La formazione di una famiglia sul territorio italiano ed il rinnovo del permesso di soggiorno

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 20 maggio 2019, n. 3227.

La massima estrapolata:

La formazione di una famiglia sul territorio italiano non può costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, ossia del titolo in base al quale lo straniero può trattenersi sul territorio italiano. Piuttosto, in casi speciali e situazioni peculiari, che eventualmente espongano i figli minori del reo a imminente e serio pregiudizio, l’ordinamento – ferma la valutazione amministrativa in punto di pericolosità e diniego di uno stabile titolo di soggiorno – offre, in via eccezionale, e a precipua tutela dei minori, uno specifico strumento di tutela, affidato al giudice specializzato dei minori. In forza del disposto dell’art. 31, comma 3, del TU immigrazione, infatti “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge”.

Sentenza 20 maggio 2019, n. 3227

Data udienza 14 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6509 del 2018, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Tr. e Se. Pe. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la Questura di Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tar Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. I, n. -OMISSIS- dell’11 maggio 2018, concernente il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, opposto dal Questore di Brescia con decreto del 16 ottobre 2017.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Questura di Brescia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 marzo 2019 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il signor -OMISSIS-, nato in -OMISSIS- il -OMISSIS- 1981, in data 4 dicembre 2015 ha presentato istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, negato dal Questore di Brescia con decreto del 16 ottobre 2017 a causa di una condanna del Tribunale di Brescia del 4 febbraio 2015, divenuta irrevocabile il 14 settembre 2015, ad 1 anno e 3 mesi di reclusione e 3.000,00 euro di multa per produzione e spaccio di sostanze stupefacenti (art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990), e constatata, sommariamente, la situazione familiare del signor -OMISSIS-, aveva ritenuto che la condotta illecita posta in essere dallo straniero fosse espressione di un mancato inserimento e di pericolosità sociale.
Il Tar Brescia, dinanzi al quale è stato impugnato il decreto del Questore, con sentenza della sez. I, n. -OMISSIS- dell’11 maggio 2018 ha respinto il ricorso in ragione del carattere ostativo dei reati commessi (spaccio di stupefacenti).
Avverso detta sentenza il signor -OMISSIS- ha proposto appello, notificato in data 31 luglio 2018 e depositato il 2 agosto 2018, deducendo che è illogico trarre da un’unica condanna ostativa, comunque datata nel tempo, la conclusione che rappresenti “un incombente pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica dello Stato”, alla luce della mancanza di una reale indagine in merito al livello di integrazione maturato dallo stesso e dal nucleo familiare negli anni di permanenza in Italia.
2. Si è costituita in giudizio la Questura di Brescia senza espletare difese scritte.
3. Con ordinanza n. -OMISSIS- del 31 agosto 2018 è stata accolta l’istanza di sospensione cautelare della sentenza appellata.
4. Alla pubblica udienza del 14 marzo 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.
Oggetto della controversia è il decreto del Questore di Brescia del 16 ottobre 2017, che ha respinto l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno del signor -OMISSIS-, cittadino -OMISSIS-, in considerazione della condanna del Tribunale di Brescia del 4 febbraio 2015, divenuta irrevocabile il 14 settembre 2015, ad 1 anno e 3 mesi di reclusione e 3.000,00 euro di multa per produzione e spaccio di sostanze stupefacenti ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
Giova ricordare che le condanne dell’extracomunitario in materia di stupefacenti sono, in mancanza di legami familiari, che impongano la valutazione discrezionale comparativa di cui all’art. 5, comma 5, ultimo periodo, t.u. 25 luglio 1998, n. 286, automaticamente ostative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, qualunque sia la pena detentiva riportata dal condannato e non rilevando la concessione della sospensione condizionale, ai sensi del chiaro disposto dell’art. 4, comma 3, t.u. n. 286 cit., e ciò per il grave disvalore che il legislatore attribuisce, “a monte”, ai reati in questione ai fini della tutela della sicurezza pubblica (Cons. St., sez. III, 4 maggio 2018, n. 2664; 26 febbraio 2016, n. 797; 10 aprile 2015, n. 1841; 24 febbraio 2015, n. 919).
Deve altresì escludersi che sussiste differenza, in materia di reati inerenti gli stupefacenti, fra condanne pronunciate in forza dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 e quelle inflitte “per fatti di lieve entità ” ai sensi del successivo comma 5, come quella riportata dall’appellante, avendo lo stesso giudice delle leggi (sentenza 12 dicembre 2014, n. 277) affermato che la disamina delle “materie” evocate dall’art. 4, comma 3, t.u. n. 286 del 1998 (che riflette anche specifici impegni internazionali derivanti da convenzioni o trattati o normativa di rango comunitario) dimostra come sia evidente l’intendimento del legislatore di assumere a paradigma ostativo non certo la gravità del fatto, in sé e per sé considerata, quanto – e soprattutto – la specifica natura del reato, riposando la sua scelta su una esigenza di conformazione agli impegni di “inibitoria” di traffici riguardanti determinati settori reputati maggiormente sensibili. Ne deriva, quindi, che l’introduzione di un modello di tipo esclusivamente “quantitativo”, fondato, cioè, sulla gravità in concreto del fatto e sulla sanzione applicabile, si tradurrebbe non tanto in una pura e semplice deroga all’automatismo quanto nella creazione di un “sistema” del tutto nuovo – diverso e alternativo – rispetto a quello prefigurato dal legislatore.
In conclusione, in presenza di condanne per reati in materia di stupefacenti non residua alcuna sfera di discrezionalità in capo all’Amministrazione, che è obbligata a dare immediata applicazione al disposto normativo (Cons. St., sez. III, 1° agosto 2014, n. 4087).
E’ vero tuttavia che, come si è detto, nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, del familiare ricongiunto, ovvero dello straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato (sul punto, Corte costituzionale, n. 202 del 2013), “si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.
Nel caso all’esame del Collegio tale comparazione è stata effettuata dal Questore, che ha tenuto conto che il richiedente ha in Italia la famiglia, composta -OMISSIS-, ma ha ritenuto che tale situazione non sia tale da prevalere sull’esigenza di allontanare lo straniero, socialmente pericoloso e non inserito nel tessuto sociale.
Tale motivazione appare al Collegio resistere ai motivi di censura, soprattutto ove si consideri che il signor -OMISSIS-, oltre alla predetta condanna subita nel settembre 2015 – già di per sé sola sufficiente a fondare il diniego di rilascio del permesso di soggiorno – nel 1995 era stato arrestato per furto e il 20 dicembre 2016 è stato condannato dal Tribunale di Brescia per attività di gestione di rifiuti speciali senza le necessarie autorizzazioni (art. 256, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 152 del 2006), a dimostrazione della incapacità di vivere senza delinquere, senza che ad indurlo a cambiare tipo di vita siano serviti né la presenza della famiglia in Italia né l’aver trovato un lavoro.
Aggiungasi che, come chiarito dalla Sezione (4 maggio 2018, n. 2654), la formazione di una famiglia sul territorio italiano non può costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, ossia del titolo in base al quale lo straniero può trattenersi sul territorio italiano. Piuttosto, in casi speciali e situazioni peculiari, che eventualmente espongano i figli minori del reo a imminente e serio pregiudizio, l’ordinamento – ferma la valutazione amministrativa in punto di pericolosità e diniego di uno stabile titolo di soggiorno – offre, in via eccezionale, e a precipua tutela dei minori, uno specifico strumento di tutela, affidato al giudice specializzato dei minori. In forza del disposto dell’art. 31, comma 3, del TU immigrazione, infatti “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge”.
La motivazione resa dall’Amministrazione, è dunque, in concreto pienamente sufficiente a supportare il diniego di rilascio del permesso di soggiorno.
Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
L’appello deve pertanto essere respinto.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio, non avendo la Questura di Brescia espletato difese scritte.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 2, d.lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere, Estensore
Raffaello Sestini – Consigliere

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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