La lottizzazione convenzionata è comunque condizione dell’edificazione (che dunque non potrà avvenire in forza di concessione singola) anche quando esiste una parte di opere di urbanizzazione

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 3 ottobre 2018, n. 5675.

La massima estrapolata:

La lottizzazione convenzionata è comunque condizione dell’edificazione (che dunque non potrà avvenire in forza di concessione singola) anche quando esiste una parte di opere di urbanizzazione, ma è comunque ancora possibile conferire alla zona di riferimento una ordinata linea di sviluppo mediante gli strumenti attuativi. In tali casi il ricorso allo strumento attuativo resta necessario ogni qual volta quest’ultimo ha lo spazio tecnico e la possibilità materiale di dare ordine al comprensorio. Correlativamente può farsene a meno solo quando esiste una urbanizzazione completa della zona, in conformità allo strumento urbanistico il che, nella fattispecie in discussione, si osserva in sentenza, è sicuramente da escludere.

Sentenza 3 ottobre 2018, n. 5675

Data udienza 27 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5044 del 2012, proposto da Ca. Ba., rappresentato e difeso dall’avvocato Lo. Ma. Ni., con domicilio eletto presso lo studio Se. Co. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del TAR della Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria – n. 499/2011, resa tra le parti, concernente lottizzazione abusiva negoziale, o cartolare – art. 18 della l. n. 47 del 1985;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 27 settembre 2018 il cons. Marco Buricelli; nessuno è presente per la parte appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Viene in decisione il ricorso in appello con il quale il signor Ca. Ba. ha impugnato la sentenza del TAR Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria, n. 499 del 2011, chiedendone la riforma.
Il giudice di primo grado ha respinto, con compensazione delle spese, il ricorso presentato dal signor (omissis) per l’annullamento dell’ordinanza del Sindaco di Montebello Jonico n. 34 del 15 settembre 1992, adottata ai sensi dell’art. 18 della l. n. 47 del 1985 e con la quale è stata disposta: a) la sospensione di qualsiasi attività inerente i suoli oggetto degli atti di trasferimento posti in essere dal ricorrente, b) l’interruzione di ogni attività in corso sui suoli predetti, con divieto esplicito di disporre sia dei suoli, sia delle opere realizzate sopra gli stessi, mediante atti tra vivi, c) la sospensione delle procedure dirette a ottenere autorizzazioni all’edificazione di qualsivoglia natura e delle autorizzazioni a qualsiasi titolo concesse e d) la trascrizione dell’ordinanza stessa nei registri immobiliari, con l’avvertimento che, trascorsi 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza senza che la medesima sia stata revocata, il suolo sarà acquisito al patrimonio del Comune.
In punto di fatto, dagli atti di causa emerge, in sintesi, che:
– con atto del 16 dicembre 1988 il signor (omissis), unitamente al signor Lu. Ro., acquistava un suolo sito in agro di Montebello Jonico, indicato in catasto al F. 61, part. (omissis) e F. (omissis) particelle (omissis) e (omissis) per una superficie complessiva di mq 47.413;
– l’area rientrava nelle previsioni di PRG concernenti “attività produttive satelliti del polo industriale”, il quale avrebbe dovuto essere costituito dall’impianto della “Liquilchimica biosintesi spa” (un’industria per la produzione di bio proteine), costruito ma mai entrato in funzione. Il terreno acquistato risultava essere stato scorporato da un più ampio appezzamento di proprietà della società costruttrice dell’impianto;
– tra l’aprile del 1989 e il gennaio del 1992 il (omissis) e il Romeo procedevano al frazionamento e alla vendita di alcuni lotti di terreno, aventi una superficie non inferiore a mq. 1.000. Una prima vendita a terzi era compiuta il 27 aprile 1989; una seconda vendita, l’8 giugno 1989; vendite ulteriori, a opera di entrambi o singolarmente, dopo avere proceduto alla divisione, venivano eseguite con cadenze ravvicinate, tra il 25 ottobre del 1989 e il 29 gennaio del 1992, per un totale di undici lotti. A sua volta un terzo soggetto, il signor Sofia, resosi acquirente, suddivideva il lotto acquistato in più frazionamenti, oggetto di quattro atti di vendita a terzi, compiuti tra l’aprile del 1990 e il dicembre del 1991;
– il Comune, anche su impulso di una coeva indagine penale, riteneva sussistenti alcuni indicatori dai quali poter desumere in maniera non equivoca la destinazione a scopo edificatorio degli atti di frazionamento e di vendita posti in essere nel periodo suindicato. L’ordinanza n. 34/1992 poneva in risalto in particolare il carattere strumentale dell’acquisto dell’intero terreno rispetto alla suddivisione in lotti da vendere, le circostanze per cui, i lotti sono tutti contenuti nel limite minimo per l’edificazione e sono stati trasferiti a più acquirenti, le operazioni di frazionamento sono state eseguite da un unico professionista, il ricorrente e comproprietario originario si è interamente spogliato dei beni e, inoltre, i relativi acquirenti hanno in gran parte domandato il rilascio del permesso di costruire sicché, in definitiva, l’intera operazione ha condotto, in concreto, a una lottizzazione negoziale, o cartolare, non autorizzata.
2. Ciò posto il Tar reggino, con la sentenza impugnata, nel fare richiamo a due decisioni dello stesso Tribunale, la n. 448 del 2009 e la n. 169 del 2011, pronunciate in occasione della trattazione di ricorsi proposti da altri proprietari, coinvolti nella stessa vicenda, contro il medesimo provvedimento oggetto del ricorso attualmente all’esame del Tar; e dopo avere riepilogato il quadro giurisprudenziale sulla interpretazione dell’art. 18 della l. n. 47 del 1985e sulla lottizzazione c. d. cartolare o negoziale, con riferimento in particolare agli “indici dell’intento di lottizzazione”, ha sottolineato come, nella specie, “il lotto d’origine”, da parte dei suoi proprietari, avesse conosciuto “un sistematico frazionamento per lotti omogenei, racchiuso in un arco temporale significativamente ristretto” (in concreto, come rilevato, nei circa 30 mesi intercorsi tra l’aprile del 1989 e il gennaio del 1992).
“Due sono dunque – ha puntualizzato il giudice di primo grado – gli elementi sintomatici dell’intento lottizzatorio: la dimensione dei lotti e il contesto temporale”.
Il Tar si è quindi soffermato ad analizzare in dettaglio la sussistenza di ambedue gli indicatori.
La sentenza spiega poi le ragioni per le quali la destinazione di zona (artigianale e piccolo industriale) non appare in contrasto con l’intento lottizzatorio.
Nel rimarcare che la destinazione attuale del PRG – e del Piano ASI – e le caratteristiche dei luoghi “consentono tecnicamente la edificazione per singoli lotti”, tanto che il Comune, prima di avvedersi, sia pure sulla scorta di una autonoma azione di indagine penale, che il fenomeno in essere implicava una lottizzazione abusiva, aveva rilasciato concessioni edilizie e si era espresso, attraverso la competente commissione edilizia, in maniera favorevole su altre domande, il giudice di primo grado rileva che la circostanza che l’Amministrazione comunale non abbia rilevato con immediatezza gli indicatori di una lottizzazione abusiva negoziale non può essere utilizzata come un argomento di contraddittorietà o disparità di trattamento “atteso che l’aver sbagliato, o il non aver rilevato tempestivamente una fattispecie abusiva, non implica che l’amministrazione debba necessariamente continuare a sbagliare o ad omettere”.
Infine, il Tar ha respinto il profilo di censura col quale il ricorrente, muovendo dall’assunto secondo cui la lottizzazione abusiva ex art. 18 presuppone che i terreni oggetto di frazionamento richiedano un piano di lottizzazione per l’edificazione, aveva criticato l’ordinanza sindacale n. 34/1992 sull’assunto dell’esistenza, di fatto, di una situazione di urbanizzazione tale da consentire comunque l’edificazione per singola concessione (si fa richiamo a una strada che attraversa il lotto, alla contiguità alla SS 106 e ad altri “indicatori”).
Per superare anche questo profilo di doglianza, il Tar ha richiamato la giurisprudenza in base alla quale “la lottizzazione convenzionata è comunque condizione dell’edificazione (che dunque non potrà avvenire in forza di concessione singola) anche quando esiste una parte di opere di urbanizzazione, ma è comunque ancora possibile conferire alla zona di riferimento una ordinata linea di sviluppo mediante gli strumenti attuativi…In tali casi… il ricorso allo strumento attuativo resta necessario ogni qual volta quest’ultimo ha lo spazio tecnico e la possibilità materiale di dare ordine al comprensorio. Correlativamente può farsene a meno solo quando esiste una urbanizzazione completa della zona, in conformità allo strumento urbanistico… ” il che, nella fattispecie in discussione, si osserva in sentenza, “è sicuramente da escludere”.
3. Il signor (omissis) ha impugnato la sentenza con tre motivi recanti, rispettivamente, 1) violazione dell’art. 18 della l. n. 47 del 1985, 2) eccesso di potere per contraddittorietà di comportamenti e 3) eccesso di potere per carenza ed erroneità della motivazione.
In primo luogo, l’appellante deduce l’erroneità della sentenza per avere, il Tar, giudicato sussistenti alcuni “indicatori” di un intento lottizzatorio quando, al contrario, nel peculiare contesto di zona, nel quale l’edificazione era consentita, pur non rivestendo, i ricorrenti, la qualifica di imprenditore o di artigiano, considerando le caratteristiche dei lotti e le modalità dell’attività negoziale di frazionamento e vendita, non potevano considerarsi esistenti i presupposti per riconoscere una lottizzazione abusiva cartolare o negoziale. Il quadro indiziario da cui desumere in maniera inequivoca la destinazione degli atti a scopo edificatorio, e l’intento lottizzatorio, è insufficiente a tale fine.
Sub 2), parte appellante, nel dedurre eccesso di potere per contraddittorietà di comportamenti, insiste nel sottolineare come il Comune, tra il 1989 e il 1992, nel ricevere i frazionamenti, gli atti di vendita e le istanze di concessione edilizia, non avrebbe eccepito alcunché, rilasciando anzi concessioni e pareri favorevoli. Nell’atto di appello si afferma inoltre che la zona in questione era interessata da opere di urbanizzazione (illuminazione, linea telefonica, rete idrica e fognaria), nonché intersecata dalla SS 106, sicché l’urbanizzazione della zona era avvenuta non in modo abusivo ma su assenso dell’autorità amministrativa, e il Comune aveva valutato che i frazionamenti non erano stati posti in essere in violazione degli interessi tutelati dall’art. 18 della l. n. 47 del 1985.
Infine, sub 3), parte appellante denuncia il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione. Si sostiene in particolare che il riferimento alla circostanza che le operazioni di frazionamento risultano eseguite da un unico professionista integra un elemento motivazionale soltanto apparente, quale indice rivelatore dell’esistenza della lottizzazione c. d. cartolare. Altri punti solo apparenti della motivazione sono quelli che riguardano le dimensioni e la natura omogenea dei lotti venduti. Ancora, dal rilascio di concessioni, assensi e pareri favorevoli da parte di organi comunale occorre trarre conclusioni opposte a quelle contenute nell’ordinanza impugnata in ordine alla configurabilità della lottizzazione negoziale contestata. In definitiva, dall’insieme degli elementi indicati nell’ordinanza impugnata in primo grado non è possibile desumere, in maniera non equivoca, l’intento lottizzatorio e considerare quindi concretizzata l’ipotesi di lottizzazione abusiva negoziale prevista dal citato art. 18.
Il Comune, sebbene ritualmente intimato, non si è costituito.
L’appellante non ha presentato memoria e all’udienza del 27 settembre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
4. Nell’appello vengono riproposti, nella sostanza, i motivi formulati in primo grado, ancorché adattati all’impianto motivazionale della decisione appellata.
Per ragioni di economia processuale ed esigenze di sintesi (arg. ex art. 3 del c.p.a.), i motivi medesimi possono essere esaminati in maniera congiunta.
Essi sono infondati e vanno respinti.
La sentenza è corretta e va confermata.
Preliminarmente e in termini generali va rammentato che l’art. 18 della l. n. 47 del 1985, applicabile, “ratione temporis”, alla fattispecie per cui è causa, disponeva, per quanto qui più rileva, che “si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio…” (identica, la formulazione di cui all’art. 30, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001).
Sul piano giurisprudenziale il Collegio, sempre in via preliminare, rileva che, sul tema della interpretazione da dare all’art. 18 della l. n. 47 del 1985 – e, in seguito, all’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 – questo Consiglio di Stato, in numerose occasioni, ha affermato che “l’art. 18 della l. 28 febbraio 1985 n. 47 disciplina due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva: la prima, cd. materiale, relativa all’inizio della realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti, urbanistici approvati o adottati ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione; la seconda, cd. formale (o cartolare), che si verifica allorquando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne sono già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita, o altri atti equiparati, del terreno in lotti, creando così una variazione in senso accrescitivo sia del numero dei lotti che in quello dei soggetti titolari del diritto sul bene; il bene giuridico protetto dalla predetta norma quindi è non solo la ordinata pianificazione urbanistica e del corretto uso del territorio, ma anche e soprattutto l’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè dal Comune), cui spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio non previamente assentito” (v., “ex multis”, Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 5500 del 2008).
Ancora la IV Sezione (v. sent. n. 6060 del 2006) ha aggiunto che “l’ipotesi della c.d. lottizzazione negoziale prescinde dalla prova di qualsiasi intento di lottizzare abusivamente e rileva, invece, obiettivamente per il solo fatto del frazionamento e della vendita in lotti di un’area, purché questi lotti per le loro dimensioni, per la natura del terreno, per il numero, per l’eventuale previsione di opere di urbanizzazione e in rapporto ad altri elementi riferiti agli acquirenti evidenzino, in modo non equivoco, la destinazione a scopo edificatorio degli stessi”.
Sempre la IV Sezione, con la sentenza n. 3534 del 2013, ha statuito in maniera condivisibile che “l’accertamento della fattispecie relativa alla c.d. lottizzazione negoziale implica la verifica di tutti gli elementi dai quali è possibile desumere in maniera non equivoca la destinazione a scopo edificatorio degli atti posti in essere dalle parti. In tali ambiti non deve essere dimostrata la contemporanea esistenza di tutti gli indici rivelatori indicati dalla citata norma, essendo sufficiente che lo scopo edificatorio emerga chiaramente anche dal solo frazionamento o dalle modalità dell’attività negoziale, che costituiscono lo strumento per il perseguimento dell’intento lottizzatorio. In particolare, il mero frazionamento del terreno in lotti fa già emergere, sul piano causale, un inequivocabile intento lottizzatorio, sicché la legge interviene a reprimere tale comportamento in quanto diretto artatamente ad infittire la trama dell’edificato sul territorio, in diretto contrasto con la pianificazione dello stesso” (conf. Sez. IV, n. 2004 del 2009, secondo cui “perché possa ritenersi sussistente una lottizzazione abusiva cartolare-negoziale, posta in essere mediante il frazionamento planimetrico di un fondo e la conseguente vendita dei lotti da esso risultanti, non è necessario dimostrare l’esistenza di tutti gli indici rivelatori di cui all’art. 18 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, ma è sufficiente che lo scopo edificatorio emerga anche da un solo indizio, che indubbiamente è ravvisabile nel caso di vendita frazionata di un vasto appezzamento di terreno in lotti di dimensione ridotta e palesemente incompatibile” con una loro valida destinazione urbanistica -in quel caso, a usi agricoli, con trasferimenti a soggetti privi delle qualità soggettive pertinenti a tale utilizzazione.
Alla luce delle coordinate giurisprudenziali riepilogate sopra, e guardando adesso più da vicino il caso in esame, questo Collegio di appello ritiene anzitutto che in maniera corretta la sentenza impugnata abbia attribuito rilievo dirimente alla dimensione e al numero dei lotti ceduti, oltre che al “contesto temporale” entro il quale sono state effettuate le vendite del terreno in lotti.
Bene in sentenza è stato riconosciuto un intento edificatorio connesso alla lottizzazione cartolare, o negoziale, sulla base delle modalità del frazionamento, risultando compiuta un’attività di frazionamento sistematico per lotti omogenei.
Quanto al periodo temporale in cui sono avvenute le vendite, è corretta l’affermazione svolta in sentenza per la quale “quando quest’ultimo è circoscritto, può concorrere a denotare la univocità del frazionamento. In tal senso, la contestualità delle diverse operazioni ne rivela una natura unitaria, cioè frutto di un progetto definito: non si deve certamente considerare necessaria una rigorosa contestualità, ossia la vendita contemporanea di tutti i lotti in un unico momento (aspetto questo che consentirebbe facili elusioni), ma, come appunto accade nella fattispecie in esame, è sufficiente un contesto di breve distanza tra i singoli atti (e un intervallo di tempo di circa 30 mesi, tenuto conto anche dell’elevato numero di lotti ceduti, non appare particolarmente significativo – n. d. est.) che permetta di considerarli “in serie” “.
Quanto alla natura e alle dimensioni dei lotti, in relazione al terreno, va condivisa l’argomentazione formulata in sentenza secondo la quale “la dimensione dei lotti (compresa tra 1000 e 2000 mq circa) è tale da consentire una edificazione singola per ciascuno di essi, cosa che corrisponde esattamente alla funzione che il singolo acquirente può ottenere dal terreno…il PRG del Comune di Montebello è stato adottato con delibera del Consiglio comunale n. 20 del 6 settembre 1986 ed approvato con D. P. Reg. Cal. del 30 novembre 1994, nr. 1635, e le zone in cui ricadono i terreni in esame sono inserite nel Piano ASI e destinate ad attività artigianale e piccolo industriale, subordinate ad intervento attuativo con superficie minima di edificazione pari a mq 1000, con indice massimo di copertura pari a 0.50 mc/mq, H max 11,00 ml.. Inoltre, le particelle in esame sono a destinazione industriale secondo il Piano Regolatore Territoriale di cui al D.P.G.R. n. 837 del 29 ottobre1973.
La dimensione dei lotti, dagli atti di causa, appare dunque sostanzialmente conforme alle attuali prescrizioni di Piano, essendo il lotto minimo di 1000 mq l’unica condizione strutturale del terreno che viene prescritta per poter edificare, seppure in conformità alla destinazione di zona….” (a impianti artigianali e piccole industrie, come già notato).
In ordine a tale destinazione, è corretto affermare, come si fa in sentenza, che da un lato la destinazione di zona suddetta era giustificata dalla relazione tra il comprensorio e l’impianto industriale e, dall’altro, notorio essendo che tale impianto non era mai entrato in funzione e che neppure se ne prevedeva, al tempo delle cessioni, alcuna utilizzazione concreta, secondo ragionevolezza ed esperienza ben potevano, gli acquirenti, attendersi una riclassificazione dei suoli, avuto riguardo alla natura dei luoghi e agli obblighi normativamente gravanti sul Comune.
Sotto quest’ultimo aspetto, a differenza di quanto osserva la parte appellante, non si rientra nell’ambito delle congetture, ma si ricade nel campo della verosimiglianza e dell’attendibilità .
In ogni caso, anche a strumento urbanistico vigente e prescindendo da revisioni future, vista la mancata entrata in funzione dell’impianto industriale della Liquilchimica, ben sarebbe stato possibile un utilizzo economico di volumetrie da rendere compatibili, “utilizzando tipologie di insediamenti a contenuto misto”, sicché plausibilmente in sentenza si rileva che la natura dei luoghi e la destinazione di PRG consentivano “tecnicamente” la edificazione per singoli lotti.
Nell’atto di appello il signor (omissis) sembra poi incentrare i propri rilievi critici sulla sottolineatura secondo la quale in un primo momento il Comune aveva rilasciato una o più concessioni edilizie esprimendosi inoltre in maniera favorevole su altre per il tramite della competente commissione edilizia; e soltanto in un secondo momento, in seguito all’avvio di una indagine penale, l’Amministrazione si era risolta a intervenire ai sensi dell’art. 18 della l. n. 47 del 1985, incorrendo così, si sostiene, in un comportamento illegittimo per contraddittorietà .
In realtà, diversamente da quanto ritiene l’appellante, e come fondatamente considerato dal Tar, in presenza di un quadro indiziario “robusto”, coerente con la previsione di cui al citato art. 18 e dal quale poter desumere, in maniera inequivoca, la destinazione e scopo edificatorio degli atti posti in essere dalle parti, con conseguente legittimo riconoscimento, nella specie, degli estremi di una lottizzazione abusiva negoziale, o cartolare, il non avere rilevato in modo tempestivo una fattispecie di lottizzazione abusiva negoziale non implicava che la P. A. dovesse proseguire imperterrita nell’errore sicché, nella situazione venutasi a creare, non vi erano e non vi sono le condizioni per annullare l’ordinanza impugnata in primo grado.
Le considerazioni svolte dal Tar sono corrette e condivisibili anche laddove si pongono a sostegno della statuizione di rigetto del profilo di censura basato sulla dedotta contraddittorietà .
Quasi inutile aggiungere che la figura della variante implicita, o tacita, dello strumento urbanistico non ha diritto di cittadinanza nell’Ordinamento positivo.
Qualora la situazione dei luoghi muti contesto rispetto a quella originaria sulla base della quale era stata stabilita la zonizzazione, spetterà all’Ente locale porre in essere una nuova attività di pianificazione.
Infine, sul rilievo per cui la zona era interessata da opere di urbanizzazione, pare il caso di rammentare, con il Tar, in linea di fatto, che l’avvenuta urbanizzazione completa della zona andava comprovata dal ricorrente e appellante odierno, il che non è stato fatto, e, in linea di diritto, che la lottizzazione convenzionata è comunque condizione dell’edificazione anche quando sussiste un’urbanizzazione parziale, ma è comunque ancora possibile conferire alla zona di riferimento una ordinata linea di sviluppo mediante gli strumenti attuativi.
Dalle considerazioni esposte sopra emerge in maniera evidente l’adeguatezza e la coerenza della motivazione posta a base dell’ordinanza impugnata in primo grado.
In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza confermata.
Tuttavia, non si fa luogo a pronuncia sulle spese del grado del giudizio, dato che il Comune non si è costituito.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Nulla per le spese.
Dispone che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 settembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente FF
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere

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