La denuncia in cassazione di un errore di diritto nell’interpretazione di una clausola contrattuale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 17706.

La denuncia in cassazione di un errore di diritto nell’interpretazione di una clausola contrattuale

La denuncia in cassazione di un errore di diritto nell’interpretazione di una clausola contrattuale non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli articoli 1362 e seguenti del Cc, essendo necessario specificare i canoni che in concreto assuma violati e, in particolare, il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, giacché le doglianze non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, non dovendo quest’ultima essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni. Quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, pertanto, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra.

Ordinanza|| n. 17706. La denuncia in cassazione di un errore di diritto nell’interpretazione di una clausola contrattuale

Data udienza 15 febbraio 2023

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7161/2018 proposto da:

(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS));

– ricorrente –

contro

FLLI (OMISSIS) SAS, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) ( (OMISSIS)), (OMISSIS) ( (OMISSIS));

-controricorrente-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 1592/2017 depositata il 13/12/2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/02/2023 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.

La denuncia in cassazione di un errore di diritto nell’interpretazione di una clausola contrattuale

FATTI DI CAUSA

Il giudizio trae origine dal ricorso per decreto ingiuntivo proposto dalla F.lli (OMISSIS) sas innanzi al Tribunale di Savona per il pagamento da parte di (OMISSIS) dell’importo di Euro 37.128,85, a titolo di saldo per la fornitura e posa in opera di serramenti presso l’hotel (OMISSIS) sito in (OMISSIS), di cui la (OMISSIS) era titolare.

Emesso il decreto, (OMISSIS) propose opposizione ed eccepi’ che l’opera era stata realizzata in ritardo ed non era stata eseguita a regola d’arte.

Parte opposta eccepi’ la tradiva denunzia dei vizi.

Il Tribunale, qualificato il contratto come appalto, rigetto’ l’opposizione.

La Corte d’appello di Genova, previa qualifica del contratto come contratto di vendita, dichiaro’ la F.lli (OMISSIS) sas decaduta dalla denunzia dei vizi e per l’effetto rigetto’ la domanda.

Avverso la sentenza della Corte d’appello propone ricorso (OMISSIS) sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso la Fratelli (OMISSIS) s.a.s.

In prossimita’ dell’udienza, la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 c.c., 1495 c.c., 1667, comma 2 c.c., 2222 cc., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di merito errato nel qualificare il contratto come contratto di vendita; dall’esame della documentazione in atti, risulterebbe che l’aspetto prevalente nel rapporto sorto tra le parti fosse quello dei servizi accessori alla compravendita e, in particolare, l’adattamento, la posa in opera e l’installazione degli infissi commissionati rispetto alla pura fornitura di essi. Il criterio ermeneutico dell’individuazione della comune volonta’ dei contraenti, quale parametro per la qualificazione giuridica del rapporto controverso, sarebbe stato malgovernato dal giudice in appello, che lo avrebbe travisato non tenendo conto che l’esigenza primaria e prevalente della committente consisteva nella prestazione d’opera sicche’ la causa tipica dell’appalto sarebbe prevalente rispetto alla vendita.

Il motivo e’ infondato.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la denuncia in cassazione di un errore di diritto nell’interpretazione di una clausola contrattuale non puo’ limitarsi a richiamare le regole di cui agli articoli 1362 e ss. c.c., essendo necessario specificare i canoni che in concreto assuma violati e, in particolare, il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, giacche’ le doglianze non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, non dovendo quest’ultima essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni; pertanto, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., 28 novembre 2017, n. 28319;Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536).

D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimita’, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178).

In definitiva, il sindacato di legittimita’ non puo’ vertere sul risultato interpretativo in se’, risultato che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, con conseguente inammissibilita’ di ogni critica alla ricostruzione della volonta’ negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (tra le altre, Cass., 10 febbraio 2015, n. 2465).

Nel caso di specie, il ricorso non censura la violazione dei canoni ermeneutici ma sollecita un’interpretazione alternativa del contratto diversa da quella plausibile fornita dal giudice di merito.

Nel caso di specie, la Corte di merito ha evidenziato come, nel caso in esame, gli infissi oggetto del contratto rientravano nel normale ciclo produttivo della Fratelli (OMISSIS) snc, che si era impegnata a fornire il materiale, provvedendo al trasporto ed al montaggio della merce, apportando, in fase di realizzazione dei manufatti, accorgimenti marginali per adattarli alle specifiche esigenze del committente.

Sulla base di tale accertamento, la Corte di merito, ha ritenuto meramente accessoria la prestazione di manodopera rispetto alla fornitura di materiale.

Corretta e’ stata quindi la qualificazione giuridica del contratto come contratto di vendita e non di appalto, secondo la distinzione risalente alla pronuncia delle Sezioni Unite del 30.6.2009, n. 15368, secondo cui nel contratto di vendita si e’ in presenza di un’obbligazione di dare mentre nel contratto di appalto e’ prevalente l’obbligazione di fare attraverso l’organizzazione dei mezzi necessari a carico dell’appaltatore.

Laddove, prosegue il giudice, alla prestazione di dare si affianchi quella di fare, si deve aver riguardo alla prevalenza o meno dell’attivita’ sulla materia, da considerare non in senso oggettivo ma con riguardo la volonta’ dei contraenti.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli articoli 115 c.p.c. e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c. perche’, in conseguenza dell’errata qualificazione del contratto, sarebbe stata applicato il termine piu’ breve previsto per la denuncia dei vizi in tema di vendita. Inoltre, la Corte d’appello non avrebbe correttamente valutato una serie di documenti da cui si evincerebbe la tempestivita’ delle contestazioni ed il riconoscimento dei vizi.

Il motivo e’ infondato.

La violazione dell’articolo 115 c.p.c e’ ravvisabile solo ove il giudice abbia deciso in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, ponendo a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio), mentre e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c.

Quanto alla dedotta violazione dell’articolo 116 c.p.c., essa e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione (Cassazione civile sez. un., 30/09/2020, n. 20867).

Nel caso di specie, il ricorrente censura l’apprezzamento, da parte del giudice di merito, del materiale probatorio che ha condotto la Corte d’appello alla qualificazione giuridica del contratto come contratto di vendita.

Non sussiste il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in quanto i documenti di cui si assume l’omesso esame – peraltro sommariamente indicati in violazione del dovere di specificita’ di cui all’articolo 366, comma 1, n. 6 c.p.c.- sono stati esaminati dalla Corte d’appello ed il ricorso sollecita un diverso apprezzamento del materiale probatorio non consentito in sede di legittimita’ (Cass. Sezione Unite n. 8053 del 2014).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 2300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

 

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