La misura cautelare personale del divieto di avvicinamento

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|19 gennaio 2021| n. 2147.

La misura cautelare personale del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa non è applicabile ai reati contro il patrimonio, trattandosi di misura introdotta dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito in legge 23 aprile 2009, n. 28, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale nonché in tema di atti persecutori, la cui disciplina ne rivela l’esclusivo collegamento ai reati contro la persona.

Sentenza|19 gennaio 2021| n. 2147

Data udienza 13 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Tentata estorsione – Furto – Misura cautelare – Divieto di accesso ai luoghi frequentati dalla persona offesa – Vizio di omessa motivazione – Sussiste

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. NARDIN Maura – Consigliere

Dott. PICARDI Francesc – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 04/06/2020 del TRIB. LIBERTA’ di POTENZA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCESCA PICARDI;
trattato il procedimento con le modalita’ di cui al Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale di Potenza che, riqualificato il reato di cui al capo c come tentativo (ex articoli 56 e 629 c.p., articolo 61 c.p., comma 1, n. 2, per avere posto in essere, in data 1 novembre 2019, atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere (OMISSIS) ed il figlio a non riprendere piu’ le attivita’ di ripresa poste in essere, al fine di occultare un altro reato, senza, tuttavia, riuscirvi per cause indipendenti dalla propria volonta’), ha confermato la misura cautelare del divieto di accesso all’area della cava di Contrada (OMISSIS) di (OMISSIS) e a quella circostante per il raggio di 1km e la misura interdittiva del divieto di esercitare l’attivita’ di impresa e di ricoprire gli uffici direttivi della (OMISSIS) s.r.l. limitatamente al capo b (ex articolo 81 e 624 c.p., articolo 625 c.p., n. 7, articolo 61 c.p., comma 2, n. 7, per essersi impossessato, dopo la scadenza dell’autorizzazione regionale e nonostante il contenuto della sentenza del T.A.R. della Basilicata, sia pure riformato parzialmente dal Consiglio di Stato, del materiale destinato alla pubblica utilita’ presente nella cava di Contrada Pedali, sottraendolo al Comune proprietario), mentre le ha annullate relativamente alla fattispecie tentata. In particolare il ricorrente ha dedotto 1) la violazione dell’articolo 273 c.p.p., essendo stata desunta la gravita’ indiziaria da un’erronea interpretazione del provvedimento del Consiglio di Stato, che ha autorizzato la (OMISSIS) s.r.l. ad asportare il materiale gia’ scavato ed accumulato collocato all’interno della cava, trattandosi dell’unica res controversa, e non di quello posto fuori la cava, unitamente al vizio di motivazione ed al travisamento della prova sul punto, non essendosi valutate le argomentazioni difensive contenute nella memoria difensiva in ordine alla proprieta’, da parte del coltivatore della cava, del materiale estratto in costanza di autorizzazione (e non successivamente alta scadenza del titolo abilitativo), con conseguente inconfigurabilita’ del reato di furto, e risultando manifestamente illogica la motivazione, anche rispetto alla documentazione prodotta (in particolare alle note del 18 novembre 2018 e del 26 novembre 2019 della Regione Basilicata, adesive alla posizione della (OMISSIS) s.r.l.; al verbale di accertamento infrazioni n. 1/2020 del 14 febbraio 2020, da cui risulta che la societa’ ha effettuato la lavorazione di parte del materiale gia’ abbattuto e presente nell’area di cava; alla sanzione amministrativa applicata per la violazione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione e, cioe’, per la lavorazione in loco del materiale, ma non per la coltivazione di cave effettuata in assenza di autorizzazione); 2) l’inosservanza dell’articolo 274 c.p.p., lettera c, ed il vizio di motivazione sul punto, essendo stato ricavato il pericolo di reiterazione del reato dall’affermata prosecuzione dell’attivita’ estrattiva, in modo contraddittorio con quella parte del provvedimento in cui si e’ evidenziata la sola attivita’ di prelevamento del materiale gia’ estratto e in cui si e’ rinviato all’annotazione della p.g. del 24 aprile 2019 (“al momento dell’accertamento non erano in atto attivita’ di estrazione”), senza, peraltro, alcuna specifica indicazione dei dati concreti ed oggettivi su cui fondare l’esigenza cautelare, anche in relazione alla misura interdittiva.
2. La Procura Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso limitatamente al dedotto vizio di omessa motivazione in punto di legittimita’ dell’applicazione al ricorrente della misura interdittiva e per l’annullamento con rinvio limitatamente a tale profilo, rigettato il ricorso nel resto. La societa’ ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso merita accoglimento.
2.Occorre premettere che, per quanto concerne la misura cautelare personale di tipo coercitivo (divieto di accesso all’area della cava (OMISSIS) di (OMISSIS) e dell’area circostante per un raggio di un 1km), manca – sia nel provvedimento genetico sia nel provvedimento impugnato – l’indicazione della disposizione normativa a cui la misura cautelare applicata sarebbe riconducibile e che non appare applicabile, nel caso di specie, l’articolo 282-ter c.p.p., che prevede la possibilita’ di disporre il divieto di avvicinamento dell’indagato ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Difatti, la disposizione de qua e’ stata inserita nel c.p.p. dal Decreto Legge n. 11 del 2009, convertito in L. n. 38 del 2009, con cui sono state introdotte misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche’ in tema di atti persecutori, sicche’ la ratio normativa esclude l’utilizzazione di tale misura cautelare per reati contro il patrimonio, quali il furto, per il quale si procede.
Tale conclusione e’ confermata dal successivo articolo 282-quater c.p.p., ai sensi del quale, da un lato, i provvedimenti di cui agli articoli 282-bis e 282-ter sono comunicati all’autorita’ di pubblica sicurezza competente, ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni, alla parte offesa e, ove nominato, al suo difensore e ai servizi socio-assistenziali del territorio e, dall’altro lato, quando l’imputato si sottopone positivamente ad un programma di prevenzione della violenza organizzato dai servizi socio-assistenziali del territorio, il responsabile del servizio ne da’ comunicazione al pubblico ministero e al giudice ai fini della valutazione ai sensi dell’articolo 299, comma 2. Difatti, tali comunicazioni si spiegano esclusivamente in considerazione del collegamento della misura cautelare personale in esame, di cui all’articolo 282 ter c.p.p., ai reati contro la persona.
L’illegalita’ della misura applicata, pur non essendo stata eccepita dal ricorrente, va rilevata di ufficio, non essendosi, comunque, formato alcun giudicato – neppure cautelare – in considerazione dell’impugnazione proposta e dovendo i principi generali in materia di impugnazione cedere laddove un provvedimento, idoneo ad incidere direttamente sullo status libertatis, sia stato applicato fuori dai casi consentiti dalla legge, in maniera analoga a quanto avviene in caso di pena illegale.
3. Risulta fondata la prima censura, con cui il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione in ordine alla gravita’ indiziaria relativa al reato di furto di cui al capo b. Invero, il provvedimento impugnato, nel rigettare l’istanza di riesame, si limita a ripetere il ragionamento gia’ svolto dal G.i.p., senza, tuttavia, confrontarsi in modo esaustivo con le doglianze difensive – in particolare con quella con cui si e’ lamentata l’erronea interpretazione del provvedimento cautelare del Consiglio di Stato del 25 ottobre 2019, che ha sospeso l’esecutivita’ della sentenza del T.A.R. della Basilicata n. 614 del 2019 limitatamente all’impossibilita’ di asportare la materia gia’ estratta ed accumulata al di fuori della cava. Tale provvedimento cautelare, nella prospettazione difensiva, avrebbe dovuto essere interpretato alla luce degli atti di causa (in particolare del ricorso introduttivo del procedimento pendente dinanzi al Consiglio di Stato) e della disciplina giuridica in base alla quale il materiale estratto dalla (OMISSIS) s.r.l., in costanza di autorizzazione, pur se ancora collocato all’interno della cava, e’ di sua proprieta’. Invero, la motivazione del provvedimento impugnato, laddove afferma che “la societa’ (OMISSIS) s.r.l. era autorizzata alla sola asportazione del materiale gia’ scavato e accumulato al di fuori della cava e non anche al prelievo del materiale sito all’interno dell’area”, risulta carente ed insufficiente, limitandosi ad interpretare l’ordinanza del Consiglio di Stato, che si presenta alquanto laconica, esclusivamente in base al criterio letterale, nonostante l’equivocita’ della terminologia utilizzata (potendo l’espressione “al di fuori della cava” essere intesa sia come riferita all’intero sito sia come riferita al luogo piu’ limitato di scavo, collocato all’interno dell’area), senza soffermarsi in alcun modo sul contenuto della domanda accolta dal giudice amministrativo e senza individuare in alcun modo l’oggetto del contendere. La lacunosita’ di tale premessa si manifesta anche rispetto alla deduzione difensiva con cui si e’ osservato che il prelievo del materiale gia’ estratto, durante la vigenza dell’autorizzazione, e collocato all’esterno del sito (dunque, al di fuori della proprieta’ del Comune), appare legittimo a prescindere all’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, posto che si tratterebbe dell’attivita’ di apprensione dei beni di cui il ricorrente ha acquisito la proprieta’ in base all’articolo 1615 c.c. (cfr., tra le tante, Sez. civ. 3, n. 2682 del 30/03/1988, secondo cui il contratto di di’ritto privato avente ad oggetto lo sfruttamento di una cava puo’ assumere configurazioni giuridiche diverse a seconda delle caratteristiche della singola fattispecie ed, in particolare, configura un contratto di affitto ogni qualvolta i contraenti intendano convenire il godimento temporaneo del terreno secondo la sua destinazione ed i prodotti estratti siano considerati come frutti naturali del bene).
Risulta, inoltre, inappagante la motivazione del provvedimento impugnato relativamente alla gravita’ indiziaria in ordine all’elemento soggettivo del reato contestato di furto. Non si e’, difatti, affrontato il problema della possibile esclusione del dolo del ricorrente in considerazione dell’interpretazione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato. Il Tribunale del Riesame non si e’ neppure soffermato sulla nota del 18 novembre 2019 della Regione Basilicata, richiamata dalla difesa nell’istanza di riesame ed allegata al presente ricorso (doc. 10), in cui si legge che l’ufficio legale della Regione Basilicata condivide le motivazioni addotte dal difensore del ricorrente in ordine all’attivita’ di carico del materiale abbattuto.
In proposito va, difatti, osservato che il provvedimento cautelare del giudice amministrativo non puo’ equipararsi nel nostro ordinamento ad una legge diversa da quella penale, sicche’ la sua lettura, cosi’ come prospettata dal ricorrente, potrebbe tradursi, anche laddove non fosse corretta, in un errore, eventualmente colposo, sul fatto, idoneo, ai sensi dell’articolo 47 c.p., ad escludere la punibilita’ dell’agente. Del resto, la giurisprudenza di legittimita’ ha gia’ ritenuto configurabile un errore rilevante ex articolo 47 c.p. in caso di erronea interpretazione del provvedimento cautelare del giudice penale (in questo senso v. Sez. 6, n. 12301 del 4/10/2000 ud. – dep. 29/11/2000, Rv. 217895, qualora il provvedimento di arresti domiciliari faccia generico riferimento, quale luogo in cui deve essere osservato, ad un campo nomadi, puo’ sorgere da parte del destinatario la possibilita’ di equivoco circa l’ambito applicativo con la conseguente esclusione dell’elemento soggettivo del reato allorche’ l’interessato, pur non venendo rintracciato nella propria roulotte o nelle immediate vicinanze, sia tuttavia rimasto all’interno del campo – nell’affermare il principio anzidetto, la Corte ha ribadito che negli arresti domiciliari e’ preso in considerazione il luogo di privata dimora, con esclusione di ogni altra appartenenza che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione, ritenendo tuttavia che l’imprecisione della formula usata poteva giustificare l’errore interpretativo specie da parte di un soggetto di cultura e di lingua diversa).
4-.In conclusione, il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Potenza.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale della Liberta’ di Potenza.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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