La ignoranza della penale puo’ rilevare nella materia contravvenzionale

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 11 febbraio 2019, n. 6355.

La massima estrapolata:

La ignoranza della penale puo’ rilevare nella materia contravvenzionale e se la mancata coscienza dell’illiceita’ del fatto derivi non dall’ignoranza dalla legge, ma da un elemento positivo, e cioe’ da una circostanza che induce nella convinzione della sua liceita’, come un provvedimento dell’autorita’ amministrativa, una precedente giurisprudenza assolutoria o contraddittoria, una equivoca formulazione del testo della norma

Sentenza 11 febbraio 2019, n. 6355

Data udienza 16 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/9/2017 della Corte d’appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Canevelli Paolo, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25 settembre 2017 la Corte d’appello di Brescia, provvedendo sulla impugnazione proposta da (OMISSIS) nei confronti della sentenza del 26 marzo 2009 del Tribunale di Mantova, con cui ne era stata dichiarata la responsabilita’ in relazione ai reati di cui all’articolo 609 bis cod. pen. (per avere costretto con violenza la consorte a compiere e subire atti sessuali) e articolo 81 cpv. c.p., articolo 61 c.p., n. 2 e articolo 582 cod. pen. (per avere cagionato lesioni alla consorte al fine di commettere il delitto di violenza sessuale), ha dichiarato non doversi procedere in relazione a tale ultimo reato, in quanto estinto per prescrizione, e ha rideterminato la pena per il residuo reato di violenza sessuale, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.
2.1. Con un primo motivo ha eccepito la nullita’ del decreto di citazione per il giudizio di appello, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in quanto nello stesso era stato indicato, erroneamente, che egli avrebbe dovuto comparire innanzi alla Corte d’assise d’appello di Brescia, giudice diverso rispetto alla Corte d’appello di Brescia, innanzi alla quale avrebbe dovuto in realta’ comparire e che lo aveva poi giudicato in grado d’appello, con la conseguente nullita’ di detto decreto, per violazione dell’articolo 552 c.p.p., comma 2, lettera d) e articolo 598 cod. proc. pen., a causa della erronea indicazione del giudice.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato l’insufficienza, la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), sia nella parte relativa al giudizio di attendibilita’ della persona offesa, compiuto senza tener conto della prosecuzione della convivenza, della nascita di un’altra figlia successivamente ai fatti contestati e delle risultanze del certificato medico redatto il giorno successivo alla consumazione della violenza sessuale; sia quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo del residuo reato di violenza sessuale, di cui era stata affermata la configurabilita’ omettendo di considerare la diversa cultura del ricorrente, cittadino marocchino, e la sua diversa concezione del matrimonio e dei rapporti e doveri coniugali, che lo avevano condotto a escludere di porre in essere un fatto penalmente rilevante nel compiere un atto sessuale non palesemente rifiutato.
2.3. Con il terzo motivo ha lamentato l’insufficienza della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), nella parte relativa alla esclusione della configurabilita’ della ipotesi di minore gravita’ di cui all’articolo 609 bis cod. pen., comma 3, di cui la Corte d’appello non aveva in alcun modo indicato le ragioni, omettendo di valutare globalmente il fatto e il grado di compromissione della liberta’ sessuale della vittima, come invece prescritto dalla costante giurisprudenza di legittimita’ al riguardo.
2.4. Con il quarto motivo ha eccepito la violazione dell’articolo 5 cod. pen., nella interpretazione di tale norma derivante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988, per la mancata considerazione da parte dei giudici di merito della propria ignoranza della legge italiana, nonche’ del fatto che i rapporti tra i due coniugi avrebbero dovuto essere regolati dalla comune legge marocchina, ai sensi della L. n. 218 del 1995, articolo 29 che non attribuisce valenza penale a condotte quali quelle contestate al ricorrente, cosicche’ si sarebbe verificato un caso di ignoranza incolpevole della legge italiana, non essendovi neppure un dovere di informazione al riguardo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. Il primo motivo, peraltro privo del necessario confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, nella quale l’identica eccezione di nullita’ del decreto di citazione per il giudizio di appello e’ stata disattesa, sulla base del corretto rilievo che l’errore materiale nella indicazione della sezione della Corte d’appello di Brescia innanzi alla quale l’imputato avrebbe dovuto comparire non aveva pregiudicato la sua partecipazione al giudizio, essendo stati esattamente indicati giorno, ora, luogo e aula della prima udienza del processo di appello, e’, comunque, manifestamente infondato.
A seguito dell’entrata in vigore del Decreto del Presidente della Repubblica n. 449 del 1988, recante norme per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale e a quello a carico degli imputati minorenni, le corti di assise sono state assimilate, sotto il profilo ordinamentale, a tutte le altre articolazioni interne e permanenti del tribunale o della corte d’appello (Sez. 1, n. 1109 del 14/02/1997, Grillo, Rv. 207055 – 01; Sez. 6, n. 9835 del 24/11/1999, dep. 19/09/2000, Di Caro, Rv. 218675 – 01; v. anche Sez. 1, n. 25096 del 26/02/2004, Alampi, Rv. 228640 01; Sez. 1, n. 14483 del 20/02/2006, Ervoli, Rv. 234082 – 01).
La corte d’assise d’appello costituisce, dunque, una delle sezioni, sia pur composta differentemente rispetto a quelle ordinarie, nelle quali sono suddivisi i magistrati appartenenti alla medesima corte distrettuale, come stabilito dall’articolo 54 dell’ordinamento giudiziario (Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12), che, tra l’altro, al terzo comma, prevede espressamente che “sono altresi’ designate le sezioni in funzione di corte di assise, la sezione incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie, la sezione per i minorenni ed eventualmente quella che funziona da tribunale regionale delle acque pubbliche”, cosicche’ non vi e’ stata alcuna erronea indicazione del giudice competente, ma solo della sezione della medesima corte d’appello innanzi alla quale l’imputato avrebbe dovuto comparire per essere giudicato, che non ha, alla luce di quanto evidenziato nella sentenza impugnata. circa la corretta indicazione del luogo e dell’aula d’udienza (oltre che della data e dell’ora), determinato alcun pregiudizio per il diritto di intervento dell’imputato.
3. Il secondo motivo, mediante il quale sono state censurate la valutazione di attendibilita’ della persona offesa e l’affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di violenza sessuale, oltre che anch’esso generico, sia per la mancata illustrazione delle ragioni di tali doglianze (consistendo nella assertiva affermazione della mancanza di attendibilita’ della vittima e dell’errore dell’agente sul suo dissenso), sia per la mancanza di considerazione di quanto esposto sul punto nella sentenza impugnata, e’ manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha ribadito la piena attendibilita’ della consorte dell’imputato, evidenziando come alla data di presentazione della denuncia i coniugi avevano gia’ rinunciato agli atti del giudizio di separazione personale, escludendo, di conseguenza, in modo pienamente logico, qualsiasi incidenza della pendenza di tale giudizio sulla presentazione della denuncia e, con essa, anche intenti ritorsivi o calunniatori della persona offesa nei confronti del marito. E’ stato, inoltre, sottolineato il carattere inequivoco delle lesioni riscontrate su entrambi i seni della donna immediatamente dopo la realizzazione della violenza, indice, tra l’altro, del suo dissenso agli atti sessuali, per vincere il quale l’imputato aveva dovuto aggredirla fisicamente, ed e’ quindi stata esclusa, in modo del tutto logico, la dedotta inconsapevolezza dell’imputato del dissenso della moglie agli atti sessuali.
Tali considerazioni, pienamente logiche e idonee a giustificare sia la conferma del giudizio di attendibilita’ della persona offesa, sia l’affermazione della sussistenza dell’elemento psicologico del reato di violenza sessuale, sono state censurate in modo del tutto generico e sul piano delle valutazioni di merito, riproponendo la prospettazione della inattendibilita’ della vittima e della inconsapevolezza da parte dell’imputato del suo dissenso, omettendo di considerare quanto esposto nella sentenza impugnata e senza aggiungere alcun rilievo (se non quello, del tutto generico e di per se’ neutro, in ordine alla cultura di origine di entrambi i coniugi, cittadini marocchini, che non puo’ comunque rendere lecite condotte delittuose), idoneo a sovvertire o, quantomeno, criticare, tale impianto argomentativo, con la conseguente manifesta infondatezza della doglianza formulata con il secondo motivo.
4. Il terzo motivo, relativo al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’articolo 609 bis cod. pen., comma 3 e’ inammissibile, non avendo l’imputato, con i motivi d’appello, lamentato il diniego di tale circostanza da parte del primo giudice, cosicche’ non vi era un obbligo di specifica motivazione sul punto da parte della Corte d’appello, che non era stata investita della questione, formulata solo in sede di discussione e non oggetto di specifico motivo di impugnazione, la cui deduzione in sede di legittimita’, sul piano del difetto di motivazione, e’ dunque ora preclusa, non avendo costituito oggetto dell’indagine affidata alla Corte di merito.
Tale doglianza e’, comunque, anche manifestamente infondata, posto che dal complesso della motivazione della sentenza impugnata si ricava, sia pure implicitamente, una valutazione di gravita’ dei fatti, sia in ragione delle modalita’ violente della condotta, sia per la particolare invasivita’ della stessa e per la conseguente significativa compromissione della sfera di liberta’ sessuale della vittima, valutazione idonea a giustificare l’esclusione della configurabilita’ della suddetta circostanza attenuante.
5. Il quarto motivo, mediante il quale e’ stata prospettata la violazione dell’articolo 5 cod. pen., per la mancata considerazione dell’ignoranza della legge italiana da parte dell’imputato, e’ manifestamente infondato.
Il riferimento del ricorrente alla L. n. 218 del 1995, articolo 29 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, secondo cui “i rapporti personali tra coniugi sono regolati dalla legge nazionale comune”, e’ del tutto inconferente, posto che tale disposizione si riferisce ai rapporti personali di diritto privato e non ha alcuna incidenza sulla obbligatorieta’ della legge penale, che riguarda tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato (articolo 3 c.p., comma 1).
Anche il riferimento alla configurabilita’ di un errore scusabile sul precetto penale e’ manifestamente infondato, posto che la ignoranza della penale puo’ rilevare nella materia contravvenzionale e se la mancata coscienza dell’illiceita’ del fatto derivi non dall’ignoranza dalla legge, ma da un elemento positivo, e cioe’ da una circostanza che induce nella convinzione della sua liceita’, come un provvedimento dell’autorita’ amministrativa, una precedente giurisprudenza assolutoria o contraddittoria, una equivoca formulazione del testo della norma (Sez. 3, n. 29080 del 19/03/2015, Palau, Rv. 264184 – 01; Sez. 3, n. 35314 del 20/05/2016, Oggero, Rv. 268000 – 01; Sez. 3, n. 8410 del 25/10/2017, dep. 21/02/2018, Venturi, Rv. 272572 – 01), nella specie non sussistenti, ne’ prospettati.
6. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericita’ e manifesta infondatezza di tutte le censure cui e’ stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonche’ del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00.
In applicazione del decreto del Primo Presidente di questa Corte n. 84 del 2016 la motivazione e’ redatta in forma semplificata, in quanto il ricorso non richiede, ad avviso del Collegio, l’esercizio della funzione di nomofilachia e solleva questioni giuridiche la cui soluzione comporta l’applicazione di principi di diritto gia’ affermati e che il Collegio condivide.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita’ e gli altri identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.
Motivazione semplificata.

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