La decadenza obbligatoria dal regime di aiuti comunitari

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 19 agosto 2019, n. 5738.

La massima estrapolata:

La decadenza obbligatoria dal regime di aiuti comunitari ed il conseguente recupero delle somme indebitamente percepite, previsti dalla L. 23 dicembre 1986 n. 898, pur assolvendo ad una indubbia funzione punitiva, non hanno, tuttavia, natura di sanzione amministrativa, essendo, con ciò, sottratti allo statuto normativo di cui alla L. n. 689/1981.

Sentenza 19 agosto 2019, n. 5738

Data udienza 16 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 428 del 2010, proposto da
Io. Im. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. M. Le. e Sa. La., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Al. M. Le. in Roma, via (…);
contro
Regione Puglia, in persona del Presidente in carica pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Ug. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Mi. Ar. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – sezione staccata di Lecce, Sezione Prima, n. 3628/2008, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 maggio 2019 il Cons. Giovanni Grasso e udito, per la parte appellata, l’avvocato De Lu.. per delega di Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Io. Im. s.r.l. veniva ammessa ad un programma di sostegno per le attività legate all’agricoltura di tipo biologico per il periodo 16/10/1996 – 16/10/2001, beneficiando a tal fine, in relazione alle campagne degli anni 1997-1999, di un importo pari a complessivi Euro 74.966,82.
A seguito di verifica in data 19 aprile 2004 da parte del Corpo Forestale dello Stato emergeva che la superficie aziendale effettivamente coltivabile era pari a circa 66 ettari e non a 138 ettari circa, come dichiarati in sede di domanda di ammissione all’aiuto ed in relazione ai quali era stato erogato il finanziamento. La restante parte risultava, infatti, non coltivabile sia per la particolare pendenza del fondo, sia per la presenza di rocce e pietre di notevoli dimensioni, sia infine per la presenza di arbusti e specie vegetali proprie della macchia mediterranea.
Poiché la differenza tra superficie dichiarata ed ammessa al contributo (138 ettari) e superficie effettivamente coltivata (66 ettari) era superiore al 20%, il Corpo Forestale inviava gli atti sia alla Regione Puglia, per l’eventuale provvedimento di decadenza, sia all’Ispettorato Centrale Repressione Frodi, per l’irrogazione della conseguente sanzione amministrativa.
La Regione Puglia, con determinazione dirigenziale n. 10581 del 5 luglio 2004, disponeva, ai sensi degli artt. 5 e 9 del DM n. 159 del 1998, la decadenza totale dal finanziamento ed il recupero della somma già erogata, maggiorata di interessi legali, per un importo pari ad oltre 85 mila euro, invitando al contempo la società a presentare eventuali controdeduzioni: adempimento che veniva puntualmente svolto e con il quale si affermava che la superficie coltivabile risultava, in realtà, pari a circa 115 ettari.
La Regione riteneva, tuttavia, non sufficienti i rilievi svolti e confermava la decadenza ed il recupero delle somme come sopra indicate.
Avverso le ridette determinazioni, la società insorgeva, con rituale ricorso dinanzi al TAR per la Puglia – sezione di Lecce.
A sostegno del gravame deduceva:
a) violazione di legge, atteso che la sanzione amministrativa, per altro irrogata senza la previa e necessaria audizione, era stata irrogata oltre il termine di 180 giorni, decorrenti dall’accertamento dell’infrazione, previsto a tal fine dalla legge n. 689 del 1981, e ciò tenuto conto che nel 200 l era stata effettuata una prima verifica mediante ortofoto;
b) difetto di motivazione, in quanto il provvedimento di conferma non aveva adeguatamente replicato m merito alle osservazioni prodotte dalla società ricorrente, con le quali si era fatto presente che la superficie coltivabile fosse in realtà corrispondente a 115 ettari;
c) eccesso di potere per travisamento dei fatti, in quanto l’area effettivamente coltivabile corrisponderebbe a circa 115 ettari, e non a 66 ettari come evidenziato in sede ispettiva: invero, a suo dire, la pendenza del terreno sarebbe stata inferiore rispetto a quella accertata e la presenza di pietrame e rocce sarebbe stata nel complesso piuttosto insignificante, mentre la sussistenza di arbusti tipici della macchia mediterranea sarebbe stata in realtà rinvenibile nelle sole zone mai effettivamente coltivate;
d) ulteriore violazione di legge, in quanto i controlli erano stati sorteggiati per le campagne 2000 e 2001, laddove l’accertamento era avvenuto in realtà sugli anni 1997-1999;
e) violazione di legge, atteso che la differenza accertata di terreno coltivabile non sarebbe stata, in ogni caso, addebitabile a titolo di dolo o colpa del percipiente, e ciò in base a quanto previsto dal regolamento regionale pubblicato sul BUR del 4 gennaio 1999, a norma del quale in siffatti casi il beneficiario, pur decadendo dall’aiuto, non sarebbe stato tenuto alla restituzione delle somme già erogate “in assenza di dolo e colpa”.
2.- Nella resistenza della Regione, con la sentenza epigrafata, resa nella pienezza del contraddittorio, il primo giudice respingeva integralmente il ricorso.
Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, Io. Im. impugnava la ridetta statuizione, di cui lamentava la complessiva erroneità ed ingiustizia, invocandone l’integrale riforma.
Si costituiva in giudizio la Regione Puglia, che argomentava l’infondatezza dell’appello.
Alla pubblica udienza del 16 maggio 2019, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa è stata riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello non è fondato e va respinto.
2.- Con il primo motivo di doglianza, la società appellante lamenta che la sentenza impugnata abbia disatteso la censura con la quale aveva dedotto la violazione dei termini, previsti dalla l. n. 689/1981, per l’adozione della violazione amministrativa. In particolare, si duole che la normativa de qua sia stata ritenuta erroneamente inapplicabile alla fattispecie in esame, laddove la previsione normativa era chiara, nella parte in cui si riferiva sia all’accertamento delle violazioni amministrative, sia alla irrogazione delle relative sanzioni.
2.1.- Il motivo non coglie nel segno.
Per comune intendimento, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, la decadenza obbligatoria dal regime di aiuti comunitari ed il conseguente recupero delle somme indebitamente percepite, previsti dalla legge 23 dicembre 1986 n. 898, pur assolvendo ad una indubbia funzione punitiva, non hanno, tuttavia, natura di sanzione amministrativa, essendo, con ciò, sottratti allo statuto normativo di cui alla l. n. 689/1981 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 novembre 2005, n. 6495; Id., sez. VI, 29 agosto 2006, n. 5025).
Del resto, si tratta di misure distinte e concorrenti, operanti l’una sul piano recuperatorio, l’altra sul piano propriamente sanzionatorio e rimesse alla competenza di autorità distinte (posto che l’irrogazione delle sanzioni compete allo Stato, mentre la decadenza e il consequenziale recupero è attribuito alle Regioni).
3.- Con il secondo motivo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, l’appellante lamenta violazione di legge per difetto di motivazione, in quanto l’atto impugnato non avrebbe dato atto delle ragioni che avevano indotto la Regione Puglia a non condividere le considerazioni svolte dalla ricorrente dei proprio scritti difensivi, essendosi la stessa semplicemente limitata a richiamare le sue ortofoto ed una non meglio specificata visura dell’archivio AGEA.
3.1.- Il motivo è infondato. Invero, la documentazione richiamata per relationem dal provvedimento impugnato risulta idonea ad evidenziare compiutamente i presupposti di fatto e l’iter logico e giuridico dal quale era scaturita la decisione impugnata, mettendo con ciò l’interessato in condizione di comprenderne le complessive (quand’anche non condivise) ragioni giustificative.
D’altra parte, non coglie nel segno il rilievo per cui l’Amministrazione avrebbe dovuto puntualmente replicare alle osservazioni con le quali si erano evidenziati i criteri per l’effettivo computo delle superfici coltivate: in effetti, le relative valutazioni (correlate alla situazione dei luoghi ed alla natura dei terreni) risultano con precisione individuate negli atti istruttori, ancorché, all’evidenza, le relative conclusioni non siano state condivise.
Nel merito, l’appellante ribadisce che, a suo dire, la superficie coltivabile sarebbe ammontata a 115 ettari e non a 66 ettari, come rilevato dal Corpo forestale: si tratta, tuttavia, di rilievo sfornito di adeguato supporto probatorio, a fronte del quale l’accertamento compiuto dai competenti organi tecnici ha evidenziato e documentato che il terreno, così come si presentava in sede di ispezione, era in buona parte definibile con giacitura a pendenza disforme, ossia non pareggiato e irregolare, con solchi di erosione di profondità variabile e pendenza che in spazi piuttosto ristretti varia bruscamente. In altre parole la quota di terreno in contestazione – quella ossia eccedente i 66 ettari ritenuti coltivabili – denotava, come correttamente ritenuto dal primo giudice, l’inesistenza di strato attivo o coltivabile, e ciò anche in considerazione della presenza di pietre di grosse dimensione e roccia affiorante che, nel tempo, non sono erano state sottoposte a quelle operazioni (dissodamento, spietramento e spianamento) necessarie al fine di rendere coltivabile il terreno stesso. A ciò si aggiungeva la presenza, sulla medesima porzione di terreno, di specie arbustive poliennali tipiche della macchia mediterranea che, per la loro età, costituivano ulteriore dimostrazione della circostanza che trattavasi di area mai coltivata e non soltanto abbandonata da qualche anno.
Del resto, i rilievi operati dagli accertatori trovano idoneo conforto, non adeguatamente smentito, nella sovrapposizione delle foto aree disponibili degli anni 1997, 2000 e 2002.
Non giova, a fronte di ciò, la replica complessivamente affidata a tabelle riepilogative delle superfici asseritamente coltivate (corrispondenti peraltro a 115 ettari, ossia ad una superficie, vale precisare, comunque minore rispetto a quella per la quale il contributo è stato richiesto ed ottenuto): si tratta, invero, di dati non supportati da elementi circostanziati e pertinenti idonei a dimostrarne veridicità e pertinenza, a fronte dei documenti rilievi degli organi accertatori.
4.- Con ultimo motivo la società, reiterando la doglianza vanamente articolata in prime cure, ritiene illegittima la richiesta di rimborso, non essendo la differenza superiore al 20% imputabile ad essa a titolo di dolo o di colpa (come tali presupposti, ai sensi del punto 4.8.10 del Regolamento Regionale, pubblicato sul BUR della Regione Puglia il 4.01.1999 ai fini dell’iniziativa recuperatoria).
4.1.- Il motivo è infondato.
La misura della decadenza del beneficio consegue al fatto dell’inadempimento dell’obbligo assunto dal soggetto ammesso al regime di aiuti comunitari, sul quale grava l’onere della prova dell’eventuale assenza di imputabilità soggettiva, per assenza di dolo o colpa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2001, n. 2224).
Contrariamente all’assunto dell’appellante, quindi, non competeva alla Regione dimostrare la natura colposa o addirittura dolosa della violazione, ma – semmai – alla parte dimostrare l’assenza di profili di responsabilità : onere, nella specie, non assolto (non essendo certamente idoneo, a tal fine, il coinvolgimento dell’agronomo, a cui sarebbe imputabile l’errore: e ciò se non altro perché del fatto dell’ausiliario risponde il soggetto che se ne avvale: cfr. art. 1228 c.c.).
5.- Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello deve essere respinto.
Sussistono giustificati motivi, avuto riguardo alla complessità della vicenda procedimentale, per disporre l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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