilita’ processuale aggravata sarebbe del tutto immotivata, essendo del tutto carente l’esplicitazione delle ragioni che consentono di ravvisare il dolo o la colpa grave della ricorrente.
Il motivo e’ inammissibile.
Il Tribunale ha ravvisato la responsabilita’ della ricorrente sostenendo che la proposizione della domanda monitoria si connotava come gravemente azzardata, essendo l’opposto a conoscenza della vicenda contrattuale realmente intercorsa tra le parti, e cio’ sul presupposti che dalle prove raccolte emergeva in maniera evidente l’inesistenza di un rapporto contrattuale diretto con la (OMISSIS), e la consapevolezza da parte della (OMISSIS) che l’unico soggetto tenuto a versare il corrispettivo per il materiale fosse la societa’ appaltatrice.
Rileva il Collegio che la motivazione in esame denota una chiara consapevolezza della necessita’ di ancorare la responsabilita’ ex articolo 96 c.p.c. ad una condotta processuale connotata da mala fede, dolo ovvero colpa grave, avendola in concreto riscontrata nel comportamento tenuto dalla ricorrente.
La giurisprudenza di questa Corte ha ribadito che (Cass. n. 19298/2016) in materia di responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimita’, salvo – per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell’11.9.2012 – il controllo di sufficienza della motivazione (in termini circa la riserva al giudice di merito del apprezzamento dei presupposti della responsabilita’ aggravate, Cass. n. 327/2010; Cass. n. 13071/2003).
La censura proposta non puo’ avere seguito.
Infatti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dalla L. n. 134 del 2012, il vizio denunciabile e’ limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che e’ stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata cosi’ sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio). La riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorieta’ delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio e’ deducibile quale violazione della legge processuale ex articolo 132 c.p.c.).
E’ quindi evidente come sia inammissibile la denuncia di vizi della motivazione con il richiamo alla formulazione non piu’ applicabile di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ma ancor piu’ a monte risulta inammissibile, per la richiamata applicabilita’ dell’articolo 348 ter c.p.c. la denuncia del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche nella sua novellata formulazione.
Quanto invece alla critica anche investe la determinazione del quantum, che il Tribunale ha effettuato in misura pari al doppio delle spese di lite, ritenuto rispondente ad un criterio equitativo, deve ritenersi che trattasi di liquidazione effettuata avvalendosi dei criteri dettati dall’articolo 96 c.p.c., comma 3 quale introdotto dalla L. n. 69 del 2009, e quindi applicabile alla fattispecie ratione temporis, avendo questa Corte affermato che (Cass. n. 21570/2012) l’articolo 96 c.p.c., comma 3 aggiunto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, disponendo che il soccombente puo’ essere condannato a pagare alla controparte una “somma equitativamente determinata”, non fissa alcun limite quantitativo, ne’ massimo, ne’ minimo, sicche’ la determinazione giudiziale deve solo osservare il criterio equitativo, potendo essere calibrata anche sull’importo delle spese processuali o su un loro multiplo, con l’unico limite della ragionevolezza (per la legittimita’ costituzionale di tale previsione, nella parte in cui non predetermina un minimo o un massimo per la somma.
dovuta a titolo risarcitorio, si veda anche Corte Cost. n. 139/2019).
7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
8. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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