Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 9 marzo 2020, n. 6644.

La massima estrapolata:

La contestazione disciplinare può essere fatta “per relationem” agli atti del processo penale purché sia specifica. La specificità può desumersi dalla circostanza che il lavoratore sia stato in grado di difendersi in maniera compiuta sia nell’ambito del procedimento disciplinare che, successivamente, in sede giudiziale.

Sentenza 9 marzo 2020, n. 6644

Data udienza 10 dicembre 2019

Tag – parola chiave: Licenziamento per giusta causa – Contestazione disciplinare per relationem -Rinvio agli atti del processo penale – Ammissibilità – Specificità – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 30704-2018 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3971/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 31/05/2018 R.G.N. 1702/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2019 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti del Comune di Napoli, volta all’accertamento dell’illegittimita’ del licenziamento disciplinare intimato il 5.9.2016 e alla condanna del Comune alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento del risarcimento dei danni ai sensi della L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 49.
2. La Corte territoriale, per quanto oggi rileva, ha ritenuto che: il licenziamento era stato adeguatamente motivato in relazione agli elementi fattuali ed alle ragioni giuridiche poste a fondamento del provvedimento sanzionatorio; il Comune, ai fini della contestazione disciplinare, aveva apprezzato autonomamente gli atti del processo penale a carico dello (OMISSIS) e aveva tenuto conto degli accertamenti cristallizzati nella sentenza penale e delle deduzioni difensive offerte in sede disciplinare dallo (OMISSIS); il Comune aveva valutato le condotte dello (OMISSIS) e le aveva ricondotte alla fattispecie di cui all’articolo 3, comma 8, lettera f) del CCNL e aveva tenuto conto della qualifica di agente di polizia Municipale rivestita dallo (OMISSIS); era legittimo il rinvio “per relationem” contenuto negli atti del procedimento disciplinare agli atti del processo penale; lo (OMISSIS) era stato in grado di esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa nell’ambito del procedimento disciplinare e in sede giudiziale; il coinvolgimento dello (OMISSIS) nell’ambito di un ampio sistema corruttivo costituiva elemento idoneo ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario avuto riguardo alla preposizione dello (OMISSIS) ad un ufficio di particolare delicatezza ed al grado di responsabilita’ correlato al ruolo di Agente di Polizia Municipale rivestito dal lavoratore, preposto proprio alla tutela della legalita’; era inammissibile perche’ formulata solo in grado di appello l’eccezione di nullita’ del licenziamento fondata sulla dedotta incompetenza dell’organo che lo aveva adottato.
3. Avverso questa sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale ha resistito con controricorso il Comune di Napoli.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi.
4. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – articoli 437 e 345 c.p.c., Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 55 – articolo 3, comma 8, lettera f) del vigente CCNL, articolo 2119 c.c. – L. n. 604 del 1966 – L. n. 300 del 1970, articolo 18 – articoli 1418-1421 e 1423 c.c., articolo 101 c.p.c., comma 2”.
5. In sintesi, per quanto e’ dato comprendere dalle disposizioni di legge e di contratto citate nella rubrica, in maniera affastellata, e dalle prospettazioni difensive, di difficile lettura, perche’ non selezionate con riferimento a ciascuna delle disposizioni di legge e di contratto collettivo che si assumono violate ovvero falsamente applicate, redatte secondo un format redazionale nel quale il carattere in grassetto e sottolineato si alterna al carattere “normale” e secondo uno sviluppo narrativo che riproduce il contenuto degli atti processuali del giudizio di merito, con inserimento di citazioni di numeri e di brani di decisioni di questa Corte, il ricorrente addebita alla sentenza di avere ritenuto nuova e, percio’ inammissibile, la dedotta eccezione di nullita’ degli atti del procedimento disciplinare, eccezione fondata sul rilievo che erano stati adottati da un organo incompetente, in quanto non coincidente con l’Ufficio dei procedimenti disciplinari.
6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – articolo 3, comma 8, lettera f) del vigente CCNL – articolo 2119 c.c. – L. n. 604 del 1966 – L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18 – Nullita’ della sentenza per evidente violazione della normativa di legge regolante la materia e segnatamente degli articoli 2119 c.c., articolo 3 CCNL del settore e della L. n. 66 del 2004, articolo 1, e sg. e dell’articolo 101 c.p.c.. e dell’articolo 132 c.p.c. e degli articoli 651 e 652 c.p.p.”.
7. Per quanto e’ dato comprendere dalla formulazione delle censure, che anche nel motivo in esame non risultano selezionate con riguardo a ciascuna delle norme di legge e di contratto indicate nella rubrica, il ricorrente addebita alla sentenza di avere respinto il motivo di appello concernente la mancata specificita’ della contestazione con una “scarna argomentazione” e di essersi soffermata “quasi di straforo sul punto preliminare e assorbente dell’impugnazione….per una mezza paginetta”; di non avere speso alcuna argomentazione motivazionale sui principi di diritto affermati nella sentenza di questa Corte n. 6889/2018, invocati nel corso della difesa orale, di non avere accertato quali fatti oggetto della contestazione erano stati successivamente posti a base del licenziamento.
Esame dei motivi.
8. Il primo motivo e’ infondato in quanto la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto affermati ripetutamente da questa Corte.
9. In particolare, questa Corte ha osservato che la “causa petendi” dell’azione proposta dal lavoratore per contestare la validita’ e l’efficacia del licenziamento va individuata nello specifico motivo di illegittimita’ dell’atto dedotto nel ricorso introduttivo, in quanto ciascuno dei molteplici vizi, dai quali puo’ derivare la illegittimita’ del recesso, discende da circostanze di fatto che e’ onere del ricorrente dedurre e allegare.
10. Muovendo da detto presupposto, e’ stato, ritenuto che, pur a fronte del medesimo “petitum”, escluse le ipotesi nelle quali la modifica resta limitata alla sola qualificazione giuridica, costituisce inammissibile domanda nuova la prospettazione, nel corso del giudizio di primo grado e, a maggior ragione, in sede di impugnazione, di un profilo di illegittimita’ del licenziamento non tempestivamente dedotto (ex multis Cass. 886/1982, 6899/1987, 2418/1990, 3810/1990).
11. Il principio e’ stato affermato anche da recenti decisioni che hanno qualificato come “nuove” le domande volte a prospettare vizi formali del procedimento disciplinare diversi da quelli denunciati nell’atto introduttivo (Cass. 9675/2019, 23869/2018, 28796/2017, 655/2015, 8293/2012, 5555/2011, 15795/2008) e che hanno escluso l’automatica applicazione alla materia dei licenziamenti dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, dapprima con la sentenza n. 14828 del 4.9.2012 e, piu’ di recente, con la sentenza 12.12.2014 n. 26242, con le quali sono state vagliate le diverse ipotesi in cui la nullita’ negoziale rileva e spiega influenza in seno al processo e, per quel che qui interessa, e’ stato affermato che il potere di rilevazione “ex officio” della nullita’ negoziale deve essere sempre esercitato dal giudice in tutte le azioni contrattuali, anche qualora venga in rilievo una nullita’ speciale o “di protezione” o emerga una ragione di nullita’ diversa da quella espressamente dedotta dalla parte.
12. Il Collegio ritiene di dare continuita’ al principio di diritto innanzi richiamato condividendone le argomentazioni motivazionali, da intendersi qui richiamate ai sensi dell’articolo 118 disp. att. c.p.c.
13. Il secondo motivo e’ inammissibile in quanto il ricorrente, al di la’ del titolo della rubrica, addebita in realta’ alla sentenza impugnata vizi motivazionali, “sub specie” di insufficiente motivazione, che sono estranei (Cass. SSUU n. 8053/2014) al perimetro del vizio dedotto (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e perche’ sollecita una nuova lettura del materiale istruttorio, inammissibile in sede di legittimita’ (Cass.SSU 24148/ 2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208 /2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007; 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005).
14. Non e’ ravvisabile, avuto riguardo ai principi affermati dalle Sezioni Unite nella gia’ richiamata sentenza n. 8053/2014, la violazione dell’articolo 132 c.p.c. ne’, tampoco, il vizio di nullita’ della sentenza impugnata perche’ la Corte territoriale, come risulta anche dal punto n. 2 di questa sentenza, ha spiegato in maniera compiuta, chiara e comprensibile le ragioni del rigetto del motivo di censura relativo alla mancanza di specificazione. Essa, infatti, dopo avere evidenziato che il difetto di specificita’ era stato addebitato alla sanzione disciplinare, ha rilevato che, comunque, la contestazione, sia pur fatta “per relationem” agli atti del processo penale, risultava specifica ed ha osservato che il lavoratore era stato in grado di difendersi in maniera compiuta sia nell’ambito del procedimento disciplinare che, successivamente, in sede giudiziale.
15. Il ricorso va, in conclusione, rigettato.
16. Le spese del giudizio di legittimita’, nella misura liquidata in dispositivo, seguono la soccombenza.
17. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

LA CORTE
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfettarie, oltre IVA e CPA.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

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