La definizione del mercato rilevante di un prodotto o servizio

 

La definizione del mercato rilevante di un prodotto o servizio

 

 

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 3052.

La definizione del mercato rilevante di un prodotto o servizio

In tema di abuso di posizione dominante, la definizione del mercato rilevante di un prodotto o servizio, quando si tratti di stabilire se una clausola contrattuale sia o meno il frutto di una imposizione abusiva, deve essere condotta avuto riguardo a sei criteri indefettibili: a) l’area geografica di diffusione del prodotto o servizio; b) la sostituibilità del prodotto da parte di chi lo domanda; c) la sostituibilità del prodotto da parte di chi lo offre; d) l’esistenza di pressioni concorrenziali; e) la possibilità di interferenza con altri mercati; f) la struttura del mercato. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva ritenuto che il mercato rilevante dovesse, in senso lato, riguardare l’intero settore della gestione dei giochi a pagamento e non soltanto quello della distribuzione dei giochi numerici a totalizzazione nazionale, così errando nella valutazione del criterio di sostituibilità del prodotto da parte di chi lo domanda).

Ordinanza|| n. 3052. La definizione del mercato rilevante di un prodotto o servizio

Data udienza 30 Novembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Scommesse – Sisal – Contratto – Canone mensile . Nova in appello – Limiti – Prospettazione d’una differente qualificazione in iure del contratto – Ammissibilità – Abuso di posizione dominante – Accertamento – Criteri – Nozione di mercato rilevante

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Illustrissimi Signori Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere rel.

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso n. 22136/20 proposto da:

-) (…) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dagli avvocati Gi.Lo., Re.Bo. e Ma.So.;

– ricorrente –

contro

-) Ba.Gi., domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dagli Avvocati MA.Ma. e Cr.Ch.;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 3 dicembre 2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30 novembre 2023 dal Consigliere relatore dott. Marco Rossetti.

1. Ba.Gi., gestore di una tabaccheria, nel 2014 convenne dinanzi al Tribunale di Milano la società (…) Spa, esponendo che:

-) la società Si. è il concessionario del servizio di esercizio e sviluppo dei Giochi Numerici a Totalizzatore Unico Nazionale (GNTN), in virtù di apposito contratto stipulato con l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (d’ora innanzi, AAMS);

-) nel 2009 stipulò con la società Si. un contratto, denominato “Contratto per punto di vendita fisico”, in virtù del quale la Si. gli aveva concesso la legittimazione a raccogliere scommesse e puntate su giochi numerici a totalizzazione nazionale (quali, ad esempio, lotto ed enalotto);

-) la clausola n. 8 del suddetto contratto stabiliva l’obbligo per l’attore di versare alla Si. un canone mensile di euro 167 più IVA;

-) nel contratto si affermava che tale corrispettivo avrebbe dovuto remunerare vari servizi erogati dalla Si. al punto vendita, elencati in un documento allegato al testo contrattuale (tra i quali l’assistenza tecnica, l’assistenza commerciale, la stipula di coperture assicurative);

-) tali servizi, tuttavia, altro non erano che la duplicazione di obblighi che il rapporto concessorio stipulato fra la AAMS e la Si. poneva a carico di quest’ultima, e che erano già remunerati dall’amministrazione concedente con un aggio percentuale sulle giocate raccolte;

-) nella stipula del contratto la Si. aveva abusato della propria posizione dominante.

Sulla base di queste deduzioni l’attore concluse chiedendo che fosse dichiarata nulla la clausola n. 8 del contratto stipulato con la Si.: o ai sensi dell’articolo 1418 c.c., per mancanza di causa, oppure ai sensi dell’articolo 3 della legge 287 del 1990, per abuso di posizione dominante; e che conseguentemente la Si. fosse condannata alla restituzione dei canoni corrisposti in forza della suddetta clausola, a partire dalla data di stipula del contratto.

2. La Si. si costituì regolarmente, contestando la domanda e chiedendone il rigetto.

3. Con sentenza 22 novembre 2017 n. 11767 il Tribunale di Milano accolse la domanda.

In particolare, il Tribunale dichiarò nulla la clausola n. 8 del contratto, ritenendo in larga parte sine causa l’obbligo di pagamento del canone ivi previsto.

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Il Tribunale ritenne che, a fronte di quell’obbligo, non fosse prevista alcuna vera e propria controprestazione da parte della Si.. In particolare:

a) l’obbligo di garantire l’esclusiva territoriale al gestore era derogabile a discrezione della Si.; tale patto costituiva una clausola meramente potestativa, e quindi nulla; di conseguenza – questa parrebbe la conclusione inespressa, ma intuibile, del Tribunale – il gestore a fronte del pagamento del canone non aveva alcun vero diritto a conservare l’esclusiva territoriale;

b) i vari “servizi” che la Si. si obbligava a prestare al gestore del punto di vendita, elencati nell’Allegato n. 2 al contratto (“servizi tecnici”, “servizi commerciali”, “servizi assicurativi”) erano una duplicazione delle prestazioni che la Si. si era già obbligata ad erogare ai gestori dei punti vendita in virtù di quanto previsto dalla convenzione AAMS-Si., e per i quali la suddetta convenzione attribuiva alla Si. un compenso da calcolarsi in percentuale sulle giocate raccolte;

c) sfuggiva alla nullità la sola previsione concernente i “servizi assicurativi”, ovvero l’obbligo della Si. di provvedere alla copertura assicurativa contro i danni a beneficio del gestore.

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Il Tribunale escluse, infine, che la Si. avesse abusato d’una posizione dominante.

In base alle suddette considerazioni il Tribunale condannò la Si. a restituire all’attore l’80% dei canoni incassati sin dalla stipula del contratto. La sentenza fu appellata in via principale della società soccombente, ed in via incidentale da Ba.Gi..

4. Con sentenza 3 dicembre 2019, n. 4792, la Corte d’appello di Milano accolse solo in parte il gravame principale.

La Corte d’appello, innanzitutto, ritenne inammissibili perché nuove, ex art. 345 c.p.c., cinque delle censure sollevate dalla Si.. In particolare, la Corte d’appello:

a) ha ritenuto tardiva la censura con cui la Si. aveva sostenuto che, ai fini del giudizio di nullità delle clausole contenute nel contratto concluso “a valle” con Ba.Gi., fossero ininfluenti le previsioni contenute nella concessione stipulata “a monte” tra la AAMS e la Si. (in quanto concernenti un diverso rapporto giuridico e non integranti un contratto a favore di terzi: primo motivo d’appello, p. 14 della sentenza impugnata);

b) ha ritenuto tardive la deduzione con cui la Si. aveva sostenuto che l’eventuale nullità dei patti contrattuali per difetto di causa andasse valutata con riferimento all’intero contratto, e non con riferimento alle singole obbligazioni; nonché la conseguente deduzione con cui la Si. sostenne che se davvero vi fosse stato approfittamento d’una parte sull’altra, il rimedio sarebbe dovuto essere la rescissione o la risoluzione del contratto, non l’azione di nullità (secondo motivo d’appello, ibidem);

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c) ha ritenuto tardive alcune delle argomentazioni con cui la Si. aveva censurato il giudizio di nullità del patto di esclusiva in quanto sottoposto a una condizione meramente potestativa;

d) ha ritenuto tardiva la deduzione con cui la Si., in via subordinata al rigetto degli altri motivi di gravame, aveva negato che gli obblighi posti a suo carico dalla convenzione con la AAMS coincidessero con quelli previsti dal contratto “a valle”, fossero identici (secondo motivo d’appello, ibidem);

e) ha ritenuto tardiva la deduzione con cui la Si. aveva sostenuto che la pattuizione del canone non si poteva ritenere nulla, una volta accertato -come aveva fatto il Tribunale – che almeno uno degli obblighi posti dal contratto a carico della Si. nei confronti del gestore non costituiva una duplicazione degli obblighi posti a carico della Si. nei confronti dell’AAMS (p. 28 della sentenza impugnata).

4.1. Esclusa dunque l’ammissibilità delle suddette censure, nel merito la Corte d’appello ritenne che:

-) ai fini dell’accoglimento della domanda attorea era “inconferente” stabilire se l’AAMS avesse o non avesse approvato lo schema di contratto sottoposto dalla Si. ai vari punti vendita, dal momento che non rientrava nei poteri dell’Azienda Autonoma sindacare la validità delle clausole contenute nei contratti “a valle” stipulati fra la Si. ed i singoli gestori dei punti vendita;

-) correttamente il Tribunale aveva ritenuto nulla la clausola che prevedeva, quale corrispettivo del canone, il riconoscimento da parte di Si. al gestore del punto vendita di una esclusiva territoriale; tale esclusiva, infatti, poteva essere unilateralmente derogata dalla Si. a propria insindacabile discrezione, con la conseguenza che il diritto di esclusiva formalmente riconosciuto dal contratto al gestore del punto vendita era sottoposto ad una condizione meramente potestativa;

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-) la gran parte delle obbligazioni contrattualmente assunte dalla Si. nei confronti di Ba.Gi. (ed in particolare i “servizi tecnici” ed i “servizi commerciali” di cui all’art. 2 del contratto) non giustificavano il pagamento d’un corrispettivo da parte del gestore del punto vendita, per due ragioni: talune obbligazioni non giustificavano un corrispettivo perché costituivano duplicazioni degli obblighi assunti dalla Si. nei confronti di AAMS con l’atto di concessione, e per i quali la Si. era già remunerata dall’AAMS; altre non giustificavano un corrispettivo perché l’adempierle costituiva mera facoltà della Si.;

-) ha ritenuto tardive ex art. 345 c.p.c. talune delle deduzioni poste da Ba.Gi. a fondamento dell’appello incidentale, con cui questi aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto che i “servizi assicurativi” prestati dalla Si. a favore della controparte giustificassero in parte qua il pagamento del canone mensile;

-) ha confermato la statuizione di primo grado, nella parte in cui quest’ultima aveva escluso un abuso di posizione dominante da parte della Si..

5. La sentenza d’appello è stata impugnata dalla Si. in via principale, con ricorso fondato su dieci motivi, ed in via incidentale da Ba.Gi., con ricorso fondato su due motivi.

La Si. ha resistito con controricorso al ricorso incidentale. Ambo le parti hanno depositato memoria.

Il Collegio ha disposto il deposito della motivazione nel termine di cui all’art. 380 bis, secondo comma, c.p.c..

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1. Il primo motivo del ricorso principale.

Col primo motivo la Si. censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto inammissibile, perché tardiva ex articolo 345 c.p.c., una delle questioni agitate col primo motivo di gravame. L’illustrazione del motivo può così riassumersi:

-) il Tribunale aveva ritenuto sine causa il canone imposto dalla Si. a Ba.Gi., sul presupposto che le controprestazioni promesse a fronte di esso non erano altro che duplicazioni degli obblighi già assunti dalla Si. nei confronti dell’amministrazione concedente, e da questa già remunerati;

-) col primo motivo d’appello la Si. aveva impugnato questa statuizione, deducendo che la concessione da essa stipulata con la AAMS non era un contratto a favore di terzi ex art. 1411 c.c., e che di conseguenza dalle previsioni della concessione non poteva desumersi alcun “diritto” di Ba.Gi. a rifiutare il pagamento del canone;

-) la Corte d’appello dichiarò tuttavia inammissibile ex art. 345 c.p.c., per la sua novità, tale censura;

-) questo giudizio di inammissibilità fu erroneo, in quanto lo stabilire se un contratto sia o non sia una pattuizione a favore del terzo ex art. 1411 c.c. è questione di puro diritto, come tale sottratta alle preclusioni di cui all’articolo 345 c.p.c., secondo l’insegnamento di Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015, dai cui princìpi la sentenza d’appello – conclude la ricorrente – si era discostata.

1.1. Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile in parte qua il primo motivo dell’appello proposto dalla Si., ritenendo che con esso fosse stata introdotta nel processo una questione nuova. Ha basato il giudizio di novità su tre considerazioni (p. 14 della sentenza impugnata):

a) “la sentenza impugnata non qualifica l’Atto di Convenzione (scilicet, la concessione stipulata tra AAMS e Si., n.d.e.) come contratto a favore di terzi”;

b) negli atti di primo grado la Si. non aveva eccepito l’irrilevanza della suddetta concessione ai fini della valutazione dell’invalidità del contratto stipulato con Ba.Gi.;

c) al contrario, era stata la stessa Si. in primo grado a contrastare la pretesa attorea sostenendo che i servizi prestati a Ba.Gi., ai sensi dell’articolo 8 del contratto, non coincidevano con quelli indicati nella convenzione stipulata con la AAMS.

Ciascuna di queste affermazioni costituisce una falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c..

1.2. La prima delle suesposte affermazioni, lungi dal giustificare il giudizio di inammissibilità del primo motivo di appello, è incoerente con esso.

Se infatti una questione di puro diritto, rilevabile d’ufficio, non viene colta dal giudice di primo grado, legittimamente la parte interessata può sottoporla al giudice di secondo grado. Le questioni di diritto, infatti, sfuggono al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., salvo che su esse si sia formato il giudicato interno (ex permultis, da ultimo, Sez. 3 – , Sentenza n. 31330 del 10/11/2023, Rv. 669467 – 02).

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Lo stabilire se un contratto debba o no qualificarsi come negozio a favore del terzo, quando (come nel caso di specie) non ne sia in discussione il contenuto letterale oggettivo, è una questione di puro diritto: così come, ad esempio, lo stabilire se un contratto vada qualificato come appalto o come vendita, oppure come preliminare o definitivo (Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015, Rv. 635536 – 01).

1.3. Per la stessa ragione appena indicata è giuridicamente erronea l’altra affermazione della Corte d’appello, secondo cui il primo motivo d’appello era inammissibile, perché la Si. in primo grado non aveva eccepito che la concessione stipulata con la AAMS fosse irrilevante ai fini dell’interpretazione del contratto stipulato con Ba.Gi..

Infatti, anche lo stabilire – fermi restando i fatti accertati – quale rapporto intercorra tra due contratti; se il primo riverberi effetto sul secondo; se le clausole del secondo debbano o non debbano essere conformi ai patti del primo, sono altrettante questioni di puro diritto, sottratte alla preclusione di cui all’art. 345 c.p.c..

Questa Corte, infatti, ha già più volte affermato che in appello è consentito alle parti proporre, ed al giudice rilevare d’ufficio:

-) un’interpretazione del contratto diversa da quella sostenuta in primo grado (Sez. 1 – , Sentenza n. 7107 del 20/03/2017);

-) l’esistenza (o l’inesistenza) d’un collegamento negoziale (Sez. 1, Sentenza n. 17899 del 10/09/2015, Rv. 636763 – 01);

-) una qualificazione del contratto differente rispetto a quella sostenuta in primo grado, inquadrandolo in un diverso schema giuridico (Sez. 3, Sentenza n. 4744 del 04/03/2005, Rv. 579735 – 01).

1.4. Infine, la terza delle affermazioni della Corte d’appello di cui supra, § 1.1, lettera (c), ha falsamente applicato l’art. 345 c.p.c. sul piano della logica. La Corte d’appello, infatti, sembra avere così ragionato (per quanto è dato comprendere dall’esposizione molto sintetica di cui a p. 14, ultimo capoverso, della sentenza d’appello):

-) in primo grado la Si. aveva sostenuto che il canone pagato da Ba.Gi. aveva una sua causa giustificatrice, perché a fronte di esso la Si. si obbligava ad erogare prestazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle cui si era obbligata nel differente contratto stipulato con la AAMS;

-) con questa difesa la Si. aveva perciò mostrato di ritenere che il contratto stipulato tra Si. e l’AAMS potesse costituire un utile parametro per qualificare ed interpretare il contratto tra Si. e Ba.Gi.;

-) ergo, era inibito alla Si. iniziare a sostenere, per la prima volta in appello, che il contratto stipulato tra Si. e la AAMS fosse invece irrilevante i fini della qualificazione e dell’interpretazione del contratto stipulato tra la Si. e Ba.Gi..

1.4. Questa valutazione sovverte tuttavia la logica dell’art. 345 c.p.c.. E la dell’art. 345 c.p.c. è questa: la parte che in primo grado solleva un’eccezione fondata su un principio di diritto, e vede darsi torto, può legittimamente riproporre in appello la propria eccezione, anche fondandola su un diverso principio di diritto, se restano fermi i fatti da accertare.

1.5. Nel caso di specie la Si. in primo grado sostenne che il canone le era dovuto, perché i servizi resi a Ba.Gi. non erano remunerati aliunde. Si sentì rispondere dal Tribunale che, invece, quei servizi erano remunerati dalla provvigione pagatale dalla AAMS, e quindi il canone era sine causa.

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La Si. allora ha impugnato tale statuizione sostenendo che i patti conclusi tra essa e l’AAMS erano irrilevanti per stabilire se il canone pagato da Ba.Gi. avesse o non avesse una causa giustificatrice. Dunque, il primo motivo d’appello, lungi dall’introdurre nel processo un nuovo thema decidendum, sollevò una questione di diritto che fu conseguenza diretta della ratio decidendi adottata dal Tribunale.

1.6. Il primo motivo di ricorso va dunque accolto in applicazione del seguente principio di diritto:

“l’art. 345 c.p.c. non osta alla prospettazione per la prima volta in appello d’una qualificazione o di una interpretazione del contratto non invocate in primo grado, se tali deduzioni non esigono nuovi accertamenti di fatto”.

2. Secondo motivo del ricorso principale.

Anche col secondo motivo la società ricorrente lamenta la violazione

dell’articolo 345 c.p.c.

Sostiene una tesi così riassumibile:

a) il Tribunale aveva ritenuto sine causa l’obbligo del gestore di pagare il canone, sul presupposto che alcune delle obbligazioni assunte dalla Si. nei confronti di Ba.Gi. costituivano duplicazione delle obbligazioni assunte dalla Si. nei confronti della AAMS, e dovevano perciò ritenersi già remunerate dall’aggio concessorio;

b) tale statuizione era stata da essa impugnata sostenendo che le obbligazioni assunte dalla Si. nel contratto stipulato con Ba.Gi. dovevano considerarsi un unicum, sicché l’eventualità che alcune di esse replicassero quelle già previste dalla concessione Si.-AAMS non ne poteva comportare la nullità, ma al massimo la risoluzione o la rescissione;

c) la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile perché nuova la suddetta censura;

d) la valutazione della Corte d’appello fu erronea, perché il motivo di gravame prospettava una questione di puro diritto.

2.1. Il motivo è fondato per le medesime ragioni già esposte nei precedenti paragrafi 1.2. e seguenti. Infatti, anche lo stabilire con quale criterio debba essere interpretato un contratto; se esso sia viziato da nullità o da un difetto sopravvenuto del sinallagma; quale rimedio accordi la legge al vizio prospettato da una delle parti, costituiscono altrettante questioni di puro diritto.

3. Il terzo motivo del ricorso principale.

Col terzo motivo la Si. prospetta il vizio di nullità della sentenza per mancanza di motivazione, ai sensi dell’articolo 132 c.p.c.. L’illustrazione del motivo può essere così riassunta:

-) con il primo motivo di appello, la Si. aveva dedotto che il contratto stipulato con Ba.Gi. non poteva essere reputato nullo, perché il testo di esso era stato preventivamente approvato dalla AAMS;

-) la Corte d’appello aveva ritenuto non provata la circostanza di tale preventiva approvazione;

-) nel formulare tale giudizio, tuttavia, la Corte d’appello aveva travisato le prove raccolte.

3.1. Il terzo motivo di ricorso è proposto dalla Si. dichiaratamente in via subordinata rispetto al rigetto dei primi due: e resta perciò assorbito.

4. Il quarto motivo del ricorso principale.

Col quarto motivo è prospettata la violazione dell’art. 345 c.p.c. Deduce l’appellante che:

-) il giudice di primo grado ritenne che la previsione del patto di esclusiva a favore del gestore del punto vendita non giustificava il pagamento del canone, perché il patto di esclusiva era sottoposto ad una condizione meramente potestativa (e cioè la facoltà della Si. di escluderlo a suo piacimento);

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-) questa statuizione era stata impugnata sulla base di plurimi argomenti: tra questi, la Si. aveva dedotto che la possibilità di deroga al patto di esclusiva non costituiva una condizione sospensiva; che Ba.Gi. non aveva interesse ex articolo 100 c.p.c. ad impugnare la suddetta clausola; che, a tutto concedere, la clausola in esame avrebbe potuto comportare solo una nullità parziale;

-) i suddetti argomenti erano stati ritenuti inammissibili perché nuovi, ex articolo 345 c.p.c. dalla Corte d’appello;

-) la decisione della Corte d’appello fu erronea, perché le questioni sopra elencate costituivano altrettante questioni di diritto, come tali prospettabili per la prima volta in grado di appello.

4.1. Il motivo, che la ricorrente dichiara espressamente subordinato al rigetto dei primi due, resta assorbito.

5. Il quinto motivo del ricorso principale.

Col quinto motivo la sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha ritenuto che il patto di esclusiva territoriale contenuto nel contratto stipulato fra la Si. e Ba.Gi. fosse sottoposto ad una condizione meramente potestativa; che di conseguenza era nullo; che di conseguenza quel patto non giustificava di per sé il pagamento del canone a favore della Si.. Nell’illustrazione del motivo la Si. deduce che con tale giudizio la Corte d’appello ha violato l’articolo 1355 c.c.

Sostiene la ricorrente che clausola meramente potestativa è quella che subordina l’assunzione di un obbligo o l’acquisto di un diritto al puro arbitrio dell’alienante o dell’acquirente; non è invece una clausola meramente potestativa quella che accorda ad uno dei contraenti una facoltà di scelta ancorata a parametri oggettivi e comunque al rispetto del dovere di buona fede.

5.1. Il motivo è espressamente subordinato dalla ricorrente al rigetto dei motivi precedenti, sicché dovrebbe ritenersi assorbito.

6. Il sesto motivo del ricorso principale.

Col sesto motivo (anch’esso subordinato al rigetto del primo) la sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha ritenuto che il canone imposto dalla Si. a Ba.Gi. non fosse giustificato dai “servizi aggiuntivi” (“tecnici”, informatici” e “commerciali”) elencati nell’Allegato 2 al contratto, in quanto quell’elenco costituiva una pura duplicazione degli obblighi assunti dalla Si. nei confronti di AAMS nel contratto di concessione.

6.1. Questa statuizione è censurata dalla ricorrente con molteplici ragioni, così riassumibili:

-) violazione dell’art. 1362 c.c., poiché le previsioni della Convenzione non coincidevano dal punto di vista semantico con quelle del Contratto “a valle”;

-) violazione dell’art. 101 c.p.c., perché la Corte d’appello ha rigettato il gravame, e ritenuta fondata la domanda attorea, per ragioni parzialmente diverse da quelle adottate dal Tribunale, senza previamente sottoporre la questione alle parti;

-) nullità della sentenza per mancanza o intelligibilità della motivazione, poiché la Corte d’appello si è limitata a dichiarare “essere evidente” la coincidenza fra gli obblighi assunti dalla Si. nei confronti della AAMS, e quelli assunti dalla stessa nei confronti di Ba.Gi., senza spiegare l’iter logico-giuridico seguito per pervenire a tale conclusione;

-) omesso esame di fatti decisivi, rappresentati dalle concrete modalità con cui la Si. ha erogato i servizi tecnici, informatici e commerciali a Ba.Gi..

6.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.

7. Il settimo motivo del ricorso principale.

Col settimo motivo (anch’esso subordinato al rigetto del primo) la Si. sviluppa una tesi così riassumibile:

-) la Corte d’appello ha ritenuto che il canone dovuto da Ba.Gi. non trovasse corrispettivo nella facoltà d’uso dei marchi “Si.”, in quanto

l’uso di tali marchi era soggetto ad una condizione meramente potestativa, e cioè il gradimento della Si.;

-) questa decisione fu erronea, perché la clausola qualificata come “condizione meramente potestativa” in primo luogo non era una condizione, ma se lo fosse stata non era “meramente” potestativa.

7.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo.

8. L’ottavo motivo del ricorso principale.

Con l’ottavo motivo la ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui, dopo aver dichiarato inammissibile ex articolo 345 c.p.c. il secondo motivo di appello, lo ha comunque esaminato nel merito e ritenuto infondato.

8.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso; in ogni caso sarebbe inammissibile perché il giudice d’appello, dopo aver dichiarato inammissibile il secondo motivo di gravame, si era spogliato della potestas iudicandi, e tutte le sue osservazioni sul merito dell’impugnazione sono tamquam non essent.

9. Il nono motivo del ricorso principale.

Col nono motivo, anch’esso subordinato al rigetto del primo, la sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha quantificato il credito restitutorio di Ba.Gi. nella misura di quattro quinti del canone concordato, sul presupposto che quattro dei cinque servizi cui la Si. si era obbligata erano frutto di pattuizioni ritenute nulle.

9.1. Tale statuizione è censurata con argomenti così riassumibili:

a) erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto non provata la circostanza che i cinque servizi cui Si. si era obbligata avessero valore commerciale diverso;

b) erroneamente la Corte d’appello ha addossato alla Si. l’onere della prova sub (a);

c) la Corte d’appello ha giustificato la propria decisione con una motivazione apodittica;

d) la Corte d’appello è pervenuta ad una modificazione del contratto al di fuori dei casi consentiti dalla legge;

e) la Corte d’appello ha fatto ricorso alla liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. in un caso in cui non era consentita: non si trattava infatti di stimare un danno, ma di quantificare un credito restitutorio da indebito oggettivo.

9.2. Il motivo è stato dichiarato espressamente dalla Si. “subordinato” al rigetto del primo motivo di ricorso, sicché l’esame di esso resta inibito.

10. Il decimo motivo del ricorso principale.

Col decimo motivo, anch’esso proposto in via subordinata, la ricorrente la menta:

-) la violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, per avere la Corte d’appello trascurato di prendere in esame il motivo di gravame inteso a sostenere che il credito restitutorio di Ba.Gi. si sarebbe dovuto far decorrere dal luglio del 2009, e non dal gennaio 2009, in quanto solo da luglio 2009 l’attore aveva iniziato a pagare il canone di cui chiedeva la parziale restituzione;

-) l’errore nel calcolo del credito, per avere conteggiato anche l’IVA.

10.1. Il motivo, formulato dichiaratamente in via subordinata, resta assorbito dal rigetto del primo motivo.

La definizione del mercato rilevante di un prodotto o servizio

11. Il primo motivo del ricorso incidentale.

Col primo motivo di ricorso incidentale Ba.Gi. censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha escluso la sussistenza di un abuso di posizione dominante da parte della Si., e la conseguente nullità per questa ragione della clausola n. 8 del contratto. Il motivo è illustrato come segue:

a) per stabilire se una impresa abusi della propria posizione dominante occorre innanzitutto stabilire quale sia il “mercato rilevante” in cui quella impresa opera;

b) la Si. opera nel mercato dell’accesso e della gestione della raccolta di giochi e scommesse a totalizzatore nazionale, ed in questo settore è monopolista, perché nessuno potrebbe raccogliere scommesse in un punto vendita fisico, se non stipulando un contratto con la Si.;

c) la Corte d’appello ha negato l’abuso di posizione dominante (e quindi la conseguente nullità della clausola n. 8 del contratto) sul presupposto che il “mercato rilevante” da prendere in considerazione fosse il mercato globale dei giochi e delle scommesse (comprensivo, quindi, anche dei giochi diversi da quelli “numerici a totalizzazione nazionale”, o GNTN), concludendo che rispetto a tale mercato non vi fosse prova che la Si. avesse una posizione dominante;

d) così giudicando, la Corte d’appello ha violato l’art. 3 della l. 287/90 e 102 del TFUE, per avere preso in considerazione anche il mercato definito “a valle”, ovvero quello in cui si fronteggiano scommettitori ed allibratori, invece che il solo c.d. “a monte”, ovvero quello in cui si fronteggiano allibratori e gestori della raccolta.

11.1. La Si. ha replicato a tale mezzo di ricorso sollevando due eccezioni:

a) stabilire quale sia il “mercato rilevante”, ai fini dell’accertamento dell’esistenza d’una posizione in esso dominante, è questione di fatto, riservata al giudice di merito;

b) in ogni caso il divieto di abuso di posizione dominante non s’applica a quanti esercitano un’attività economica in regime di monopolio per previsione di legge, come nel caso della Si., giusta la previsione di cui all’art. 8, comma 2, l. 287/90.

11.2. La prima delle suddette eccezioni è infondata.

Se è vero che lo stabilire quale sia il “mercato rilevante”, ai fini dell’accertamento dell’esistenza d’un abuso di posizione dominante ex art. 3 l. 10.10.1990 n. 287, è un accertamento di fatto, non è men vero che tale accertamento non può essere compiuto quomodolibet, ma va svolto nel rispetto di alcuni criteri da tempo stabiliti da questa Corte, ribaditi dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea e suggeriti dalla Commissione Europea. Ed il rispetto di tali criteri (di cui si dirà più oltre) costituisce un giudizio di diritto, come tale sindacabile in sede di legittimità.

E poiché Ba.Gi., col proprio ricorso, ha prospettato per l’appunto la violazione, da parte della Corte d’appello, dei criteri di giudizio in base ai quali delimitare il “mercato rilevante” nel caso di specie, il ricorso è ammissibile perché prospetta una quaestio iuris.

11.2. La seconda delle eccezioni preliminari sollevate dalla Si. avverso il primo motivo di ricorso incidentale è infondata.

L’art. 8, comma 2, della l. 287/90 non è un salvacondotto che possa giustificare qualunque pratica commerciale posta in essere dal concessionario unico di pubblici servizi. L’esenzione ivi prevista incontra infatti (almeno) due limiti:

a) il concessionario ex lege o il monopolista non sono esonerati dal divieto di abuso di posizione dominante, quando sia loro contestata – come appunto nel caso di specie – l’applicazione di prezzi ingiustificatamente elevati (od overpricing che dir si voglia);

b) il concessionario ex lege o il monopolista sono esonerati dal divieto di abuso di posizione dominante solo se il rispetto di quel divieto risulti di ostacolo all’adempimento dei compiti loro affidati dalla pubblica amministrazione (così la fondamentale decisione di Corte giust. CE, 3.10.1985, CBEM c. CLT ed all., in causa C-311/84: sostanzialmente nello stesso senso, per la giurisprudenza di questa Corte, Sez. 1 – , Sentenza n. 11456 del 10/05/2017, Rv. 644075 – 01, nonché Sez. 1, Sentenza n. 3638 del 13/02/2009, Rv. 606808 – 01, con riferimento specifico all’ipotesi di abuso di posizione dominante).

Ma ovviamente, a livello teorico, l’eventuale nullità della clausola n. 8 del contratto stipulato tra Si. e Ba.Gi. non impedirebbe certo alla prima lo svolgimento delle funzioni assegnatale dall’AAMS.

11.3. Nel merito, il motivo è fondato.

I criteri in base ai quali circoscrivere il “mercato rilevante” di un prodotto o servizio, quando si tratti di stabilire se un patto contrattuale sia o non sia il frutto di un abuso di posizione dominante, sono stati da tempo stabiliti sia dalla Corte di Lussemburgo, sia da questa Corte.

Questi criteri possono essere molti e mutevoli, ma tra essi sei sono stati ritenuti indefettibili, e cioè:

a) l’area geografica di diffusione del prodotto o servizio;

b) la sostituibilità del prodotto da parte di chi lo domanda (in base a questo criterio il mercato rilevante, per i fini di cui all’art. 3 l. 287/90, va determinato includendovi il mercato di tutti i prodotti idonei a sostituire quello offerto dall’impresa della cui posizione dominante si disputa, sicché all’aumento del prezzo del prodotto da questa offerto sia ragionevole ritenere che corrisponda un aumento della domanda dei prodotti concorrenti);

c) la sostituibilità del prodotto da parte di chi lo offre (in base a questo criterio il mercato rilevante, per i fini di cui all’art. 3 l. 287/90, va determinato escludendovi il mercato di tutti i prodotti che l’impresa della cui posizione dominante si disputa non potrebbe offrire, se non a prezzo di consistenti investimenti e modifiche della propria organizzazione produttiva);

d) l’esistenza di pressioni concorrenziali;

e) la possibilità di interferenza con altri mercati (in base a questo criterio, c.d. della cross subsidization, il mercato rilevante va determinato includendovi quello dei prodotti primari o semilavorati che entrano nel ciclo produttivo del prodotto finale);

f) la struttura del mercato.

11.4. Questi princìpi vennero affermati nella sentenza “capostipite” pronunciata da Corte giust. CE 13.2.1979, Hoffmann La Roche c. Commissione, in causa C-87/76 (§ 28 della motivazione), e da allora sono rimasti immutati nella loro essenza, e ripetutamente ribaditi tanto dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea (ex multis, da ultimo, Corte giust. UE, 30.1.2020, Generics ed all. c. Competition and Markets Authority, in causa C-307/18; nello stesso senso, Corte giust. UE, 23.1.2018, Hoffmann-La

Roche ed all., c. AGCOM, in causa C-179/16), quanto da questa Corte (ex multis, Sez. 1 – , Sentenza n. 29237 del 12/11/2019, Rv. 656040 – 01; Sez. I, Sentenza n. 11564 del 04/06/2015, Rv. 635648 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 3638 del 13/02/2009, Rv. 606807 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 6368 del 17/05/2000, Rv. 536591 – 01).

II.5. Nel caso di specie la sentenza impugnata non ha rispettato i suddetti criteri. Essa, infatti, contiene esattamente i due errori denunciati dal ricorrente.

11.6. Il primo errore di diritto contenuto nella sentenza impugnata è la sostanziale elusione dei criteri di accertamento del mercato rilevante elencati al § 11.3 che precede.

La Corte d’appello, infatti, ha individuato il mercato rilevante senza esaminare se il servizio offerto dalla Si. fosse o meno “sostituibile”, dal lato della domanda e quindi da parte di Ba.Gi., con altri servizi. In particolare, la Corte d’appello ha trascurato di esaminare se un teorico aumento del costo dei servizi offerti dalla Si. potesse o no avere l’effetto di spingere i gestori dei punti vendita fisici verso l’offerta ai clienti di altri tipi di giochi. Se, infatti, mancasse questa sostituibilità, il mercato dell’offerta di gestione di giochi diversi dai GNTN non sarebbe rilevante, e non se ne sarebbe potuto tenere conto ai fini dell’accertamento dell’esistenza d’una posizione dominante da parte di Si..

11.7. Il secondo errore di diritto contenuto nella sentenza impugnata è consistito nell’illegittimità dell'(unico) criterio adottato per la individuazione del mercato rilevante.

La sentenza impugnata infatti, secondo quanto è dato comprendere dalla stringata sintassi di cui alle pp. 26-27, ha così argomentato la propria decisione:

a) la distribuzione di giochi numerici a totalizzazione nazionale (GNTN) mediante punti vendita fisici può avvenire solo per il tramite di Si. (p. 26 della sentenza impugnata);

b) tuttavia “non sussistono impedimenti all’accesso di Ba.Gi. alla rete di distribuzione fisica” (p. 27);

c) ergo, il mercato di accesso alla rete distributiva fisica è “irrilevante”, mentre rilevante è “in generale il mercato dei giochi e delle scommesse”. Non si soffermerà questa Corte sugli evidenti salti logici esistenti tra i passaggi sopra riassunti (non censurati, né del resto censurabili, per effetto del novellato art. 360, n. 5, c.p.c. che ha soppresso la possibilità di dolersi in questa sede della mera “insufficienza” della motivazione).

La definizione del mercato rilevante di un prodotto o servizio

Quel che rileva è che la Corte d’appello pare avere stabilito un’equazione tra la possibilità di accedere ad un servizio, ed il criterio di delimitazione del mercato rilevante di quel servizio.

“Se un servizio è accessibile senza impedimenti – pare dire la sentenza impugnata – il “mercato rilevante” di quel servizio va considerato in senso ampio”.

Tale criterio, per quanto detto, è erroneo: l’accessibilità ad un servizio nulla ha a che vedere coi criteri di delimitazione del mercato rilevante, ed in particolare col criterio della sostituibilità del prodotto da parte di chi lo domanda.

Così, nel caso di specie, la mancanza di impedimenti per Ba.Gi. ad accedere alla rete di distribuzione fisica è circostanza inidonea a individuare il mercato rilevante, una volta che – come accertato dalla stessa Corte ambrosiana – “per il mercato della raccolta fisica, solo Si. può attivare i punti vendita”.

E se solo Si. può attivare i punti vendita della raccolta fisica, quel servizio non è sostituibile per chi ne usufruisce; e se quel servizio non è sostituibile, il mercato rilevante di esso non può comprendere servizi di tipo diverso.

12. Il secondo motivo del ricorso incidentale.

Il secondo motivo di ricorso incidentale contiene due censure.

12.1. Con una prima censura è prospettato il vizio di omessa pronuncia. Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi su uno dei motivi dell’appello incidentale da lui proposto: quello con cui l’odierno ricorrente sosteneva l’illegittimità della pretesa di Si. di esigere da lui un compenso per i “servizi assicurativi”, in quanto il costo di tale servizio doveva ritenersi ricompreso nel compenso dovuto da AAMS al concessionario.

La definizione del mercato rilevante di un prodotto o servizio

12.1.1. La censura è fondata.

Ba.Gi. col primo motivo d’appello incidentale formulò tre diverse censure, così riassumibili:

a) la previsione contrattuale che accordava a Si. un compenso per avere stipulato polizze assicurative a copertura dei rischi di danni e furto “non aveva giustificazione causale”, e quindi non legittimava in parte qua il pagamento del canone (§ 168 dell’appello incidentale);

b) Si. in ogni caso aveva svolto abusivamente l’attività di intermediario assicurativo (tesi singolare, in verità, posto che non è “intermediario” ex art. 109 cod. ass. chi stipula una polizza per conto altrui, ex art. 1891 c.c.) (§ 178 dell’appello incidentale);

c) infine, la pretesa di Si. di addebitargli un costo per i “servizi assicurativi” era illegittima, in quanto il costo di tale servizio doveva ritenersi compreso nel compenso dovuto da AAMS al concessionario (§ 180 dell’appello incidentale).

12.1.2. La Corte d’appello ha rigettato la prima censura; ha ritenuto tardiva ex art. 345 c.p.c. la seconda, ma non ha provveduto sulla terza.

12.2. Con una seconda censura contenuta nel secondo motivo di ricorso incidentale è prospettato l’error in procedendo.

Sostiene il ricorrente incidentale che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto inammissibile, perché nuova ex art. 345 c.p.c., l’eccezione di “illiceità del servizio assicurativo svolto dalla Si., per avere svolto una attività riservata per legge a soggetti alle imprese di assicurazione o agli intermediari”.

Sostiene che la nullità del contratto può essere rilevata anche d’ufficio ed anche in sede di legittimità.

12.2.1. Il motivo, in relazione a tale seconda censura, è inammissibile e comunque infondato.

In primo luogo, è inammissibile perché il ricorrente discorre genericamente di distribuzione di “contratti assicurativi”, senza spiegare – in violazione dell’onere impostogli dall’art. 366, nn. 3 e 4 c.p.c. – nulla della fattispecie concreta. In particolare, non allega: se i contratti della cui nullità si duole sono stati stipulati dalla Si. per conto proprio od altrui (art. 1891 c.c.); se sono stati stipulati da lui per il tramite della Si.; se di conseguenza lui riveste la posizione di contraente o di assicurato.

Sicché, nulla sapendo della fattispecie concreta, è impossibile per questa Corte stabilire se l’eccezione ritenuta tardiva dalla Corte d’appello implicasse o meno accertamenti di fatto, e come tale fosse effettivamente inammissibile ex art. 345 c.p.c..

12.2.2. In secondo luogo, il motivo è comunque infondato.

Anche a prendere per buona l’allegazione secondo cui la Si. avrebbe svolto l’attività di intermediazione assicurativa, proprio per questa ragione il motivo di gravame sarebbe stato inammissibile, perché il suo accoglimento avrebbe imposto la risoluzione di una questione di puro fatto, cioè quella sulle concrete modalità di svolgimento della intermediazione assicurativa.

12.2.3. Adabundantiam, rileva la Corte che Ba.Gi. non ha interesse a proporre la censura di cui qui si discorre, dal momento che il contratto di assicurazione stipulato per il tramite di un intermediario abusivo non è nullo; la nullità è infatti prevista dalla legge solo nel caso di stipula con una impresa assicurativa non autorizzata (art. 167 cod. ass.).

La definizione del mercato rilevante di un prodotto o servizio

13. Si impone, quindi, la cassazione della gravata sentenza in relazione alle censure qui accolte. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

(-) accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, nei sensi indicati in motivazione;

(-) dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso principale;

(-) accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, nei limiti di cui in motivazione;

(-) cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 30 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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