La natura contrattuale della responsabilità dell’istituto scolastico per i danni cagionati dall’alunno

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|19 gennaio 2024| n. 2114.

La natura contrattuale della responsabilità dell’istituto scolastico per i danni cagionati dall’alunno

La natura contrattuale della responsabilità dell’istituto scolastico per i danni cagionati dall’alunno a se stesso comporta che sul primo gravi l’onere di dimostrare il corretto adempimento della propria obbligazione di sorveglianza (ovvero la causa non imputabile che lo stesso abbia reso impossibile), ferma restando la necessità, per l’attore, di fornire la prova del nesso causale tra l’inadempimento e l’evento di danno; prova che, in ragione della tipicità sociale dei modelli di diligenza predicabili rispetto alla prestazione di facere gravante sull’istituto, può ritenersi presuntivamente integrata a fronte della dimostrazione che l’evento si sia verificato nel corso dello svolgimento del rapporto.

Sentenza|19 gennaio 2024| n. 2114. La natura contrattuale della responsabilità dell’istituto scolastico per i danni cagionati dall’alunno

Data udienza 19 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilita’ civile – Precettori e maestri – In genere danno cagionato dall’allievo a se stesso – Responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante – Natura contrattuale – Conseguenze in tema di distribuzione dell’onere della prova – Dimostrazione del nesso causale tra la condotta e l’evento – Onere gravante sulla parte attrice – Evento dannoso verificatosi durante l’orario scolastico – Efficacia presuntiva – Fondamento.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliera

Dott. DELL’UTRI Marco – Rel. Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliera

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2384/2022 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA e ISTITUTO COMPRENSIVO SCUOLA MATERNA ED ELEMENTARE P. GIANNONE, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– ricorrenti –

contro

Ca. ASSICURAZIONI SOCIETÀ COOPERATIVA e Co.Da.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1368/2021 della CORTE D’APPELLO DI BARI, depositata il 15/07/2021;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 19/12/2023 dal Consigliere dott. MARCO DELL’UTRI;

udite le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto procuratore generale dott. ALESSANDRO PEPE.

La natura contrattuale della responsabilità dell’istituto scolastico per i danni cagionati dall’alunno

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 15/7/2021, la Corte d’appello di Bari, in accoglimento dell’appello proposto da Co.Da., e in riforma della decisione di primo grado, ha condannato il Ministero della Pubblica Istruzione e l’Istituto comprensivo Scuola materna ed elementare “Pi.” di I al risarcimento dei danni procuratisi dall’attore, allorquando, frequentando (da minorenne) la scuola elementare gestita dall’istituto “Pi.”, ebbe ad incorrere in una caduta per le scale al termine dell’orario scolastico.

2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come, diversamente da quanto affermato dal primo giudice, l’attore avesse fornito la dimostrazione che il danno dedotto in giudizio fosse dipeso da una caduta per le scale dell’istituto scolastico convenuto, e dunque procuratosi dallo stesso danneggiato per effetto dell’inadeguata vigilanza sugli alunni da parte del personale scolastico preposto, senza che l’amministrazione e l’istituto scolastico convenuti avessero adeguatamente fornito la prova che il fatto fosse dipeso da una specifica causa ad essi non imputabile. In particolare, la Corte di merito ha ritenuto che l’Amministrazione scolastica non avesse fornito “elementi in ordine alla propria esenzione di responsabilità”, non avesse offerto “elementi concreti dai quali poter desumere che l’attività di vigilanza ed accompagnamento degli alunni, da parte di insegnanti o personale preposto, all’uscita della scuola, fosse adeguata alle circostanze del caso, in modo da evitare il verificarsi di incidenti” e che “la mancata ricostruzione del sinistro … non giova alla amministrazione, ma al danneggiato”.

3. Avverso la sentenza d’appello, il Ministero della Pubblica Istruzione e l’Istituto comprensivo Scuola materna ed elementare “Pi.” di I propongono ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione.

4. Co.Da.e la Società Ca. di Assicurazione soc. coop. (quest’ultima chiamata in giudizio a fini di manleva) non hanno svolto difese in questa sede.

5. Avviato il ricorso per la decisione dinanzi alla Sesta Sezione Civile – 3 della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 3671/2023 del 7/02/2023 il Collegio ha preliminarmente disposto la notificazione del ricorso nei confronti della Società Ca. di Assicurazione soc. coop. e, successivamente, il rinvio della trattazione del ricorso all’odierna udienza pubblica.

6. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, invocando l’accoglimento dei primi due motivi, con l’assorbimento delle restanti censure, conclusioni poi reiterate nella pubblica udienza.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2679 c.c. (in relazione all’art 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente proceduto alla distribuzione degli oneri probatori tra le parti, pervenendo all’illegittima affermazione in ordine alla pretesa sussistenza dell’onere dell’istituto scolastico convenuto (nella specie asseritamente non assolto) di descrivere la completa dinamica del sinistro allo specifico scopo di comprovare la derivazione del danno dedotto in giudizio da un fatto non imputabile ai convenuti, là dove, tutt’al contrario, incombeva, a carico dell’attore, l’onere (nella specie non assolto) di fornire la prova dello specifico nesso di causalità tra il danno subito e il dedotto inadempimento dei convenuti.

2. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. (in relazione all’art 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di vagliare correttamente la natura della condotta addebitata alle amministrazioni convenute, trascurando la formulazione del doveroso giudizio controfattuale ipotetico sulla condotta asseritamente omessa ai fini del riscontro della relativa responsabilità contrattuale.

3. Entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati.

4. Osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (di recente ribadito da Sez. 3, Sentenza n. 5118 del 17/02/2023, Rv. 667226 – 01), alla responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante, in relazione ai danni subiti dall’alunno nel corso (o nel quadro) delle attività scolastiche, dev’essere attribuita natura contrattuale, con la conseguente applicazione della regola dell’art. 1218 c.c.: e ciò, sia in quanto l’accettazione della domanda di iscrizione alla scuola costituisce di per sé il perfezionamento di un contratto comportante specifici obblighi di sorveglianza e di controllo (Sez. 3, Ordinanza n. 8811 del 12/05/2020, Rv. 657915 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10516 del 28/04/2017, Rv. 644014 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3695 del 25/02/2016, Rv. 638980 – 01), sia in quanto, a prescindere da tale accettazione formale, il “contatto sociale” che viene istituendosi tra l’alunno (o i suoi rappresentanti) e la scuola vale a giustificare la produzione dei medesimi effetti obbligatori propri del contratto (Sez. 3, Sentenza n. 3695 del 25/02/2016, Rv. 638980 – 0l; Sentenza n. 5067 del 03/03/2010, Rv. 611582 – 01).

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5. Trattandosi dunque di responsabilità contrattuale, gli oneri probatori che s’impongono alle parti chiedono d’essere distribuiti in conformità a quanto anche di recente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, alla cui stregua deve ritenersi onere del danneggiato fornire la prova, anche a mezzo di presunzioni, del nesso di causalità tra l’inadempimento del debitore e il danno subito, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto al proprio onere probatorio, la causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26907 del 26/11/2020, Rv. 659901 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18102 del 31/08/2020, Rv. 658517 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 28991 del 11/11/2019, Rv. 655828 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 27606 del 29/10/2019, Rv. 655640 – 02; Sez. 3, Ordinanza n. 26700 del 23/10/2018, Rv. 651166 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3704 del 15/02/2018, Rv. 647948 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017, Rv. 645164 – 01).

6. La regola, così affermatasi in relazione alla responsabilità contrattuale del medico (e dunque con riguardo a una precisa prestazione di facere professionale), ha finito per trovare applicazione, nella giurisprudenza di legittimità, anche in relazione all’inadempimento delle obbligazioni di fare diverse dalla prestazione medica, e segnatamente proprio in relazione all’obbligazione degli insegnanti di sorvegliare l’alunno affidato alle loro cure, ove si è affermato che, in caso di responsabilità contrattuale dell’istituto scolastico per il danno cagionato dall’alunno a sé stesso, il regime di distribuzione dell’onere probatorio di cui all’art. 1218 c.c. fa gravare sulla parte che si assume inadempiente (o non esattamente adempiente) l’onere di fornire la prova positiva dell’avvenuto adempimento (o dell’esattezza dello stesso o dell’impossibilità dell’adempimento derivante da causa allo stesso non imputabile), mentre il principio generale espresso dall’art. 2697 c.c. fa gravare sull’attore la prova, anche in chiave presuntiva, del nesso causale fra la condotta dell’obbligato inadempiente e il pregiudizio di cui si chiede il risarcimento (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 5118 del 17/02/2023, Rv. 667226 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8849 del 31/03/2021, Rv. 660991 – 01).

7. La comunanza della regola (così ricostruita) tra l’ambito della responsabilità sanitaria e quello della responsabilità degli insegnanti e/o delle istituzioni scolastiche, mentre, da un lato, assicura una misura di conveniente coerenza nella ricostruzione dei principi propri dell’inadempimento delle obbligazioni, dall’altro non vale, in ogni caso, a cancellare il valore e la rilevanza delle significative implicazioni connesse alla fondamentale diversità di natura tra le diverse prestazioni concretamente dedotte in obbligazione.

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Nei casi richiamati, infatti, mentre da un lato viene in rilievo un facere professionale caratterizzato da un elevato contenuto tecnico (come quello proprio del medico), dall’altro si tratta di prestazioni di facere (come quelle degli insegnanti in relazione alla sorveglianza dell’alunno affidato alle loro cure) viceversa connotate da modalità (o forme) di adempimento che, seppur caratterizzate da una minore (se non evanescente) specificità tecnica, si segnalano per una maggiore “tipicità sociale”, ossia per la relativa individuabilità attraverso il ricorso alla descrizione di regole o modelli propri di senso comune.

Nel caso delle prestazioni di facere degli insegnanti in relazione alla sorveglianza degli alunni affidati alle proprie cure, tali regole o modelli di senso comune valgono ad assicurare, in termini di elementare agilità o immediatezza, la descrizione di misure di vigilanza o di controllo dei comportamenti dei minori che appaiono di per sé tali – di regola e ove normalmente osservate – a garantire la minimizzazione dei rischi connessi alla verificazione di conseguenze dannose o, quantomeno, delle conseguenze dannose maggiormente o più agevolmente prevedibili.

Si tratta, in tali casi, della costruzione di regole e di modelli di adempimento contrattuale (o, più in generale, di adempimento delle obbligazioni caratterizzate dalla descritta tipicità sociale) la cui prefigurazione vale a riflettersi, sul piano processuale, da un lato, nella corrispondente tipicità sociale dei modelli di diligenza imposti dall’art. 1176, co. 1, c.c. (positivamente distinti da quelli espressamente regolati dall’art. 1176, co. 2, c.c. in relazione all’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale) e, dall’altro, nella più agevole individuabilità, da parte del giudice (in caso di contrasto tra le parti) di elementi rappresentativi di carattere presuntivo suscettibili di corroborare, sul piano critico, la ricostruzione dei fatti di causa sulla base di quanto obiettivamente emerso ad esito del contraddittorio processuale.

8. Nel caso di specie – in cui il danno dedotto in giudizio è consistito nelle conseguenze subite dal(l’allora) minore Co.Da. a seguito di una caduta per le scale dell’istituto scolastico verificatasi in corrispondenza del termine dell’orario delle lezioni – la descrizione del fatto dannoso, così come obiettivamente emersa dalle risultanze di causa (cfr. le dichiarazioni rese dall’insegnante Lu.Po.: “l’alunno Co.Da.(…) è caduto mentre scendeva le scale dell’edificio scolastico in presenza dell’insegnante”: cfr. pag. 6 sentenza impugnata), deve ritenersi di per sé già tale da fornire sufficienti elementi di carattere presuntivo idonei ad attestare il ricorso di un preciso nesso di causalità tra il danno denunciato dagli originari attori e l’inadempimento (per condotta omissiva) contestata all’insegnante presente in loco.

In tal senso, l’ulteriore caratterizzazione, in termini di maggiore e più specifico dettaglio, della dinamica della caduta del ragazzo deve ritenersi del tutto irrilevante ai fini della prova di tale nesso causale, dovendo la prova di tale nesso ritenersi già di per sé raggiunta in termini critici (e difatti, nella specie, in concreto presunta dal giudice a quo).

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9. In breve, varrà evidenziare come – diversamente da quanto sostenuto dagli odierni ricorrenti – il giudice d’appello non sia affatto incorso in un’erronea distribuzione degli oneri probatori tra le parti, né nella pretesa omissione concernente la determinazione della natura della condotta addebitata alle amministrazioni convenute (o circa la formulazione del giudizio controfattuale indispensabile ai fini della ricostruzione del nesso di causalità rilevante in questa sede), avendo la corte territoriale espressamente (e adeguatamente) descritto le specifiche occorrenze del fatto dannoso dedotto in giudizio, nella specie consistito in una caduta per le scale dell’istituto scolastico da parte del piccolo Co.Da., così come rinvenibile dagli atti di causa.

10. Sulla base di tali premesse, il successivo passaggio contenuto nella sentenza impugnata (secondo cui “la mancata ricostruzione del sinistro, per quanto detto in precedenza, non giova all’amministrazione, ma al danneggiato”: cfr. loc. ult. cit.) non vale a porsi (come erroneamente preteso dagli odierni ricorrenti) alla stregua di un riconoscimento di assenza, negli atti del giudizio, di elementi di riscontro sufficienti alla ricostruzione del fatto dannoso nella pregnanza del suo nucleo essenziale (necessario, ma anche sufficiente ai fini dell’integrazione della fattispecie giuridicamente rilevante sul piano contrattuale), valendo bensì a segnalare la mancata acquisizione di elementi probatori funzionali a una più analitica ricostruzione del fatto, in ipotesi suscettibili di valorizzare il ricorso di circostanze ulteriori (si vorrebbe dire socialmente “extra – tipiche”), eventualmente utili (quali attestazioni del ricorso di una causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione) a suffragare la prospettabile assoluzione delle amministrazioni convenute dalla contestata responsabilità contrattuale; responsabilità contrattuale resa nella specie evidente dall’obiettivo fallimento dell’impegno di protezione assunto nei confronti dello scolaro minorenne, avendo la corte territoriale espressamente sottolineato l’avvenuta acquisizione della prova del nesso di causalità tra la contestata omessa vigilanza (o protezione) da parte degli organi scolastici sul minore (caduto sulle scale alla presenza dell’insegnante) e il danno alla persona dallo stesso subito.

11. Solo in coerenza e nei limiti di tale ricostruzione teorica dev’essere inteso il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte là dove, in relazione ai casi di danno cagionato dall’alunno a sé stesso, applica il regime probatorio di cui all’art. 1218 c.c. nel senso che il danneggiato deve provare esclusivamente che l’evento dannoso si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre la scuola ha l’onere di dimostrare che l’evento è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante (Sez. 3, Sentenza n. 3695 del 25/02/2016, Rv. 638980 – 01; v. anche Sez. 3, Sentenza n. 2413 del 04/02/2014, Rv. 630341 – 01).

In tali casi, infatti, il regime di distribuzione dell’onere probatorio di cui all’art. 1218 c.c. così descritto non esclude affatto l’onere del danneggiato di fornire la prova del nesso causale tra l’inadempimento della scuola (o dell’insegnante) e il danno denunciato, consentendo solo di ritenere che il fatto (socialmente tipico) di un evento dannoso verificatosi nel corso dello svolgimento del rapporto (e dunque nel corso delle attività scolastiche sottoposte alla sorveglianza e al controllo degli organi scolastici) valga a giustificare l’assunzione in chiave presuntiva di tale nesso, con la conseguenza che grava sulla parte che si assume inadempiente (o non esattamente adempiente) l’onere di fornire la prova positiva dell’avvenuto adempimento (o della relativa impossibilità per causa allo stesso non imputabile), rimanendo in ogni caso fermo il principio generale espresso dall’art. 2697 c.c. che fa gravare sull’attore la prova (nella specie assolta presuntivamente, come riconosciuto dal giudice a quo) del nesso causale fra la condotta dell’obbligato inadempiente e il pregiudizio di cui si chiede il risarcimento (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8849 del 31/03/2021, Rv. 660991 – 01).

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12. È appena il caso di rilevare come, diversamente da quanto sostenuto dagli odierni ricorrenti, la corte territoriale abbia compiutamente individuato l’ipotetico comportamento alternativo corretto degli organi scolastici ricostruibile sul piano controfattuale, sottolineando come questi ultimi non avessero fornito alcun elemento da cui desumere che l’attività di vigilanza e di accompagnamento da parte del personale proposto, all’uscita da scuola, fosse adeguata alle circostanze del caso in modo da evitare il verificarsi di incidenti (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata): vigilanza ed accompagnamento che (oggetto delle promesse contrattuali assunte con l’ammissione dello scolaro), laddove scrupolosamente e adeguatamente assicurate, avrebbero presumibilmente scongiurato il verificarsi del danno.

13. Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. (in relazione all’art 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale dettato una motivazione palesemente incongrua (anche in relazione all’art. 111 Cost.), sul punto concernente il giudizio contrattuale alternativo ipotetico indispensabile ai fini dell’attribuzione della responsabilità risarcitoria delle amministrazioni odierne ricorrenti.

14. Il motivo è infondato.

15. Osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c., il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum.

16. Infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili.

17. In ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01).

18. Ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo la corte d’appello dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti: 1) dei contenuti degli obblighi di protezione assunti dall’istituto scolastico convenuto (sottoforma di vigilanza e accompagnamento degli alunni all’uscita di scuola); 2) dell’avvenuta provocazione di danni a sé, da parte dell’alunno – attore (allora minorenne), all’uscita di scuola sulle scale dell’istituto e alla presenza dell’insegnante; 3) della mancata dimostrazione, da parte dei convenuti, che il fatto dannoso (all’evidenza non contrastato dall’impegno protettivo del personale scolastico ritenuto nella specie presuntivamente tale da non aver impedito il fatto che si aveva l’obbligo giuridico di impedire), dipese da una specifica causa in nessun caso imputabile agli organi scolastici.

19. L’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dai ricorrenti.

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20. Con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che gli odierni ricorrenti avessero rinunciato alla domanda di manleva nei confronti della compagnia assicuratrice chiamata in giudizio, avendo gli stessi (diversamente da quanto ritenuto dal giudice a quo) ritualmente riproposto in sede di appello la

propria domanda di manleva nel rispetto dell’art. 346 c.p.c. attraverso l’espresso richiamo delle difese spiegate in primo grado.

21. Il motivo è infondato.

22. Osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, là dove intenda evitare l’operatività della presunzione di rinuncia delle domande e delle eccezioni non accolte in primo grado (ai sensi dell’art. 346 c.p.c.), la parte processuale ha l’onere di riproporre tali domande ed eccezioni in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e di sollecitare la decisione su di esse; tuttavia, pur se libera da forme, detta riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice (cfr. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22311 del 15/10/2020, Rv. 659416 – 01; v. altresì Sez. 2, Ordinanza n. 40833 del 20/12/2021, Rv. 663395 – 01).

23. Nel caso di specie, gli stessi ricorrenti hanno in questa sede evidenziato di aver riproposto in appello la domanda di manleva nei confronti della compagnia assicuratrice originariamente chiamata in giudizio attraverso il mero richiamo delle difese svolte e delle conclusioni prese dinanzi al primo giudice (cfr. fl. 9 – 10 del ricorso), in tal modo attestando inequivocabilmente l’inidoneità di tali forme ad assolvere adeguatamente agli oneri imposti dal richiamato art. 346 c.p.c., in conformità con quanto espressamente rilevato nel provvedimento impugnato in questa sede.

24. Sulla base delle argomentazioni sin qui illustrate, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso.

25. Non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo nessuno degli intimati svolto difese in questa sede.

26. Dev’essere attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del D.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del D.P.R. n. 115/2002.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 19 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2024.

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