La manifestazione non propagandistica di opinioni espressive di discriminazione territoriale

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 21 febbraio 2020, n. 6933

Massima estrapolata:

Non integra il reato di pericolo astratto di cui all’art. 1 del d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205, in quanto priva di idoneità offensiva, la manifestazione non propagandistica di opinioni espressive di discriminazione territoriale e di intolleranza in un contesto comunicativo palesemente paradossale. (Fattispecie relativa alla pubblicazione di un “post” su “Facebook” della frase “Forza Etna, Forza Vesuvio, Forza Marsili” a commento di un’immagine satellitare dell’Italia priva delle regioni centro-meridionali, comprese il Lazio e l’Abruzzo, accompagnata dalla dicitura “il satellite vede bene, difendiamo i confini”).

Sentenza 21 febbraio 2020, n. 6933

Data udienza 26 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARACENO Rosa Anna – Presidente

Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere

Dott. LIUNI Teresa – Consigliere

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
Avverso la sentenza emessa il 14/11/2018 dalla Corte di appello di Milano;
Sentita la relazione del Consigliere Dott. Alessandro Centonze;
Sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Dott. Paolo Canevelli, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Sentita per la parte civile l’avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 15/03/2017 il Tribunale di Monza condannava l’imputata (OMISSIS) alla pena di venti giorni di reclusione, giudicandola colpevole del reato ascrittole, ai sensi del Decreto Legge 26 aprile 1993, n. 122, articolo 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 1993, n. 205, accertato a (OMISSIS).
L’imputata, inoltre, veniva condannata al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, (OMISSIS), che venivano quantificati nella misura simbolica di 1,00 Euro.
2. Con sentenza emessa il 14/11/2018 la Corte di appello di Milano, pronunciandosi sull’impugnazione proposta dall’imputata, in riforma della decisione appellata, assolveva (OMISSIS) dal reato ascrittole perche’ il fatto non sussiste.
3. I fatti di reato in contestazione, a fronte delle divergenti conclusioni dei Giudici di merito, sono incontroversi nella loro materialita’ e riguardano l’attivita’ di propaganda fondata sulla superiorita’ razziale ed etnica degli italiani settentrionali rispetto a quelli meridionali, posta in essere dall’imputata attraverso il social network Facebook, sul quale commentava un’immagine satellitare dell’Italia priva delle regioni centro-meridionali, comprese il Lazio e l’Abruzzo, accompagnata dalla dicitura “il satellite vede bene, difendiamo i confini”, che commentava con l’inserimento della frase “(OMISSIS)”.
In questa, incontroversa, cornice, il Tribunale di Monza riteneva che il post inserito su Facebook, sopra citato, possedesse connotazioni discriminatorie e propagandistiche idonee a concretizzare la fattispecie di reato contestata a (OMISSIS), ai sensi del Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 1. Infatti, al commento postato dall’imputata dovevano attribuirsi contenuti di discriminazione, accentuati dalla diffusione virale della comunicazione nella rete telematica.
Di contrario avviso, invece, era la Corte di appello di Milano che riteneva la condotta posta in essere dall’imputata sprovvista di quelle connotazioni discriminatorie e propagandistiche indispensabili alla configurazione della fattispecie in contestazione, atteso che il contenuto del commento postato da (OMISSIS) non possedeva caratteristiche tali da offendere il bene giuridico protetto dalla norma.
Si evidenziava, al contempo, che l’attivita’ comunicativa posta in essere dall’imputata, tenuto conto del social network su cui veniva espressa, non poteva ritenersi finalizzata a diffondere a un numero indiscriminato di soggetti i contenuti discriminatori sanzionati dal Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 1; connotazione, questa, la cui assenza impediva di configurare la fattispecie contestata.
Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi l’imputata (OMISSIS) veniva assolta dal reato ascrittole nei termini di cui in premessa.
3. Avverso la sentenza di appello la parte civile costituita, (OMISSIS), ricorreva per cassazione, deducendo la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento al Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 1, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi del reato contestato all’imputata (OMISSIS), la cui insussistenza era stata affermata dalla Corte di appello di Milano in termini assertivi e svincolati dalle emergenze processuali.
Si deduceva, in proposito, che il commento inserito dall’imputata sulla sua pagina personale di Facebook possedeva connotazioni di illiceita’ inequivocabili, certamente idonee a concretizzare la fattispecie di reato che le veniva contestata Decreto Legge n. 122 del 1993, ex articolo 1, non potendosi dubitare dei contenuti discriminatori del post, accentuati dalla sua diffusione virale sulla rete telematica. Ne’ era possibile dubitare della natura discriminatoria della comunicazione in questione, che risultava connaturata al suo contenuto, che si fondava sull’assunto, tipicamente razzista, della superiorita’ etnica degli abitanti dell’Italia settentrionale.
Si evidenziava, inoltre, che la Corte di appello di Milano non aveva contestualizzato la condotta illecita in contestazione, trascurando di considerare che, all’epoca dei fatti, (OMISSIS) era un consigliere provinciale della Lega per la provincia di Monza e Brianza, con la conseguenza che gli eventuali lettori avrebbero potuto attribuire al commento postato connotazioni riconducibili all’ambiente politico di cui l’imputata faceva parte. Ne conseguiva che la carica rappresentativa rivestita dall’imputata e la sua appartenenza a un’area politica di ispirazione regionalistica comportava un inevitabile ampliamento delle connotazioni discriminatorie del commento postato, che non consentiva di attribuirgli quei contenuti ironici e goliardici richiamati nella sentenza impugnata, allo scopo di ritenerlo privo di rilevanza penale.
Queste ragioni imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e’ infondato.
2. Occorre premettere che i fatti di reato contestati a (OMISSIS), ai sensi del Decreto Legge 26 aprile 1993, n. 122, articolo 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 1993, n. 205, appaiono incontroversi, riguardando il commento inserito dall’imputata sulla sua pagina personale di Facebook, relativo a un’immagine satellitare dell’Italia priva delle regioni centromeridionali, comprese il Lazio e l’Abruzzo, accompagnata dalla dicitura “il satellite vede bene, difendiamo i confini…”, che veniva commentata con la frase dal tenore manifestamente paradossale “(OMISSIS)”.
In questo contesto, la questione ermeneutica di cui ci si deve occupare, allo scopo di verificare la fondatezza del ricorso proposto da (OMISSIS), quale parte civile costituita nel giudizio di appello, riguarda la possibilita’ di attribuire connotazioni discriminatorie e propagandistiche al commento inserito dall’imputata sul social network Facebook, sopra citato, rilevanti ai sensi del Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 1.
Osserva, in proposito, il Collegio che si puo’ ritenere pacifico che il commento telematico di (OMISSIS) costituisce una manifestazione del pensiero che, sotto il profilo ideologico, rimanda a disvalori di discriminazione razziale e di intolleranza, che devono essere inquadrati alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: “Ai fini della configurabilita’ del reato previsto dalla L. 13 ottobre 1975, n. 654, articolo 3, comma 1, lettera a), prima parte, e successive modifiche, la “propaganda di idee” consiste nella divulgazione di opinioni finalizzata ad influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico e a raccogliere adesioni; l’odio razziale o etnico” e’ integrato da un sentimento idoneo a determinare il concreto pericolo di comportamenti discriminatori, e non da qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto riconducibile a motivazioni attinenti alla razza, alla nazionalita’ o alla religione; la “discriminazione per motivi razziali” e’ quella fondata sulla qualita’ personale del soggetto, e non – invece – sui suoi comportamenti” (Sez. 5, n. 32862 del 07/05/2019, Borghezio, Rv. 276857-01; si veda in Sez. 3, n. 39606 del 23/06/2015, Salme’, Rv. 264376-01).
Tuttavia, il commento postato dall’imputata non poteva essere valutato per la sua astratta valenza discriminatoria, ma andava contestualizzato e inserito nel contesto comunicativo, palesemente paradossale, in cui venivano pronunciate le parole incriminate, che venivano esternate a commento di un’immagine satellitare dell’Italia priva delle regioni centro-meridionali, accompagnata dalla frase – contrastante con le piu’ elementari norme del buon senso – “il satellite vede bene, difendiamo i confini”.
In questo contesto, appaiono condivisibili le conclusioni della Corte di appello di Milano che correlava i contenuti del commento controverso alle modalita’ telematiche con cui veniva trasmessa la comunicazione, postata su Facebook senza connotazioni propagandistiche, correttamente escluse nella sentenza impugnata. Ne’ rilevava, in senso sfavorevole all’imputata, la carica rappresentativa rivestita presso la Provincia di Monza e Brianza, atteso che il tono evidentemente paradossale, escludendo le connotazioni discriminatorie e propagandistiche del post, non consentiva di configurare l’ipotesi delittuosa di cui al Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 1.
In questa cornice, presupposta la natura manifestamente paradossale della comunicazione telematica di (OMISSIS), non appaiono decisivi i riferimenti, contenuti nella sentenza di primo grado, all’articolo 4 Convenzione di New York del 7 marzo 1966, sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale ratificata nel nostro ordinamento dalla L. 13 ottobre 1975, n. 654 -, con cui gli Stati sottoscrittori assumevano l’impegno a “dichiarare punibili dalla legge ogni diffusione di idee basate sulla superiorita’ o sull’odio razziale, ogni incitamento alla discriminazione razziale, nonche’ ogni atto di violenza, od incitamento a tali atti diretti contro ogni razza o gruppo di individui di colore diverso o di diversa origine etnica, cosi’ come ogni aiuto apportato ad attivita’ razzistiche, compreso il loro finanziamento, nonche’ a dichiarare illegali ed a vietare le organizzazioni e le attivita’ di propaganda organizzata ed ogni attivita’ di propaganda che incitino alla discriminazione razziale e che l’incoraggino, nonche’ dichiarare reato punibile dalla legge la partecipazione a tali organizzazioni od a tali attivita’”.
Nel caso in esame, pertanto, veniva compiuto un vaglio ineccepibile del commento dell’imputata, sulla base del quale veniva esclusa l’idoneita’ propagandistica dell’attivita’ comunicativa a ledere il bene giuridico tutelato dalla fattispecie del Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 1; inidoneita’ offensiva che derivava dai toni – del tutto contrastanti con le piu’ elementari regole del buon senso, ancorche’ spregevoli moralmente – utilizzati dall’imputata per manifestare il suo pensiero.
Ne’ potrebbe essere diversamente, atteso che la natura di reato di pericolo astratto della fattispecie di cui al Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 1 imponeva che fosse accertata preliminarmente l’idoneita’ della condotta illecita di (OMISSIS) a offendere il bene giuridico protetto dalla norma penale, contestualizzando il suo comportamento attraverso la formulazione di un giudizio ex ante.
Ne discende che l’inquadramento della manifestazione del pensiero espresso da (OMISSIS) – fondato sull’assunto della natura manifestamente paradossale del suo commento – impone di ritenere il giudizio di irrilevanza penale formulato dalla Corte di appello di Milano rispettoso del dettato normativo del Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 1 e conforme alle connotazioni di inoffensivita’ del comportamento comunicativo dell’imputata (Sez. 3, n. 37337 del 16/04/2013, Ciacci, Rv. 257347-01; Sez. 3, n. 38051 del 03/06/2004, Coletta, Rv. 230038-01).
3. Le considerazioni esposte impongono il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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