La giusta causa di licenziamento

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 17 giugno 2020, n. 11701.

La massima estrapolata:

La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravita dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare. Quale evento che non consente la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto, la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione e deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in Cassazione se privo di errori logici e giuridici.

Sentenza 17 giugno 2020, n. 11701

Data udienza 10 dicembre 2019

Tag – parola chiave: Licenziamento disciplinare – Tutela reintegratoria – Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori – Carattere “eccezionale” – Gravità della sanzione disciplinare ai fini della reintegra – Valutazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 19948/2018 proposto da:
(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1830/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/05/2018, R.G.N. 5033/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del 3 motivo del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1830/2018 la Corte di appello di Roma, pronunziando in sede di reclamo, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva accertato la illegittimita’ del licenziamento disciplinare intimato ad (OMISSIS) in data 16 dicembre 2014 e condannato la datrice di lavoro – (OMISSIS) – alla reintegrazione del dipendente ai sensi della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, come novellato dalla L. n. 92 del 2012, ed al pagamento di un’indennita’ risarcitoria commisurata a dodici mensilita’ della retribuzione globale di fatto.
1.1. Il giudice del reclamo, per quel che ancora rileva, ha premesso che il licenziamento era stato intimato sulla base di contestazione che addebitava al (OMISSIS), quale responsabile del Servizio Contabilita’ e Bilancio della Fondazione, di avere, operando senza la necessaria diligenza, portato nel bilancio preconsuntivo redatto nell’agosto 2014 come oneri straordinari, per un importo di Euro 648.075,75, un rilevante numero di fatture pervenute nel corso dell’anno 2014, prima ancora della chiusura del bilancio 2013, riferite a costi ordinari della produzione di competenza dell’esercizio 2013 in corso di chiusura ed, in alcuni casi, ad esercizi precedenti e di non avere ancora effettuato la riconciliazione dei mastri accesi ai conti correnti bancari con i relativi estratti conto, “provocando un considerevole danno economico alla Fondazione”; ha quindi disatteso la eccezione della Fondazione di inammissibilita’ del ricorso in opposizione e ritenuto la condotta del dipendente non connotata da un livello di gravita’ ed importanza tali da giustificare la sanzione espulsiva. In particolare ha osservato che la contabilizzazione dei costi straordinari per i periodi pregressi, come rilevato dal ctu della fase sommaria, non aveva inficiato la veridicita’ del bilancio (considerando la valutazione di uno scostamento inferiore all’1% (0,84) per i costi non contabilizzati sul totale dei costi 2013), che era totalmente mancata la prova del considerevole danno economico per la Fondazione, che l’addebito relativo alla mancata conciliazione dei mastri con gli estratti conto bancari era stato sostanzialmente escluso dal ctu ed in conformita’ ritenuto insussistente dalla sentenza impugnata con affermazione non specificamente censurata dalla reclamante Fondazione.
1.2. Ha confermato l’applicabilita’ della tutela reintegratoria, ai sensi della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, nel testo novellato dalla L. n. 92 del 2012, ravvisando nella concreta fattispecie il ricorrere di una ipotesi sanzionata in via conservativa dal contratto collettivo o dal codice disciplinare; ha ulteriormente osservato che alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata della novella del 2012 la tutela reale non richiedeva anche che la norma collettiva prendesse in considerazione lo specifico comportamento posto in essere dal dipendente, risultando applicabile anche “laddove dovesse esistere una ben precisa fattispecie disciplinare, ancorche’ di carattere generale o “di chiusura”, nella quale il comportamento contestato (obiettivamente esistente e, benche’ in misura minore di quanto ritenuto dalla parte datoriale, disciplinarmente illecito) ben potrebbe essere incasellato”. Nel caso di specie, l’articolo 33 c.c.n.l. non aveva tipizzato alcun comportamento, neppure quello da sanzionare con il licenziamento senza preavviso (lettera f), in quanto si era limitato a stabilire che “il provvedimento di cui alla lettera f) si applica nei confronti del lavoratore colpevole di mancanze relative a doveri anche non particolarmente richiamati nel presente contratto che siano cosi’ gravi da non consentire la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro” e che la punizione con sanzione conservativa trovava applicazione per “quelle mancanze le quali, anche in considerazione delle circostanze speciali che le hanno accompagnate, non siano cosi’ gravi da rendere applicabile una maggiore punizione…”. In base a tali considerazioni, ritenuta la condotta ascritta riconducibile ad ipotesi sanzionate in via conservativa dal contratto collettivo, ha ritenuto doversi fare applicazione della tutela reintegratoria (oltre quella indennitaria), in conformita’ della previsione di cui della cit. L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4.
3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la (OMISSIS) sulla base di tre motivi. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
4. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 51 e degli articoli 414 e 125 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere respinto la eccezione di inammissibilita’ del ricorso in opposizione. Tale eccezione era stata fondata sulla carente allegazione delle necessarie circostanze di fatto e degli elementi di diritto alla base dell’impugnativa di licenziamento.
2. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 2119, 2104 e 2106 c.c., censura la sentenza impugnata per avere escluso la sussistenza della giusta causa di licenziamento sul rilievo che la tardiva contabilizzazione delle fatture relative a costi ordinari di competenza dell’anno (OMISSIS) (e anche di anni precedenti) non aveva inficiato la complessiva veridicita’ del bilancio preconsuntivo dell’anno 2014 e che non era stato provato il grave danno economico sofferto dalla Fondazione. Sostiene che la circostanza della sostanziale veridicita’ del bilancio, attenendo ad un profilo meramente formale, non rientrava tra quelli (quali la posizione soggettiva delle parti, il grado di affidamento esigibile in ragione delle mansioni espletate dal dipendente, intensita’ dell’elemento soggettivo ecc.) che il giudice era tenuto a prendere in considerazione al fine della verifica di proporzionalita’ della sanzione; osserva che l’assenza di danno patrimoniale risultava irrilevante laddove la condotta del dipendente aveva determinato la lesione del vincolo fiduciario.
3. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, e dell’articolo 33 c.c.n.l. per il personale delle Fondazioni lirico-sinfoniche, censura la sentenza impugnata per avere, in sintesi, riconosciuto la tutela ex articolo 18, comma 4 cit., pur in difetto di tipizzazione nelle previsioni collettive della condotta oggetto di addebito.
4. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile.
La sentenza impugnata ha respinto la richiesta di declaratoria di inammissibilita’ del ricorso in opposizione per difetto dei requisiti prescritti dall’articolo 414 c.p.c., osservando che tale richiesta, pur illustrata nel corpo del reclamo, non era stata riprodotta nelle relative conclusioni dalle quali si evinceva che al giudice del reclamo era stata formulata esclusivamente e specificamente una domanda di decisione nel merito. Ha precisato che, in ogni caso, come chiarito dal giudice di legittimita’, la fase di opposizione L. n. 92 del 2012, ex articolo 1, comma 51, non rappresenta un giudizio impugnatorio ma una vera e propria fase a cognizione piena del giudizio di primo grado, che con questo si completa; cio’ rendeva sufficiente l’individuazione degli elementi essenziali del ricorso, in fatto e in diritto, attraverso l’esame complessivo dell’atto, anche alla luce della documentazione allegata al ricorso e del contenuto dei mezzi istruttori articolati; nel caso di specie nel ricorso in opposizione era riprodotto quasi testualmente e comunque nei suoi elementi essenziali il contenuto del ricorso della fase sommaria, con l’indicazione altresi’ della prova per testi articolata e con allegata la relazione peritale di parte.
4.1. Le ragioni alla base del rigetto della eccezione di inammissibilita’ del ricorso in opposizione non sono validamente censurate dalla odierna ricorrente per la dirimente considerazione che, in violazione del disposto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel corpo del ricorso per cassazione non e’ trascritto il contenuto del ricorso in opposizione, adempimento indispensabile al fine di consentire al collegio la verifica, sulla base della sola lettura del ricorso per cassazione, della fondatezza della censura articolata sia con riguardo alla corretta interpretazione delle conclusioni spiegate dal reclamante sia con riguardo alla conformita’ del ricorso in opposizione ai prescritti requisiti di ammissibilita’ (Cass. 13/11/2018, n. 29093; Cass. 19/08/2015, n. 16900; Cass. 11/01/2016, n. 195; Cass. 12/12/2014 n. 26174; Cass. 24/10/2014 n. 22607, Cass. Sez. Un. 25/03/2010, n. 7161).
5. Il secondo motivo di ricorso e’ infondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravita’ dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensita’ del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalita’ fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento “che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione e’ deducibile in sede di legittimita’ come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici (Cass. 26/04/2012 n. 6498; Cass. 02/03/2011 n. 5095).
5.1. L’attivita’ di integrazione del precetto normativo di cui all’articolo 2119 c.c. (norma c.d. elastica), compiuta dal giudice di merito ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento mediante riferimento alla “coscienza generale”, e’ sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realta’ sociale (Cass. 26/03/2018, n. 7426; Cass. 04/05/2005 n. 9266). In questa prospettiva e’ stato puntualizzato che la giusta causa di licenziamento, quale clausola generale, viene integrata valutando una molteplicita’ di elementi fattuali, la cui disapplicazione e’ deducibile in sede di legittimita’ come violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, solo ove si denunci che la combinazione ed il peso dei dati fattuali, come definiti ed accertati dal giudice di merito, non ne consentono la riconduzione alla nozione legale; al contrario, l’omesso esame di un parametro, tra quelli individuati dalla giurisprudenza, avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia, va denunciato come vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ferma, in tal caso, la possibilita’ di argomentare successivamente che tale vizio avrebbe cagionato altresi’ un errore di sussunzione per falsa applicazione di legge. (Cass. 23/09/2016, n. 18715).
5.2. Tanto premesso le deduzioni formulate con il motivo in esame non individuano alcuno specifico standard, inteso quale parametro di conformita’ ai valori presenti nella realta’ sociale, rispetto al quale denunziare l’incoerenza della valutazione operata dal giudice del merito nell’escludere la lesione del vincolo fiduciario, valutazione essenzialmente fondata sulla lieve entita’ del fatto ascritto e sull’assenza del considerevole danno economico allegato dalla Fondazione. Le critiche articolate, infatti, tendono, piuttosto, a contestare la valutazione di proporzionalita’ del licenziamento sotto il profilo della mancata considerazione di alcune circostanze di fatto, che – si sostiene – avrebbero condotto ad applicare la sanzione espulsiva. In altri termini, cio’ che viene in concreto criticato e’ l’apprezzamento di fatto delle circostanze del caso concreto ed il giudizio di proporzionalita’, censurabile in sede di legittimita’ solo ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (v. tra le altre, Cass. 25/05/2012, n. 8293; Cass. 19/10/2007, n. 21965) e quindi, trovando applicazione, ratione temporis, il testo attualmente vigente dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo mediante la denunzia dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, oggetto di discussione tra le parti, omissione neppure formalmente dedotta dalla odierna parte ricorrente.
6. Il terzo motivo di ricorso deve essere accolto in coerenza con i condivisibili approdi ai quali e’ pervenuta la giurisprudenza di questa Corte sul tema delle condizioni di accesso alla tutela reale di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, come novellato dalla L. n. 92 del 2012.
6.1. Secondo il giudice di legittimita’ la valutazione di non proporzionalita’ della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato comporta l’applicazione della tutela di cui all’articolo 18, comma 4, solo nell’ipotesi in cui la fattispecie accertata sia specificamente contemplata dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che ad essa facciano corrispondere una sanzione conservativa; al di fuori di tale caso la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva rientra nelle “altre ipotesi” in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali l’articolo 18, comma 5, prevede la tutela indennitaria c.d. forte (Cass. 05/12/2019, n. 31839; Cass. 19/07/2019, n. 19578; Cass. 14/12/2018 n. 32500, in motivazione, Cass. 12/10/2018, 25534; Cass. 25/05/ 2017, n. 13178, in motivazione).
In particolare, sul presupposto del carattere eccezionale che la tutela reintegratoria assume nel contesto del novellato articolo 18 Legge cit., in applicazione del principio generale secondo cui una norma che preveda una eccezione rispetto alla regola generale deve essere interpretata restrittivamente, e’ stata esclusa la possibilita’ di ricorso all’analogia con riferimento alla norma collettiva ed ammessa la possibilita’ di interpretazione estensiva solo nelle ipotesi in cui la norma collettiva appaia inadeguata per difetto dell’espressione letterale rispetto alla volonta’ delle parti, tradottasi in un contenuto carente rispetto all’intenzione (Cass. 19/07/2019, n. 19578).
6.2. La limitazione della tutela reintegratoria alle sole ipotesi di tipizzazione della condotta punita con sanzione conservativa dalla previsione collettiva e’ coerente con la lettera dell’articolo 18, comma 4, che vieta operazioni ermeneutiche che estendano l’eccezione della tutela reintegratoria alla regola rappresentata dalla tutela indennitaria nonche’, dal punto di vista sistematico, con la chiara ratio nel nuovo regime, in cui la tutela reintegratoria presuppone l’abuso consapevole del potere disciplinare, che implica, a sua volta, una sicura e chiaramente intellegibile conoscenza preventiva, da parte del datore di lavoratore, della illegittimita’ del provvedimento espulsivo derivante o dalla insussistenza del fatto contestato oppure dalla chiara riconducibilita’ del comportamento contestato nell’ambito della previsione della norma collettiva fra le fattispecie ritenute dalle parti sociali inidonee a giustificare l’espulsione del lavoratore (Cass. n. 19578/2019 cit., Cass. 09/05/2019, n. 12365).
6.3. Ne’ la opzione ermeneutica qui condivisa prospetta profili di incostituzionalita’, come sembra implicitamente affermare la Corte di merito laddove pone a fondamento dell’applicazione della tutela reintegratoria, pur in presenza di una fattispecie non specificamente tipizzata dalle parti collettive, la necessita’ di un’interpretazione “costituzionalmente orientata”; non e’ dato, infatti, ravvisare in ipotesi di c.c.n.l. che rimetta al giudice la valutazione dell’esistenza di un rapporto di proporzionalita’ con applicazione, quindi, della tutela indennitaria, una disparita’ di trattamento – connessa alla tipizzazione o meno operata dalle parti collettive delle condotte di rilievo disciplinare – bensi’ l’espressione di una libera scelta del legislatore, fondata sulla valorizzazione dell’autonomia collettiva in materia (Cass. 20/05/2019 n. 13533).
7. All’accoglimento del terzo motivo consegue la cassazione con rinvio ad altro giudice di secondo grado per il riesame della fattispecie alla luce del principio sopra affermato; al giudice del rinvio e’, altresi’, demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo e accoglie il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.

 

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