Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 12 febbraio 2020, n. 3454.

La massima estrapolata:

La possibilità prevista dall’articolo 5, comma 3, della legge n. 898 del 1970 di consentire alla moglie divorziata, con effetti di carattere giuridicoformali la conservazione del cognome del marito, accanto al proprio, è da considerare una ipotesi straordinaria, affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito, secondo criteri di valutazione propri di una clausola generale ma che non possono coincidere con il mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa quanto alla sua rilevanza giuridica. Né può escludersi che il perdurante uso del cognome maritale possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsenta e che intenda ricreare un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile come legame familiare attuale.

Ordinanza 12 febbraio 2020, n. 3454

Data udienza 11 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 5548/2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2387/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 29/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/12/2019 da Dott. TRICOMI LAURA.

RITENUTO

CHE:
(OMISSIS) propone ricorso per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Palermo in epigrafe indicata, con due mezzi. (OMISSIS) replica con controricorso.
Per quanto interessa il presente giudizio, la Corte di appello di Palermo, nell’ambito di un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, aveva confermato la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda volta alla conservazione del diritto ad utilizzare il cognome maritale; aveva altresi’ ritenuto inammissibile la censura svolta in merito alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

CONSIDERATO

CHE:
1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 3, e succ. mod. criticando la decisione di rigetto della domanda di conservazione del cognome maritale dalla stessa avanzata sia nel proprio interesse, che nell’interesse della figlia minore (OMISSIS) e sostiene che la Corte di appello non si sarebbe attenuta ai criteri normativi sulla scorta dei quali la domanda andava valutata.
A parere della ricorrente la disciplina evocata non richiede come presupposto per il riconoscimento un interesse “straordinario”, come ritenuto dalla Corte di appello, ma un interesse meritevole di tutela e ribadisce che questo ricorreva sia per se medesima, che per la figlia minore.
Quindi, in relazione al personale interesse, invoca i profili di identita’ sociale e di vita di relazione e sostiene che la “meritevolezza” riguarda le esigenze di indole morale e sociale all’evidenza apprezzabili, ma non necessita di alcun carattere di straordinarieta’ (fol. 10 del ricorso). Si sofferma quindi su circostanze di fatto che, a suo dire, la Corte di appello avrebbe ignorato nel formulare la sua valutazione, segnatamente: il fatto che, pur essendosi sposata a 38 anni, si era costruita nell’ambiente sociale di riferimento una identita’ personale e sociale esclusivamente come ” (OMISSIS)”; la circostanza che da 23 anni (7 di fidanzamento e 16 di matrimonio) era cosi’ conosciuta nel suo attuale ambiente sociale ed amicale. Si duole che la Corte territoriale, trascurando il pregiudizio morale ed esistenziale e facendo riferimento ad una “straordinarieta’” dell’interesse normativamente non richiesta, abbia violato la disposizione di legge.
Quanto all’interesse della figlia, ribadita la censura in merito all’erroneita’ della valutazione secondo il parametro della straordinarieta’ dell’interesse, ha sottolineato l’interesse della minore meritevole di tutela a che la madre continui a utilizzare il cognome maritale, rimarcando il disagio ed il pregiudizio che la contraria determinazione avrebbe potuto provocarle nell’ambiente scolastico, nel quale la madre aveva sempre speso il cognome maritale, circostanza sulla quale aveva articolato prova istruttoria non ammessa.
1.2. Il motivo e’ infondato.
In tema di cognome maritale l’articolo 143 bis c.c. prevede che la moglie aggiunga al proprio cognome quello del marito e lo conservi durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze.
Tale disposizione innanzi tutto evidenzia che, quello che e’ stato definito dalla dottrina come un diritto/dovere, consegue esclusivamente al rapporto di coniugio; esplicita quindi che non vi e’ piu’, come avveniva in passato, la perdita del cognome personale della donna – che, pertanto, continua quindi ad individuarla -, ma solo l’aggiunta del cognome maritale; evidenzia, quindi che questo effetto del matrimonio e’ circoscritto temporalmente alla perduranza del rapporto di coniugio, tanto da integrarne una esplicita deroga l’ultrattivita’ dell’effetto nel caso in cui il matrimonio si sia concluso per il decesso dell’altro coniuge.
Questi principi sono confermati, a contrario dalla disciplina dettata dalla L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 3, in tema di divorzio, ove e’ detto “Il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, puo’ autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela.”, di guisa che l’eccezionale deroga alla perdita del cognome maritale e’ discrezionale e richiede la ricorrenza del presupposto dell’interesse.
Tale complessa disciplina e’ frutto del principio cui l’ordinamento familiare e’ ispirato e che privilegia la coincidenza fra denominazione personale e status.
La possibilita’ di consentire con effetti di carattere giuridico-formali la conservazione del cognome del marito, accanto al proprio, dopo il divorzio, e’ da considerarsi una ipotesi straordinaria affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito secondo criteri di valutazione propri di una clausola generale, ma che non possono coincidere con il mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa quanto alla sua rilevanza giuridica. Ne’ puo’ escludersi che il perdurante uso del cognome maritale possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsenta e che intenda ricreare, esercitando un diritto fondamentale a mente dell’articolo 8 C.E.D.U., un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile, come legame familiare attuale, anche nei rapporti sociali e in quelli rilevanti giuridicamente.
La valutazione della ricorrenza delle circostanze eccezionali che consentono l’autorizzazione all’utilizzo del cognome del marito e’ rimessa al giudice del merito giacche’ “di regola non e’ ammissibile conservare il cognome del marito dopo la pronuncia di divorzio, salvo che il giudice di merito, con provvedimento motivato e nell’esercizio di poteri discrezionali, non disponga diversamente.” (in tema Cass. n. 21706 del 26/10/2015; Cass. n. 3869 del 08/02/2019).
La Corte territoriale si e’ attenuta a questi criteri e la decisione risulta immune da vizi.
In particolare ha ritenuto, motivatamente, che nessun interesse davvero meritevole di tutela sia stato allegato dalla (OMISSIS) al mantenimento del cognome maritale unitamente al proprio, perche’ “sostanzialmente rivolto alla conservazione e/o affermazione della notorieta’ derivatale dall’ex marito nelle frequentazioni sociali, ossia tra quelle stesse persone che, come evidenziato dal Tribunale, non possono ignorare le vicende della coppia” (fol. 7 della sent. imp.) ed ha rimarcato che l’uso consuetudinario del cognome maritale comune a tutte le donne divorziate nel corso del coniugio – “non puo’ assumere maggior merito per la notorieta’ dell’uomo con cui e’ stata sposata, perche’ l’interesse a cio’ sotteso sarebbe senza dubbio effimero” (fol. 7 cit.) e che “la (OMISSIS) nulla allega che possa far ritenere la sua situazione “straordinaria”, limitandosi, si ripete a rilevare l’uso del cognome maritale nelle relazioni sociali acquisite”.
Ha quindi considerato anche altre circostanze, ritenute significative per escludere la ricorrenza di un interesse meritevole di tutela, tra cui il fatto che la (OMISSIS) si era sposata a 38 anni, deducendo da cio’ che avesse gia’ acquisito una propria identita’ come (OMISSIS) anche al di fuori della stretta cerchia familiare – considerato anche il pregresso impegno lavorativo come dipendente bancaria -, che il matrimonio era durato 12 anni e che la convivenza matrimoniale era durata ancora meno, per la crisi coniugale intervenuta dopo pochi anni.
In proposito la Corte territoriale ha rimarcato anche la novita’, e quindi l’inammissibilita’, della deduzione della donna volta a ricomprendere nel periodo rilevante anche il fidanzamento e la convivenza prematrimoniale, inammissibilita’ che va confermata anche nel presente grado.
Anche con riferimento alla posizione della figlia (OMISSIS) la Corte di appello ha accertato che “alcuno specifico e “straordinario” interesse” della minore e’ stato allegato dalla madre, giacche’ “la condizione della minore dedotta in giudizio e’, infatti, del tutto uguale a quella di figli di coppie divorziate e sta ai genitori sostenerle nel suo paventato (ma non comprovato) possibile disagio” (fol. 8).
La censura, che inammissibilmente insiste anche sulla circostanza della durata del fidanzamento e della convivenza, da’ segno anche di non avere colto la ratio decidendi, laddove critica l’utilizzo del parametro di meritevolezza in termini di “straordinarieta’” dell’interesse.
Dal complesso della motivazione si evince chiaramente che il riferimento ad un interesse “straordinario” e’ utilizzato dalla Corte territoriale per evidenziare – in linea con i principi enunciati – la necessita’ che l’interesse fatto valere e potenzialmente meritevole di tutela debba essere connotato in termini specifici e personali e non possa essere retratto esclusivamente nell’uso normale – e legittimo del cognome nelle relazioni sociali acquisite in ragione del matrimonio e durante lo stesso, che e’ l’unico interesse sostanzialmente dedotto dalla ricorrente sia in suo favore, che della figlia minore.
2.1. La ricorrente, con un secondo motivo, impugna la sentenza di secondo grado anche con riferimento alla pronuncia sullo status, criticando la scelta di scindere la pronuncia sulla domanda del cognome maritale da quella sullo status.
2.2. Il motivo e’ inammissibile perche’ non coglie la ratio decidendi.
La Corte di appello infatti ha respinto l’impugnazione della pronuncia di primo grado sullo status ritenendola inammissibile, giacche’ nulla era stato contestato sul punto e nessuna domanda era stata formulata con specifico riguardo alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio (fol. 8 della sent. imp.).
La doglianza non si confronta affatto con detta statuizione e cio’ ne rende palese l’inammissibilita’.
3. In conclusione il ricorso va rigettato, infondato il primo motivo ed inammissibile il secondo.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 30 giugno 2003 n. 196, articolo 52.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;
– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 5.000,00=, oltre Euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 30 giugno 2003 n. 196, articolo 52;
Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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