La finalità degli oneri concessori

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 21 ottobre 2019, n. 7119.

La massima estrapolata:

La finalità degli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ha la chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla realizzazione delle stesse, sicché l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nella verifica del carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle esistenti.

Sentenza 21 ottobre 2019, n. 7119

Data udienza 17 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6440 del 2009, proposto dai signori Mi. Ma. Re. ed altri, questi ultimi quali eredi della signora An. Ma. Re., rappresentati e difesi dall’avvocato Piergiovanni Mori, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Va. in Roma, viale (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Cl. e St. Lo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marcello Clarich in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Seconda n. 562/2009, resa tra le parti, concernente la determinazione del contributo per concessione in sanatoria
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e l’appello incidentale depositato in data 13 ottobre 2009;
Viste le successive memorie;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 settembre 2019 il Cons. Antonella Manzione e udito per il Comune di (omissis) l’avvocato Gi. Fo. su delega dell’avvocato Ma. Cl.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Le signore Mi. Ma. Re. e An. Ma. Re. hanno impugnato innanzi al T.A.R. per la Toscana (n. r. 4010/1993) la comunicazione in data 14 settembre 1993 con la quale il Sindaco del Comune di (omissis), nel richiedere chiarimenti circa l’avvenuta effettuazione del previsto adempimento, le rendeva edotte della necessità di corrispondere le somme dovute a titolo di contributo concessorio in relazione ad una pregressa istanza di condono (prot. n. 9379 del 29 marzo 1986) presentata dalla signora Ma. Gr. Re., loro dante causa, per costruzioni ad uso industriale (otto corpi di fabbrica ed una tettoia).
2. Con successivo ricorso (n. r. 2252/2004) i signori Mi. Ma. Re., Carlo Citi e Filippo Citi, questi ultimi subentrati iure successionis alla signora An. Ma. Re., nel frattempo deceduta, adivano altresì il T.A.R. per la Toscana per l’accertamento dell’illegittimità della pretesa del Comune di (omissis) al pagamento della somma richiesta, ovvero della minor entità della stessa, da decurtare della maggiorazione sanzionatoria del 100 % e degli interessi al tasso legale calcolati a far data dal 1° marzo 1989, data della asserita notifica alla richiedente Ma. Gr. Re. degli importi dovuti per il titolo edilizio in sanatoria. Al riguardo, il Comune di (omissis) aveva notificato due ingiunzioni, rispettivamente in data 11 marzo 1996 e, a rettifica della precedente, 8 maggio 1997, quantificando la somma dovuta in £ . 256.897.875, pari appunto alla ridetta sanzione del 100 % per ritardato pagamento e agli interessi sul contributo e sulla sanzione stessa, preso atto dell’avvenuto pagamento, ancorché salvo ripetizione, della somma capitale di £ . 114.323.000.
Ciò peraltro all’esito del giudizio innanzi al giudice ordinario preventivamente instaurato, come da indicazioni esplicitate negli atti avversati, nel quale si era declinata la giurisdizione in quanto “in materia di infrazioni edilizie di cui alla legge n. 10 del 1977, le contestazioni dei privati, concernenti l’an e il quantum delle sanzioni ripristinatorie o riguardanti la legittimità del procedimento di esazione, sono devolute, ai sensi dell’articolo 16 della legge citata, alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo” (v. Corte d’Appello di Firenze, n. 985 del 18 giugno 2004, confermativa della sentenza del Tribunale di Prato, n. 938del 25 luglio 2002).
3. Il T.A.R. adì to, dopo aver riunito i ricorsi per continenza (dei quali il primo, interrotto per decesso della An. Ma. Re., è stato riassunto dagli eredi), li accoglieva in parte, ritenendo infondata la pretesa creditoria del Comune di (omissis) in relazione ai soli importi sanzionatori, maggiorati degli interessi, laddove nel caso di specie avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 7 della l. 24 novembre 1981, n. 689, che ne sancisce l’intrasmissibilità agli eredi; per contro, sarebbe stata legittimamente richiesta sia la somma capitale, sia l’incremento di mora a far data dal 1° marzo 1989, essendo stata la notifica della richiesta regolarmente effettuata ai sensi dell’art. 139 c.p.c. a persona “addetta alla ricezione”.
4. Avverso tale sentenza hanno presentato appello i signori Mi. Ma. Re. ed altri, riproponendo in chiave critica gli originari motivi di doglianza. In particolare, non sarebbe corretto il riferimento alla disciplina di cui all’art. 139 c.p.c. in quanto la norma presuppone comunque che si abbia riguardo alla residenza, domicilio o dimora del consegnatario, laddove nel caso di specie essa sarebbe avvenuta ad un civico diverso, ancorché confinante con quello di effettivo riferimento. D’altro canto, la pretesa del Comune sarebbe comunque infondata, in quanto le opere di urbanizzazione poste a base del computo del contributo erano già state compiutamente realizzate dalla proprietaria del terreno e l’amministrazione si sarebbe basata per il relativo calcolo sul pedissequo utilizzo dei dati delle superfici abusive come riportate nell’istanza di condono. Infine, il calcolo degli interessi avuto riguardo ad un atto mai ricevuto dalla parte, lederebbe anche i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 c.c. e 1227, comma 2, c.c. al pari in generale dell’inerzia del Comune che, dopo il decesso della signora Ma. Gr. Re., non ha avanzato alcuna istanza nei confronti dell’erede signor Giulio Reali, fino all’avversata richiesta di capitale, sanzioni e interessi alle eredi di quest’ultimo (con la nota in data 14 settembre 1993, impugnata nell’odierno procedimento), nel frattempo a sua volta deceduto.
5. Si è tempestivamente costituito in giudizio il Comune di (omissis) che, oltre ad insistere per la reiezione del ricorso contestandone la fondatezza nel merito, ha presentato appello incidentale avuto riguardo al capo della sentenza sfavorevole all’amministrazione: non sarebbe infatti stata correttamente vagliata l’eccezione di inammissibilità della doglianza inerente la mancata applicazione dell’art. 7 della richiamata l. n. 689/1981, impropriamente introdotta per la prima volta in occasione del secondo ricorso (n. r. 2252/2004), laddove la natura del provvedimento del 14 settembre 1993 ne avrebbe imposto la rappresentazione già in sede di gravame avverso lo stesso (ricorso n. r. 4010/1993); ammesso e non concesso, tuttavia, che suddetta nota, ricognitiva di importi derivanti ineludibilmente ex lege, avesse valore solo interlocutorio, la doglianza si paleserebbe comunque tardiva in quanto rivolta avverso ingiunzioni di pagamento, per loro natura atti autoritativi e non paritetici, la cui contestazione pertanto doveva avvenire entro il termine decadenziale ordinario. La mancata prospettazione dell’asserito vizio innanzi al giudice ordinario, ove la parte ricorrente, avuto riguardo agli aspetti sostanziali della determinazione dell’an e del quantum del contributo, si riservava di adire il giudice amministrativo, non consentirebbe oggi di beneficiare degli effetti della translatio jiudicii, “recuperando” un motivo di doglianza il cui termine di proposizione risulta spirato. Infine, perfino inquadrando – in ossequio alla prospettazione del T.A.R. – l’ingiunzione della sanzione tra gli atti paritetici, il termine di prescrizione sarebbe quello del relativo credito sanzionatorio, pari a cinque anni dalla commessa violazione, egualmente decorsi nel caso di specie.
6. All’udienza del 17 settembre 2019, sentita la difesa del Comune appellante incidentale, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. Invertendo per comodità espositiva la trattazione dei motivi dell’appello principale proposto dai signori Mi. Ma. Re. ed altri, il Collegio ritiene di poter anteporre lo scrutinio di quello contraddistinto come secondo, attinente al merito della pretesa del Comune di (omissis), asseritamente indebita in quanto non avrebbe tenuto conto della circostanza di fatto che le opere di urbanizzazione primaria erano già state realizzate dalla parte richiedente all’atto della presentazione dell’istanza di condono.
Detto motivo è infondato.
Secondo costante giurisprudenza, dalle cui risultanze non è ragione di discostarsi, la finalità degli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ha la chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla realizzazione delle stesse, sicché l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nella verifica del carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle esistenti (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2694). Ciò a valere, tuttavia, per quegli interventi edilizi in relazione ai quali sia revocata in dubbio suddetta incidenza sul carico urbanistico, quale tipicamente la modifica di destinazione d’uso funzionale o senza opere. Non certo laddove, come nel caso di specie, l’intervento necessitava ab origine, per indiscussa consistenza, di concessione edilizia, richiesta ex post a sanatoria.
8. In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione “assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2294).
8.1. La natura di prestazione patrimoniale imposta che connota gli oneri concessori, in ciascuna delle due componenti, fa sì che l’eventuale decurtazione della parte di essi correlata al beneficio collettivo riveniente dalla presenza delle opere di urbanizzazione non consegua automaticamente neppure all’avvenuta documentata realizzazione delle stesse da parte del privato istante, laddove l’amministrazione non abbia assentito al richiesto scomputo. Nel caso di specie, peraltro, come correttamente affermato dal giudice di prime cure, “neppure viene allegato quali opere di urbanizzazione sarebbero state realizzate da Ma. Gr. Re., fatta eccezione per non meglio decritti “vialetti privati interni di accesso”, dei quali non è nota l’estensione, e che certo non assorbono certo il peso insediativo degli immobili in questione”.
8.2 Infine, la determinazione dell’entità delle somme dovute non necessita di alcuna motivazione aggiuntiva, essendo semplicemente frutto dell’applicazione di parametri determinati da norme legislative o regolamentari, conoscibili all’onerato.
9. Una volta acclarata la sussistenza del debito riveniente dagli oneri concessori, nel caso di specie limitati al costo delle opere di urbanizzazione, possono conseguirne, in caso di ritardo nella corresponsione delle somme dovute, purché ne sia chiaro e certo l’importo, sanzioni e interessi moratori. Il che è quanto il Comune di (omissis) ha inteso essere accaduto nel momento in cui ha richiesto la somma comprensiva di tutte e tre le voci alle parti, nel frattempo subentrate, sulla base del combinato disposto degli artt. 37 della l. n. 47/1985 e 3 e 15 della l. n. 10/1977, per il tramite dell’ingiunzione prevista dall’art. 2 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639. Compenetrato, infatti, al diritto di riscuotere l’obbligazione principale, ovvero il contributo di costruzione previsto dall’art. 3 della legge 27 gennaio 1977, n. 10, cui fa rinvio l’art. 37 della l. n. 47/1985, è quello di imporre le sanzioni pecuniarie per il ritardo nel relativo pagamento, quale strumento di coazione all’adempimento del contributo principale previsto dal legislatore, in tanto dovute in quanto sia dovuto tale onere (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 8 marzo 2017, n. 1099).
9.1. Se, dunque, non sussiste un’obbligazione principale giuridicamente valida, non è predicabile neppure un inadempimento di cui il preteso debitore deve sopportare le conseguenze di legge.
Da questo nesso di presupposizione logico-giuridico tra le due diverse prestazioni patrimoniali imposte al privato cui sia stato rilasciato un titolo edilizio, anche in sanatoria, si ricava dunque la conseguenza che, sebbene dovute al momento in cui sono state applicate, esse devono essere restituite dall’amministrazione quando si accerti a posteriori che il contributo concessorio per il cui mancato o ritardato pagamento sono stati applicati i relativi interessi e sanzioni non era in realtà dovuto.
10. L’azione giudiziale in cui si contesta l’an o il quantum del contributo in questione, come ancora di recente precisato da questo Consiglio di Stato, non si inquadra dunque nel paradigma civilistico dell’azione di restituzione dell’indebito eventualmente pagato, ma dà luogo ad una domanda di accertamento negativo devoluta alla giurisdizione amministrativa (Cons. Stato, Sez. IV, 7 febbraio 2017, n. 528), dal cui accoglimento consegue la possibilità di ripetere le somme versate ed accertate come indebitamente corrisposte all’amministrazione nel giudizio di cognizione, eventualmente con ricorso per ottemperanza laddove quest’ultima non adempia correttamente al proprio debito restitutorio.
Il che, rileva la Sezione, è quanto avvenuto nel caso di specie, nel quale, cioè, le parti contestano la sussistenza del credito del Comune di (omissis), ritenendone carenti i presupposti, di fatto (per la preesistenza delle opere di urbanizzazione) e di diritto (per le modalità di computo seguite), con ipotetica automatica caducazione delle somme accessorie richieste a titolo di sanzione e interessi. Solo in denegata ipotesi, ovvero una volta riconosciuta la legittimità della pretesa originaria, è questione di eventuale illegittimità propria degli importi sanzionatori e moratori, contestata egualmente dalle parti o in ragione dell’invocata non trasmissibilità agli eredi dei primi, ovvero comunque per l’irregolarità della notifica del titolo di credito originario, con riferimento ad entrambi.
10.1 Passando adesso alla disamina dall’appello incidentale del Comune di (omissis), il giudice di prime cure ha ritenuto non corretta, in ragione della doverosa “personalità ” delle sanzioni amministrative, consacrato nell’art. 7 della l. n. 689/1981, l’imputazione delle stesse a soggetti estranei alla violazione, id est gli eredi, peraltro neppure direttamente della responsabile, bensì del suo primo avente causa, signor Giulio Reali, a sua volta deceduto.
Il Comune di (omissis) non ha inteso contestare nel merito la ridetta affermazione, da ritenersi pertanto consolidata; ne ha bensì avversato la tempestiva proposizione, ritenendo che il Tribunale abbia indebitamente respinto l’eccezione di inammissibilità dallo stesso già sollevata in primo grado. La ridetta tardività si porrebbe, gradatamente, o in relazione all’omessa prospettazione in occasione del primo ricorso al T.A.R., stante che la nota del 14 settembre 1993 già conteneva la richiesta di pagamento delle somme dovute, agevolmente determinabili per le parti mancanti sulla base di meri calcoli aritmetici; ovvero avuto riguardo al giudizio instaurato innanzi al giudice ordinario, con ciò precludendosi l’effetto della translatio iudicii di una tematica estranea al petitum originario. All’impugnativa delle ordinanze ingiunzione, tipica espressione di potere autoritativo della P.A., non cristallizzato in un atto paritetico, come indebitamente ritenuto dal giudice di prime cure, sarebbe dunque applicabile l’ordinario termine decadenziale, ormai spirato. Ma anche a voler aderire alla qualificazione come “paritari” degli atti de quibus, sottesa alle opzioni ermeneutiche del giudice di primo grado, il termine di prescrizione applicabile non potrebbe che essere quello quinquennale, valido in generale in materia sanzionatoria, con conseguente tardività del ricorso, presentato comunque nel 2004, ovvero ben oltre i cinque anni dalla commessa violazione, consumatasi non onorando tempestivamente l’obbligazione con il Comune.
11. Anche tale eccezione è infondata e pertanto va respinto l’appello incidentale e confermata sul punto la ricostruzione effettuata dal T.A.R. per la Toscana.
Oggetto dell’odierno giudizio è, per quanto sopra detto e sostanzialmente già affermato dal Tribunale civile di Prato e dalla Corte d’Appello di Firenze, il riconoscimento di un diritto soggettivo a carattere patrimoniale, realizzabile peraltro indipendentemente dall’avvenuta intermediazione di un provvedimento amministrativo (in tal senso, tutta la giurisprudenza sulla distinzione tra atti paritetici ed atti autoritativi sviluppatasi a seguito della c.d. sentenza “Fagiolari”, Cons. Stato, Sez. V, 1° dicembre 1939 n. 795). In tale ambito devono infatti essere ricondotte le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi che traggono origine direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a prescindere dall’impugnazione di provvedimenti dell’amministrazione, nel termine di prescrizione (Cons. Stato, Sez. IV, 27 settembre 2017, n. 4515, che richiama Cons. Stato, Sez. IV, 20 settembre 2012, n. 6033). Come correttamente affermato dal T.A.R., infatti, “l’opposizione all’ingiunzione, cumulando in sé le caratteristiche di forma ed efficacia di titolo esecutivo e di precetto, si traduce in una opposizione di merito all’esecuzione, con cui il privato può far valere tutte le eccezioni e contestazioni relative al credito azionato dalla P.A., senza preclusioni legate all’epoca della formazione del titolo, stante l’origine stragiudiziale dello stesso”.
11.1. Giova al proposito ricordare come la nozione di atti paritari venga in considerazione allorché l’amministrazione, tenuta per legge a far fronte ad un obbligo in ragione di un rapporto di diritto pubblico avente natura patrimoniale, si veda attribuito – da una legge, appunto, o da altra fonte normativa – il potere di definire unilateralmente detto rapporto e, quindi, di determinare essa stessa l’entità dei propri obblighi e dei correlativi diritti (tipico è il caso della determinazione di stipendi, assegni, emolumenti, etc.), in base ad una mera attività accertativa. Tali atti non possono essere ricompresi, a rigore, tra i provvedimenti amministrativi, poiché in tale ambito l’amministrazione non esercita un potere di supremazia nei confronti del privato, bensì utilizza strumenti del diritto civile che la pongono sullo stesso piano della controparte.
12. Che questa sia la natura delle ingiunzioni di pagamento riferite a tale tipologia di credito, trova conferma di recente finanche in una pronuncia dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, A.P., 30 agosto 2018, n. 12), ancorché con riferimento alla tematica dell’esercizio dell’autotutela e della conseguente necessità di tutelare l’affidamento delle parti. Si è così riconosciuto che la rideterminazione degli oneri concessori costituisce espressione di una legittima facoltà della P.A. che si colloca nell’ambito del rapporto paritetico di natura creditizia conseguente al rilascio del titolo edilizio a carattere oneroso, ed è perciò sottoposto nelle sue forme di esercizio al termine prescrizionale ordinario. Ciò non può non valere, aggiunge il Collegio, per la loro determinazione originaria.
13. In sintesi, e senza addentrarsi in dissertazioni circa la natura del titolo edilizio (per le quali si rinvia ancora a Cons. Stato, A.P., n. 12/2018) la pubblica amministrazione, nel corso del rapporto che si instaura a seguito dell’avvenuto rilascio dello stesso, può sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo del correlato tale contributo, pur se in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza, purché nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza. Per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento. Il che è quanto accaduto nel caso di specie non appena le parti sono venute a conoscenza della pretesa (impugnativa della nota del 14 settembre 1993), nonché dell’avvenuta inclusione nella stessa di sanzioni ed interessi, in sede di prima comunicazione solo paventati.
14. Chiarita la natura della richiesta e degli atti ai quali le parti si sono opposte, si tratta ancora di stabilire come debba essere individuato il dies a quo dal quale calcolare il termine per ritenere tempestiva l’azione volta a contestare il credito, in primis nella sua componente principale; indi per le somme accessorie correlate al ritardato pagamento.
Mentre, infatti, la questione appare chiara ed ampiamente definita dai ricordati arresti giurisprudenziali se riguardata a latere accipientis, ovvero avuto riguardo all’individuazione del lasso temporale entro il quale l’Amministrazione può pensare, ma anche rivedere, la propria richiesta creditoria, non altrettanto è a dirsi in relazione alla posizione, specularmente contrapposta, del debitore che intenda contestare in tutto o in parte la sussistenza del credito. Perché, infatti, egli possa opporsi alla richiesta, o a parte di essa, è necessario che ne sia portato a conoscenza, avuto peraltro riguardo a tutte le singole componenti addebitategli. La stretta connessione, infatti, tra obbligazione principale e obbligazioni accessorie, non consente, almeno in termini generali, di ipotizzarne la segmentazione individuando il termine di prescrizione dell’azione volta a negare la potestà sanzionatoria in cinque anni, laddove resta decennale quello per contrastare la sussistenza del credito originario, così come pretenderebbe il Comune appellante incidentale, sulla scorta peraltro di talune risalenti pronunce di merito, inconferenti rispetto alla peculiarità del caso di specie.
14.1. Il ricorso originario avverso la nota del 14 settembre 1993 si palesa dunque proposto tuzioristicamente, non potendosi certo attribuire alla stessa valenza di provvedimento determinativo di un credito, da un lato preesistente, ma sconosciuto nella sua esatta consistenza; dall’altro, non ancora avviato all’esecuzione, e dunque solo potenzialmente lesivo degli interessi delle parti. Il carattere interlocutorio della stessa, peraltro, appare confermato, ritiene la Sezione, finanche dal lessico poco assertivo della sua parte narrativa: il fatto illecito presupposto (id est, la mancata tempestiva corresponsione delle somme dovute, in quanto già quantificate nella nota del 1° marzo 1989) non è dato per certo, ma solo ipotizzato, demandando alle parti l’onere di confutarne l’assunto mediante la produzione della ricevuta di pagamento, che “non risulta pervenuta”, con ciò ammettendosi di non avere ancora effettuato un controllo sostanziale sull’avvenuto incameramento delle somme eventualmente versate.
15. Lo stesso è a dire per la mancata prospettazione della ridetta doglianza innanzi al giudice ordinario: vuoi perché la parte, rivoltasi al Tribunale di Prato in ossequio alle (erronee) indicazioni formali contenute nell’ingiunzione di pagamento, ha correttamente fatto riserva di tutela innanzi al giudice amministrativo per gli aspetti non formali della relativa vicenda; vuoi perché il giudice ordinario, lungi dal pronunciarsi nel merito della sussistenza o meno del credito, formalmente estraneo al petitum della relativa richiesta, ha inteso ricondurre alla stessa, spogliandosi di ogni residua competenza, anche l’accertamento della regolarità della notifica dell’ingiunzione, di cui non ha inteso chiarire neppure la natura di requisito di sussistenza ovvero di esigibilità del credito rivendicato.
Del tutto condivisibile appare dunque l’affermazione del T.A.R. in forza della quale nessun effetto preclusivo di sbarramento si è potuto produrre avuto riguardo all’esito del giudizio civile, che non ha neppure sfiorato il merito della vicenda, con ciò consentendo di evocare le regole della translatio: potendo del tutto legittimamente la parte agire mediante autonomo giudizio, come concretamente avvenuto, né può ipotizzarsi una copertura del giudicato che, come noto, atterrebbe al dedotto e al deducibile; né può ritenersi preclusa qualsivoglia questione, in fatto e in diritto, coessenziale al richiesto accertamento negativo del credito.
16. Chiarito quanto sopra, l’avvenuta emanazione delle ingiunzioni di pagamento (atto, peraltro, sostanzialmente diverso dalla vera e propria ordinanza ingiunzione, cui con promiscuità di linguaggio e di richiami paiono riferirsi indifferentemente sia il Comune di (omissis), che il Tribunale civile) costituisce mero diaframma formale attraverso il quale si è concretizzata la pretesa di parte creditrice. La loro adozione, quindi, non altera il contenuto sostanziale dell’azione di accertamento negativo, di fatto già intrapresa impugnando la nota endoprocedimentale; indi riattualizzata preso atto che il Comune ne ha sviluppato le premesse, concretamente avviando l’azione esecutiva di partenza solo minacciata (sul punto, Cons. Stato, Sez. VI, 17 ottobre 2018, n. 5944).
17. Anche il richiamo al termine di prescrizione di cinque anni per la contestazione degli importi sanzionatori richiesti, collocato nello specifico contesto della genesi della responsabilità per il peculiare illecito di cui è causa, appare dunque inconferente, non potendosi scindere il diniego della pretesa creditoria complessivamente intesa ovvero, più semplicemente, la acquisita piena contezza dell’importo dovuto, benché contestato, da quello dell’accertamento dell’avvenuta consumazione dell’indebito ritardo.
Il Comune afferma di aver quantificato l’importo dovuto a titolo di oneri di urbanizzazione per un’istanza di condono presentata in data 29 marzo 1986 con nota notificata in data 1° marzo 1989 all’originaria richiedente; indi ne reitera la richiesta nei confronti degli eredi solo in data 14 settembre 1993, con ciò ottenendo l’effetto di interrompere la prescrizione che nel frattempo stava maturando, essendo sufficienti allo scopo, al di là delle formule solenni, l’esplicita indicazione del debitore, della pretesa e della manifestazione della volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto c.d. intimazione (cfr. Cass. civ., sez.VI, ordinanza 4 luglio 2017, n. 16465). Ma solo nel 1996 – rectius, nel 1997, con l’atto di rettifica del precedente – definisce l’importo di sanzioni e interessi, cristallizzandolo nelle richiamate ingiunzioni di pagamento, con ciò implicitamente disconoscendo tutte le rivendicazioni delle parti, sia di sostanziale illegittimità della pretesa, sia di ignoranza dei contenuti della stessa, in ragione del prospettato vizio di notifica. L’omogeneità contenutistica delle rivendicazioni della parte in termini di accertamento negativo del credito non consentono di frammentarne l’oggetto in maniera rigorosamente formale, ma ne impongono, al contrario, una disamina congiunta, che abbia riguardo al petitum sostanziale dello stesso, per come sopra ampiamente chiarito.
17.1. Conclusivamente, l’appello incidentale del Comune di (omissis) deve essere integralmente disatteso.
18. Resta ora da scrutinare il motivo dell’appello principale incentrato sul presunto vizio di notifica dell’atto con il quale, prima del diretto coinvolgimento degli odierni appellanti, sarebbe stata indicata la somma capitale dovuta a titolo di contributo concessorio alla richiedente la sanatoria, signora Ma. Gr. Re..
18.1. Sostengono gli appellanti che il riferimento all’art. 139 c.p.c. sarebbe errato in quanto nel caso di specie non è in contestazione tanto e solo la qualifica di persona titolata alla ricezione degli atti di quella che se ne è concretamente fatta carico; bensì l’erroneità dell’indirizzo ove la notifica è stata effettuata.
19. Il motivo è fondato.
19.1. L’art. 139 c.p.c. considera regolarmente effettuata la notifica nel luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario, avuto riguardo all’avvenuta ricezione dell’atto da parte di soggetto, ivi rinvenuto, che ne accetti la consegna, gravando sul destinatario l’onere di provare l’inesistenza del rapporto in forza del quale deve ulteriormente presumersi che il primo porti a conoscenza del secondo l’atto ricevuto. Ciò è quanto sarebbe avvenuto nel caso di specie, essendo stato l’atto consegnato a mano di tal signora Antonella Consorti, indicata come “addetta” nella prevista relata di notifica.
Ora, anche a prescindere dall’ambiguità della richiamata dizione “addetta” e volendo riconoscere a tale infelice espressione di sintesi la corretta accezione di “persona auto qualificatasi deputata alla ricezione degli atti”, resta il tema del luogo ove è in concreto avvenuta tale affermazione propositiva. Ove, infatti, la consegna fosse avvenuta effettivamente nel luogo di residenza, domicilio o dimora della consegnataria, correttamente dovrebbero trovare applicazione le ricordate regole sull’onere probatorio di sconfessare la caratteristica di persona titolata al ritiro degli atti di chi si qualifichi tale. Solo che nel caso di specie così non è accaduto e per quanto la differenza di un solo numero civico abbia evidentemente indotto il T.A.R. a pretermettere l’eccepita circostanza, essa non consente di identificare l’indirizzo legale, diverso e ubicato al civico 44, con quello di consegna del documento, relativo alla medesima via Galcianese, ma al civico 42.
19.2 Afferma al riguardo il Comune appellato che tale apparente errore sarebbe da ascrivere ad un’opzione della stessa richiedente il condono che avrebbe indicato il civico 42 quale proprio domicilio nella relativa istanza. Ove ciò fosse stato provato, rileva la Sezione, si sarebbe potuto ipotizzare un legittimo affidamento dell’Amministrazione procedente sulla correttezza del dato utilizzato, in un’ottica di leale collaborazione che comunque deve improntare il rapporto tra le parti.
Ma nel caso di specie l’indirizzo assunto quale residenza o domicilio della parte è semplicemente quello indicato per individuare l’ubicazione del manufatto oggetto di condono, al più correlabile all’interessata in termini di domicilio avuto riguardo alla sua veste di presunta committente dei lavori abusivi, non una volta ultimati gli stessi (il che peraltro, trattandosi di condono, era già avvenuto al momento della presentazione della relativa istanza).
19.3. A fronte, dunque, della mancata prova -il cui onere incombeva sull’amministrazione procedente- della corretta individuazione del domicilio della richiedente il condono, anagraficamente residente in un immobile a confine, ma non coincidente, non può operare la presunzione invocata dal T.A.R. per la Toscana ai fini della ritenuta validità della consegna dell’atto ad una sedicente “addetta” alla ricezione. Né a diverse conclusioni può giungersi sul solo rilievo che al civico 42 della via Galcianese insiste comunque un’attività imprenditoriale (la società Macotex s.r.l) riconducibile a familiari dell’interessata, non potendo tale circostanza consentire di sanare l’innegabile vizio formale della notifica, in assenza di riscontro probatorio perfino sulla tipologia di rapporti intercorrenti con i ridetti familiari, ovvero sulla frequentazione del luogo da parte dell’interessata, comunque estranea all’attività imprenditoriale in quanto di professione insegnante.
20. La ritenuta invalidità della notifica, tuttavia, rileva la Sezione, non pone un problema di rivalutazione della legittimità della richiesta creditoria nella sua globalità .
20.1. Ritiene cioè il Collegio che – così come essa non può palesarsi neutra in relazione al computo di interessi e sanzioni, la cui stessa maturazione è correlata necessariamente alla conoscenza dell’importo dovuto e al suo mancato pagamento nei termini- lo stesso non può valere con riferimento alla somma capitale.
Come chiarito ai § § 7 e 8, gli oneri concessori conseguono al rilascio del titolo edilizio e trovano la loro causa nello stesso, tanto da poter essere determinati o rideterminati nel termine prescrizionale di dieci anni. La messa a conoscenza della loro entità non incide, pertanto, sulla loro nascita, bensì più propriamente sulla loro esigibilità, nonché, per quanto già detto, sulla decorrenza degli interessi e l’accertamento dell’illecito ritardo. La notifica, cioè, del provvedimento di quantificazione, mette la controparte in condizione di onorare il debito, ma, diversamente da quanto accade in ambito esclusivamente sanzionatorio, ove la tempestiva conoscenza della condotta addebitata impatta anche sull’esercizio delle garanzie difensive, non può certo travolgere la ragione della debenza, che resta radicata nell’avvenuto rilascio del titolo edilizio.
22. Trasponendo il paradigma teorico sopra descritto nella concretezza della fattispecie all’esame, si ha dunque che la determinazione dell’importo dovuto, in quanto correlato alla pratica di condono del 1986, è stata effettuata con nota del 1989, della quale tuttavia non è stata provata la conoscenza da parte della richiedente, peraltro deceduta di lì a pochi mesi. L’importo è stato nuovamente comunicato agli eredi con nota del 14 settembre 1993, ed è indubbio che a far data da tale momento gli stessi, subentrati nella proprietà dell’immobile condonato, hanno acquisito piena contezza della somma capitale dovuta. Per contro, suddetta pregressa mancata conoscenza -rectius, la mancata prova dell’avvenuta conoscenza- dell’importo delle somme dovute, travolge inesorabilmente finanche l’ipotizzata responsabilità da ritardo della signora Ma. Gr. Re., da circoscrivere peraltro tutt’al più al breve lasso di tempo intercorso tra la consegna dell’atto (1° marzo 1989) e il sopravvenuto decesso (13 luglio 1990). La non trasmissibilità agli eredi -il signor Giulio Reali, a sua volta deceduto prima dell’instaurazione dell’odierno contenzioso- ha pertanto già creato un insanabile iato che non consentiva di attingere le odierne appellanti, quanto meno in relazione a sanzioni ed interessi moratori.
22.1. Ancor prima dell’ingiunzione di pagamento, che dà avvio alla fase esecutiva del credito, avuta conoscenza del debito “ereditato” una delle parti ha provveduto a saldarne, pur con riserva di ripetizione, l’importo capitale, con ciò eliminando in radice, a far data da tale momento, la possibilità di addebitare alle parti nuovi ritardi, ovvero ulteriori comportamenti sanzionabili.
22.2. A ciò consegue, rileva la Sezione, la sola residua facoltà per l’Amministrazione procedente, ove ne ravvisi gli estremi, di rieditare il proprio potere correggendo il computo degli interessi moratori sulla sola somma capitale (essendo ormai prescritto l’eventuale autonomo illecito ritardo addebitabile alle parti a far data dall’avvenuta conoscenza della somma dovuta, con atto mai sospeso dai giudici adì ti) per il lasso di tempo intercorso tra la ricezione della nota del 14 settembre 1993 e il suo avvenuto pagamento.
23. In conclusione, il Collegio ritiene fondata la richiesta del Comune in relazione alla somma capitale per gli oneri concessori correlati all’istanza di condono del 29 marzo 1986, peraltro già corrisposta, pertanto non ripetibile; ma non quella concernente gli importi sanzionatori e moratori addebitati agli eredi della -presunta- responsabile del ritardo a decorrere dal 1989, fatta salva la facoltà di ricalcolo degli interessi moratori a far data dal 14 settembre 1993, corrispondente all’effettiva messa a conoscenza dell’entità del credito mediante notifica dell’apposita nota agli appellanti. Conseguentemente risultano annullati tutti gli atti con i quali si è dato seguito a tale parte della pretesa, con particolare riguardo all’ingiunzione emessa in relazione a sanzioni e interessi di mora non corrisposti per il lasso di tempo come sopra individuato.
24. Per tutto quanto detto, il Collegio ritiene di dover respingere l’appello incidentale, confermando in parte qua l’impugnata sentenza, con le integrazioni sopra esposte; accogliere in parte l’appello principale nei sensi e limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento dell’ingiunzione di pagamento prot. n. 33940 in data 8 maggio 1997, ferma restando la richiamata facoltà del Comune appellato di rideterminarsi sugli interessi moratori.
25. La particolare complessità, anche in fatto, dell’odierna controversia, giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello principale, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l’effetto, in riforma parziale della sentenza del T.A.R. per la Toscana n. 562/2009 nei sensi e limiti di cui in motivazione, annulla l’ingiunzione di pagamento in data 8 maggio 1987; respinge l’appello incidentale.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Italo Volpe – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Giovanni Orsini – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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