Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 19 giugno 2019, n. 16511.
La massima estrapolata:
La nascita di una comunione indivisa tra persone fisiche non impedisce la dichiarazione di fallimento della società succeduta entro un anno dalla sua cancellazione presso il Registro imprese. Questo in quanto il godimento dell’azienda da parte dei partecipanti alla comunione configura l’esercizio dell’impresa collettiva e tal fine non rileva neppure il fatto che intervenga uno scopo lucrativo svolto attraverso un’attività imprenditoriale, che di fatto si sostituisce al mero godimento ed attraverso la quale vengono utilizzati beni comuni.
Sentenza 19 giugno 2019, n. 16511
Data udienza 4 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 6605/2018 r.g. proposto da:
(OMISSIS), (cod. fisc. (OMISSIS)), nella qualita’ di legale rappresentante pro tempore della societa’ (OMISSIS) s.r.l. (P.I. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
CURATELA del FALLIMENTO della (OMISSIS) s.r.l., (P.I. (OMISSIS)), in persona curatore fallimentare legale rappresentante pro tempore Dott.ssa (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, depositata in data 17.1.2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4/6/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao, che ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso;
uditi, per il ricorrente, gli Avv.ti (OMISSIS) e Festa, che hanno chiesto accogliersi il proprio ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avv. (OMISSIS), che ha chiesto respingersi l’avverso ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli – decidendo sul reclamo L. Fall., ex articolo 18, proposto da (OMISSIS) (quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., societa’ cancellata in seguito a trasformazione in comunione di azienda) nei confronti della curatela fallimentare e della societa’ creditrice (OMISSIS) ed avverso la sentenza dichiarativa di fallimento emessa in data (OMISSIS) dal Tribunale di Napoli Nord – ha confermato la detta sentenza, rigettando, pertanto, l’impugnazione.
1.1 La parte reclamante aveva premesso che: a) in forza di assemblea straordinaria del 24.5.20017, per atto a rogito Notaio (OMISSIS) di (OMISSIS), era stata deliberata, con voto favorevole dell’intero capitale sociale, la “trasformazione eterogenea” della societa’ debitrice dalla forma di societa’ di capitali a quella della comunione d’azienda tra i soci stessi, ai sensi dell’articolo 2500 septies c.c.; b) la detta deliberazione era stata iscritta nel registro delle imprese in data 29.05.2017; c) successivamente ed in conseguenza della mancata opposizione dei creditori ex articolo 2500 novies c.c., era stata iscritta, sempre nel registro delle imprese, in data 28.7.2017, la definitiva trasformazione della societa’ predetta in comunione d’azienda e la cancellazione sempre della predetta societa’ oggetto di trasformazione; d) nonostante la descritta trasformazione, era intervenuta in data 4.8.2017 la dichiarazione di fallimento della societa’ debitrice sulla scorta della ritenuta applicabilita’ al caso di specie del disposto normativo di cui alla L. Fall., articolo 10. La parte reclamante aveva invece impugnato la menzionata sentenza dichiarativa di fallimento, ritenendo che l’estinzione della societa’ e la sua cancellazione dal registro delle imprese, a seguito della descritta trasformazione eterogenea, impedisse il fallimento della societa’ in ragione della dedotta inapplicabilita’ della L. Fall., articolo 10, stante la prosecuzione dei rapporti patrimoniali in capo ai comunisti, gia’ soci della societa’ trasformata, e l’assenza, dunque, del presupposto fattuale della cessazione dell’attivita’ di impresa.
1.2 La corte del merito – dopo aver ricordato le novita’ normative dettate dal Decreto Legislativo n. 5 del 2006 nella materia in esame e l’importante arresto della Corte Cost. con la sentenza n. 319/2000 – ha ritenuto non condivisibile l’interpretazione fornita dai reclamanti del contenuto della L. Fall., articolo 10, secondo cui cio’ che rileva e’ l’effettiva cessazione dell’attivita’ di impresa, dovendosi al contrario ritenere che la richiesta di cancellazione (come avvenuto nel caso di specie) impedisce di dimostrare all’imprenditore l’effettiva prosecuzione dell’attivita’ nonostante la cancellazione; ha dunque osservato che e’ irrilevante scrutinare se la cancellazione sia derivata o meno dalla cessazione dell’attivita’ di impresa perche’ tale circostanza e’ normativamente presunta dall’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese che costituisce elemento necessario e sufficiente per ritenere l’ente estinto; ha, inoltre, evidenziato che il fenomeno della trasformazione eterogenea di cui all’articolo 2500 septies c.c., e cioe’ la cd. regressivita’ da societa’ di capitale a comunione d’azienda, comporta, nella sua applicazione ortodossa, una situazione di contitolarita’ di beni al solo scopo del godimento diretto o indiretto degli stessi, cio’ implicando che la comunione d’azienda costituisce un oggetto e non gia’ un soggetto di diritto, come tale privo di identita’ ed autonomia giuridica e patrimoniale; ha, dunque, concluso nel senso che la sopra riferita trasformazione determina una modifica della disciplina organizzativa dei beni aziendali tramite il mutamento formale del soggetto titolare dei beni medesimi, nonche’ il venir meno della continuita’ giuridica della societa’ che pertanto si estingue; ha infine ritenuto applicabile la L. Fall., articolo 10, trattandosi di societa’ cessata e la cui cessazione era stata iscritta nel registro delle imprese.
2. La sentenza, pubblicata il 17.1.2018, e’ stata impugnata da (OMISSIS) nella sopra riferita qualita’, con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui la curatela ha resistito con controricorso.
La parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 12 disp. gen., e della L. Fall., articolo 10, in riferimento alla disciplina applicabile alla comunione di godimento derivata dalla trasformazione eterogenea di societa’ di capitali. Osserva la parte ricorrente che, ai sensi dell’articolo 2500 septies c.c., era intervenuta una trasformazione in un ente diverso (la comunione di godimento) non sussumibile nei parametri di cui alla L. Fall., articolo 10, e non assoggettabile, peraltro, alla procedura fallimentare posto che la mera contitolarita’ (in capo ai soci comunisti) del bene aziendale, non comporta l’esercizio di attivita’ economica e soprattutto l’intervenuta trasformazione giuridica determina la cessazione della natura imprenditoriale del precedente soggetto. Ne consegue – osserva ancora la difesa del ricorrente – che non poteva applicarsi al caso di specie il disposto normativo di cui alla L. Fall., articolo 10, in quanto relativo alla diversa ipotesi di societa’ cancellata per intervenuta cessazione dell’attivita’. Osserva ancora il ricorrente che l’atto trasformativo determina un effetto novativo che, nel caso di trasformazione eterogenea da societa’ di capitali in comunione di azienda, comporta la cancellazione dell’ente (e cioe’ della (OMISSIS) s.r.l.) con conseguente prosecuzione di tutti i rapporti (anche processuali) in capo ai precedenti soci, oggi comunisti dell’azienda stessa. Cio’ determina anche una carenza di legittimazione passiva in capo alla societa’ (OMISSIS) s.r.l., in quanto soggetti suscettibili di rispondere alle richieste creditorie sono ora i proprietari dell’azienda caduta in comunione di godimento.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione delle norme dettate dagli articoli 1100, 2248 e 2500 septies c.c., e L. Fall., articolo 10. Osserva ancora il ricorrente che l’articolo 2248 c.c., letto in combinato disposto con l’articolo 1100 c.c., descrive una fattispecie sostanziale incompatibile con i profili di carattere commerciale e lucrativo richiesti dalla L. Fall., articolo 10, e dunque non suscettibile di essere attinta da una istanza di fallimento.
3. Con il terzo motivo si declina vizio di violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 2248, 2495, 2500 septies e 2740 c.c., e L. Fall., articolo 10, e vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. Ricorda il ricorrente che, ai sensi dell’articolo 2500 novies c.c., nella trasformazione eterogenea di una societa’ di capitali, i creditori sociali possono opporsi alla trasformazione con rinvio alla disciplina di cui all’articolo 2495 c.c., in tema di perdita di garanzia patrimoniale. Osserva ancora il ricorrente che, sulla base del combinato disposto degli articoli 2495 e 2248 c.c., i nuovi titolari della comunione di godimento aziendale devono rispondere illimitatamente, con tutto il loro patrimonio, di tutti debiti della societa’ trasformata, dovendosi ricordare che, non esistendo un ente dotato di soggettivita’ giuridica, i rapporti giuridici attivi e passivi riferibili alla comunione di godimento sono imputati ai singoli comunisti. Ne consegue che, ai sensi dell’articolo 2495 c.c., in seguito alla trasformazione della societa’, si determina un fenomeno successorio in virtu’ del quale le obbligazioni della societa’ non si estinguono, ma traslano a carico dei soci. Pertanto – osserva ancora il ricorrente – il mancato decorso del termine di cui alla L. Fall., articolo 10, risulta essere del tutto irrilevante, in quanto diretto a tutelare le ragioni creditorie che, nel caso di specie, risultano tutelate attraverso il diverso meccanismo delineato dagli articoli 2495 e 2740 c.c., meccanismo che determina un’estensione della responsabilita’ patrimoniale attraverso la responsabilita’ illimitata dei soci per i pregressi debiti sociali.
4. Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione sempre della L. Fall., articolo 10, e articolo 2498 c.c., e, comunque, omesso esame di un fatto decisivo dibattuto tra le parti. Osserva ancora il ricorrente che la trasformazione di cui all’articolo 2500 septies c.c., non comporta la estinzione della pregressa societa’ di capitali, ma la sua trasformazione in altro ente giuridico, la comunione di azienda, non potendosi predicare nel caso in esame l’esistenza di una ipotesi successoria quanto piuttosto di una fattispecie modificativa i cui effetti sono regolati dalle norme a tutela dei creditori della societa’ (articolo 2500 novies c.c.) e degli effetti della trasformazione sui diritti attivi e gli obblighi gia’ esistenti (articolo 2498 c.c.). Non trova, dunque, applicazione nel caso in esame la L. Fall., articolo 10, la cui norma interviene allorquando si verifica la cancellazione in seguito alla cessazione dell’attivita’ e non gia’ quanto, come nel caso di specie, alla cancellazione segua la trasformazione della societa’.
5. Con il quinto motivo si denuncia, inoltre, violazione e falsa applicazione della L. Fall., articolo 10, e articolo 2495 c.c.. Si osserva che la presunzione assoluta della cessazione dell’attivita’ societaria nell’ipotesi di trasformazione di cui all’articolo 2500 septies, e’ smentita proprio dal dato normativo che prevede figure giuridiche titolari della imputazione soggettiva dell’attivita’ precedentemente svolta sotto la veste societaria, tanto cio’ e’ vero che si disquisisce di trasformazione, che risulta essere concetto antitetico rispetto a quello dell’estinzione.
6. Con il sesto motivo la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 2500 septies, e L. Fall., articolo 10. Si denuncia come erronea la motivazione impugnata laddove aveva ricondotto la trasformazione societaria oggetto di esame ad un fenomeno di mera regolamentazione organizzativa.
7. Il ricorso e’ infondato.
7.1 Possono essere esaminato congiuntamente i sei motivi di doglianza che richiedono, sotto diversi profili, di scrutinare la possibilita’ di applicare al caso di specie la normativa speciale dettata dalla L. Fall., articolo 10, anziche’, come richiesto dalla parte ricorrente, la diversa disciplina, in punto di responsabilita’ patrimoniale, dettata dal codice civile per le trasformazioni societarie.
7.1.1 Occorre chiarire in premessa che l’applicazione della disciplina normativa dettata dalla L. Fall., articolo 10, presuppone l’intervento di un fenomeno estintivo dell’impresa ovvero della compagine sociale attinta dall’istanza di fallimento nei limiti temporali previsti dalla norma in esame, con effetti successori che investono il patrimonio dell’ente e la relativa legittimazione sostanziale e processuale di quest’ultimo.
Cio’ che occorre chiarire, nel caso di specie, e’ se la “trasformazione” prevista dall’articolo 2500 septies c.c. – che si e’ sviluppata, nel caso ora in esame, attraverso la mutazione della societa’ di capitali in comunione di godimento dell’azienda – abbia dato causa ad un fenomeno semplicemente evolutivo e modificativo del contratto sociale (come avviene pacificamente nel caso delle trasformazioni societarie omogenee) ovvero ad un fenomeno estintivo della societa’ con la formazione di un nuovo ente (e con effetti pertanto successori), giacche’ dall’accoglimento dell’uno o l’altra soluzione discende invero l’applicabilita’ o meno del disposto normativo di cui alla L. Fall., articolo 10, con conseguente fallibilita’ della societa’ debitrice.
7.1.2 La legge fallimentare non prevede un termine di decadenza riferito al deposito del ricorso per la richiesta di fallimento.
Tuttavia, va ricordato che, ai sensi della L. Fall., articolo 10, comma 1, “gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si e’ manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”.
Peraltro, il comma 2 della norma in esame prevede che “in caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, e’ fatta salva la facolta’ per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attivita’ da cui decorre il termine del comma 1”. Ed infine, l’articolo 11, comma 1, completa la previsione, aggiungendo che “l’imprenditore defunto puo’ essere dichiarato fallito quando ricorrono le condizioni stabilite nell’articolo precedente”.
Ebbene, deve ritenersi che le previsioni normative in esame stabiliscono un terminus post quem non, ma riferito non alla domanda L. Fall., ex articolo 6, bensi’ alla dichiarazione di fallimento, e cio’ per non estendere all’infinito gli effetto di una attivita’ di impresa non piu’ attuale.
Cio’ significa, in buona sostanza, che e’ da considerarsi inammissibile la domanda di fallimento depositata quando il suddetto termine annuale e’ gia’ scaduto.
Deve ritenersi, al riguardo, che il termine annuale si atteggi alla stregua di un termine di decadenza dall’iniziativa fallimentare, che puo’ essere impedita soltanto dalla tempestiva pronunzia di fallimento, nel senso che l’avvio del procedimento non comporta alcun effetto interruttivo di detto termine.
7.1.3 Cio’ posto in premessa, occorre subito chiarire come sia la sentenza impugnata sia le deduzioni difensive della stessa parte ricorrente diano come punto non controverso della vicenda la circostanza che l’originaria societa’ di capitali sia stata “trasformata” in un comunione di godimento dell’azienda tra gli ex soci, trasformatisi, anch’essi, secondo la comune volonta’ negoziale, in comunisti dei beni compresi nel compendio aziendale, al solo fine di godere dei frutti scaturenti dai beni stessi.
7.1.3.1 Sul punto e’ utile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, nel caso di comunione d’azienda, ove il godimento di questa si realizzi mediante il diretto sfruttamento della medesima da parte dei partecipanti alla comunione, e’ configurabile l’esercizio di un’impresa collettiva (nella forma della societa’ regolare oppure della societa’ irregolare o di fatto), non ostandovi l’articolo 2248 c.c., che assoggetta alle norme dell’articolo 1100 e ss., dello stesso codice la comunione costituita o mantenuta al solo scopo di godimento. L’elemento discriminante tra comunione a scopo di godimento e societa’ e’ infatti costituito dallo scopo lucrativo perseguito tramite un’attivita’ imprenditoriale che si sostituisce al mero godimento ed in funzione della quale vengono utilizzati beni comuni (Sez. 2, Sentenza n. 3028 del 06/02/2009; Cass. 20.2.1984 n. 1251; Cass. 10.11.1992 n. 12087; Cass. 27.11.1999 n. 13291; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4053 del 03/04/1993;
E’ stato altresi’ affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la contitolarita’ di un’azienda commerciale non comporta che, per cio’ stesso, i contitolari assumano la qualita’ di soci di fatto; e’ pertanto possibile che, in presenza di una pluralita’ di contitolari d’azienda, solo uno o alcuni di essi assumano l’effettiva gestione dell’attivita’ commerciale e la correlativa veste imprenditoriale, mentre gli altri ne restino estranei, limitandosi a conservare il diritto dominicale pro quota sui beni aziendali e percependo un canone a titolo di affitto per la facolta’ concessa ai comproprietari di utilizzare nell’impresa anche tale quota di beni (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4986 del 04/06/1997).
7.1.3.2 Sotto altro profilo, occorre ricordare che sia la giurisprudenza di questa Corte che la dottrina sono concordi nel ritenere che la trasformazione di una societa’ da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorche’ connotato di personalita’ giuridica, non si traduca nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configuri una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria (Sez. 1, Sentenza n. 10332 del 19/05/2016; Sez. 3, Sentenza n. 13467 del 20/06/2011).
Ne consegue che la trasformazione societaria configura una vicenda meramente evolutivo-modificativa del medesimo soggetto giuridico, senza la produzione di alcun effetto successorio ed estintivo.
7.1.3.3 In realta’ e’ vero che la trasformazione di una societa’ da uno ad altro tipo non e’ considerata dalla legge come creazione di una nuova societa’, ma come modificazione dell’atto costitutivo della societa’, che continua ad esistere in una nuova veste, senza alcun fenomeno successorio (Cass., sez. lav., 16 aprile 1986 n. 2697).
Ma e’ anche vero che, invece, la cosiddetta “trasformazione” di una ditta individuale in una societa’ o di una societa’ in impresa individuale determina sempre un rapporto di successione tra soggetti distinti, perche’ persona fisica e persona giuridica si distinguono appunto per natura non solo per forma (Cass., sez. I, 30 gennaio 1997, n. 965).
Ne consegue che – sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte – la nascita di un’impresa individuale, cui quella collettiva trasferisca il proprio patrimonio non preclude la dichiarazione del fallimento della societa’ entro il termine di un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese (Sez. 1, Sentenza n. 1593 del 06/02/2002).
7.1.4 In termini piu’ generali, e’ stato anche affermato dalla giurisprudenza di vertice della Corte che dopo la riforma del diritto societario, attuata dal Decreto Legislativo n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della societa’, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla societa’ estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtu’ del quale: a) l’obbligazione della societa’ non si estingue, cio’ che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della societa’ estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarita’ o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorche’ azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attivita’ ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la societa’ vi abbia rinunciato, a favore di una piu’ rapida conclusione del procedimento estintivo (Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013).
7.1.5 Tutto cio’ premesso, osserva la Corte come, nel caso di specie, si assista ad una “trasformazione eterogenea”, per come prevista dall’articolo 2500 septies c.c., essendosi “trasformata” la societa’ di capitali in una comunione di godimento di un’azienda, con cio’ determinando il “passaggio” da un ente avente forma societaria ad una comunione su un complesso di beni aziendali.
Ne consegue che non puo’ non verificarsi, nel caso in esame, un fenomeno di successione tra soggetti ed entita’ distinte sia per forma che per natura. Ne’ puo’ predicarsi la ricorrenza, nel caso di specie, di una trasformazione della societa’ di capitali in una societa’ di fatto tra i due ex soci, ora proprietari in comunione dei beni costituenti l’azienda, giacche’ risulta essere circostanza non controversa quella secondo cui era volonta’ dei soci costituire una mera comunione di godimento, come tale ricadente sotto l’egida applicativa dell’articolo 2248 c.c..
Se cosi’ e’, allora occorre concludere nel senso che, nelle ipotesi di trasformazioni eterogenee – nella quale si assiste al passaggio da una societa’ ad una comunione di godimento di azienda o comunque da una societa’ ad una impresa individuale (come espressamente gia’ previsto dalla giurisprudenza sopra ricordata: Sez. 1, Sentenza n. 1593 del 06/02/2002; Cass., sez. I, 30 gennaio 1997, n. 965) – si determina sempre un rapporto di successione tra soggetti distinti, perche’ persona fisica e persona giuridica si distinguono appunto per natura e non solo per forma, con la conseguenza che la nascita di una comunione indivisa tra due o piu’ persone fisiche (cui l’ente collettivo trasferisca il proprio patrimonio) non preclude la dichiarazione del fallimento della societa’ entro il termine di un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese.
Del resto, diversamente ragionando si potrebbe correre il rischio di favorire operazioni negoziali volte proprio, in prossimita’ della decozione e della dichiarazione di fallimento delle societa’, a determinare la trasformazione, pur consentita dall’ordinamento, di quest’ultime in enti ovvero altre entita’ giuridiche non fallibili, non consentendo l’apertura del concorso dei creditori sui beni della societa’ debitrice.
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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