La condotta di partecipazione in associazione

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 6 aprile 2020, n. 11346

Massima estrapolata:

La condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare – più che un mero status di appartenenza – un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato prende parte al consorzio associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi, sicché la sua partecipazione alla consorteria, in difetto di prove direttamente rappresentative dell’intraneità del singolo all’associazione, va desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi l’appartenenza nel senso indicato, sempre che si tratti di indizi gravi e precisi, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della permanenza costante del vincolo, sempre in relazione allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione».

Sentenza 6 aprile 2020, n. 11346

Data udienza 7 novembre 2019

Tag – parola chiave: Misura cautelare – Custodia in carcere – Associazione camorristica – Delitto di cui all’art. 416 bis c.p. – Ruolo – Capo organizzatore e direttore del gruppo – Gravi indizi di colpevolezza – Intercettazioni Armi – Riciclaggio – Contrabbando tabacchi – Esigenze cautelari – Pericolosità sociale – Attualità e concretezza – Elementi indicativi – Sussistenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Presidente

Dott. SIANI Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. APRILE Stefano – Consigliere

Dott. CAIRO Antonio – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 08/07/2019 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. SIANI VINCENZO;
sentite le conclusioni del PG Dr. ANIELLO ROBERTO, che conclude chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
udito il difensore l’avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso, anche per conto dell’avv. (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe, resa in data 8 luglio 2019, il Tribunale di Napoli, investito della richiesta di riesame proposta nell’interesse di (OMISSIS), ha confermato l’ordinanza con cui il G.i.p. dello stesso Tribunale, il 23 aprile 2019, aveva applicato al ricorrente la misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., con riferimento alla sua partecipazione all’associazione camorristica denominata clan (OMISSIS), in posizione apicale, quale capo, organizzatore e direttore del gruppo, a partire dal gennaio 2014, con condotta perdurante.
L’associazione a cui l’indagato e’ accusato di aver partecipato viene indicata come promossa e capeggiata da (OMISSIS), successivamente e pro tempore da (OMISSIS), (OMISSIS) e poi dall’attuale indagato (OMISSIS), e di aver dispiegato la propria attivita’ avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omerta’, associazione operante nei quartieri napoletani di (OMISSIS) dal 1990 e finalizzata a mantenere il controllo di quel territorio attraverso scontri armati (dettagliati in rubrica), in contrapposizione alle consorterie denominate degli scissionisti, (OMISSIS), e della (OMISSIS), fra loro alleate, a commettere una pluralita’ di reati e di altre attivita’ illecite (omicidi, estorsioni, porto e detenzione di armi da guerra e comuni da sparo, spaccio di sostanze stupefacenti, contrabbando dei tabacchi, commercio di prodotti a marchio contraffatto, riciclaggio) nonche’ ad acquisire altri profitti o vantaggi ingiusti, per cui la relativa fattispecie viene contestata come aggravata ai sensi dei commi 4 e 6 dell’indicata norma incriminatrice.
A fronte delle contestazioni difensive, in primo luogo volte a eccepire il giudicato cautelare favorevole all’indagato formatosi in merito alla sua partecipazione all’associazione, nonche’ finalizzate a dedurre la mancanza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al ruolo apicale ascritto a (OMISSIS), il Tribunale – dopo aver premesso il riferimento agli elementi che facevano ritenere accertata l’esistenza della consorteria camorristica denominata clan (OMISSIS), anche sulla scorta precedenti sentenze passate in giudicato – ha preso le mosse dalle precedenti sentenze, rispettivamente di condanna e di assoluzione, che avevano riguardato la posizione di (OMISSIS), ha considerato i contributi dichiarativi costituiti dalle propalazioni di alcuni collaboratori di giustizia, primo fra tutti quello di (OMISSIS), ha poi analizzato i riscontri costituiti dalle intercettazioni telefoniche e ambientali e ha concluso per la sussistenza, contrariamente a quanto era stato ritenuto in passato, dei gravi indizi di colpevolezza del reato associativo a carico dell’indagato, con funzioni di capo dal gennaio 2014 in poi, ossia dal momento della sua scarcerazione e in coincidenza con la latitanza del fratello (OMISSIS), gia’ indiscusso leader della cosca.
2. Hanno proposto ricorso, con un primo atto, i due difensori di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS)) chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata la violazione dell’articolo 178 c.p.p., lettera c), e dell’articolo 111 Cost., con conseguente nullita’ dell’ordinanza stessa, per omessa valutazione della memoria difensiva.
Si lamenta che il Tribunale del riesame ha omesso di valutare le deduzioni contenute nella memoria difensiva prodotta in quella sede, in uno alla documentazione depositata, atti inerenti ad alcuni punti fondamentali dell’impianto accusatorio (fra i quali la sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli in data 8 ottobre 2012 e l’informativa della Squadra Mobile di Napoli del 3 febbraio 2015), con conseguente violazione delle garanzie proprie del giusto processo, relativamente alla corretta motivazione della sentenza e alla tutela del diritto di intervento e assistenza del difensore: da cio’ viene fatta derivare la nullita’ del provvedimento.
2.2. Con il secondo motivo si denunciano violazione ed erronea applicazione dell’articolo 416-bis c.p. e vizio di motivazione per la verifica della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari.
Viene, innanzi tutto, criticata la motivazione data per ritenere inoperante il giudicato cautelare rispetto all’approdo costituito dalle due caducazioni di altrettanti titoli cautelari antecedenti.
Nella memoria si era chiarito che le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) gia’ avevano formato oggetto del compendio indiziario valutato dall’ordinanza del 18 gennaio 2018, mentre i contributi degli ulteriori collaboratori, al pari dei dati scaturenti dalle intercettazioni, sostanzialmente neutri, non avrebbero dovuto stimarsi idonei a modificare il quadro cautelare gia’ delibato.
Sul punto la giustificazione fornita, secondo la difesa, non si e’ confrontata con gli argomenti sviluppati nella memoria.
2.2.1. In ordine alla verifica dei gravi indizi, essi non potrebbero, secondo la difesa, attingere a una ragionevole probabilita’ di condanna, meno che mai con riguardo al ruolo di capo, organizzatore e direttore dell’indagato, posto che era stato il fratello (OMISSIS) a svolgere tale ruolo apicale dal 2005 in poi, fino al marzo 2019, anche durante la latitanza e fini al suo arresto, come dimostra la sentenza del G.i.p. del Tribunale di Napoli in data 8 ottobre 2012.
Non possono rilevare decisivamente, per il ricorrente, le intercettazioni citate, nell’ambito delle quali l’indagato non risultava essere mai interlocutore, non tali da assumere univoco valore indiziario.
E, privilegiando fra gli orientamenti interpretativi in tema di verifica della partecipazione all’associazione di tipo mafioso quello che richiede la prova del contributo apprezzabile al rafforzamento del sodalizio dato dal soggetto, per (OMISSIS) tale dimostrazione certo non potrebbe essere reperita esaminando il tessuto delle conversazioni captate, prive di chiarezza e decifrabilita’, tanto piu’ che esso e’ risultato inerente a colloqui fra terzi. Si citano le intercettazioni nn. 408 e 409 del 13 agosto 2014, da cui non avrebbe potuto trarsi il ruolo apicale dell’indagato, sia pure configurandolo come soggetto con minore attitudine al comando del suindicato fratello.
Quanto alla conversazione n. 4267 del 4 novembre 2014, apodittica e travisante viene ritenuta la corrispondente valutazione fatta dal Tribunale circa l’estrema eloquenza del relativo significato in ordine alla caratura apicale del ruolo dell’indagato. In ordine all’intercettazione n. 6300 del 2 ottobre 2015, inerente all’ipotizzata estorsione messa in essere da un importante esponente del gruppo (OMISSIS) in danno di (OMISSIS), il ruolo apicale annesso all’opera di intermediazione di (OMISSIS) non risulta, per la difesa, avvalorato dall’atteggiamento di soggezione palesato dall’indagato e, comunque, afferisce a elementi privi di univocita’, dato che l’intervento del medesimo ben poteva essere stato motivato dalla pregressa sua conoscenza dell’estorsore.
Analoghi rilievi vengono svolti circa l’attivazione dell’indagato per la posizione della vittima (OMISSIS), in relazione al contenuto della captazione n. 6304 del 7 gennaio 2015, inerente al colloquio intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ delle altre pure citate (nn. 6833 del 20 gennaio 2015, 5215 del 21 gennaio 2015, 7903 e 7905 del 4 febbraio 2015, 15 del 24 marzo 2015).
Illogico e’ stato dal ricorrente considerato l’aver desunto da una condotta asintomatica, quale l’intervento di (OMISSIS) in tale vertenza, il ruolo di capo di quest’ultimo, laddove si sarebbe trattato di una intermediazione a titolo gratuito fatta nel solo interesse della vittima, per la stima di cui l’indagato godeva presso gli interlocutori, dati i propri trascorsi giudiziari.
Circa la valutazione del contributo dei collaboratori, il Tribunale, ad avviso della difesa, non ha fornito una risposta adeguata alle memorie rassegnate, che avevano rimarcato la genericita’, contraddittorieta’ e inverosimiglianza delle accuse mosse dagli stessi, ne’ ha applicato i principi fissati dall’elaborazione ermeneutica circa la necessita’ di appurare l’attendibilita’ soggettiva e intrinseca, l’attendibilita’ estrinseca e l’esistenza di riscontri in relazione alle loro dichiarazioni, secondo il corrispondente ordine logico.
Rispetto a questo vaglio non si ritiene adeguato il contributo di (OMISSIS), relativo principalmente a questioni di droga, le cui affermazioni non erano state, secondo la difesa, correttamente sintetizzate e comunque afferivano essenzialmente al solo settore suindicato.
In tal senso, sottolinea il ricorrente, il lungo periodo conflittuale fra i clan (OMISSIS) e (OMISSIS) innescato dall’uccisione di (OMISSIS) (e di (OMISSIS)) nel 2007 e poi di (OMISSIS) nel 2011, appartenente al secondo gruppo e trucidato per avere osato scorrere in armi nel territorio controllato dalla prima consorteria, aveva visto, nell’analisi compiuta dal G.i.p. del Tribunale di Napoli nella sentenza del 19 maggio 2014, l’azione del clan (OMISSIS) guidato da (OMISSIS), secondo quanto aveva riferito il collaboratore di giustizia (OMISSIS): il Tribunale non ha motivato su questo tema limitandosi ad asserire che l’indagato aveva assunto la reggenza del clan dal 2014, nonostante che i suddetti elementi siano risultati contrastanti con il narrato di (OMISSIS). Ne’ risulta resa alcuna motivazione circa le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) relativamente ai pregressi rapporti fra (OMISSIS) e (OMISSIS) per l’apertura dell’agenzia (OMISSIS) in (OMISSIS) nel 2006-2007, con la loro successiva rottura, dichiarazioni che rendevano non credibile la versione data da (OMISSIS) della ripresa dei contatti con l’indagato appena dieci giorni dopo la sua scarcerazione.
Parimenti si critica l’omessa considerazione della precisazione di (OMISSIS) circa l’assenza di decisioni strategiche negli incontri a cui aveva partecipato (OMISSIS).
Ancora, si censura come priva di motivazione l’ordinanza impugnata laddove non ha preso in esame il rilievo di genericita’ e contraddittorieta’ delle altre dichiarazioni rese dai collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Le affermazioni di (OMISSIS), inerenti a incontri per traffico di droga, erano risultate prive di riscontri, oltre che contrastate dalle precisazioni date dall’indagato in sede di interrogatorio di garanzia, anche in relazione al fatto che (OMISSIS), zio di (OMISSIS), tirato in ballo dalle propalazioni, era ristretto in carcere da quindici anni, nonche’ alla mancanza di indicazioni circa eventuali compensi ricevuti dall’indagato per la presunta intermediazione e all’assenza di riscontri del riferito soggiorno dei trafficanti calabresi presso l'(OMISSIS) di (OMISSIS).
Del pari, le dichiarazioni di (OMISSIS), pure inerenti a incontri aventi ad oggetto gli stupefacenti, non sono state adeguatamente analizzate, dal momento che hanno riguardato il suocero dell’indagato e altro affiliato, soprannominato il pirata, non (OMISSIS), se non in una sola occasione. E tuttavia con riferimento a questa unica occasione il racconto di (OMISSIS) era in piu’ punti divergente con quello di (OMISSIS), sicche’ i loro contributi non avrebbero potuto ritenersi reciprocamente riscontrati.
E, al postutto, tali propalazioni avevano riguardato il solo settore del traffico di stupefacenti, non l’associazione camorristica, non bastando l’obiezione fatta dal Tribunale in ordine alla pertinenza al clan (OMISSIS) di quel tipo di traffico, poiche’ tale risposta non si e’ confrontata, secondo la difesa, con la constatazione che le affermazioni analizzate facevano riferimento a un’attivita’ svolta in autonomia dall’indagato, al di fuori degli schemi di carattere associativo, essendosi pertanto omessa la giuridica differenziazione fra le figure criminose di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 e di cui all’articolo 416-bis c.p..
Fra le risultanze obliterate dal Tribunale del riesame il ricorrente annovera anche la sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli in data 8 ottobre 2012, accertativa della penale responsabilita’ di (OMISSIS) e di (OMISSIS) per i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 e di cui all’articolo 416-bis c.p., ma derubricando il loro ruolo a meri partecipi, avvalorando l’ipotesi che ruolo di capo delle organizzazioni fosse restato affidato alla persona di (OMISSIS), come d’altronde ha affermato la gia’ citata sentenza del 19 maggio 2014.
Nemmeno sono stati considerati gli esiti negativi inerenti alla partecipazione dell’indagato al clan risultati dalle due precedenti vicende procedimentali conclusesi con la caducazione dei titoli cautelari emessi nei confronti di (OMISSIS), nell’ambito delle quali i collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS) nulla avevano riferito a carico dell’indagato.
2.2.2. Per quanto concerne la verifica delle esigenze cautelari, la motivazione viene censurata come omissiva e generica: la concretezza e l’attualita’ del pericolo di commissione di ulteriori reati non e’ stata dimostrata con il riferimento a dati decontestualizzati e aspecifici, mentre dopo la riforma di cui alla L. n. 47 del 2015 l’onere di motivazione sull’attualita’ del pericolo e’ divenuto molto piu’ stringente ed esige la valutazione anche del tempo trascorso dal momento dei fatti.
Al riguardo, la difesa segnala che, secondo la stessa impostazione dell’accusa, le ultime manifestazioni di adesione al sodalizio criminale risalgono, sulla scorta delle captazioni e delle dichiarazioni collaborative, al 2015 e non sussistono elementi circa la protrazione del vincolo associativo riguardante l’indagato: fatto di sicuro rilievo nell’ambito del nuovo assetto delle esigenze cautelari, interpretato nella prospettiva del sistema della pluralita’ graduata delle misure cautelari, alla cui osservanza richiama anche il monito della giurisprudenza costituzionale.
3. Ha proposto ricorso, con un secondo atto, uno dei difensori dell’indagato (avv. (OMISSIS)) chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata e affidando l’impugnazione a un unico motivo, articolato in piu’ censure, con cui si lamentano la violazione dell’articolo 416-bis c.p. e la mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione.
3.1. Innanzi al Tribunale la difesa aveva evidenziato come dal narrato dei collaboratori non emergessero condotte indizianti relativamente al reato associativo contestato, ma i giudici del riesame hanno ritenuto che le dichiarazioni di (OMISSIS), soprattutto con riferimento al secondo degli incontri descritti, avessero fatto emergere, al di la’ della stessa opinione del dichiarante, la capacita’ dell’indagato di assumere decisioni strategiche: tale affermazione ha finito, secondo la difesa, per obliterare la sostanza del contributo del collaboratore, travisato e parcellizzato, dal momento che (OMISSIS) aveva ricollegato l’operato di (OMISSIS) ai soli affari di droga.
Nessuna traccia si e’ rilevata nell’analisi del Tribunale delle dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), poiche’ – argomenta la difesa – il loro contributo e’ risultato neutro, al pari di quello apportato da (OMISSIS), trattandosi di dichiarazioni concentrate sulla materia di stupefacenti: isolando illogicamente l’apporto di (OMISSIS) da quello degli altri propalanti, il Tribunale ha finito per decontestualizzare quelle dichiarazioni. Ne’ vale – per il ricorrente – l’argomento secondo cui, comunque, il traffico degli stupefacenti rientrava sempre tra le attivita’ della consorteria camorristica, in quanto l’attivita’ nel settore suddetto ben poteva essere svolta al di fuori della sfera di azione del clan, inammissibile essendo l’automatismo tra la partecipazione all’una e all’altra associazione, tanto piu’ che (OMISSIS) in passato era stato condannato per i reati in materia di droga, ma assolto dal reato di partecipazione ad associazione camorristica.
3.2. Quanto alle intercettazioni ambientali, i giudici del riesame – lamenta il ricorrente – hanno disatteso l’analisi di esse compiuta dalla difesa con la memoria depositata innanzi al Tribunale in cui si evidenziava che non era possibile ascrivere all’indagato alcuna condotta di rilievo associativo, e si sono limitati a citare cinque conversazioni, nell’ambito del piu’ ampio compendio richiamato nell’ordinanza genetica, gia’ analizzate nel primo atto di ricorso.
Anche le conversazioni intercettate, quindi, risultano, per il ricorrente, travisate e parcellizzate, di guisa che la figura di (OMISSIS), ove inquadrata alla luce dell’intero novero captativo, risulta ben diversa da quella descritta nell’ordinanza impugnata: d’altronde, il riferimento alla minore attitudine al comando dell’indagato fatto dal Tribunale costituisce il sintomo della consapevolezza negli stessi giudici del riesame dell’inadeguatezza dello standard indiziario richiesto dall’articolo 273 c.p.p..
3.3. Pure le considerazioni svolte dal Tribunale in merito al ruolo giocato dall’indagato nelle vicende estorsive in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS) vengono ritenute dalla difesa erroneamente inquadrate nell’ordinanza impugnata, perche’ non hanno tenuto conto del fatto che l’indagato e’ intervenuto in entrambe le vicende quale terzo estraneo, peraltro in una delle quali non riuscendo se non a dimezzare il profitto estorsivo, non a far desistere l’agente: dunque, (OMISSIS) era stato indiretta vittima della condotta intimidatoria, essendo stato egli stesso colpito dalle condotte dirette contro persone a lui vicine, cosi’ da decidere di aiutarle intervenendo in prima persona, in virtu’ del prestigio criminale conferitogli dal proprio cognome, ma non certo per la posizione apicale nel clan; in definitiva, questi episodi avrebbero dovuto essere interpretati, secondo logica, quali sintomi, non gia’ di appartenenza a un clan, ma di un comportamento proprio di chi aveva perso ogni controllo del territorio.
3.4. Sempre con riguardo al tema del controllo del territorio, l’unico episodio citato nella stessa ordinanza genetica, osserva il ricorrente, e’ la minaccia subita da (OMISSIS) da parte di un esponente del clan (OMISSIS), rispetto a cui (OMISSIS), lungi dal comportarsi come un partecipe della consorteria, aveva addirittura redarguito il minacciato.
Ancora, nessuna traccia di un qualsivoglia ruolo dell’indagato e’ stata rilevata dalla difesa nelle argomentazioni svolte anche nell’ordinanza genetica sul tema del mutuo soccorso in favore degli associati, con la riflessione susseguente secondo cui non si spiega logicamente che un capoclan non compaia in quegli snodi della vita associativa.
3.5. Da questo complesso di rilievi, i giudici del riesame, ad avviso della difesa, avrebbero dovuto desumere la mancanza dei gravi indizi di colpevolezza, non emergendo per (OMISSIS) un suo ruolo dinamico-funzionale, di certo non apicale, in seno a quel clan, al pari di una sua qualche messa a disposizione della consorteria, non risultando contestati a suo carico reati fine e nulla di concreto del contributo narrativo dei collaboratori, in relazione al piano rilevante per la fattispecie di cui all’articolo 416-bis c.p., essendo stato evidenziato nel provvedimento impugnato: su tale tema, oltre all’effettivo senso delle dichiarazioni di (OMISSIS), il Tribunale avrebbe omesso di valutare il contributo del collaboratore di giustizia (OMISSIS) che aveva individuato in (OMISSIS), anche da latitante, il vertice del clan e in altri (OMISSIS), ma non in (OMISSIS), i suoi successori, sicche’ – essendo restato latitante, (OMISSIS), fino al 2019 – non sarebbe comprensibile l’attribuzione della reggenza della consorteria all’indagato.
Anzi, le intercettazioni avevano, per la difesa, restituito l’immagine di (OMISSIS) come una persona debole e priva di sostegno da parte di eventuali associati, non potendo il legame di sangue determinare per cio’ solo la sua appartenenza al clan.
4. Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilita’ dell’impugnazione, considerata la manifesta infondatezza degli argomenti sviluppati dal ricorrente, inidonei a disarticolare la motivazione resa dal Tribunale del riesame, sia in riferimento alla generica doglianza di mancata disamina della memoria difensiva, sia in punto di assenza di preclusione alla rivalutazione, in virtu’ dei nuovi elementi acquisiti, dei gravi indizi di colpevolezza, rafforzati dai riscontri che hanno corroborato le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), inclusi gli esiti delle intercettazioni, da cui e’ emersa la partecipazione, con rilievo di vertice, di (OMISSIS) nel clan, dal momento della sua scarcerazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte ritiene l’impugnazione infondata e, quindi, da rigettarsi.
2. Va, innanzi tutto, preso in esame il primo motivo del primo atto di ricorso con cui si lamenta la mancata considerazione della memoria difensiva presentata dalla difesa di (OMISSIS) innanzi al Tribunale del riesame.
Il rilievo non appare esatto: come si trae dal testo del provvedimento impugnato (in particolare, dagli ultimi due righi della pagina 2 e ai primi due righi della pagina 3), il Tribunale ha preso atto della deduzione della mancanza di gravi indizi di colpevolezza prospettata dalla difesa “anche in relazione al ruolo di capo attribuito al ricorrente, come da memorie depositate in udienza con relativi allegati”; sicche’ le considerazioni di seguito sviluppate hanno tenuto conto degli atti defensionali introdotti, nel loro complesso, nel procedimento di riesame, trattando anche la questione del rapporto fra la persistente capacita’ di direzione dispiegata, secondo la difesa, da (OMISSIS), anche da latitante, e il ruolo assunto dall’indagato.
Nemmeno puo’ seguirsi la prospettazione formulata dal ricorrente circa l’avvenuta obliterazione – non formale, ma – sostanziale della memoria difensiva, con il corredo documentale accluso.
A sostegno di questa censura, per vero, non risultano dedotti (al di la’ della citazione di singoli documenti o del riferimento a generiche questioni di attendibilita’ dei collaboratori) specifici argomenti che siano stati tralasciati in modo determinante per la soluzione raggiunta nella motivazione dell’ordinanza, al di la’ della citazione della memoria.
Sul tema, va riaffermato il principio secondo cui la parte che deduce l’omessa valutazione di memorie difensive ha l’onere di indicare – pena la genericita’ del motivo di impugnazione – l’argomento decisivo per la ricostruzione del fatto di portata decisiva per la ricostruzione del fatto o per la formazione congrua e corretta dal punto di vista logico-giuridico della corrispondente motivazione contenuto nelle memorie e non valutato dal giudice nel provvedimento impugnato.
In tale direzione, quindi, l’omessa valutazione di memorie difensive non costituisce causa di nullita’ della decisione, ma puo’ soltanto incidere sulla tenuta logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive, che devono essere attentamente considerate dal giudice (Sez. 3, n. 23097 del 08/05/2019, Capezzuto, Rv. 276199 – 03; Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, Armeli, Rv. 276511 – 01; Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018, Tropea, Rv. 272542 – 01).
La conseguenza di queste osservazioni e’ il rilievo di aspecificita’ del motivo.
3. Trattando la prima censura del secondo motivo del primo atto di ricorso e l’intera gamma delle censure poste alla base, in molta parte con argomenti coincidenti, dell’unica, articolata doglianza del secondo atto di ricorso, occorre muovere dalla verifica della ricognizione compiuta dai giudici del riesame in punto di gravi indizi di colpevolezza.
Gli snodi essenziali del ragionamento svolto nel provvedimento impugnato hanno, anzitutto, ricordato la precedente condanna riportata dall’indagato per reati in materia di stupefacenti, aggravati ex Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, da un lato, e l’assoluzione dall’imputazione di cui all’articolo 416-bis c.p. pure conseguita dal medesimo.
Il Tribunale, poi, non ha obliterato che effettivamente (OMISSIS), in tempo antecedente, era stato raggiunto da due ordinanze applicative della custodia cautelare, sempre riferite al reato di associazione camorristica, entrambe annullate dal Tribunale del riesame, la prima, emessa il 28 aprile 2017, per difetto di autonoma motivazione e, la seconda, emessa il 18 – 22 gennaio 2018, per mancanza di gravi indizi di colpevolezza. Si e’ evidenziato che, in questo secondo caso, era stato ritenuto, in via determinante, non adeguatamente dimostrato che il soprannome di “terremoto” ricorrente in alcune conversazioni intercettate – poste a base dell’accusa – si riferisse all’indagato.
Anche rispetto a questo secondo titolo, tuttavia, il Tribunale, nell’ordinanza impugnata, ha escluso la fondatezza dell’eccezione di giudicato cautelare, in quanto gli elementi posti a carico dell’indagato in questa sede sono stati considerati diversi da quelli valutati nel precedente titolo cautelare. Al riguardo, si e’ specificato che, mentre non e’ stato reiterato in riferimento al soprannome “terremoto”, e’ emerso l’ulteriore materiale investigativo costituito dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (pagine 64 – 67 dell’ordinanza genetica), nonche’ dagli esiti delle intercettazioni telefoniche e ambientali (pagine 68 – 89).
Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – che nell’analisi del G.i.p. danno contezza, non soltanto dell’attivita’ dell’indagato nel traffico degli stupefacenti, ma, una volta scarcerato nel 2014 dopo una detenzione decennale, anche dell’assunzione del ruolo di capo dell’omonimo clan, stante anche la latitanza del fratello (OMISSIS), durata dal 2004 fino al 2019, ruolo svolto entrando in rapporti con le altre organizzazioni criminali, sia per accordarsi su questioni di droga, sia per assumere informazioni su vicende omicidiarie (duplice omicidio di (OMISSIS) ed (OMISSIS)) rilevanti per gli equilibri criminali, sia per intervenire a dirimere vicende estorsive (in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS)) – non sono connotate, per il Tribunale, da genericita’ o contraddittorieta’.
Il riferimento primario e’ al contributo dichiarativo di (OMISSIS), collaboratore di giustizia, gia’ intraneo al clan (OMISSIS), a cui l’indagato, appena dopo essere tornato libero, aveva chiesto due incontri su tematiche relative al traffico di droga, ma inquadrate nell’ottica dell’associazione camorristica.
Se e’ vero, quindi, che le indicate fonti narrative – anche quelle ulteriori (ossia quelle di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), le quali, dunque, non sono state misconosciute nel provvedimento impugnato) – hanno riguardato l’operativita’ di (OMISSIS) nel settore della droga, a conferma della perdurante sua dedizione a tale tipo di attivita’, e’ del pari vero, secondo il Tribunale, che questa attivita’ e’ rientrata da sempre tra quelle di pertinenza del clan ed e’ di tale sodalizio che l’indagato, secondo quanto si e’ ritenuto confermato dal contenuto delle intercettazioni, ha dovuto prendere le redini dopo la scarcerazione del gennaio 2014, surrogando – o affiancando, il punto non e’ dirimente nella considerata prospettiva – il fratello (OMISSIS), latitante.
3.2. In tal senso vengono lette le circostanze costituite dall’esigenza dell’indagato di assumere informazioni, appena tornato libero, in ordine al duplice omicidio prima indicato, al fine di comprendere le dinamiche e gli equilibri creatisi tra i sodalizi criminali della zona, secondo quanto aveva precisato il collaboratore (OMISSIS), e la partecipazione di (OMISSIS), a nome proprio e non del fratello (OMISSIS), agli incontri con gli esponenti del clan (OMISSIS), indicative dell’ascesa criminale dell’indagato consolidatasi nei mesi successivi alla scarcerazione.
L’obiezione, su cui la difesa e’ tornata, secondo cui, nell’ambiente criminale, per come percepito dagli stessi collaboratori di giustizia, (OMISSIS) non fosse considerato di capacita’ pari a quella del fratello latitante non puo’ comportare come effetto la destituzione di fondamento dell’acquisizione del ruolo di appartenente al clan con funzioni dirigenti da lui assunto nella fase descritta:
che egli fosse, in quella fase, piu’ o meno capace e competente, per il Tribunale, non rileva decisivamente, essendo invece indicativo il fatto che l’indagato si fosse attivato, in rappresentanza del clan, per assolvere all’esigenza di controllo del territorio, da libero, quindi in condizione di mostrarsi in giro e imporre la propria presenza per assicurare gli equilibri criminali necessari per il clan.
In tal senso, quindi, non e’ stato trascurato il fatto che, certo, l’indagato godeva di stima e considerazione minori rispetto a quelle riservate a (OMISSIS), di cui nei colloqui intercettati i sodali sostenevano la superiorita’: ma tale minore attitudine al comando non ha escluso la – non illogica – considerazione del, pure emerso, dato di fatto, che egli si era trovato a svolgere, gia’ in quella fase, il ruolo di capo, comportandosi come tale, in questa guisa venendo dal Tribunale citate e valutate le condotte da lui serbate nelle vicende estorsive in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS).
L’interpretazione data dai giudici della cautela di queste due vicende (in relazione alla prima, per (OMISSIS), sottoposto ad estorsione da (OMISSIS), esponente del clan (OMISSIS), l’intervento di (OMISSIS) era valso al dimezzamento dell’oggetto della pretesa estorsiva, mentre nel caso d (OMISSIS) l’intervento di (OMISSIS) aveva determinato l’abbandono della pretesa estorsiva) – lungi dal poter essere minimizzata, come aveva proposto e ha riproposto la difesa – e’ stata, in modo argomentato, orientata nel senso che gli interventi dell’indagato erano risultati emblematici del riconoscimento del ruolo apicale assunto nel clan dall’indagato, soltanto in ragione di tale ruolo (OMISSIS) essendosi attivato nell’interesse degli estorti ponendosi in relazione con gli esponenti degli altri clan e riscuotendo, per la sua azione, anche l’elogio dei sodali, in particolare di (OMISSIS) e (OMISSIS) (venendone indicato come “fratello nostro”).
3.3. Anche la vicenda del rimprovero fatto da (OMISSIS) a (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) per essersi avventurato nella zona di competenza dei rivali della (OMISSIS), dove (OMISSIS) era stato pesantemente minacciato di venire ucciso nel luogo simbolo del potere del clan (OMISSIS) (ossia in mezzo all'(OMISSIS)) – letta dai sodali quale espressione della circoscritta caratura criminale dell’indagato, a confronto della diversa posizione che avrebbe assunto (OMISSIS), che non avrebbe tollerato l’umiliazione patita – puo’, secondo il Tribunale, essere considerata senz’altro nel senso di una minore attitudine al comando di (OMISSIS) rispetto al fratello, ma non mette in questione che anche in questa vicenda, redarguendo l’imprudente (OMISSIS), l’indagato si sia comportato da capo ammonendolo a non sconfinare nel controllo del territorio e affermando con la sua determinazione la posizione dell’associazione sull’argomento.
Non contrastata con argomenti adeguati, poi, e’ l’acquisizione dei giudici del riesame che, valutando, fra le altre, la conversazione del 4 novembre 2014, n. 4267, citata dalla difesa, hanno desunto dalla sua articolazione che i conversanti, il coindagato (OMISSIS) e (OMISSIS), si erano riferiti inequivocabilmente alla reggenza del clan da parte di (OMISSIS), coadiuvato da (OMISSIS), pupillo di (OMISSIS): il tenore del colloquio e’ stato reputato tale da smentire anche l’asserzione poi fatta da (OMISSIS) di essersi limitato a riferire voci correnti nel pubblico, discorrendo egli, viceversa, di fatti precisi direttamente appresi da (OMISSIS) o comunque nell’ambito del clan.
Infine, per i giudici del riesame, non smentisce questo assetto accusatorio la precedente sentenza in data 19 maggio 2014 che ha attribuito il ruolo di capo a (OMISSIS): essa, infatti, fa riferimento a un arco temporale di gran lunga anteriore al gennaio 2014.
3.4. Lo spessore di questo complesso di elementi, per come analiticamente esposti dai giudici della cautela, non pare sminuito dalle osservazioni del ricorrente che prospetta la carenza di significativita’ del contributo attivo all’associazione enucleato, con riferimento al tempo dal gennaio 2014 in poi, dai giudici della cautela, ritenuto di rango apicale, in rapporto alle condotte specificamente valutate.
Le critiche variamente mosse circa l’interpretazione delle conversazioni captate fra soggetti diversi dall’indagato non possono essere fatte proprie dal Collegio, perche’ finiscono per prospettare una lettura di quelle captazioni diversa da quella, non illogica, ne’ travisante, offerta nel provvedimento impugnato.
Non puo’, al riguardo, non riaffermarsi la regola secondo cui – pur con tutte le necessarie graduazioni determinate dalla verifica dei rapporti fra i loquenti e la persona oggetto delle conversazioni – gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento, razionalmente motivato, previsto dall’articolo 192 c.p.p., comma 1, senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno, ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, fermo restando che, qualora pero’ tali elementi abbiano natura intrinsecamente indiziaria, essi dovranno possedere i requisiti di gravita’, precisione e concordanza in conformita’ del disposto dell’articolo 192 c.p.p., comma 2, (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714; fra le altre, Sez. 1, n. 41111 del 08/01/2018, Gallico, n. m. sul punto; Sez. 5, n. 42981 del 28/06/2016, Modica, Rv. 268042).
Per quanto concerne il contenuto – probante o indiziante – dell’esito delle singole captazioni, si deve ricordare che costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo’ essere sindacato in sede di legittimita’, se non nei limiti della manifesta illogicita’ ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 1, n. 51901 del 31/10/2018, Stambe’, n. m.; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea, Rv. 268389), dovendo dedursi e dimostrarsi, in tale ultimo senso, il travisamento della prova, ovvero far risultare che giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme dal reale e la difformita’ sia decisiva e incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, Napoleoni, Rv. 259516).
Sulla scorta di questi condivisi principi, sono necessariamente da disattendersi tutte le prospettazioni del ricorrente che mirano al sindacato dell’apprezzamento delle richiamate captazioni.
In definitiva, la motivazione offerta dal provvedimento impugnato, in uno agli argomenti svolti dalla corrispondente parte dell’ordinanza genetica a cui il primo provvedimento rimanda, fornisce un quadro congruo degli indizi di colpevolezza, sia con riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sia con riferimento alle altre fonti, costituenti adeguati riscontri, in ordine all’individuazione in (OMISSIS) di un soggetto certamente attivo in via primaria nel settore degli stupefacenti, ma, dopo la sua scarcerazione del 2014, in correlazione con la latitanza di (OMISSIS), attivamente proiettato nella dimensione, inscindibilmente congiunta, costituita dal suo ruolo direttivo all’interno della consorteria camorristica: l’illustrazione che e’ stata data del contenuto delle intercettazioni appare univocamente indicativa della posizione di (OMISSIS) – forse ritenuta immeritata da qualche conversante e comunque non gestita con l’autorevolezza del fratello (OMISSIS), ma pur sempre – di rilievo apicale all’interno del gruppo criminale.
In particolare, lo stesso intervento in difesa delle persone vittima di estorsione da parte di altri gruppi e’ correttamente spiegato in chiave associativa dal Tribunale, giacche’ pure attivarsi e, nei limiti consentiti dalla proporzionale forza del clan comandato, riuscire a proteggere i sodali o comunque i soggetti vicini all’associazione costituisce, nei congrui casi, una manifestazione del ruolo direttivo, proficuamente giocato per escludere o limitare i danni. L’iter logico-giuridico espresso nell’ordinanza impugnata – per il livello richiesto nel procedimento cautelare che si esita – non si e’, dunque, discostato dal principio di diritto secondo cui, per l’accertamento della commissione del reato di cui all’articolo 416-bis c.p., la condotta di partecipazione e’ riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare – piu’ che un mero status di appartenenza – un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato prende parte al consorzio associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi, sicche’ la sua partecipazione alla consorteria, in difetto di prove direttamente rappresentative dell’intraneita’ del singolo all’associazione, va desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalita’ di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi l’appartenenza nel senso indicato, sempre che si tratti di indizi gravi e precisi, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della permanenza costante del vincolo, sempre in relazione allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670, e, fra le molte successive, Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M., Rv. 274180; Sez. 1, n. 13933 del 29/11/2016, dep. 2017, Agui’, n. m.).
La complessiva doglianza svolta negli atti succitati sul controllo della motivazione in punto di gravi indizi di colpevolezza si rivela, pertanto, infondata.
4. Residua la seconda censura del secondo motivo del primo atto di ricorso, circa la ricorrenza delle esigenze cautelari. Anche per tale ambito deve ritenersi che i giudici del riesame non abbiano errato laddove hanno ritenuto in nessun modo superata la duplice presunzione posta per l’indagato del reato di cui all’articolo 416-bis c.p., dall’articolo 275 c.p.p..
Il Tribunale si e’ mosso dal rilievo che nell’ordinanza genetica risultano chiariti adeguatamente la natura dell’attivita’ svolta e il concreto e attuale pericolo della reiterazione da parte di (OMISSIS) di analoghe condotte criminose, posto che, assodata la presunzione posta per l’indagato del reato di cui all’articolo 416-bis c.p. dall’articolo 275 c.p.p., si e’ considerato non necessario motivare anche in punto di rilevanza del tempo trascorso dalla commissione del reato, come altrimenti sarebbe stato necessario ex articolo 292 c.p.p..
Sulla scorta del disposto dell’articolo 275 cit., si esige, pur sempre, con riferimento al delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., l’acquisizione, in mancanza di comprovata rescissione del vincolo associativo, di elementi di natura positiva idonei a dimostrare, in modo oggettivo e concreto, l’effettivo allontanamento dell’associato dal gruppo criminale.
Stanti tali dati, i giudici del riesame hanno formulato la congrua e non illogica conclusione di sussistenza del concreto e attuale pericolo della reiterazione di reati della stessa specie, contenibile, in relazione allo statuto normativo vigente e sopra richiamato, unicamente con la misura coercitiva della custodia cautelare carceraria, senza la possibilita’ della sollecitata graduazione.
A cospetto di tale quadro il ricorrente ha avanzato censure che non si mostrano calibrate sul complesso delle considerazioni svolte nell’ordinanza e comunque non si appalesano dotate di adeguato fondamento. Del tutto generica si profila la deduzione dell’assenza delle esigenze cautelari, in alcun modo risultando asseverata l’eventualita’ della rescissione promossa dall’indagato del suo legame con la consorteria, ne’ risultando per la sua posizione concrete epifanie dissociative in tale direzione.
In relazione al tempo in concreto trascorso fra i fatti, per come contestati e analizzati, e l’applicazione della misura cautelare, considerata la succitata condotta dell’indagato, deve invero riaffermarsi il principio di diritto secondo cui, in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato del reato di associazione mafiosa, la presunzione relativa di pericolosita’ sociale, di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 3, (post L. n. 47 del 2015) puo’ essere superata soltanto quando dagli elementi a disposizione del giudice – che siano presenti agli atti o siano addotti dalla parte interessata – risulti che l’associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, con l’effetto che, in carenza di elementi a favore della posizione dell’indagato, sul giudice della cautela non grava l’onere di argomentare in positivo circa la persistenza delle esigenze cautelari stesse, esigenze da ritenersi sussistenti, in relazione alla suindicata situazione di fatto (Sez. 1, n. 22437 del 19/12/2018, dep. 2019, Cipolla, n. m.; Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M., Rv. 274180 02; Sez. 1, n. 5787 del 21/10/2015, dep. 2016, Calandrino, Rv. 265986).
5. Di conseguenza, il ricorso deve essere rigettato.
A tale statuizione consegue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Non comportando la presente decisione la rimessione in liberta’ del ricorrente, segue altresi’ la disposizione di trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario di riferimento, ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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