La mancata dichiarazione della irrogazione di penali contrattuali

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 24 settembre 2020, n. 5564.

La mancata dichiarazione della irrogazione di penali contrattuali non integra di per sé la violazione dei doveri professionali e non costituisce prova di grave negligenza, così definita dal legislatore dapprima con l’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006, e rinnovato dall’art. 80 comma 5 lett. c) e c-ter), poiché l’applicazione di penali contrattuali non può ritenersi sintomo inconfutabile di errore grave nell’esercizio dell’attività professionale o comunque “grave negligenza.

Sentenza 24 settembre 2020, n. 5564

Data udienza 17 settembre 2020

Tag – parola chiave: Contratti della PA – Servizi – Affidamento – Gara – Requisiti di partecipazione – Mancata dichiarazione della irrogazione di penali contrattuali – Violazione dei doveri professionali – Integrazione – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5062 del 2020, proposto da
-OMISSIS- e -OMISSIS-, in proprio e nelle rispettive qualità di mandataria e mandante del R.T.I. tra esse costituito, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Ca. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Azienda Sanitaria Locale – Asl Roma 2, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Vi. Di Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
nei confronti
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Da. Li., Fr. Sb., An. Ma. e Se. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Da. Li. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Locale – Asl Roma 2 e di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 settembre 2020 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli Avvocati Ma. su delega dichiarato di Ma., Vi. Di Ma. e Da. Li.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con la sentenza appellata, il T.A.R. Lazio ha respinto il ricorso proposto dalla odierna appellante avverso la determinazione conclusiva della procedura aperta telematica per l’affidamento del servizio di pulizia e sanificazione per la ASL Roma 2, per un periodo di dodici mesi e per un importo complessivo presunto a base d’asta di Euro 10.200.000,00, IVA esclusa, indetta con bando pubblicato in GUUE il 26 settembre 2017.
Premesso che la determinazione impugnata reca l’aggiudicazione della gara a favore della società -OMISSIS- e che la graduatoria conclusiva della procedura selettiva, espletata con il metodo di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ha visto la suddetta impresa collocarsi al primo posto, con punti 82,20, e la società -OMISSIS-, originaria ricorrente ed odierna appellante, al secondo posto, con punti 81,41, mediante i motivi di ricorso veniva essenzialmente dedotta la violazione da parte della aggiudicataria dei suoi obblighi dichiarativi, con riferimento ad una serie di episodi incidenti sulla sua affidabilità professionale, e la mancata adeguata considerazione degli stessi da parte della stazione appaltante, con riferimento alle vicende di seguito sintetizzate:
1. la risoluzione intervenuta nell’ambito della relazione contrattuale con la ASP di Ragusa;
2. l’esclusione dalla gara indetta dal Comune di Ravenna;
3. le contestazioni da parte dell’Ispettorato Territoriale del lavoro di Ravenna di violazioni delle norme poste a tutela dei diritti dei lavoratori;
4. le penali contrattuali applicate nel corso degli ultimi anni;
5. la sottoposizione ad indagini penali di un componente del C. di A..
Il T.A.R., con la sentenza appellata, ha preliminarmente esaminato le doglianze intese a lamentare la carente valutazione delle suindicate vicende da parte della stazione appaltante, ai fini dell’esercizio del potere di esclusione nei confronti dell’impresa controinteressata, evidenziando, in senso contrario alla loro fondatezza:
– quanto alla vicenda sub 1), che l’Amministrazione, mediante il rinvio all’ordinanza del Tribunale di Catania emessa in data 6 dicembre 2019, di accoglimento della domanda di sospensione ex art. 700 c.p.c. della penale contrattuale comminata dalla ASP, ed all’ordinanza collegiale del Tribunale di Catania del 9 marzo 2020, reiettiva del reclamo proposto avverso la citata ordinanza, ha “tratto elementi più che sufficienti onde valutare la persistente affidabilità professionale della società controinteressata, ritenendo in particolare che la ipotesi dei “gravi illeciti professionali” di cui all’art. 80, comma 5, lettera c), del decreto legislativo n. 50 del 2016 non ricorresse nel caso di specie sulla base di un “esame concreto di elementi specifici””;
– quanto alla vicenda sub 3), che i verbali ispettivi del Ministero del Lavoro non sono suscettibili di integrare “gravi infrazioni debitamente accertate”, sulla base di quanto previsto dall’art. 80, comma 5, lettera a), in mancanza della prevista ordinanza-ingiunzione;
– quanto alla vicenda sub 4), che “l’applicazione di penali contrattuali non può ritenersi sintomo inconfutabile di errore grave nell’esercizio dell’attività professionale”, atteso che “l’obbligo dichiarativo concernente le gravi negligenze professionali si riferisce essenzialmente alla mancata indicazione delle “risoluzioni contrattuali”, che costituisce aspetto ben diverso”;
– quanto alla vicenda sub 5), che nei confronti del consigliere di amministrazione sottoposto a indagini da parte della Procura della Repubblica di Ragusa è stato sino ad ora emesso solo il decreto di fissazione dell’udienza preliminare, con la conseguente insussistenza delle condizioni a tal fine espressamente richieste dall’art. 80, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016 (ossia: “condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale”).
Il primo ordine di censure, attinenti alla dedotta violazione degli obblighi di “trasparenza informativa” da parte della aggiudicataria, è stato invece disatteso dal T.A.R., nell’ottica dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis d.lvo n. 50/2016, sul rilievo che “tutti i fatti contestati alla controinteressata sono pacificamente intervenuti all’indomani del momento (6 novembre 2017) relativo alla presentazione delle offerte”, nonché, nel prisma dell’art. 80, comma 5, lettera c-bis), sulla scorta della ritenuta assenza di ogni potenziale incidenza degli stessi sulla affidabilità ed integrità professionale dell’aggiudicataria, quanto alle penali contrattuali ed ai verbali ispettivi del Ministero del Lavoro, mentre, quanto alla risoluzione contrattuale da parte della ASP di Ragusa, intervenuta con deliberazione -OMISSIS- del 30 maggio 2019, ed all’esclusione dalla gara da parte del Comune di Ravenna, intervenuta il 26 agosto 2019, ha evidenziato il giudice di primo grado, quanto alla prima, che la controinteressata si è tempestivamente attivata mediante dichiarazione prodotta il successivo 25 giugno 2019, mentre, quanto alla seconda, che la comunicazione della controinteressata nei confronti della odierna azienda resistente è avvenuta il successivo 26 settembre 2019: “di qui” – conclude il T.A.R. – “la insussistenza di una condotta reticente, omissiva o comunque evasiva da parte della odierna controinteressata nel corso della gara in questione”.
Le statuizioni suindicate costituiscono oggetto dei rilievi critici formulati dalla parte appellante, che – insieme alle contrapposte deduzioni della stazione appaltante e dell’impresa aggiudicataria – devono adesso senz’altro esaminarsi.
In proposito, ritiene la Sezione di anteporre, nell’esame delle censure attoree, quelle intese a lamentare la carente/incompleta/tardiva osservanza da parte dell’impresa aggiudicataria dei propri obblighi dichiarativi: ciò alla luce sia dell’ordine deduttivo seguito dalla parte appellante, sia del maggior grado di satisfattività per i propri interessi (di cui quell’ordine è evidentemente il riflesso) dell’eventuale annullamento del provvedimento di aggiudicazione sulla scorta del relativo vizio, siccome astrattamente suscettibile di condurre alla diretta esclusione della concorrente (piuttosto che alla mera riedizione dell’attività valutativa della stazione appaltante in ordine alla affidabilità professionale dell’impresa controinteressata, eventualmente conseguente all’accoglimento dell’altro ordine di censure).
Mediante i motivi di appello, la parte appellante deduce in proposito che:
– la risoluzione contrattuale disposta dall’ASP Ragusa è stata comunicata dalla aggiudicataria solo in data 26 settembre 2019, in esito ad una richiesta di chiarimenti dell’Azienda (cfr. nota del 24 settembre), a sua volta notiziata dalla segnalazione fatta dal -OMISSIS- (in data 20 settembre): nessuna prova è stata invece offerta dalle controparti in ordine all’affermato invio di una comunicazione via PEC in data 25 giugno 2019, “vista l’impossibilità di avvalersi, a gara già chiusa, della modalità di trasmissione a mezzo piattaforma telematica”, mentre la suindicata richiesta della ASL RM 2 di trasmettere la delibera di risoluzione della ASP Ragusa, nell’ambito dei controlli per la verifica del possesso dei requisiti, proverebbe che nessuna comunicazione era stata ricevuta dall’impresa;
– l’esclusione disposta dal Comune di Ravenna è stata accennata con nota del 26 settembre 2019, senza tuttavia indicare che la stessa era stata disposta proprio a causa dell’omessa dichiarazione delle contestazioni sollevate dall’Ispettorato del Lavoro con i verbali del 9 ottobre 2018, per violazioni rilevanti ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. a), del D.lgs. n. 50/2016, che il T.A.R. Bologna, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha poi ritenuto rilevanti e “…certamente gravi in considerazione dell’importo evaso e della pluralità delle sanzioni irrogate, senza che rilevi in senso contrario la loro proporzione rispetto al fatturato complessivo della società, elemento che non può certo fungere da attenuante, a maggior ragione tenuto conto del tipo di norma violata, dei diritti coinvolti (…)”; in ogni caso, l’aggiudicataria ha atteso l’esclusione disposta dal Comune di Ravenna prima di darne notizia alla ASL;
– le penali non dichiarate erano antecedenti alla data di presentazione dell’offerta e risalenti ad un periodo che va dal 2015 al 2017: l’esistenza di numerose penali, tutte superiori all’1% (indicato come limite di rilevanza dalle Linee Guida Anac n. 6/2016) e antecedenti la data di scadenza del termine per la presentazione delle offerte, è stata dichiarata solo con l’aggiornamento che ha fatto seguito alle contestazioni di omessa dichiarazione;
– il -OMISSIS- ha informato la stazione appaltante anche del procedimento penale in corso a carico di un consigliere delegato della aggiudicataria, mentre non è comprovato quanto dedotto dall’Azienda e dalla aggiudicataria, nel senso di aver rispettivamente comunicato e ricevuto un aggiornamento delle dichiarazioni con PEC del 25 giugno 2019.
Conclusivamente, deduce la parte appellante che la controinteressata non si è limitata ad omettere la dichiarazione, ma ha volontariamente taciuto o tardivamente (ovvero non spontaneamente, e comunque solo parzialmente) comunicato informazioni obiettivamente rilevanti sulla sua partecipazione alla gara, tentando di indurre in errore la stazione appaltante sulla propria affidabilità professionale, mentre il T.A.R., dal suo canto, si è sostituito alla valutazione discrezionale della stazione appaltante, che non era nelle condizioni di valutare l’incidenza di quei fatti sulla affidabilità dell’impresa, laddove avrebbe quantomeno dovuto annullare i provvedimenti impugnati e rimettere la suddetta valutazione dei rilievi sottaciuti all’Amministrazione.
Gli innanzi sintetizzati motivi di appello non sono meritevoli di accoglimento.
Iniziando dalla vicenda risolutiva concernente il rapporto contrattuale intercorso con la ASP Ragusa, formalizzata con la deliberazione della medesima Amministrazione -OMISSIS- del 30 maggio 2019, deve osservarsi che del suo verificarsi, sopravvenuto rispetto alla fase di presentazione delle offerte (conclusasi in data 6 novembre 2017), l’impresa controinteressata ha tempestivamente quanto esaustivamente ragguagliato la stazione appaltante, inviando in data 25 giugno 2020 una dichiarazione di aggiornamento di quella presentata in sede di partecipazione alla gara.
Né potrebbe sostenersi, come fa la parte appellante, che le parti resistenti non hanno fornito prova dell’invio (oltre che della ricezione) della suddetta dichiarazione, avendo la ASL appellata (cfr. documento -OMISSIS-) comprovato che la stessa è stata inviata (e ricevuta) mediante pec in data 25 giugno 2020 ed acquisita al protocollo aziendale con il -OMISSIS- giugno 2020, mentre l’impresa controinteressata (cfr. -OMISSIS-) ha prodotto copia della relativa ricevuta di consegna (senza omettere di evidenziare che la stessa parte appellante, in altra parte dell’appello, esattamente alla pag. 12, ammette che la controinteressata ha reso la citata dichiarazione, come puntualmente rilevato dalla parte resistente).
Inoltre, se la suddetta (irrituale) modalità comunicativa giustifica verosimilmente la nota aziendale prot. -OMISSIS- del 24 settembre 2019, con la quale si afferma che della menzionata delibera della ASP Ragusa la stazione appaltante è venuta a conoscenza solo nell’ambito dei controlli in ordine alla verifica dei requisiti di cui all’art. 80 d.lvo n. 50/2016 (ma in realtà, come dedotto dalla parte appellante, per effetto della segnalazione del 24 settembre 2019, da essa effettuata), le ragioni della scelta del suddetto strumento informativo sono ampiamente illustrate dall’impresa con la nota del 26 settembre 2020 (senza che la parte appellante le abbia concretamente contestate), nel senso che non era stato possibile inviare comunicazione sulla piattaforma telematica di gara, a seguito della sua conclusione, mentre i recapiti indicati nella lex specialis non consentivano di avere contezza dell’avvenuta consegna.
Dalle illustrate circostanze fattuali non può quindi non trarsi la conclusione che l’impresa aggiudicataria ha assolto compiutamente agli oneri informativi di cui era titolare nei confronti della stazione appaltante, anche nella prospettiva diacronica della procedura di gara, non potendo ammettersi che essi possano ritenersi assolti uno actu, nel momento di presentazione della domanda di partecipazione, in ragione della necessaria continuità che deve connotare, fino all’esito del procedimento di gara, il possesso dei requisiti di carattere generale: essa, così operando, si è quindi sottratta all’eventuale addebito di aver omesso “le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione” (secondo il disposto dell’art. 80, comma 5, lett. c d.lvo n. 50/2016, nella formulazione vigente ratione temporis, sostanzialmente non immutato, in parte qua, dalla corrispondente lett. c-bis, attualmente vigente).
Deve solo rilevarsi che la non configurabilità, già in punto di fatto, di profili significativamente omissivi in capo alla parte resistente consente di prescindere da ogni valutazione sub specie iuris (recte, in relazione alle conseguenze che dovrebbero derivarne) degli stessi, anche alla stregua del recente pronunciamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato di cui alla sentenza -OMISSIS- 28 agosto 2020.
L’incompletezza delle dichiarazioni rese dall’impresa aggiudicataria viene contestata dalla parte appellante anche con riguardo ai verbali dell’Ispettorato del Lavoro del 9 ottobre 2018, deducendo che quella si è limitata a fare menzione, con la comunicazione del 26 settembre 2019, del provvedimento di esclusione adottato nei suoi confronti dal Comune di Ravenna in data 26 agosto 2019 dalla procedura aperta per l’affidamento dei servizi bibliotecari, museali e culturali, senza accennare alle ragioni da cui era scaturito, connesse appunto ai suddetti verbali di contestazione, che il T.A.R. Bologna, con la sentenza n. -OMISSIS- (reiettiva del ricorso proposto dall’aggiudicataria avverso il suddetto provvedimento escludente), ha ritenuto tali da integrare la causa escludente di cui all’art. 80, comma 5, lett. a) d.lvo n. 50/2016.
Nemmeno tale motivo è meritevole di accoglimento.
Deve preliminarmente osservarsi che la sentenza impugnata fa discendere l’insussistenza della lamentata omissione dichiarativa dalla irrilevanza dei verbali suindicati ai fini integrativi della fattispecie escludente di cui all’art. 80, comma 5, lett. a) d.lvo n. 50/2016, non potendo ritenersi “debitamente accertate” le infrazioni solo contestate dagli organi accertatori, laddove il procedimento sanzionatorio non si sia concluso con l’adozione dell’ordinanza-ingiunzione, secondo lo schema procedimentale delineato dalla l. n. 689/1981.
Ebbene, al fine di escludere la fondatezza (recte, la stessa ammissibilità ) della censura in esame, basti rilevare che la parte appellante non formula specifiche censure al fine di contestare in parte qua la sentenza appellata, limitandosi a richiamare le contrarie conclusioni cui era pervenuto il T.A.R. Bologna con la sentenza n. -OMISSIS-, la quale peraltro dedica alla specifica questione de qua fuggevoli passaggi (rilevando che “né, quanto specificamente ai verbali elevati dall’ITL di Ravenna, può ritenersi come sostiene la ricorrente, che si tratti di atti meramente endoprocedimentali, concludendo essi infatti la fase di accertamento delle irregolarità riscontrate in quella sede, salva la possibilità per l’impresa di svolgere difese” e che “neppure può ritenersi che si tratti di violazioni non “debitamente” accertate, essendo sufficiente a tal fine che l’accertamento sia stato posto in essere dagli organi preposti, nel rispetto della disciplina di riferimento della procedura in discussione, non richiedendo infatti la norma un accertamento anche “definitivo” dell’infrazione”).
Deve invero osservarsi che la prospettazione di un inquadramento dei verbali de quibus alternativo a quello recepito dalla sentenza appellata viene sì sostenuta dalla parte appellante, ma nell’ambito del secondo ordine dei motivi di appello, sì che solo in quella sede, ai fini della riforma della corrispondente parte della sentenza appellata, potrà essere esaminata.
In ogni caso, deve osservarsi che la dichiarazione integrativa del 26 settembre 2019 non è affatto lacunosa, quanto alle ragioni da cui era scaturito il provvedimento di esclusione del Comune di Ravenna, recando ampie considerazioni in ordine ai verbali -OMISSIS- ottobre 2018 (cfr. -OMISSIS-, della citata dichiarazione).
Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riferimento al motivo di appello inteso ad imputare all’impresa aggiudicataria la tardività della dichiarazione concernente le penali ad essa applicate in epoca antecedente alla data di presentazione dell’offerta, siccome intervenuta solo in sede di aggiornamento della dichiarazione sui requisiti di moralità del 25 giugno 2019.
In proposito, in punto di fatto, deve osservarsi che le penali de quibus sono state esaustivamente comunicate alla stazione appaltante con la dichiarazione del 25 giugno 2019, ovvero in epoca antecedente alla richiesta di delucidazioni della medesima Amministrazione del 24 settembre 2019.
In ogni caso, la parte appellante non ha contrapposto, nell’ambito del motivo di appello concernente la perimetrazione degli obblighi dichiarativa facenti capo all’impresa aggiudicataria, alcuno specifico argomento critico, a fronte della statuizione di primo grado della irrilevanza delle penali ai fini dell’accertamento di eventuali errori gravi nell’esercizio dell’attività professionale, sul rilievo che “l’obbligo dichiarativo concernente le gravi negligenze professionali si riferisce essenzialmente alla mancata indicazione delle “risoluzioni contrattuali”, che costituisce aspetto ben diverso”.
L’ultimo punto del motivo di appello in esame concerne il procedimento penale in corso a carico di un consigliere delegato della aggiudicataria, allegando la parte appellante che non sarebbe comprovato quanto dedotto dall’Azienda e dalla aggiudicataria, nel senso di aver rispettivamente comunicato e ricevuto un aggiornamento delle dichiarazioni con pec del 25 giugno 2019.
L’infondatezza del motivo si evince dai rilievi precedentemente effettuati in ordine alla acquisita dimostrazione dell’invio e della ricezione della dichiarazione di aggiornamento del 25 giugno 2019, recante (-OMISSIS-) ampi riferimenti alla vicenda processuale che ha riguardato il -OMISSIS-.
Dai rilievi svolti non può che discendere l’infondatezza dei profili di censura intesi a sostenere che la controinteressata non si sarebbe limitata ad omettere la dichiarazione, ma avrebbe volontariamente taciuto o tardivamente (ovvero non spontaneamente, e comunque solo parzialmente) comunicato informazioni obiettivamente rilevanti sulla sua partecipazione alla gara, tentando di indurre in errore la stazione appaltante sulla propria affidabilità professionale, mentre il T.A.R., dal suo canto, si sarebbe sostituito alla valutazione discrezionale della stazione appaltante, mentre avrebbe quantomeno dovuto annullare i provvedimenti impugnati e rimettere ogni valutazione all’Amministrazione.
Quanto al primo aspetto, invero, dalle osservazioni svolte emerge un atteggiamento complessivamente collaborativo dell’impresa aggiudicataria, insuscettibile di far emergere l’obiettivo di occultare alla stazione appaltante circostanze rilevanti ai fini del compimento delle sue valutazioni, funzionali al corretto svolgimento del procedimento di gara.
Quanto al secondo profilo, invece, si è visto che il T.A.R. ha fatto discendere la reiezione in parte qua del gravame da circostanze di carattere obiettivo (attinenti all’avvenuto assolvimento da parte della aggiudicataria dei suoi obblighi dichiarativi ovvero alla estraneità delle vicende pregresse che l’hanno riguardata all’ambito dei fatti atti a generarli), mentre la stessa tesi di parte appellante, secondo cui il T.A.R. avrebbe dovuto rimettere alla stazione appaltante ogni valutazione in ordine alla valenza escludente di quei fatti, è distonica rispetto al contenuto della doglianza in esame, la quale è funzionale a conseguire la diretta esclusione dell’impresa aggiudicataria, laddove riconosciuta responsabile delle omissioni dichiarative contestate.
Prima di concludere sul punto, deve solo ribadirsi che l’infondatezza, per le ragioni esposte, degli esaminati motivi di appello, consente di escludere ogni profilo di concreta interferenza tra la ratio decidendi sottesa alla presente sentenza e le questioni interpretative deferite all’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con ordinanza della Sezione V -OMISSIS- 9 aprile 2020 e risolte con la recentissima e già richiamata pronuncia della sessione nomofilattica di questo Consiglio di Stato -OMISSIS- 28 agosto 2020.
Mediante la seconda serie dei motivi di appello, la parte appellante si propone di dimostrare – in senso contrario alle conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado – che i fatti contestati all’impresa aggiudicataria rivestono i caratteri propri delle fattispecie escludenti previste dal Codice dei contratti pubblici.
In particolare, deduce la parte appellante che il verbale dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro costituisce senz’altro valido mezzo di prova dalle gravi infrazioni di cui all’art. 80, comma 5, lett.a) d.lvo n. 50/2016, come ritenuto dalla giurisprudenza e affermato anche dal T.A.R. Bologna con la menzionata sentenza n. -OMISSIS-, che ha anche ravvisato la gravità delle relative violazioni.
Il motivo è meritevole di accoglimento.
La disposizione della cui applicazione si tratta, recata dall’art. 80, comma 5, lett. a) d.lvo n. 50/2016, recita: “le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico (…) qualora (…) possa dimostrare con qualunque mezzo adeguato la presenza di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché agli obblighi di cui all’articolo 30, comma 3 del presente codice”.
Ebbene, i verbali di contestazioni delle infrazioni alle norme in materia di lavoro si collocano, secondo la scansione procedimentale delineata dalla l. n. 689/1981, nella fase dell’accertamento: ciò sia in ragione della funzione ad essi attribuita, sia alla luce dell’organo al quale è attribuita la relativa competenza (cfr. art. 13, comma 1, l. cit.: “gli organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono, per l’accertamento delle violazioni di rispettiva competenza…”).
Diversamente, l’ordinanza-ingiunzione costituisce espressione del potere, attribuito all'”Autorità competente” per materia, di determinare la somma dovuta per la violazione, ove ritenga fondato l’accertamento, ed ingiungerne il pagamento all’autore della violazione ed alle persone che vi sono obbligate solidalmente, anche alla luce degli scritti difensivi eventualmente prodotti dagli interessati, ovvero di emettere ordinanza motivata di archiviazione degli atti (cfr. art. 18 l. cit.).
In siffatto contesto normativo, i verbali de quibus sono suscettibili di integrare la fattispecie delle violazioni “debitamente accertate”, ex art. 80, comma 5, lett. a) d.lvo n. 50/2016, costituendo appunto esplicazione del potere di accertamento demandato agli organi competenti ed esercitato nelle forme all’uopo previste (e per questo “debite”), mentre non può attribuirsi rilievo decisivo all’inquadramento civilistico degli atti de quibus, sul quale fa leva anche la stazione appaltante (da ultimo con la memoria del 4 settembre 2020), richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo la quale il verbale emesso dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro è un atto endo-procedimentale inidoneo a produrre effetti sulla situazione soggettiva del datore di lavoro.
Ne consegue la non condivisibilità del ragionamento condotto sul punto dal giudice di primo grado, laddove ha fatto discendere l’irrilevanza dei verbali in questione dal fatto che essi non sono conclusivi della procedura sanzionatoria, nelle more dell’adozione dell’ordinanza-ingiunzione: esso infatti oblitera la qualificazione dei verbali medesimi come “atti di accertamento”, ai sensi dell’art. 13 l. n. 689/1981, essendo demandato all’autorità competente all’emissione dell’ordinanza-ingiunzione il compito, non di accertare la violazione, ma di verificare che l’accertamento all’uopo compiuto, e trasfuso nel relativo rapporto, sia “fondato” ovvero meritevole di archiviazione.
Ciò premesso, deve nondimeno osservarsi che, pur a fronte di una “violazione debitamente accertata”, permane il potere della stazione appaltante di verificarne la sussistenza “con qualunque mezzo adeguato”.
Da questo punto di vista, invero, siffatto potere istruttorio della stazione appaltante, per la sua latitudine esplicativa, non potrebbe ritenersi circoscritto alla acquisizione degli atti ufficiali, recanti il “debito accertamento” delle infrazioni contestate, ma assolve allo scopo di integrare la valenza dimostrativa degli atti di accertamento, posti in essere dagli organi competenti, ove non abbiano raggiunto il grado massimo di pregnanza e definitività, secondo il rispettivo ordinamento settoriale.
Discende, dai rilievi svolti, che il provvedimento di aggiudicazione impugnato in primo grado è viziato nella parte in cui omette qualunque considerazione dei predetti verbali, laddove, pur nella considerazione del loro carattere non assolutamente vincolante quanto alla sussistenza dell’infrazione (né tampoco alla sua gravità ), sarebbe stato compito della stazione appaltante verificare “con qualunque mezzo adeguato” (compresi gli scritti difensivi prodotti dalla parte interessata a fronte della contestazione), la effettiva realizzazione della violazione e la sua gravità, ai fini dell’eventuale esercizio del potere di esclusione.
Né vale osservare che al suo onere motivazionale l’Amministrazione abbia assolto de relato (alle deduzioni della appellata) ovvero in modo sintetico, trattandosi di filtro valutativo con esito positivo che non richiederebbe una motivazione “rafforzata”, atteso che, anche in tale prospettiva, sarebbe stato necessario, al fine di comprovare che l’Amministrazione ha effettivamente esercitato il suo munus valutativo, un minimum di argomentazione giustificativa, eventualmente per relationem agli scritti dell’impresa interessata, che non è dato invece riscontrare.
Né, al fine di escludere in radice ogni rilevanza dei suddetti verbali, potrebbe sostenersi, come fa la parte resistente, che le infrazioni contestate con i verbali dell’ITL di Ravenna, siccome relative ad asserite violazioni retributive, sarebbero estranee al novero tipologico delineato dall’art. 80, comma 5, lett. a) d.lvo n. 50/2016: basti in senso contrario rilevare che, tra gli obblighi la cui violazione è suscettibile di valutazione ai fini espulsivi, rientrano quelli “di cui all’articolo 30, comma 3 del presente codice”, il quale, a sua volta, nel prevedere che “nell’esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell’allegato X”, induce a ricomprendere nel suo perimetro anche gli obblighi di carattere retributivo.
Deve solo osservarsi, prima di concludere sul punto, che non possono assumere rilievo, ai fini della decisione, le deduzioni delle parti resistenti in ordine alla non ravvisabilità nelle violazioni contestate dei requisiti di “gravità “, anche alla luce dell’importo dell’omissione retributiva a fronte del volume complessivo fatturato dall’impresa aggiudicataria, trattandosi di valutazione riservata all’Amministrazione, il cui compimento non potrebbe essere effettuato in prima battuta dal giudice amministrativo senza incorrere nella violazione del divieto di cui all’art 34, comma 2, primo periodo c.p.a. (a mente del quale “in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”).
Infine, vale la pena sottolineare che le conclusioni qui raggiunte sono in linea con la prevalente giurisprudenza, laddove ha affermato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4304 del 6 luglio 2020) che “può essere considerato “mezzo adeguato” all’accertamento della “grave infrazione” delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. a) del codice dei contratti pubblici, ogni documento, anche se proveniente dall’autorità amministrativa (e non solo dall’autorità giudiziaria), che consenta un giudizio sulla responsabilità dell’impresa nella causazione dell’evento alla luce della qualificata ricostruzione dei fatti ivi contenuta”.
Con ulteriore motivo di appello, la parte appellante deduce che il giudice di primo grado ha ritenuto l’irrilevanza del procedimento penale che ha interessato il consigliere delegato, -OMISSIS-, della società aggiudicataria, per reati (-OMISSIS-) ai danni dell’Azienda sanitaria provinciale di Ragusa, -OMISSIS-, proprio nell’ambito dell’appalto pulizie eseguito dall’aggiudicataria, assumendo che l’art. 80, comma 1, d.lvo n. 50/2016 richiede una condanna passata in giudicato: deduce in chiave critica la parte appellante che nel ricorso di primo grado era stato invocato il comma 5, sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui le risultanze delle indagini penali assumono rilievo come fattore sintomatico dell’inaffidabilità dell’operatore economico, con il conseguente onere della stazione appaltante, se non di disporre l’esclusione, di effettuare un’accurata istruttoria e, all’esito, esprimere le proprie determinazioni con adeguata e puntuale motivazione.
Premesso inoltre che il procedimento penale attiene ai medesimi inadempimenti contestati in sede civile, i quali avevano messo capo al provvedimento di risoluzione contrattuale adottato dalla ASP Ragusa, deduce la parte appellante che nella sede giudiziaria civile si discuteva del carattere abusivo, o meno, dell’applicazione della penale e dell’incameramento della fideiussione, non della sussistenza dell’inadempimento, la cui incidenza andava invece valutata e posta in relazione con l’elevato ribasso proposto dall’aggiudicataria (anche) nell’ambito della gara di cui si discute: pertanto, la P.A., piuttosto che sulla base di un provvedimento per sua natura interinale, quale è quello cautelare, col quale erano stati sospesi la penale e l’incameramento della cauzione, avrebbe dovuto svolgere una prognosi sulla fondatezza del successivo giudizio di merito, ovvero procedere ad un’autonoma valutazione dei fatti accertati, consistiti nel non aver fornito attrezzature, richieste dal capitolato e a fronte del relativo impegno in offerta, premiato con specifico punteggio, per considerevoli importi.
Il motivo, complessivamente considerato, non è meritevole di accoglimento.
Deve premettersi che, per stessa dichiarazione della parte appellante, i fatti per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio del -OMISSIS- non vengono in rilievo per i profili di responsabilità penale ad essi riconducibili, ma per i risvolti contrattual-civilistici: ciò che trova conferma, da un lato, nel fatto che la stessa parte appellante sostiene l’identità dei fatti contestati in sede penale e quelli addebitati in sede civile all’impresa aggiudicataria, dall’altro lato, nel fatto che la disposizione invocata (art. 80, comma 5, d.lvo n. 50/2016), pur nel suo polimorfismo dispositivo, ruota intorno alla figura dell'”operatore economico”, di cui deve essere valutata l’affidabilità professionale.
Ciò premesso, deve osservarsi che la sottoposizione del -OMISSIS- ad una indagine penale non muta sostanzialmente i termini della valutazione demandata alla stazione appaltante a fronte del provvedimento risolutorio adottato dalla ASP Ragusa, la quale deve essere condotta, pur a fronte del richiamo effettuato dalla parte appellante all’intero contenuto del comma 5, nel segno della sua previgente lett. c), applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame (ex art. 5, comma 2, d.l. n. 135/2018, conv. in l. n. 12/2019), a mente del quale la stazione appaltante esercita il potere di esclusione “laddove dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità . Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio…”.
Ebbene, già il fatto che il provvedimento di risoluzione della ASP Ragusa costituisca oggetto di un giudizio (prima cautelare, conclusosi in senso favorevole alla controinteressata, quindi di merito, tuttora pendente) preclude la sua assumibilità a fondamento di un provvedimento espulsivo nei confronti dell’impresa aggiudicataria.
In ogni caso, anche ritenendo che il parametro di legittimità del provvedimento impugnato in primo grado vada ricercato nella vigente lett. c-ter), ai sensi del quale l’esclusione viene disposta nei confronti dell’operatore economico che “abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”, deve osservarsi che la correttezza del giudizio di “non gravità ” svolto dalla stazione appaltante trova idoneo fondamento, come rilevato dal giudice di primo grado, nella motivazione sottesa al provvedimento cautelare del Tribunale di Catania, Sezione specializzata Materia di Impresa, del 6 dicembre 2019.
Invero, sebbene esso incida sulla sola applicazione della penale e sull’escussione della garanzia fideiussoria (conformemente, del resto, al petitum cautelare), contiene nondimeno statuizioni incidenti sulla valutazione di gravità dell’inadempimento rimessa alla stazione appaltante: premesso infatti che la clausola penale ne ricollegava l’applicazione all’ipotesi in cui il servizio non fosse conforme a quanto previsto nel Capitolato Speciale e dalla documentazione tecnica presentata in sede di offerta, e che la “non conformità ” è comprensiva delle “carenze nell’esecuzione di un precedente contratto” cui allude il citato art. 80, comm 5, lett. c-ter d.lvo n. 50/2016, afferma il giudice civile cautelare che “non pare corrispondente a buona fede (art. 1366 c.c.) ritenere che le parti abbiano inteso voler applicare una penale di tale rilevanza e ammontare in presenza di un qualsiasi inadempimento, anche di non grave importanza. La “non conformità ” del servizio espletato a cui fa riferimento la clausola in esame non può certamente consistere nella mancata messa a disposizione di alcuni macchinari da parte dell’appaltante, il cui servizio è stato svolto con regolarità e senza gravi contestazioni per la maggior parte della durata del contratto. Se il servizio prestato fosse stato talmente difforme a quanto dovuto tale da giustificare una penale pari alla metà del costo del servizio, non si spiegherebbero i certificati di buona esecuzione del servizio emessi dall’ASP per gli anni 2015, 2016 e 2017 e il pagamento periodico del relativo corrispettivo. A ulteriore conferma di ciò, si evidenzia che la stessa richiesta dell’ASP Ragusa di ricondurre ad equità il rapporto contrattuale ex art. 1467 c.c. attesta come l’alterato equilibrio contrattuale dovuto alla carenza di macchinari sia già stato adeguatamente compensato dalla riduzione del corrispettivo, nonché dalla progressiva integrazione delle attrezzature da parte dell’impresa durante il periodo dicembre 2017-maggio 2018. Sicché il diritto della stazione appaltante di applicare la penale in questione, appare, prima facie, inesistente”.
Come si evince dai citati passaggi motivazionali, quindi, il giudice catanese ha escluso la sussistenza della “grave difformità ” esecutiva, sebbene al fine di affermare il carattere ingiustificato della penale: in tal modo fornendo all’Amministrazione appellata un valido supporto per il mancato esercizio del potere di esclusione nei confronti dell’impresa aggiudicataria.
A tanto deve aggiungersi che, derivando la risoluzione “di diritto” dall’applicazione di una penale di importo superiore al 10% dell’importo contrattuale, la sospensione della penale, sancita dalla citata ordinanza cautelare, non ha potuto restare ininfluente sullo stesso presupposto del potere di esclusione, connesso alla pronuncia risolutoria, che deve considerarsi venuta meno (recte, inibita nei relativi effetti) in conseguenza del suddetto provvedimento interinale.
Deve solo aggiungersi che le valutazioni del Tribunale di Catania, in composizione monocratica, hanno trovato l’avallo collegiale, avendo il medesimo Tribunale, in sede di decisione sul reclamo avverso il suindicato provvedimento cautelare, rilevato, ad ulteriore supporto del giudizio di non gravità dell’inadempimento contestato all’odierna appellata, che “nella specie, la parziale riduzione dei corrispettivi accettata dall’appaltatore, cui si è fatto cenno in precedenza, ed il regolare pagamento periodico del servizio da parte dell’ASP Ragusa per gli anni 2015, 2016 e 2017, dimostrano come l’inadempimento da parte dell’appaltatore, concretizzatosi nel mancato utilizzo di alcuni macchinari, abbia interferito solo in minima parte con la regolare esecuzione dei servizi e non abbia assunto una rilevanza tale da giustificare l’applicazione della penale contrattualmente stabilita”.
In siffatto contesto, la pretesa della parte appellante di imporre alla stazione appaltante un “giudizio prognostico sull’esito del giudizio di merito” appare evidentemente inaccettabile, non potendo richiedersi all’Amministrazione di sovrapporre una propria valutazione a quella, approfonditamente svolta e doviziosamente argomentata, dal giudice civile della cautela.
Né la valutazione della stazione appaltante potrebbe essere censurata in relazione al ribasso (pari al 30%) caratterizzante l’offerta economica dell’impresa aggiudicataria, non potendo – a prescindere dal carattere innovativo della deduzione, correttamente eccepito dalla controparte – dal preteso inadempimento imputabile alla medesima impresa con riferimento ad altro rapporto contrattuale inferirsi l’anomalia dell’offerta presentata nella gara de qua (tanto più tenuto conto dell’espressa valutazione di congruità posta in essere dalla stazione appaltante nei confronti di quest’ultima e non specificamente censurata dalla parte appellante).
Infine, deduce la parte appellante che l’irrogazione di penali, secondo le Linee Guida n. 6 di ANAC, è considerata circostanza rilevante per l’applicazione dell’art. 80, co.5, lett. “c” del D. Lgs. n. 50/2016, ove le sanzioni superino l’1% del contratto, per cui era doveroso per la stazione appaltante – tenuto anche conto del numero e della consistenza economica delle penali – effettuare comunque un apprezzamento discrezionale, all’esito del quale, con adeguata motivazione, esprimere un proprio giudizio sull’affidabilità del concorrente: ciò anche volendo attribuire alle Linee Guida il valore di atto non vincolante in quanto riportante semplici best practices amministrative, potendo la stazione appaltante eventualmente discostarsene, ma con l’obbligo di motivazione pregnante, nel caso di specie totalmente assente.
Il motivo è meritevole di accoglimento.
Deve premettersi che anche le penali appaiono astrattamente ascrivibili all’ambito dei “mezzi adeguati” a far emergere un “grave illecito professionale”, ai sensi del previgente art. 80, comma 5, lett. c) d.lvo n. 50/2016: ciò alla luce dell’ampio riferimento in esso contenuto alle “altre sanzioni”, che induce ad attribuire carattere esplicativo (e non innovativo) alle Linee Guida ANAC n. 6/2016, aggiornate con delibera n. 1293 del 16 novembre 2016, laddove prevedono l’obbligo delle stazioni appaltanti di comunicare all’Autorità “i provvedimenti di applicazione delle penali di importo superiore, singolarmente o cumulativamente con riferimento al medesimo contratto, all’1% dell’importo del contratto”.
Né in senso contrario può richiamarsi, come fa l’Amministrazione appellata, la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., da ultimo, Sez. V. n. 4100 del 26 giugno 2020), laddove in particolare afferma che “la mancata dichiarazione della irrogazione di penali contrattuali non integra di per sé la violazione dei doveri professionali e non costituisce prova di grave negligenza, così definita dal legislatore dapprima con l’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006, e rinnovato dall’art. 80 comma 5 lett. c) e c-ter), poiché l’applicazione di penali contrattuali non può ritenersi sintomo inconfutabile di errore grave nell’esercizio dell’attività professionale o comunque “grave negligenza”; ciò tanto più quando, come nel caso di specie, il provvedimento di esclusione menzioni l’applicazione delle penali senza specificarne l’ammontare minimo ed indicando quale presupposto asserite “manchevolezze” (…) senza alcun effettiva motivazione al riguardo anche con riferimento alla loro eventuale gravità “: nella specie, infatti, la rilevanza delle penali medesime non attiene al profilo dichiarativo, ma a quello valutativo, di pertinenza della stazione appaltante, cui la stessa giurisprudenza citata imputa uno specifico e completo onere motivazionale al riguardo.
Inoltre, la stessa dichiarazione relativa alle suddette penali, effettuata dall’impresa aggiudicataria in data 25 giugno 2019 (in ossequio alle citate Linee Guida), avrebbe dovuto indurre la stazione appaltante a prenderle in considerazione ai fini dimostrativi della eventuale sussistenza della suddetta causa escludente.
Né potrebbe ritenersi che la motivazione dell’esito favorevole di siffatta valutazione (comunque non esplicitato) sia ricostruibile de relato alla suddetta dichiarazione, laddove, per alcune delle suddette penali, si afferma che i disservizi da cui sono scaturite sono stati espressamente riconosciuti come non gravi dalla stazione appaltante, facendo comunque difetto una valutazione complessiva delle suddette penali e una autonoma valutazione di non gravità con riferimento a quelle ulteriori.
Da questo punto di vista, non appaiono decisivi i rilievi emergenti dalla sentenza appellata, incentrati sul fatto che “l’applicazione di penali contrattuali non può ritenersi sintomo inconfutabile di errore grave nell’esercizio dell’attività professionale” e sulla considerazione che “l’obbligo dichiarativo concernente le gravi negligenze professionali si riferisce essenzialmente alla mancata indicazione delle “risoluzioni contrattuali”, che costituisce aspetto ben diverso”, atteso che, quanto al primo, non si discute di “inconfutabile” dimostrazione dell’errore grave, ma di mancato motivato esercizio da parte della stazione appaltante dei suoi compiti valutativi (dall’esito non predeterminabile dal giudice amministrativo), mentre, quanto alla seconda, non viene in rilievo l’assolvimento degli obblighi dichiarativi dell’impresa concorrente, ma, appunto, l’esercizio della potestà valutativa spettante all’Amministrazione; ugualmente, quanto all’esigenza che l’incidenza e la gravità delle penali sia valutata non rispetto ai singoli contratti cui afferivano, bensì in relazione al contesto globale nel quale la società opera e, dunque, al volume d’affari complessivo dalla medesima realizzato e al numero totale di commesse dalla stessa gestite, richiamata dalla società resistente con la memoria del 4 settembre 2020, trattasi di questione attinente al quomodo delle valutazioni spettanti alla stazione appaltante, non anticipabili – né tampoco risolvibili – nel presente giudizio.
Deve infine dichiararsi l’assorbimento della censura intesa a lamentare il carattere “frastagliato” della valutazione di affidabilità condotta dall’Amministrazione, atteso che, anche così strutturata, essa è inficiata dai vizi innanzi evidenziati.
Resta invece preclusa ogni pronuncia, pur richiesta dalla parte appellante, in ordine alla efficacia del contratto (che risulta sottoscritto in data 27 luglio 2020: cfr. memoria della società resistente del 1° settembre 2020) ed al risarcimento del danno in forma specifica, nelle more della riedizione del potere valutativo, in ordine agli aspetti innanzi evidenziati, spettante alla stazione appaltante.
L’appello, in conclusione, deve essere accolto in parte e conseguentemente annullato, in riforma della sentenza appellata ed in accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, il provvedimento di aggiudicazione con esso impugnato, salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.
La complessità dell’oggetto della controversia giustifica infine la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, annulla, per le ragioni e con gli effetti precisati in motivazione, il provvedimento impugnato in primo grado, salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.
Spese dei due gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere, Estensore
Giovanni Tulumello – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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