La declaratoria di nullità del contratto di compravendita

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 17 gennaio 2020, n. 886.

La massima estrapolata:

Nel giudizio volto ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto di compravendita di un immobile per illiceità della causa, siccome stipulato a titolo di corrispettivo di un prestito usurario, non è configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti dell’amministratore della società acquirente ritenuto responsabile del delitto di usura per essersi fatto dare o promettere interessi illeciti e per aver procurato l’acquisto dell’immobile in corrispettivo del detto prestito, avendo questi contratto nell’esercizio dei poteri gestori e in nome e per conto della società, unica parte sostanziale del negozio di vendita. (La S.C. ha enunciato il principio in una fattispecie in cui era stata dichiarata la nullità di un contratto di vendita immobiliare stipulato in attuazione di un prestito usurario, dopo che il socio ed amministratore della società acquirente era stato condannato per il reato di usura, per essersi fatto promettere interessi illeciti dai soci della venditrice, ottenendo, al momento della dazione del denaro, la sottoscrizione di contratti preliminari).

Sentenza 17 gennaio 2020, n. 886

Data udienza 29 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11755/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 4252/2017, depositata in data 11.10.2017;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29.10.2019 dal Consigliere Dott. (OMISSIS);
Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sgroi Carmelo, che ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso;
Uditi l’avv. (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullita’ del contratto stipulato in data 30.12.2008, con cui la (OMISSIS) s.r.l. aveva venduto alla (OMISSIS) s.r.l. l’immobile sito in (OMISSIS), ritenendo che il trasferimento fosse avvenuto in attuazione di un prestito usurario.
Il Giudice distrettuale ha rilevato che, con sentenza ex articolo 444 c.p.p. (OMISSIS), socio ed amministratore della societa’ ricorrente, era stato condannato per il reato di usura, per essersi fatto promettere interessi illeciti da (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), soci di (OMISSIS) s.r.l. e della (OMISSIS) s.r.l., ottenendo, al momento della dazione del denaro, il rilascio di cambiali e la sottoscrizione di contratti preliminari.
Ha stabilito inoltre che l’atto di cessione immobiliare del 30.12.2008 e’ affetto da nullita’ ex articolo 1418 c.c. in quanto la sua causa e’ illecita; in particolare presenta gli estremi del reato di usura in quanto il trasferimento e’ avvenuto come pagamento di interessi usurari e la cessione del bene ha costituito un mezzo utilizzato dall’agente per conseguire vantaggi usurari, non essendo solo il mutuo il solo strumento giuridico con cui si puo’ realizzare l’usura”.
Ha ritenuto che la condotta del (OMISSIS), amministratore della (OMISSIS) s.r.l., fosse imputabile alla societa’ ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5 poiche’ l’atto illecito, benche’ doloso, costituiva esplicazione dell’attivita’ della (OMISSIS) s.r.l., tendendo “al conseguimento dei fini di quest’ultima”.
La cassazione di questa sentenza e’ chiesta dalla (OMISSIS) s.r.l. sulla base di due motivi di ricorso.
La (OMISSIS) s.r.l. ha depositato controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 14841/2019, la Sesta sezione ha rimesso la causa alla pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve respingersi l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso che, contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, contiene una sufficiente esposizione delle vicende processuali e delle questioni dibattute, sollevando censure che non attengono al merito ma che propongono quesiti in diritto, suscettibili dello scrutinio di legittimita’.
2. Il primo motivo censura la violazione degli articoli 101, 102 e 354 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo che (OMISSIS), amministratore della societa’ ricorrente, era parte necessaria del giudizio di nullita’, non potendosi accertare l’illiceita’ del negozio senza consentire l’esercizio del diritto di difesa al soggetto che aveva materialmente concluso il contratto.
Il motivo e’ palesemente infondato, dovendo rilevarsi che il (OMISSIS), ritenuto responsabile del delitto di usura per essersi fatto dare o promettere interessi illeciti e per aver procurato l’acquisto dell’immobile in corrispettivo del prestito usurario, non era parte della vendita, avendo pacificamente contratto nell’esercizio dei poteri gestori e in nome e per conto della (OMISSIS) s.r.l., unica parte sostanziale del negozio di vendita.
La partecipazione al giudizio dell’amministratore non era necessaria, potendo rilevare solo a fini probatori, non configurandosi un’ipotesi di litisconsorzio necessario, poiche’ la domanda – di mero accertamento – era diretta a privare di effetti il contratto illecito e, pertanto, la successiva sentenza dichiarativa della nullita’ era suscettibile di pratica attuazione fra le parti sostanziali del rapporto (cfr. in tema di rappresentanza, Cass. 1701/1974; Cass. 9581/1991; Cass. 135/1977).
3. Il secondo motivo censura la violazione del Decreto Legislativo n.. 231 del 2001, articolo 5 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza ritenuto che la condotta illecita dell’amministratore fosse direttamente imputabile alla societa’ ricorrente in virtu’ del rapporto di immedesimazione organica, non considerando che il (OMISSIS) aveva agito esclusivamente nell’interesse proprio.
La sentenza di applicazione della pena su richiesta non poteva avere effetti nel giudizio civile e – inoltre – i fatti oggetto del giudizio penale erano pertinenti anche ad altre vicende, non sussistendo alcuna identita’ con quelli dedotte in sede civile.
Il motivo e’ infondato, dovendosi correggere la motivazione della sentenza, che e’ conforme a diritto nel dispositivo.
La responsabilita’ penale di (OMISSIS), amministratore della (OMISSIS) s.r.l., per il delitto di usura, e’ stata oggetto della sentenza di applicazione della pena su richiesta ex articolo 444 c.p.p.. Il (OMISSIS) era stato imputato per aver ottenuto, tra l’altro, il trasferimento del complesso immobiliare per cui e’ causa.
All’atto della concessione dei prestiti, con interessi oscillanti tra il 5 ed il 10% mensili, questi si era fatto consegnare taluni preliminari di vendita immobiliare sottoscritti dalle vittime.
La Corte distrettuale ha accertato che l’atto di vendita, oggetto del presente giudizio, era “proprio lo stesso del giudizio penale” (cfr. sentenza pag. 3).
Non viene dunque in rilievo la possibilita’ di imputare alla (OMISSIS) l’agire dell’amministrazione ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5.
Dalla ricostruzione in fatto operata dalla sentenza impugnata e’ agevole evincere che il trasferimento immobiliare si e’ attuato mediante un contratto a causa illecita, essendo concepito – tramite la consegna dei contratti preventivamente sottoscritti – come attribuzione di uno specifico vantaggio usurario a titolo di corrispettivo del prestito.
Ha evidenziato il giudice di merito che “l’atto di vendita presentava gli estremi del reato di usura, in quanto il trasferimento e’ avvenuto come pagamento di interessi usurari e la cessione del bene ha costituito un mezzo utilizzato dall’agente per conseguire vantaggi usurari, non essendo solo il mutuo il solo strumento giuridico con cui si puo’ realizzare l’usura” (cfr. sentenza pagg. 3 e 5).
In definitiva, il contratto aveva attuato uno scambio tra la proprieta’ dell’immobile (dal valore dichiarato di Euro 400.000,00), ed il prestito di Euro 100.00,00 al tasso di interessi mensile oscillante tra il 5% ed il 10% mensili.
Sulla scorta di tali non contestate conclusioni cui e’ pervenuta la Corte distrettuale, era dunque irrilevante che l’operazione illecita fosse stata conclusa dal (OMISSIS), nella qualita’ di amministratore unico della societa’ acquirente, poiche’ la violazione dell’articolo 644 c.p. sussiste anche qualora il profitto illecito sia rivolto a vantaggio di un soggetto diverso dall’autore materiale del reato, restando comunque impregiudicata – sotto il profilo civilistico – l’illiceita’ del negozio, posto inoltre che il trasferimento dell’immobile aveva costituito proprio il “vantaggio” patrimoniale cui era rivolto la condotta penalmente rilevante posta in essere dall’amministratore stesso (cfr., Cass. pen. 2134/1978, con riferimento alla formulazione dell’articolo 644 c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 108 del 1996).
Va difatti ribadito che al fine d’integrare il fatto contemplato dall’articolo 644 c.p., come novellato dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, e’ richiesto solo il requisito oggettivo dello squilibrio legalmente qualificato nell’ambito del contratto a prestazioni corrispettive.
Ne consegue che la linea di demarcazione tra condotta penalmente rilevante e operazione lecita in relazione alle concrete ed eventualmente complesse caratteristiche del rapporto, e’ dettata proprio dalla sproporzione dei vantaggi unilateralmente conferiti ad una sola delle parti (Cass. 17882/2011, in tema di rescissione per lesione).
L’accertamento, svolto dal giudice distrettuale, in ordine alla corrispondenza tra i fatti dedotti a fondamento della domanda e le condotte sanzionate ai sensi dell’articolo 644 c.p.c. nel processo penale a carico del (OMISSIS), e in merito alla consumazione del reato, da parte di quest’ultimo, tramite il perfezionamento della vendita, giustificava il giudizio di illiceita’ della causa (Cass. 21098/2013; Cass. 8138/2009, con riferimento all’originaria formulazione dell’articolo 644 c.p.c) e la pronuncia di nullita’ del contratto, non occorrendo verificare l’operativita’ dei meccanismi di imputazione della condotta dell’amministratore ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5.
3.1. Correttamente la sentenza ha desunto l’illiceita’ del contratto dalla sentenza di patteggiamento, la quale – pur non avendo effetti vincolanti nel giudizio civile – e’ elemento di cui il giudice puo’ tener conto quale elemento liberamente valutabile, idoneo anche da solo a giustificare la decisione (Cass. 2500/2018; Cass. 30328/2017), posto inoltre che, come gia’ osservato, la Corte di merito ha riscontrato la perfetta corrispondenza tra i fatti oggetto dell’incolpazione penale con l’operazione di trasferimento impugnata in sede civile, non rilevando che l’imputazione e la condanna riguardassero anche altre vicende.
Il ricorso e’ respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza. Si da’ atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente e’ tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro. 7500,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.
Da’ atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente e’ tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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