Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 31010.
La distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale
La distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale non dipende dal titolo posto a base della difesa del convenuto, e cioè dal fatto o dal rapporto giuridico invocato a suo fondamento, né dal relativo oggetto sostanziale (il bene della vita), ma dal petitum processuale, vale a dire dal risultato che lo stesso intende con essa ottenere in giudizio, limitato, nel secondo caso, al rigetto della domanda proposta dall’attore; di conseguenza, non sussistono limiti al possibile ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto a mezzo di eccezioni, purché vengano allegati, a loro fondamento, fatti o rapporti giuridici prospettati come idonei a determinare l’estinzione o la modificazione dei diritti fatti valere dall’attore, ed in base ai quali si chiede la reiezione delle domande da questo proposte e non una pronunzia di accoglimento di ulteriori e diverse domande. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della Corte d’appello che aveva dichiarato inammissibile la deduzione, svolta dal convenuto per la prima volta in appello, della responsabilità esclusiva degli altri convenuti e del terzo chiamato da uno di essi, qualificando detta argomentazione difensiva come una domanda riconvenzionale, in quanto non finalizzata alla mera reiezione della domanda attrice).
Ordinanza|| n. 31010. La distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale
Data udienza 25 settembre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Responsabilità civile – Risarcimento di tutti i danni, iure proprio e iure hereditario – S.r.l. – Spese del giudizio – Atto di citazione con la comparsa conclusionale – Violazione del diritto di difesa – Totale omissione o assoluta incertezza dell’oggetto della domanda – Cass. 14/07/2023, n.20387
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere
Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 5374-2021 proposto da:
(OMISSIS) S.r.L. UNIPERSONALE, in persona del rappresentante legale p.t., (OMISSIS), e da (OMISSIS) in proprio, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), pec: (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) S.r.L., in persona del rappresentante legale p.t., (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), pec: (OMISSIS);
– controricorrente –
e nei confronti di:
(OMISSIS) S.p.A., in persona del procuratore ad negotia, (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo (OMISSIS), pec: (OMISSIS);
– controricorrente –
e nei confronti di:
(OMISSIS) S.p.A., in persona del procuratore ad negotia, (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo Studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e nei confronti di:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo Studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
nonche’ nei confronti di:
(OMISSIS), e (OMISSIS), rispettivamente, coniuge e figlio di (OMISSIS), nella qualita’ di suoi eredi ed aventi causa, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo Studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1103/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata in data 04/08/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 25/09/2023 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.
RILEVATO IN FATTO
che:
(OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente, moglie e figlio di (OMISSIS), convenivano, dinanzi al Tribunale di Pescara, la societa’ (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e la (OMISSIS) S.r.L., al fine di ottenerne la condanna, in via solidale, al risarcimento di tutti i danni, iure proprio e iure hereditario, derivanti dalla morte di (OMISSIS), muratore alle dipendenze della (OMISSIS) S.a.S., caduto nel vuoto, mentre era intento ad operare su un ponteggio metallico, per causa del cedimento di una parete fatiscente del ristrutturando edificio sito in (OMISSIS), di proprieta’ della (OMISSIS) S.r.L., su cui un altro operaio, precipitato a sua volta e deceduto immediatamente, stava effettuando una gettata di calcestruzzo;
il Tribunale di Pescara, con la sentenza n. 109/2016, in accoglimento parziale della domanda attorea, condannava la societa’ (OMISSIS), (OMISSIS), responsabile dei lavori e socio accomandatario della (OMISSIS), e (OMISSIS) coordinatore della sicurezza, a corrispondere, a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali, a (OMISSIS) la somma di Euro 203.613,86, al netto degli accessori di legge, e quella di Euro 164.233,62 a favore di (OMISSIS), rigettava la domanda nei confronti di (OMISSIS) S.r.L., di (OMISSIS), direttore dei lavori e progettista delle opere strutturali in cemento armato, e dei terzi chiamati – (OMISSIS), gia’ (OMISSIS) S.p.A., e di (OMISSIS), chiamato in causa dalla ditta (OMISSIS), quale direttore di lavori sul cantiere – regolava le spese di lite e di Ctu;
la Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza n. 1103/2020, investita del gravame, in via principale, da (OMISSIS) e da (OMISSIS), e, in via incidentale, da (OMISSIS) e da (OMISSIS) nonche’ da (OMISSIS) S.r.L., ha rigettato l’appello principale e quello incidentale di (OMISSIS) e di (OMISSIS), ha accolto l’appello incidentale di (OMISSIS) ed ha condannato, per l’effetto, (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione per intero delle spese del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale, ha poi regolato le spese di lite del grado;
avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione, basato su nove motivi, (OMISSIS) S.r.L. unipersonale e (OMISSIS);
resistono con separati controricorsi (OMISSIS) S.r.L., (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);
la trattazione del ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380-bis 1 c.p.c.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte;
parte ricorrente ha depositato memoria con cui si riporta al ricorso;
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno illustrato il controricorso con memoria.
CONSIDERATO
che:
1) con il primo motivo, rubricato “Nullita’ della sentenza e del procedimento (articolo 360 c.p.c., n. 4) e violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’articolo 164 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”, i ricorrenti denunciano l’errato rigetto del motivo di appello con cui avevano eccepito la nullita’ dell’atto di citazione di primo grado per violazione dell’articolo 164 c.p.c., in quanto non era stata indicata la misura del risarcimento richiesto, ma era stata formulata solo una domanda di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale iure hereditario e iure proprio, sprovvista di ogni elemento idoneo alla determinazione del danno, con rimessione integrale alla valutazione del giudice; cio’ avrebbe reso impossibile – secondo la prospettazione addotta – l’approntamento di una valida difesa, essendo l’oggetto della domanda – il petitum mediato – risultato assolutamente incerto (cosi’ Cass. n. 13328/2015), a nulla valendo il tentativo ex post degli attori di sanare la lacuna dell’atto di citazione con la comparsa conclusionale, perche’ detto comportamento avrebbe concretizzato un’ulteriore violazione del loro diritto di difesa costringendoli a confrontarsi con domande nuove e diverse da quelle iniziali;
il motivo non merita accoglimento;
deve ricordarsi innanzitutto che la nullita’ della citazione, ai sensi dell’articolo 164 c.p.c., comma 4, (nel testo, qui applicabile ratione temporis, successivo alle modificazioni apportategli dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, articolo 9), postula la totale omissione o l’assoluta incertezza dell’oggetto della domanda, che non ricorre quando il petitum, inteso sia sotto il profilo formale come provvedimento giurisdizionale richiesto che sotto l’aspetto sostanziale come bene della vita di cui si chiede il riconoscimento, sia comunque individuabile attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio, non limitato alla parte di esso destinata a contenere le conclusioni, ma esteso anche alla parte espositiva (cfr., anche di recente, Cass. 14/07/2023, n. 20387);
proprio in applicazione di tali principi deve escludersi che la Corte territoriale sia incorsa nel vizio attribuitole;
con un’articolata motivazione, supportata da pertinenti richiami giurisprudenziali (cfr. soprattutto p. 5) e dalla specifica confutazione delle censure dei ricorrenti (a p. 6 si contesta la pertinenza dell’invocazione del principio di diritto di cui a Cass. n. 1681/2015), il giudice a quo ha escluso che nella fattispecie esaminata la richiesta risarcitoria fosse stata genericamente formulata – non mettendo ne’ il giudice ne’ il convenuto in condizione di sapere di quale concreto pregiudizio chiedesse il ristoro – e/o tamquam non esset – non facendo sorgere in capo al giudice il potere-dovere di provvedere – cosi’ come statuto da Cass., Sez. Un., n. 11533/2004 e dalla giurisprudenza di legittimita’ successiva; cio’ perche’ era stato “espressamente richiesto il risarcimento del danno conseguente alla morte del prossimo congiunto sia iure hereditario sotto forma di danno biologico e morale patito dal de cuius iure proprio specificando che l’importo, nelle more corrisposto dalla compagnia di assicurazione della (OMISSIS) srl, di Euro 113.620,52… non fosse satisfattivo del pregiudizio patito” e perche’ la liquidazione del danno non avrebbe potuto che essere equitativa, a nulla rilevano l’utilizzabilita’ delle tabelle, “di conseguenza le prerogative della esatta individuazione del petitum della domanda devono ritenersi… nell’indicazione delle ragioni poste a fondamento della domanda risarcitoria”;
tale statuizione e’ corretta in iure e in totale sintonia con l’orientamento di questa Corte; nulla hanno addotto i ricorrenti che conduca ad una conclusione di segno diverso; infatti, la loro censura, per come prospettata, si incentra essenzialmente sul fatto che gli attori non avessero indicato la misura della richiesta risarcitoria, accompagnata da una generica doglianza in ordine alla violazione del loro diritto di difesa, e non gia’ sul fatto che non avessero supportato la proposizione di una domanda risarcitoria con allegazioni non “limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, produttiva di danni nella sfera giuridica di chi agisce in giudizio” che includessero “anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l’attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo” (in termini: Cass. 18/01/2012, n. 691);
2) con il secondo motivo vengono dedotti l’omesso e insufficiente esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’articolo 112 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., 1 comma, n. 3;
attinta da censura e’ la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile la deduzione della responsabilita’ di (OMISSIS), preposto di (OMISSIS) S.r.L. ma non evocato in giudizio, e delle altre parti convenute in giudizio, qualificando detta argomentazione difensiva come una domanda riconvenzionale trasversale incorsa nella decadenza processuale ed escludendo finanche la possibilita’ di prenderla in considerazione come eccezione riconvenzionale finalizzata a impedire l’accoglimento delle domande avversarie;
alla Corte d’appello si imputa di avere operato “una non corretta ricostruzione della distinzione tra domanda riconvenzionale ed eccezione fondata sul titolo posto a base della difesa della parte, invece che sull’oggetto di essa o, se si preferisce, sulla struttura invece che sulla funzione di essa”, limitando l’ampliamento del thema decidendum da parte del convenuto, in contrasto con ogni disposizione normativa;
segnatamente, i ricorrenti negano di aver formulato una domanda riconvenzionale trasversale e sostengono, ex adverso, che – a fronte della chiamata in giudizio anche di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS), rispettivamente, coordinatore della sicurezza, direttore dei lavori per le opere in cemento armato, legale rappresentante della committente, cui si era aggiunto (OMISSIS) chiamato in causa dalla ditta (OMISSIS) – avevano proposto un’eccezione riconvenzionale con cui avevano inteso paralizzare la domanda attorea nei loro confronti con conseguente richiesta di accertamento della responsabilita’ in capo agli altri chiamati: eccezione che, non ampliando la sfera dei poteri cognitori del giudice come determinati dalla domanda attorea, non era soggetta ad alcuna preclusione processuale ed era spendibile anche in appello;
aggiungono che, quand’anche quella proposta fosse stata una domanda riconvenzionale inammissibile per le ragioni indicate dal giudicante, quest’ultimo avrebbe dovuto considerare i fatti posti a suo fondamento, gia’ insiti nella loro linea difensiva, “nella piu’ limitata ottica dell’eccezione” diretta ad impedire l’accoglimento della domanda avversaria;
di qui la censura mossa al giudice a quo di essere incorso nella violazione dell’articolo 112 c.p.c.;
2.1) il motivo e’ da dichiarare inammissibile;
2.1.2) la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha chiarito che la domanda riconvenzionale e’ stata respinta per il suo contenuto innovativo, non avendo i ricorrenti mai dedotto in precedenza – si’ da consentire il contraddittorio sul punto e, quindi, l’esercizio del diritto di difesa – che gli altri convenuti avessero la responsabilita’ esclusiva dell’incidente; sul punto – si legge in sentenza – i ricorrenti non hanno fornito argomenti per superare l’eccezione di inammissibilita’ sollevata da tutti gli appellati: “nel corso del giudizio ed anche negli scritti difensivi finali gli appellanti non hanno introdotto elementi in grado di superare la censura sollevata dalle controparti persistendo (anche mediante il richiamo a precedenti giurisprudenziali in sede penale) nel ritenere il ruolo centrale in tema di responsabilita’ per infortunio sul lavoro alla parte committente, nel dedurre che il direttore dei lavori e’ comunque titolare di una posizione di garanzia, legata al committente da un rapporto fiduciario, titolare di specifici obblighi di vigilanza e controllo sul corretto andamento dei lavori…in particolare, in conclusionale si sono limitati a dedurre l’assenza di profili di violazione dell’articolo 345 c.p.c. sull’assunto che con il gravame proposto si e’ inteso riproporre questioni gia’ introdotte in primo grado. Tale considerazione, tuttavia, non puo’ rilevarsi idonea a paralizzare l’obiezione principale secondo cui in primo grado alcuna domanda e’ stata proposta dagli odierni appellanti al fine di far valere la responsabilita’ esclusiva delle altre parti convenute”;
ne consegue che alcun rilievo assume nella fattispecie per cui e’ causa il diverso tema delle modalita’ di proposizione della domanda riconvenzionale trasversale su cui questa Corte ha gia’ avuto modo di pronunciarsi piu’ volte, affermando, da ultimo, che “Nel processo civile, caratterizzato da un sistema di decadenze e preclusioni, conseguente alla novella di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353 e successive plurime modifiche e integrazioni, un convenuto puo’ proporre una domanda nei confronti di altro soggetto, pure convenuto in giudizio dallo stesso attore, in caso di comunanza di causa o per essere da costui garantito, facendo a tal fine istanza con la comparsa di risposta tempestivamente depositata a norma degli articoli 166 e 167 c.p.c. e procedendo quindi ai sensi dell’articolo 269 c.p.c., previa richiesta al giudice di differimento della prima udienza allo scopo di provvedere alla citazione dell’altro convenuto nell’osservanza dei termini di rito” (Cass. 12/05/2021, n. 12662);
non giova ai ricorrenti riqualificare la richiesta di condanna dei terzi come eccezione riconvenzionale, perche’ il suo contenuto – la responsabilita’ esclusiva degli altri convenuti e del terzo chiamato da uno di essi – esorbita da quello della eccezione riconvenzionale, avvalendosi della quale il deducente non puo’ tendere a conseguire una utilita’ pratica (l’attribuzione ad altri della responsabilita’ risarcitoria per cui e’ stato chiamato in giudizio) diversa da quella consistente a ottenere la reiezione della domanda avversaria;
la distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale, insegna la giurisprudenza di questa Corte, non dipende dal titolo posto a base della difesa del convenuto, ma dal relativo oggetto, vale a dire dal risultato processuale che lo stesso intende con essa ottenere, che e’ limitato, nel secondo caso, quello dell’eccezione riconvenzionale, al rigetto della domanda proposta dall’attore; solo in tale ipotesi, che pero’ non ricorre nel caso di specie, non sussistono limiti al possibile ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto, il quale puo’ allegare fatti o rapporti giuridici prospettati come idonei a determinare l’estinzione o la modificazione dei diritti fatti valere dall’attore, ed in base ai quali si chiede la reiezione delle domande da questo proposte e non una pronunzia di accoglimento di ulteriori e diverse domande (per tutte cfr. Cass. 05/03/2019, n. 6318);
2.1.3) la censura di violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e’ inammissibile;
anzitutto e in via assorbente, per il limite di deducibilita’ del vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in presenza di c.d. doppia conforme (articolo 348-ter c.p.c., commi 4 e 5, introdotto dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera a), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134): al fine di evitare tale conclusione, parte ricorrente avrebbe dovuto, confrontando le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione di primo grado con quelle poste a base della sentenza di rigetto del gravame, dimostrarne la diversita’: il che nel caso di specie non risulta avvenuto;
in ogni caso, quand’anche il vizio fosse stato deducibile, se ne sarebbe dovuta egualmente dichiarare l’inammissibilita’: le censure, infatti, mancano di evidenziare un “fatto storico” e decisivo, il cui esame sia stato omesso;
3) con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articolo 2697 c.c. e dell’articolo 116 c.p.c. in relazione alle prove documentali ed orali nonche’ alle risultanze della CTU, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, per non avere il giudice a quo escluso la loro responsabilita’ o almeno attribuito loro quote di responsabilita’ inferiori rispetto a quanto statuito dal Tribunale;
3.1) il motivo non puo’ essere accolto in tutte le sue articolazioni;
3.1.2) un motivo denunciante la violazione dell’articolo 2697 c.c. si configura effettivamente e, dunque, dev’essere scrutinato come tale solo se in esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’articolo 2697 c.c. non risulti argomentata in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso e’ inammissibile come motivo in iure ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4 (se si considera l’articolo 2697 c.c. norma processuale) e ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 (se si considera l’articolo 2697 c.c. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 oggi vigente si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi di quella norma (giusta Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054);
3.1.3) ne’ puo’ utilmente invocarsi la violazione del paradigma dell’articolo 116 c.p.c. allo scopo di lamentare l’esito dell’apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito, non essendo incasellabile detta censura ne’ nel paradigma del n. 5 ne’ in quello del n. 4, non trovando di per se’ alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione;
3.1.4) infine, oltre ad incorrere nella preclusione processuale di cui all’articolo 345 ter c.p.c., la denuncia dell’omesso esame, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non puo’ riguardare tout court la CTU – atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilita’ sanitaria), fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente) – in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui e’ possibile trarre il “fatto storico”, rilevato e/o accertato dal consulente; sarebbe stato necessario evidenziare quale “fatto storico” decisivo fosse stato omesso nell’esame condotto dai giudici di merito e non limitarsi a denunciare una omessa valutazione delle risultanze della CTU (Cass. 24/06/2020, n. 12387);
4) con il quarto motivo – indicato come III a) – i ricorrenti ascrivono alla Corte d’appello l’erronea valutazione della sentenza penale nel processo civile con riferimento alle assoluzioni degli altri soggetti chiamati a risarcire i danni in relazione agli articoli 75, 88, 652 e 654 c.p.p., avendola considerata vincolante nonostante la insussistenza delle tre condizioni – pronuncia della sentenza in esito al dibattimento, costituzione di parte civile del danneggiato o possibilita’ di costituirsi come tale, proposizione della domanda risarcitoria nei confronti dell’imputato o di altro responsabile civile partecipante al giudizio – che, secondo il combinato disposto degli articoli 75, 88, 652 e 654 c.p.p., come inteso dalla giurisprudenza di questa Corte, consente di considerare l’assoluzione ottenuta in sede penale ragione di per se’ sufficiente per escludere la responsabilita’ civile, a prescindere dalle risultanze probatorie del giudizio civile compresa la Ctu;
il motivo e’ inammissibile, perche’ non coglie la ratio decidendi della pronuncia impugnata;
la Corte d’appello ha infatti preso in considerazione non gia’ la sentenza penale di assoluzione degli altri coimputati al fine di confermare la responsabilita’ a fini risarcitori di (OMISSIS), ma la sentenza con cui quest’ultimo aveva patteggiato la pena di nove mesi di reclusione;
la Corte territoriale quanto agli effetti di detta sentenza nel giudizio civile ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte, citando la pronuncia n. 20170 del 30/07/2018, la quale ha ricostruito i tre indirizzi giurisprudenziali seguiti questa Corte regolatrice: a) il primo e’ quello fatto proprio dalla odierna ricorrente e ha trovato espressione ad esempio, tra le piu’ recenti, in Cass. 18/12/2017, n. 30328; Cass. 24/05/2017. 13034; Cass. 02/03/2017, n. 5313; Cass. 29/02/2016, n. 3980; b) il secondo orientamento ritiene invece che la sentenza di patteggiamento non inverta affatto l’onere della prova, ma costituisca un semplice “elemento di convincimento” liberamente apprezzabile dal giudice, e dunque in sostanza un mero indizio: poiche’ la sentenza di patteggiamento e’ solo equiparata ad una pronuncia di condanna “e, a norma dell’articolo 445 c.p.p., comma 1-bis, non ha efficacia in sede civile o amministrativa, le risultanze del procedimento penale non sono vincolanti, ma possono essere liberamente apprezzate dal giudice civile ai fini degli accertamenti di sua competenza”: in termini Cass. 06/12/2011, n. 26250 (in senso analogo cfr. Cass. 11/05/2007, n. 10847; Cass. 24/02/2004 n. 3626; Cass. 06/05/2003 n. 6863); b1) in seno a tale orientamento, si rinvengono, tuttavia, anche decisioni che, pur formalmente qualificando la sentenza di patteggiamento un mero indizio, lo ritengono poi cosi’ rilevante, da giungere ad affermare che “il giudice non puo’ disattenderlo senza motivare” (Cass. 06/12/2011, n. 26263; Cass. 19/11/2007 n. 23906); c) il terzo orientamento, infine, ritiene che la lettera dell’articolo 444 c.p.p. sia chiara e non consenta nessuna interpretazione manipolatrice, pertanto esclude, sulla base dell’interpretazione letterale, che la sentenza penale di patteggiamento possa costituire una ammissione di responsabilita’ e nega che possa avere qualsiasi efficacia vincolante o probatoria nel processo civile: “non puo’ farsi discendere dalla sentenza di cui all’articolo 444 c.p.p. la prova della ammissione di responsabilita’ da parte dell’imputato e ritenere che tale prova sia utilizzabile nel procedimento civile” (Cass. 12/04/2011, n. 8421; Cass. 22/11/2017, n. 27835; Cass. 29/03/2006, n. 7196); ed ha poi concluso che la sentenza penale di patteggiamento:
a) nel giudizio civile di risarcimento e restituzione non ha efficacia di vincolo, non ha efficacia di giudicato e non inverte l’onere della prova;
b) non e’ un atto, ma un fatto; e come qualsiasi altro fatto del mondo reale puo’ costituire un indizio, utilizzabile solo insieme ad altri indizi e se ricorrono i tre requisiti di cui all’articolo 2729 c.c.;
le osservazioni che precedono non implicano pero’ la negazione di ogni valenza alla sentenza penale di patteggiamento, non solo come atto giuridico (il che e’ corretto, perche’ “come atto giuridico, la sentenza penale di condanna puo’ produrre nel giudizio civile di danno solo gli effetti stabiliti dalla legge: sicche’, se la legge nega a quell’atto effetti vincolanti o preclusivi, la sentenza penale e’ giuridicamente irrilevante come atto), ma anche come fatto storico, atteso che “la celebrazione d’un giudizio penale, e la sentenza che lo conclude costituiscono pur sempre dei fatti storici. Sono fatti storici, in particolare, le circostanze che l’Autorita’ Inquirente abbia chiesto il rinvio a giudizio dell’imputato, che il Giudice dell’Udienza Preliminare abbia accolto tale richiesta, che l’una e l’altra decisione siano state assunte sulla base di determinate fonti di prova, che saranno di norma indicate nelle rispettive motivazioni”;
come fatto storico, infatti, “puo’ essere preso in esame dal giudice civile, in quanto qualsiasi fatto storico puo’ costituire un indizio. In quanto tale, esso di per se’ non avra’ alcuna efficacia probatoria, ma potra’ acquistarla se valutato insieme ad altri indizi, che abbiano i tre requisiti di gravita’, precisione e concordanza richiesti dall’articolo 2729 c.c.”;
in conclusione, alla sentenza di patteggiamento va riconosciuta la natura di elemento di prova, anche importante in ragione del fatto che essa contiene un accertamento ed un’affermazione di responsabilita’ impliciti sul merito dell’imputazione, giustificati dal fatto che il giudice penale non si limita a certificare la volonta’ delle parti, ma valuta le risultanze degli atti, anche se rebus sic stantibus e non all’esito d’una attivita’ istruttoria, anche quanto alla responsabilita’ dell’imputato, di cui e’ possibile “tener conto nel giudizio civile” (cosi’ Cass. 16/08/2019, n. 21435);
tenerne conto significa che al giudice civile non e’ precluso, ai fini della formazione del proprio convincimento, autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento in quanto il procedimento penale e’ stato definito ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., in ragione dell’assenza nel giudizio civile di un principio di tipicita’ della prova (Cass. 04/07/2019, n. 18085), potendo le parti, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti cosi’ accertati in sede penale (Cass. 03/04/2017, n. 8063);
non vi e’ dubbio che il giudice a quo abbia tenuto conto della sentenza di patteggiamento nel senso precisato, tant’e’ che diversamente da quanto sostengono i ricorrenti non solo non ha considerato vincolante la sentenza di patteggiamento, ma ha ritenuto (OMISSIS) responsabile proprio dopo aver ritenuto non convincenti gli argomenti con cui il medesimo aveva inteso supportare l’assenza di profili di responsabilita’ a suo carico: Cass. 08/11/2019, n. 28816 (p. 9 e ss.);
5) con il quinto motivo – contrassegnato come III b) – i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli articoli 444 c.p.p. e dell’articolo 2697 c.c. per non aver applicato immotivatamente il principio di cui a Cass. n. 19871/13, a mente del quale per ottenere il risarcimento dei danni nei confronti del responsabile che nel processo penale ha optato per il patteggiamento sono necessarie ulteriori prove nel processo civile;
oggetto di critica e’ la statuizione con cui il giudicante ha affermato che la sentenza penale di patteggiamento non ha efficacia di vincolo ne’ di giudicato e neppure inverte l’onere della prova nel giudizio civile, ove puo’ essere usata solo come indizio e non ha attribuito alcuna responsabilita’, neppure ai fini della determinazione delle quote di responsabilita’, ai lavoratori per non aver indossato le cinture di sicurezza;
il motivo non ha pregio;
solo eccezionalmente – cfr. la L. 27 marzo 2001, n. 97, la cui ratio e’ quella di dare credibilita’ alla pubblica amministrazione favorendo la coerenza tra la decisione penale e la pronuncia in sede civile qualora l’imputato, soggetto alla sanzione disciplinare, abbia patteggiato la pena per il medesimo fatto oggetto di accertamento nel giudizio civile – la sentenza di patteggiamento e’ equiparata alla sentenza di condanna e la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato in un diverso giudizio quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceita’ penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso; nella consapevolezza del fatto che sull’efficacia della sentenza di patteggiamento si sono formati piu’ orientamenti, conviene, nondimeno, ribadire il ragionamento seguito da questa Sezione con la sentenza n. 20170 del 30/07/2018, gia’ evocata, e precisare che l’articolo 445 c.p.p., negando tout court alla sentenza penale “efficacia” nel giudizio civile, senza ulteriori precisazioni, rende evidente che il legislatore non ha voluto attribuire alla sentenza penale di patteggiamento ne’ effetti di vincolo – che si hanno quando la legge vieta al giudice civile di decidere la questione a lui sottoposta in modo diverso rispetto alla decisione penale – ne’ effetti di preclusione – che ricorrono quando la legge vieta al giudice civile finanche di esaminare la questione, se su essa si e’ gia’ pronunciato il giudice penale -; il mancato riconoscimento alla sentenza di patteggiamento dell’efficacia di giudicato e’ particolarmente significativo, giacche’ il giudicato penale, ove vi fosse, esplicherebbe l’effetto, nel giudizio civile, di precludere un nuovo accertamento con una diversa ed autonoma ricostruzione del fatto come gia’ ricostruito dal giudice penale, ricordando che per fatto accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialita’ fenomenica, costituita dall’accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalita’ materiale tra l’una e l’altro (fatto principale), e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso (Cass. 28/09/2004, n. 19387);
di quanto detto si trae, indiretta conferma, anche considerando che l’articolo 444 c.p.p., comma 2, stabilisce che nel caso di sentenza di patteggiamento “non si applica la disposizione dell’articolo 75 c.p.p., comma 3” (che dispone la sospensione obbligatoria del processo civile, fino a che quello penale non sia terminato, quando l’azione di danno sia proposta dopo la sentenza penale di primo grado); percio’ “anche se la sentenza di patteggiamento viene impugnata, al danneggiato e’ consentito proporre l’azione di danno in sede civile”;
per dare un senso alla deroga voluta dal legislatore occorre riconoscere “che la sentenza penale definitiva non potra’ mai avere mai alcun impatto sull’esito del giudizio civile medio tempore iniziato”, diversamente “il giudice civile dovrebbe, nel pronunciare la propria decisione, tenere conto del contenuto d’una sentenza penale ancora suscettibile di riforma”;
un altro elemento da prendere in esame e’ che al fine di giustificare la relevatio ab onere probandi non potrebbe neppure assumersi l’ammissione di responsabilita’ rinveniente dalla scelta dell’imputato di patteggiare; manca, infatti l’animus confitendi (cioe’ la “volonta’ e consapevolezza di riconoscere la verita’ del fatto dichiarato, obiettivamente sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte” (cfr. Cass. 07/09/2015, n. 17702, per l’esclusione dell’animus confitendi nella dichiarazione resa dal datore di lavoro e documentata dal verbale ispettivo perche’ resa in “resa in funzione degli scopi dell’inchiesta”), sicche’ non potrebbe attribuirsi efficacia confessoria, comportante come tale l’esonero della prova, alla richiesta di applicazione di una pena contenuta nei limiti edittali;
come ritenuto dalla Corte Costituzionale (sent. 02/07/1990, n. 313), l’imputato si limita sostanzialmente a non negare la sua responsabilita’, accettando una decisione “allo stato degli atti” come contropartita di una pena contenuta, con la duplice consapevolezza della difficolta’ di dimostrare in dibattimento la propria innocenza e di rinunciare all’impugnazione se la richiesta viene accettata (articolo 448 c.p.p., comma 2);
i ricorrenti non colgono e quindi con confutano in maniera convincente ed efficace la sentenza impugnata che diversamente da quanto prospettato ha preso in considerazione il fatto che gli operai vittime dell’incidente non usassero un’adeguata protezione per evitare la caduta, escludendo che di tale circostanza dovessero rispondere i lavoratori, applicando il principio di diritto secondo cui solo il comportamento abnorme del lavoratore, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute puo’ porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalita’ del lavoro da svolgere (Cass. 16/02/2023, n. 1490); ipotesi non ricorrente, perche’ un’attenta attivita’ di controllo “avrebbe senza dubbio evitato che nell’eseguire i lavori il dipendente non ne avesse fatto uso”;
6) con il sesto motivo -numerato come III c) – i ricorrenti adducono come motivo cassatorio la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 1, comma 4 bis il quale nella versione ratione temporis applicabile prevedeva che “il datore di lavoro che esercita le attivita’ di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 e, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovraintendono le stesse attivita’, sono tenuti all’osservanza delle disposizioni del presente decreto”; segnatamente, l’errore del giudice a quo risiederebbe nell’avere attribuito al legale rappresentante della (OMISSIS) S.r.L. compiti di vigilanza e di controllo che spettavano a (OMISSIS), preposto, cioe’ al soggetto che sovrintende al lavoro di altri soggetti da lui coordinati con funzione di controllo delle modalita’ esecutive della prestazione lavorativa da parte dei soggetti da lui coordinati sotto il profilo della salute e della sicurezza;
il motivo non coglie nel segno;
(OMISSIS), oltre ad essere il rappresentante legale della (OMISSIS), rivestiva il ruolo di direttore dei lavori e come tale era stato ritenuto responsabile per non avere impedito la esecuzione della gettata in calcestruzzo nonostante fosse utilizzato “il muro come parete esterna della casseratura” senza la predisposizione di misure di sicurezza adeguate; (p.2, p. 3, p. 8 della sentenza);
7) con il settimo motivo – individuato come III d) – i ricorrenti lamentano la violazione del Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 2 perche’ la Corte d’Appello avrebbe dovuto escludere la responsabilita’ di (OMISSIS), perche’ l’incarico conferitogli dalla impresa (OMISSIS) era nullo, inefficace e privo di qualsiasi effetto e gli era stato assegnato nonostante non avesse i requisiti per assumere il ruolo di responsabile dei lavori; il responsabile dei lavori deve essere esplicitamente delegato dal committente e la sua nomina come direttore dei lavori esonera il committente dalla responsabilita’ in materia di sicurezza sul lavoro nel cantiere nella misura dell’incarico delegato, accompagnata dai mezzi tecnici ed economici e dei poteri organizzativi necessari per adempiere gli obblighi assunto; in aggiunta, in applicazione del Decreto Legislativo n. 494 del 1996, il responsabile dei lavori qualora incaricato fino al (OMISSIS) avrebbe dovuto essere il progettista per la fase di progettazione dell’opera e il direttore dei lavori per la fase di esecuzione della medesima; pertanto, all’epoca dei fatti – (OMISSIS) – (OMISSIS) non essendo ne’ progettista ne’ direttore dei lavori non avrebbe potuto essere incaricato quale responsabile dei lavori e, in applicazione di Cass. pen. 1490/2010, stante il rapporto critico-dialettico tra il committente e il datore di lavoro dell’impresa esecutrice, avrebbe dovuto escludere l’assegnazione da parte del committente del ruolo di responsabile dei lavori a (OMISSIS), pena l’inconcepibile identificazione tra soggetto controllore e soggetto controllato per cio’ che riguarda la sicurezza del cantiere;
il motivo riproduce le argomentazioni a sostegno dell’atto di appello nella parte in cui veniva lamentato il fatto che (OMISSIS) non potesse essere designato quale responsabile dei lavori, gia’ confutate dalla Corte d’appello;
rispetto agli argomenti confutativi espressi dalla sentenza gravata – cfr. pp. 10-11 – nulla aggiunge il motivo di ricorso che va, pertanto, condannato all’inammissibilita’, in applicazione del principio secondo il quale “Con i motivi di ricorso per cassazione la parte non puo’ limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiche’ in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4″: Cass. 24/09/2018, n. 22478;
8) con l’ottavo motivo – anch’esso individuato come III d) – i ricorrenti censurano per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2087 c.c. e del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 5 la statuizione con cui la Corte d’Appello ha escluso ogni responsabilita’ di (OMISSIS), disattendo l’esito della CTU che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 5 nel testo allora vigente, gli aveva attribuito il 5% della responsabilita’; la vittima era un lavoratore esperto che era consapevole di avere assunto sul ponteggio una posizione errata e che avrebbe dovuto usare i dispositivi di protezione individuale;
anche questo motivo ripropone le stesse argomentazioni difensive gia’ disattese dalla Corte d’Appello (p. 12 e 13) e condivide la sorte del motivo precedente;
9) con il nono motivo, indicato come IV, i ricorrenti sostengono che il giudice a quo, omettendo di esaminare le risultanze della Ctu espletata in primo grado e, incorrendo nella violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si sarebbe rifiutato di disporre la rinnovazione della CTU, nonostante quella espletata in primo grado fosse contraddittoria, avendo dapprima addebitato il 45% della responsabilita’ a (OMISSIS), il 30% a (OMISSIS), il 10% a (OMISSIS) e il restante 15% a (OMISSIS) ed ai due operai deceduti, avrebbe poi addebitato nelle conclusioni il 45% a (OMISSIS) S.r.L., il 35% a (OMISSIS), il 10% a (OMISSIS) e il restante 15% a (OMISSIS) e ai due operai deceduti, pervenendo ad un totale del 105%;
il Tribunale aveva poi escluso la responsabilita’ di (OMISSIS) e dei due operai deceduti ed aveva addebitato il 50% della responsabilita’ a (OMISSIS), il 35% a (OMISSIS) e il 15% a (OMISSIS), condannandoli in solido senza ripartizione di responsabilita’;
il motivo non si confronta affatto con la decisione impugnata che, a p. 12, § 3.3.5., contrariamente a quanto sostiene parte ricorrente, si e’ soffermata tanto sulla Ctu svolta in primo grado quanto sulla richiesta di sua rinnovazione;
non puo’ non rilevarsi che gli errori attribuiti alla CTU svoltasi nel giudizio di prime cure, la contraddittorieta’ della sentenza del Tribunale, l’assenza di motivazione circa le ragioni per cui il giudice di prime si era discostato dalla CTU si fondano su mere asserzioni, non supportate dall’adempimento delle prescrizioni di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, essendo stata omessa la riproduzione diretta e indiretta del contenuto della CTU nella parte denunciata come erronea e della sentenza del Tribunale e non essendo stato neppure soddisfatto l’onere di localizzazione;
anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia, il principio di autosufficienza del ricorso, di cui l’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 costituisce il precipitato normativo, puo’ dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (cosi’ Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950): requisito che puo’ essere concretamente soddisfatto “anche” fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda” (Cass. 19/04/2022, n. 12481);
10) il ricorso va, dunque, rigettato;
11) le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
12) si da’ atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico di parte ricorrente l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 3.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge a favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) e in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge a favore di (OMISSIS) S.r.L., di (OMISSIS) S.p.A. e di (OMISSIS).
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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