Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 24 settembre 2020, n. 20018.
La condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c., e con queste cumulabile, volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente.
Ordinanza 24 settembre 2020, n. 20018
Data udienza 3 giugno 2020
Tag/parola chiave: Vendita – Leasing – Opposizione a decreto ingiuntivo – Doglianze fondate su una lettura alterativa del compendio probatorio acquisito – Genericità delle censure – Inammissibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE SECONDA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSENTINO Antonello – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30280-2018 proposto da:
(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona dell’amministratore delegato pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3588/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. OLIVA STEFANO
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato (OMISSIS) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 7279/2014, emesso dal Tribunale di Milano in favore di (OMISSIS) Spa per il pagamento della somma di Euro 11.531,69 oltre accessori a fronte delle riparazioni eseguite dal creditore ingiungente su un escavatore usato acquistato in leasing dall’opponente. Nella narrativa dell’opposizione la (OMISSIS) sosteneva che il mezzo, bloccatosi dopo un mese dalla consegna, era stato portato in officina per le riparazioni del caso e che le stesse dovessero essere assicurate dal fornitore (OMISSIS) Spa in garanzia.
Si costituiva in giudizio quest’ultima societa’ resistendo all’opposizione e deducendo che (OMISSIS) aveva prima richiesto ed accettato un preventivo per la riparazione del mezzo, e poi aveva invocato un pagamento rateale del relativo importo, che gli era stato concesso; solo in seguito, e quindi tardivamente, (OMISSIS) aveva sollevato eccezioni circa la funzionalita’ del mezzo.
Con sentenza n. 19736/2015 il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione condannando l’opponente alle spese del grado, nonche’ al risarcimento del danno derivante da lite temeraria ex articolo 96 c.p.c., comma 3.
Interponeva appello avverso detta decisione (OMISSIS) e si costituiva in seconde cure, per resistere al gravame, (OMISSIS) Spa.
Con la sentenza n. 3588/2018, oggi impugnata, la Corte di Appello di Milano rigettava il gravame condannando l’appellante alle spese del secondo grado.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione (OMISSIS), affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso (OMISSIS) Spa, invocando preliminarmente l’interruzione del giudizio per effetto dell’intervenuto fallimento della parte ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va esaminata e respinta l’eccezione proposta dalla parte controricorrente, dovendosi riaffermare il principio per cui “In tema di ricorso per cassazione, la dichiarazione di fallimento di una delle parti non integra una causa di interruzione del relativo giudizio, posto che in quest’ultimo opera il principio dell’impulso d’ufficio e non trovano, pertanto, applicazione i comuni eventi interruttivi del processo contemplati in via generale dalla legge” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7477 del 23/03/2017, Rv. 645844; conf. Cass. Sez. L, Sentenza n. 21153 del 13/10/2010, Rv. 614856).
Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1490 e ss. c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto tardiva la contestazione mossa da (OMISSIS), a fronte dei vizi occulti incidenti sull’escavatore oggetto di causa. Ad avviso del ricorrente il difetto manifestatosi non poteva essere rilevato facilmente dall’acquirente e doveva intendersi tacitamente riconosciuto dal fatto che Volvo aveva eseguito per ben due volte un intervento di riparazione del mezzo.
La censura e’ inammissibile, in quanto in realta’ essa si risolve in una richiesta di riesame della valutazione e del convincimento del giudice di merito, tesa ad una nuova pronuncia sul fatto, da ritenersi preclusa in questa sede in quanto estranea alla natura e ai fini del giudizio in cassazione (Cass. Sez.U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv.627790).
Peraltro la sentenza impugnata valorizza la circostanza che (OMISSIS) avesse sottoscritto in data 16.11.2011 il preventivo di spesa presentatogli da (OMISSIS) Spa, chiedendo per iscritto che esso potesse essere saldato a rate, ed attribuisce a detto comportamento il valore di ricognizione del debito, ritenendo pertanto tardiva l’eccezione sollevata soltanto con email del 27.12.2011 (cfr. pag.5). Trattasi di valutazione di fatto che non puo’ costituire, in quanto tale ed in base al principio di diritto appena richiamato, oggetto di motivo di ricorso in cassazione, anche alla luce del connesso principio secondo cui l’apprezzamento del materiale istruttorio costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv.589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c., comma 3 in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 perche’ la Corte ambrosiana avrebbe ingiustamente confermato la condanna per responsabilita’ aggravata comminata alla (OMISSIS) dal Tribunale, senza considerare che i vizi relativi all’escavatore oggetto di causa erano stati taciuti dal fornitore e che la condotta dell’appellante non poteva essere ritenuta ispirata a dolo o colpa grave.
La censura e’ infondata. Risulta infatti dalla decisione impugnata che la Corte territoriale ha considerato il fatto che (OMISSIS) sia “… esperta del settore, pertanto, ha sottoscritto la clausola n. 2 in discussione in piena consapevolezza, oltre che
Ric. 2018 n. 30280 sez. M2 – ud. 03-06-2020 con doppia sottoscrizione ex articolo 1341 c.c. e ss.. L’intervento in discussione e’ stato richiesto dalla stessa (OMISSIS), come da preventivo a postilla di suo pugno aggiunta per il pagamento rateale, cosa che rende pretestuoso il comportamento successivo e fa apparire come un ripensamento la tesi sostenuta della operativita’ della garanzia. La pretestuosita’ del comportamento e della tesi difensiva giustificano la conferma integrale della sentenza impugnata anche relativamente alla condanna alle spese di primo grado e alla condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, disposto peraltro gia’ sufficientemente punitivo che non si ritiene di replicare in appello” (cfr. pag.5 della sentenza).
Sul punto, va ribadito che “La condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta -con finalita’ deflattive del contenzioso- alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensi’ di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27623 del 21/11/2017, Rv. 646080; conf. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 29812 del 18/11/2019, Rv. 656160).
Ne consegue l’infondatezza della doglianza, non essendo necessario alcun accertamento circa la sussistenza dell’elemento del dolo o della colpa grave, come invece sostiene parte ricorrente (cfr. pag.17 del ricorso); e’ infatti del tutto sufficiente la valutazione della pretestuosita’ della condotta processuale tenuta dalla parte. Il giudice di merito, pertanto, ha correttamente applicato la norma di cui all’ar. 96 c.p.c., comma 3.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1- quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 2.400 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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