La fattispecie del fatto di lieve entità

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|16 aprile 2021| n. 14240.

La fattispecie del fatto di lieve entità può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri. Al riguardo, è tuttavia necessario che il percorso valutativo del giudice, nel ritenere o escludere il fatto lieve, sia effettuato dimostrando di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegando le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi; e ciò deve valere anche per l’elemento ponderale, dovendo anche la maggiore o minore espressività del dato quantitativo essere determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento e ferma la possibilità che, nel rispetto delle condizioni illustrate, tale dato possa assumere comunque valore negativo assorbente (nella specie, la Corte ha annullato con rinvio, limitatamente al diniego dell’ipotesi attenuata, la sentenza di condanna che tale diniego aveva argomentato essenzialmente sul numero di dosi sequestrato agli imputati – nel complesso 89 dosi medie di eroina- ravvisando però un’ipotesi concorsuale, non adeguatamente dimostrata dalle circostanze della vicenda, che, anzi, militavano per una disponibilità individuale di ciascuno dei due imputati della sola metà del quantitativo complessivo).

Sentenza|16 aprile 2021| n. 14240

Data udienza 23 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Stupefacenti – Detenzione e spaccio – Reato ex art. 73 dpr 309/90 – Destinazione allo spaccio – Dato ponderale – Altre circostanze dell’azione – Uso personale escluso

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filip – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/01/2020 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere REYNAUD Gianni Filippo;
lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giordano Luigi, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv., con modiff., dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ dei ricorsi;
lette le conclusioni rassegnate dall’avv. (OMISSIS) nell’interesse di (OMISSIS), il quale ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24 gennaio 2020, la Corte d’appello di Roma ha confermato la pronuncia con cui i ricorrenti erano stati condannati alla pena di anni quattro di reclusione e 18.000 Euro di multa ciascuno per il reato di cui all’articolo 73, comma 1, Testo Unico stup., per aver detenuto, in concorso e ai fini di spaccio, sostanza stupefacente di tipo eroina.
2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari, entrambi gli imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, aventi lo stesso contenuto.
3. Con il primo motivo di ricorso, entrambi gli imputati deducono violazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente sequestrata. La sentenza non aveva operato la necessaria globale valutazione dei fatti e aveva invece assegnato valore negativo assorbente al dato ponderale di stupefacente rinvenuto, che – rilevano i ricorrenti – andava comunque parametrato alla quantita’ di stupefacente a ciascuno sequestrata, corrispondente a 45 dosi medie singole di eroina. Osservano i ricorrenti che, pena l’illegittima inversione dell’onere della prova, non e’ la difesa a dover dimostrare l’uso personale della droga detenuta, ma e’ l’accusa che deve provare la destinazione allo spaccio.
4. Con il secondo motivo di ricorso, entrambi gli imputati lamentano la violazione della legge penale ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’ipotesi autonoma di reato di cui all’articolo 73, comma 5, Testo Unico stup., qualificazione che era stata peraltro richiesta dal procuratore generale in sede di discussione nel giudizio di appello. La riqualificazione, si allega, non e’ incompatibile con la quantita’ di stupefacente sequestrato – parte della quale era certamente destinata al consumo personale – non essendo ravvisabile alcuna sistematicita’ nell’attivita’ di spaccio, atteso che mancava la prova di cessione a terzi e che non vi era stato un approvvigionamento unitario, essendosi i ricorrenti mossi in piena autonomia, accomunati dal solo stato di tossicodipendenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo degli identici ricorsi e’ inammissibile per genericita’ e manifesta infondatezza.
1.1. Va in primo luogo rilevato come la genericita’ del ricorso per cassazione sia causa di inammissibilita’ che ricorre non solo quando i motivi risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresi’ quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli gia’ dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicche’ e’ inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non puo’ ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
1.2. In secondo luogo, va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto e l’eventuale superamento dei limiti tabellari oggi indicati nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75, comma 1-bis, lettera a), non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalita’ di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalita’ meramente personale della detenzione (Sez. 3, n. 46610 del 09/10/2014, Salaman, Rv. 260991; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256611; Sez. 6, n. 12146 del 12/02/2009, Delugan, Rv. 242923).
1.3. Nel caso di specie, la Corte d’appello, oltre a valutare il non marginale superamento del limite massimo detenibile in forza del Decreto Ministeriale 11 aprile 2006, essendo stato sequestrato un quantitativo di droga corrispondente a 44 dosi medie singole di eroina quanto a (OMISSIS) e a 45 dose medie singole quanto a (OMISSIS) (vale a dire, sostanzialmente, 4,5 volte la quantita’ massima detenibile per uso personale) – ha considerato sintomatica la suddivisone dello stupefacente in 39 piccoli astucci, ritenendo il confezionamento propedeutico alla successiva rivendita, indipendentemente dal fatto che esso fosse stato operato dal cedente. Gli imputati, del resto, non hanno specificamente argomentato in ricorso – ne’ hanno indicato di averlo fatto e provato in sede di gravame di merito – che si trattasse di un acquisto finalizzato a costituire una scorta, avendo essi la relativa disponibilita’ economica per poterlo effettuare per comodita’ o per altre ragioni.
1.4. Diversamente da quanto allegato dai ricorrenti, la motivazione resa sul punto, dunque, non e’ manifestamente illogica e non e’ censurabile in questa sede. Al di la’ dell’ipotesi di mancanza o contraddittorieta’ – nella specie non ravvisabili il vizio di motivazione e’ denunciabile con il ricorso per cassazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), soltanto quando l’illogicita’ sia manifesta, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, restando ininfluenti le minime incongruenze e dovendosi considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, appaiano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Cento e a., Rv. 259643). L’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione, inoltre, ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volonta’ del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilita’ di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia possibile dedurre nel giudizio di legittimita’ il travisamento del fatto (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099). Alla Corte di cassazione, invero, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
2. Il secondo motivo di ricorso e’ invece fondato.
2.1. Il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, affermato sin da quando Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, configurava, con gli stessi presupposti contenuti nella norma oggi vigente, una circostanza attenuante, e’ nel senso che la fattispecie del fatto di lieve entita’ puo’ essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensivita’ penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalita’, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera e aa., Rv. 216668; Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256610; Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco e aa., Rv. 264491).
Questo consolidato orientamento ha di recente trovato nuova conferma in una decisione assunta dalle Sezioni Unite, ove si precisa essere tuttavia “necessario che il percorso valutativo cosi’ ricostruito si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice, nell’affermare o negare la tipicita’ del fatto ai sensi dell’articolo 73, comma 5, T. U. stup., dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi. Il che significa, come illustrato, che il discorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del piu’ contenuto disvalore del fatto, ma altresi’ di quelli per cui la sua carica negativa non puo’ ritenersi bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta offensivita’” (Sez U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo).
Tale metodo di giudizio vale anche a proposito dell’elemento ponderale, che pure – riconosce la citata decisione – assume spesso un ruolo centrale nell’apprezzamento giudiziale, dovendo anche la maggiore o minore espressivita’ del dato quantitativo essere determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento e “ferma la possibilita’ che, nel rispetto delle condizioni illustrate, tale dato possa assumere comunque valore negativo assorbente ” (Sez. U., sent. 51063/2018).
2.2. Nel caso di specie, va innanzitutto rilevato che il concorso di persone nel reato contestato agli imputati viene in sentenza riferito alla “concertata condotta dei due imputati relativamente all’unitario approvvigionamento consapevole dell’intero quantitativo considerevole di eroina complessivamente sequestrato nell’occasione”. La sentenza non scioglie – ma, semmai, alimenta quell’ambiguita’, ricavabile dalla lettura del capo d’imputazione, circa una parimenti concorsuale disponibilita’ delle 89 dosi medie singole di stupefacente complessivamente sequestrate. Ed invero, lo stesso capo d’imputazione – pur sul punto, come detto, non chiarissimo – attribuisce agli imputati la sostanza stupefacente a ciascuno sequestrata e la dinamica del fatto ricostruita in sentenza mostra come, dopo l’acquisto certamente effettuato insieme e da un unico fornitore, i due imputati si fossero separati trattenendo per se’, ciascuno, la meta’ dello stupefacente, sicche’, al momento del controllo, ognuno aveva una propria autonoma disponibilita’ di sostanza.
In assenza di motivazione sulla prova circa il concorso in una successiva attivita’ illecita di spaccio (o di detenzione a tal fine), si sarebbe dunque dovuta considerare l’illecita detenzione, da parte di ciascuno, della quantita’ di droga rispettivamente sequestrata, sostanzialmente pari, come dimostra il numero degli astucci, ad una ventina di dosi commerciali, quantitativo che, di per se’, secondo diffusi parametri di valutazione, non e’ preclusivo – essendo, per contro, semmai indicativo – della possibilita’ di ritenere l’ipotesi di cui all’articolo 73, comma 5, Testo Unico stup. A conclusioni non troppo dissimili, del resto, si giunge quand’anche si voglia considerare complessivamente la sostanza sequestrata.
Ed invero, va ribadito che, in tema di reati concernenti gli stupefacenti, la fattispecie autonoma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e’ configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attivita’ dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonche’ di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore – tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente – a dosi conteggiate a “decine” (Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015, Driouech, Rv. 263068; Sez. 6, n. 41090 del 18/07/2013, Airano, Rv. 256609). Cio’ posto, nella specie e’ mancata una piu’ approfondita analisi di questo dato e del presumibile costo di acquisto (al piccolo ingrosso) e di vendita (al dettaglio) di dosi di eroina con principio attivo pari a quello contenuto nei circa 20 astucci sequestrati a ciascun imputato. Eppure, stando ai fatti ricostruiti in sentenza, si trattava dell’unico elemento significativo per poter discriminare l’eventuale sussistenza dell’ipotesi di lieve entita’, non essendo stato indicato alcun parametro di giudizio utilizzabile circa le modalita’ e i mezzi dell’azione, ovvero circa l’abitualita’ (o la frequenza) degli approvvigionamenti, tale ovviamente non essendo la “fonte confidenziale” che viene genericamente evocata nella penultima pagina della sentenza.
3. La sentenza impugnata va pertanto annullata limitatamente al giudizio sulla ravvisabilita’ dell’ipotesi di cui all’articolo 73, comma 5, Testo Unico stup., con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma, con declaratoria d’inammissibilita’, nel resto, dei ricorsi.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ravvisabilita’ dell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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