La fattispecie del c.d. condominio parziale

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 16 gennaio 2020, n. 791.

La massima estrapolata:

In tema di condominio negli edifici, ricorre la fattispecie del c.d. condominio parziale “ex lege” tutte le volte, cioè, in cui un bene risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell’edificio in condominio; in tale ipotesi, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene. Il fondamento normativo, che limita in tal senso la proprietà di cose, servizi ed impianti dell’edificio, si rinviene nell’art. 1123, comma 3, cod. civ. Infatti, mentre il primo comma di tale disposizione enuncia il principio generale secondo cui l’obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni si suddivide in proporzione alle quote di ciascuno, il terzo comma consente di aggiungere che l’obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione ed il godimento grava, invece, soltanto su taluni condomini, come conseguenza della delimitazione della loro appartenenza. A tale parziale attribuzione della titolarità delle parti comuni, corrispondono conseguenze di rilievo per quanto attiene alla gestione, nonché all’imputazione delle spese. Relativamente alle cose, di cui non hanno la titolarità, per i partecipanti al gruppo non sussiste il diritto di partecipare all’assemblea, dal che deriva che la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare.

Ordinanza 16 gennaio 2020, n. 791

Data udienza 22 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 3951-2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
CONDOMINIO (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 880/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 12/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

(OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 880/2014 della Corte d’appello di Catania, depositata il 12 giugno 2014.
Il Condominio (OMISSIS), resiste con controricorso.
(OMISSIS) e (OMISSIS) impugnarono la Delib. assembleare 24 settembre 2003 del Condominio (OMISSIS), avente ad oggetto lavori di manutenzione del tetto di copertura dell’edificio, deducendo la mancata convocazione dei condomini (OMISSIS).
Il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Giarre, respinse l’impugnativa, assumendo che gli (OMISSIS) non fossero interessati alle opere, in quanto proprietari di unita’ immobiliari autonome rispetto a quelle interessate dai lavori.
La Corte d’appello di Catania ha poi rigettato il gravame di (OMISSIS) e (OMISSIS), argomentando dalla CTU integrativa espletata dall’ingegnere (OMISSIS), la quale aveva accertato che il tetto dell’edificio condominiale e’ frazionato in due distinti corpi di fabbrica, uno composto di falde di laterocemento, l’altro (quello sovrastante le unita’ immobiliari di proprieta’ (OMISSIS)) composto di falde lignee. Sotto il profilo dell’articolo 1123 c.c., comma 3, gli (OMISSIS) non erano quindi interessati alla Delib. assembleare di rifacimento del tetto lato nord e non dovevano percio’ essere convocati. La Corte d’appello nego’ altresi’ che la Delib. impugnata fosse affetta da eccesso di potere quanto al rifacimento delle tegole del tetto, finalizzato, in realta’, a creare una mansarda. Fu infine ritenuta nuova, e percio’ inammissibile ex articolo 345 c.p.c., la deduzione della lesione del decoro architettonico.
La trattazione del ricorso e’ stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’articolo 375 c.p.c., comma 2 e articolo 380 bis.1 c.p.c.
I. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) denuncia la violazione degli articoli 1136 e 1137 c.c., nonche’ degli articoli 112, 113, 115, 116, 191 e 196 c.p.c., dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 e dell’articolo 118 disp. att. c.p.c., ed ancora l’insufficiente ed illogica motivazione in ordine alla consulenza tecnica integrativa, recepita dalla Corte d’appello. Si riporta la relazione di CTU del 1 marzo 2007, che descriveva il tetto dell’edificio come unica struttura. Vengono anche richiamati documenti inerenti a pratiche urbanistiche intercorse con il Comune di (OMISSIS).
Il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 345, 115, 191 e 196 c.p.c., nonche’ degli articoli 1120, 1121, 1122, 1138 c.c., articolo 1135 c.c. e ss., articolo 1130 c.c., n. 1 e articolo 1133 c.c. Si assume l’omessa valutazione della presenza di finestre a tetto, deponente per il perseguimento di fini estranei alla comunita’ condominiale e la violazione di un vincolo assunto dal costruttore col Comune di (OMISSIS), come allegato nell’atto di appello a pagina 27.
I.1. I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, perche’ connessi. Essi denunziano la violazione e falsa applicazione di numerose norme di diritto, senza, peraltro, che al richiamo in rubrica delle disposizioni di legge asseritamente violate corrispondano per ciascuna di esse specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme. I motivi, per di piu’, denotano carenze dei necessari requisiti della specificita’, completezza e riferibilita’ alla decisione impugnata.
La sentenza della Corte di Catania ha accertato in fatto che il tetto oggetto dell’intervento di manutenzione approvato dalla impugnata Delib. 24 settembre 2003 del Condominio (OMISSIS) non avesse funzione di copertura delle unita’ immobiliari di proprieta’ (OMISSIS), svolgendo sul punto un apprezzamento delle risultanze istruttorie espresso in una conseguente motivazione certamente fornita delle argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni della decisione, come prescritto dall’articolo 132 c.p.c., n. 4.
L’infondatezza in diritto delle censure dei ricorrenti discende comunque dalle seguenti considerazioni.
Il nesso di condominialita’, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all’articolo 1117 c.c., e’ ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purche’ le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell’articolo 1117 c.c., con la riserva “se il contrario non risulta dal titolo”. E’ dunque agevole ipotizzare come possano esservi, nell’ambito dell’edificio condominiale, delle parti comuni, quali, ad esempio, il tetto (come nella specie), o l’area di sedime, o i muri maestri, o le scale, o l’ascensore, o il cortile, che risultino destinati al servizio o al godimento di una parte soltanto del fabbricato.
Secondo la giurisprudenza, e’ in siffatte ipotesi automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale “ex lege”: tutte le volte, cioe’, in cui un bene, come detto, risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell’edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprieta’, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarita’ necessaria di tutti i condomini su quel bene (Cass. Sez. 2, 24/11/2010, n. 23851; Cass. Sez. 2, 17/06/2016, n. 12641). Mancano, quindi, i presupposti per l’attribuzione, ex articolo 1117 c.c., della proprieta’ comune a vantaggio di tutti i partecipanti se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali, appaiano necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero siano destinati all’uso o al servizio non di tutto l’edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso. Come venne autorevolmente chiarito da Cass. Sez. U, 07/07/1993, n. 7449, in tema di condominio negli edifici, l’individuazione delle parti comuni, risultante dall’articolo 1117 c.c. – il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria -, e che puo’ essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo, non opera affatto con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o piu’ unita’ immobiliari.
Il fondamento normativo, che limita in tal senso la proprieta’ di cose, servizi ed impianti dell’edificio, si rinviene nell’articolo 1123 c.c., comma 3. Lo stesso articolo 1123 c.c., comma 1 elabora il principio generale secondo cui l’obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni si suddivide in proporzione alle quote di ciascuno; il comma 3 consente, allora, di aggiungere che l’obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione ed il godimento grava, invece, soltanto su taluni condomini, come conseguenza della delimitazione della loro appartenenza. A tale parziale attribuzione della titolarita’ delle parti comuni corrispondono conseguenze di rilievo per quanto attiene alla gestione, nonche’ all’imputazione delle spese. Relativamente alle cose, di cui non hanno la titolarita’, per i partecipanti al gruppo non sussiste il diritto di partecipare all’assemblea, dal che deriva che la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarita’ delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare (cfr. Cass. Sez. 2, 27/09/1994, n. 7885; Cass. Sez. 2, 02/03/2016, n. 4127; Cass. Sez. 2, 17/06/2016, n. 12641).
Correttamente percio’, la Corte d’Appello di Catania ha ritenuto validamente approvata la Delib. 24 settembre 2003 senza necessita’ di convocazione dei condomini (OMISSIS). Ad eliminare ogni decisivita’ delle doglianze dei ricorrenti, basterebbe poi considerare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui un condomino regolarmente convocato non puo’ impugnare la Delib. per difetto di convocazione di altro condomino, trattandosi di vizio che inerisce all’altrui sfera giuridica, come conferma l’interpretazione evolutiva fondata sull’articolo 66 disp. att. c.c., comma 3 modificato dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, articolo 20 pur nella specie non applicabile ratione temporis (Cass. Sez. 2, 18/04/2014, n. 9082; Cass. Sez. 2, 13/05/2014, n. 10338; Cass. Sez. 2, 23/11/2016, n. 23903).
Peraltro, la deduzione che il tetto del Condominio (OMISSIS) costituisce “un’unica unita’ strutturale”, su cui insiste il primo motivo di ricorso, postula una valutazione in fatto sottratta al giudizio di legittimita’. L’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Non e’ quindi piu’ configurabile il vizio di “insufficiente ed illogica motivazione” della sentenza, come invece suppongono i ricorrenti. Ne’ l’omesso esame di elementi istruttori integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce un “fatto”, agli effetti dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133).
Il “fatto” della esistenza di due autonome porzioni di tetto, e non di una unica unita’ strutturale, e’ stato esaminato dalla Corte di Catania, sicche’ i ricorrenti si limitano a chiedere una valutazione delle emergenze peritali diversa da quella data dai giudici del merito e conforme a quella da loro auspicata, prescegliendo non la CTU integrativa, come fatto dalla Corte d’appello, ma la relazione del 1 marzo 2007. Tale operazione e’ estranea alle regole del giudizio di legittimita’, in quanto suppone un accesso diretto agli atti e una delibazione degli stessi in via inferenziale.
Le vicende inerenti all’abitabilita’ ed alle concessioni edilizie dell’immobile di proprieta’ (OMISSIS) e (OMISSIS), o ancora al vincolo assunto dal costruttore dell’edificio nei confronti del Comune di (OMISSIS), delineano questioni di fatto di cui non vi e’ cenno nella sentenza impugnata, comunque postulanti indagini ed accertamenti non compiuti dai giudici di merito e non eseguibili nel procedimento di cassazione mediante diretto accesso agli atti. Il ricorrente per cassazione, che, come nella specie, proponga questioni che implicano accertamenti di fatto e delle quali non si faccia menzione alcuna nella sentenza impugnata -, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, agli effetti dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo di allegare l’avvenuta tempestiva deduzione delle questioni dinanzi al giudice di merito, nel rispetto dei termini di operativita’ delle preclusioni relative al “thema decidendum” previsti nell’articolo 183 c.p.c., ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto (e cioe’ di specificare il “dato”, testuale o extratestuale, da cui essa risulti devoluta, nonche’ il “come” e il “quando” tali questioni siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti), onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito le questioni stesse. I ricorrenti al riguardo genericamente richiamano documenti che si assumono inseriti nei fascicoli di parte delle pregresse fasi di merito, e dei quali viene sintetizzato il contenuto, senza comunque rispettare la previsione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ovvero senza indicare specificamente il “dato” in cui le circostanze comprovate dalla richiamata documentazione risultassero dedotte nei pregressi gradi di giudizio, in maniera da essere oggetto di discussione processuale tra le parti, ovvero senza specificare quali istanze la parte avesse rivolto al Tribunale ed alla Corte d’Appello nei propri scritti difensivi per chiarire gli scopi dell’esibizione di quei documenti (arg. da Cass. Sez. 1, 24/12/2004, n. 23976). Il giudice ha, infatti, il potere – dovere di esaminare i documenti prodotti solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza, esponendo nei propri atti introduttivi, ovvero nelle memorie di definizione del “thema decidendum”, quali siano gli elementi di fatto e le ragioni di diritto comprovate dall’allegata documentazione.
Circa la deduzione di lesione del decoro architettonico, con riguardo alla quale la Corte di Catania ha ravvisato l’inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello, ai sensi dell’articolo 345 c.p.c., i ricorrenti espongono di aver prospettato detta questione “a pag. 27 dell’atto di appello”, senza percio’ censurare specificamente tale “ratio decidendi”, il che avrebbe imposto di denunziare che la deduzione in questione si basasse su una “causa petendi” e un “petitum” sostanziale e formale non diversi dalle domande formulate in primo grado.
La Corte d’appello ha altresi’ escluso la ravvisabilita’ di un eccesso di potere assembleare, consistente nell’ipotizzto fine che l’intervento di rifacimento del tetto preludesse una sua utilizzazione a mansarda. Per i giudici di secondo grado, le opere di manutenzione approvate erano state adeguatamente motivate dall’assemblea.
Sul punto, i ricorrenti contestano l’omesso esame della risultanza emergente dalla CTU del 1 marzo 2007, secondo cui nel tetto era stato praticato l’inserimento di finestre. Si tratta ancora una volta di “fatto” del quale i ricorrenti non specificano, agli effetti dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, se esso aveva costituito oggetto di discussione tra le parti, e, in ogni caso, di fatto privo di carattere decisivo (che, cioe’, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Non e’ infatti dato comprendere perche’ l’inserimento di finestre nel tetto, presumibilmente per assicurare luce e ventilazione, dovrebbe deporre per un grave pregiudizio alla cosa comune, ex articolo 1109 c.c., tale da consentire l’invalidazione della decisione approvata dalla maggioranza assembleare (cfr. Cass. Sez. 2, 05/11/1990, n. 10611). Ove l’assemblea avesse in realta’ approvato una trasformazione di parte del sottotetto in mansarda, i ricorrenti avrebbero potuto impugnare la Delib. con riguardo ai limiti posti dall’articolo 1120 c.c. per le innovazioni.
II. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione in favore del controricorrente nell’ammontare liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater – da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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