Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 dicembre 2020| n. 29131.
La condanna a cessare lo svolgimento dell’attività ritenuta contraria al regolamento di condominio nell’immobile locato emessa nei confronti dei conduttori parti del giudizio, così come quella al pagamento di una somma di danaro per l’eventuale inosservanza dell’obbligo ai sensi 614 bis c.p.c., costituisce titolo esecutivo anche nei confronti dei nuovi conduttori per il solo fatto che l’attività vietata continui ad essere svolta nell’ immobile e ciò indipendentemente dalla mancata partecipazione di questi ultimi al giudizio ove è stata pronunciata la condanna.
Ordinanza|18 dicembre 2020| n. 29131
Data udienza 5 novembre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Opposizione all’esecuzione – Art. 615 c.p.c. – Atto di precetto – Titolo esecutivo – Inosservanza di un obbligo di “non facere” – Immobile in condominio – Svolgimento di attività contraria a regolamento condominiale – Scambio di coppie e altre attività sessuali – Proprietario – Responsabilità per l’attività svolta dal conduttore
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE TERZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 1180 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto da:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), e (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS));
– ricorrenti –
nei confronti di:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS));
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano n. 3095/2018, pubblicata in data 22 giugno 2018;
udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 5 novembre 2020 dal consigliere Augusto Tatangelo.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., avverso l’atto di precetto di pagamento loro intimato da (OMISSIS) sulla base di titolo esecutivo costituito da una sentenza che li aveva condannati al pagamento di una somma di danaro ai sensi dell’articolo 614 bis c.p.c., per ogni giorno di inosservanza al divieto di svolgimento, in un appartamento di loro proprieta’, di una determinata attivita’ contraria al regolamento di condominio.
L’opposizione e’ stata rigettata dal Tribunale di Milano.
La Corte di Appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorrono (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (anche nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), deceduta nel corso del giudizio), sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli articoli 375, 376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato.
E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto e’ stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.
I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., comma 2.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “(ex articolo 360 c.p.c., n. 3) violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c.”. I ricorrenti sostengono, in primo luogo, che l’accertamento contenuto nella sentenza costituente titolo esecutivo, relativo allo svolgimento nell’immobile dei ricorrenti – da parte della societa’ allora conduttrice (OMISSIS) S.a.s. – di una attivita’ contraria al regolamento di condominio, non potrebbe avere alcun valore con riguardo alla nuova e diversa conduttrice (Associazione (OMISSIS)) che aveva conseguito la detenzione dell’immobile solo dopo la formazione del suddetto titolo esecutivo, non essendo stata fornita adeguata prova che anche tale nuova conduttrice svolgesse la medesima attivita’ e non potendo in ogni caso essere effettuato il predetto accertamento se non in contraddittorio con quest’ultima, che non era invece parte del giudizio.
Sostengono inoltre che il divieto contenuto nel titolo esecutivo riguardava esclusivamente lo svolgimento, nell’immobile di loro proprieta’, dell’attivita’ di “scambio di coppie”, mentre la corte di appello aveva ritenuto sufficiente a integrare la violazione di quel divieto lo svolgimento di qualunque attivita’ sessuale, genericamente “trasgressiva”, cosi’ stravolgendone il senso.
Il motivo e’ in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile.
1.1 E’ manifestamente infondato nella parte in cui con esso si sostiene che l’accertamento contenuto nel titolo esecutivo non avrebbe valore in relazione all’attivita’ svolta dalla associazione nuova conduttrice dell’immobile.
Come infatti correttamente osservato dalla corte di appello, la pronuncia di cui al titolo esecutivo, consistente nella condanna a cessare lo svolgimento dell’attivita’ ritenuta contraria al regolamento di condominio nell’immobile dei ricorrenti, era stata emessa (anche) direttamente nei confronti di questi ultimi, cosi’ come la condanna al pagamento di una somma di danaro per l’eventuale inosservanza dell’obbligo.
Di conseguenza, il titolo aveva efficacia diretta nei loro confronti, anche nella parte relativa al pagamento della somma di danaro per l’inosservanza dell’obbligo di “non facere”, ai sensi dell’articolo 614 bis c.p.c., per il solo fatto che l’attivita’ vietata continuasse ad essere svolta nel loro immobile, e cio’ indipendentemente dal relativo conduttore, la cui mancata partecipazione al presente giudizio e’ dunque del tutto irrilevante.
1.2 Per quanto poi riguarda l’accertamento della violazione del divieto sanzionato nel titolo con il pagamento di una somma di danaro ai sensi dell’articolo 614 bis c.p.c., le censure risultano inammissibili.
La corte di appello ha infatti accertato: a) che il divieto di cui al titolo riguardava non solo l’attivita’ di “scambio di coppie” ma anche “altre attivita’ sessuali altrimenti e variamente trasgressive, ad esempio pornografiche o di prostituzione, ugualmente lesive dei concetti tutelati dal Regolamento”; b) che tale tipo di attivita’ (che nel titolo era stato accertato essere in contrasto con il regolamento condominiale), originariamente svolta dalla conduttrice (OMISSIS) S.a.s. sotto la ditta “Club Siberia”, aveva continuato ad essere svolta nei locali di proprieta’ dei ricorrenti anche dalla nuova conduttrice Associazione (OMISSIS), che aveva di fatto riaperto il medesimo Club.
Si tratta di accertamenti di fatto operati dalla corte territoriale sulla base della valutazione del materiale istruttorio e sostenuti da adeguata motivazione, non apparente ne’ insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede.
Cio’ e’ a dirsi, diversamente da quanto sostenuto dei ricorrenti, anche con riguardo all’interpretazione dell’effettivo contenuto del titolo esecutivo, in base al costante indirizzo di questa Corte (che il ricorso non contiene argomenti idonei ad indurre a rivedere) per cui “l’interpretazione del titolo esecutivo compiuta dal giudice dell’esecuzione o da quello chiamato a sindacarne l’operato nell’ambito delle opposizioni esecutive, si risolve nell’apprezzamento di un “fatto”, come tale incensurabile in Cassazione se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimita’, atteso che, in sede di esecuzione, il provvedimento passato in giudicato, pur ponendosi come “giudicato esterno” (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della controversia, bensi’ come titolo esecutivo e, pertanto, non va inteso come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, ma come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15538 del 13/06/2018, Rv. 649428 – 01; nel medesimo senso: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14727 del 21/11/2001, Rv. 550469 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1114 del 24/01/2003, Rv. 559979 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4382 del 25/03/2003, Rv. 561411 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7530 del 12/04/2005, Rv. 582016 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 19057 del 05/09/2006, Rv. 592111 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15852 del 06/07/2010, Rv. 613862 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 760 del 14/01/2011, Rv. 615928 – 01; Sez. L, Sentenza n. 13811 del 31/05/2013, Rv. 626724 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 26890 del 19/12/2014, Rv. 633842 – 01).
Sotto gli aspetti da ultimo indicati, il motivo di ricorso in esame si risolve in sostanza nella inammissibile contestazione di incensurabili accertamenti di fatto operati dai giudici di merito e nella richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, il che non e’ consentito in sede di legittimita’.
2. Con il secondo motivo si denunzia “(ex articolo 360 c.p.c., n. 3) violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 24 Cost., per compressione del diritto di difesa”.
Il motivo e’ inammissibile.
Per quanto emerge dalla decisione impugnata, gli opponenti avevano dedotto, in sede di appello, l’irregolarita’ di una comunicazione del rinvio di una udienza, in quanto contenente l’indicazione del nuovo giudice istruttore (nominato al posto del precedente, per esigenze tabellari) senza che fosse stata previamente comunicata tale nuova nomina: la suddetta irregolarita’, avendo loro impedito di partecipare alle successive udienze, ne avrebbe compresso il diritto di difesa, quanto meno in relazione alla ricostruzione del proprio fascicolo di parte smarrito, ricostruzione avvenuta in modo a loro avviso incompleto, in quanto mancante degli atti del procedimento relativo alla sospensione dell’esecuzione disposta ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., comma 1.
La corte di appello ha ritenuto che la mancata comunicazione del mutamento del giudice non avesse determinato di per se’ alcuna nullita’ processuale, neanche in relazione alla ricostruzione del fascicolo di parte opponente.
I ricorrenti non contestano la decisione nella parte in cui ha escluso che l’omessa comunicazione del mutamento dell’istruttore determinasse nullita’ del procedimento.
Sostengono pero’ che vi fossero ulteriori precedenti irregolarita’ nelle comunicazioni e (per quanto e’ dato comprendere nel contesto di una esposizione non del tutto chiara), comunque, che la comunicazione recante il nome del nuovo istruttore aveva loro impedito di partecipare alle successive udienze (non avendola essi neanche visionata, “anche per ragioni di privacy”), di svolgere adeguate difese e, in particolare, di procedere alla ricostruzione del proprio fascicolo di parte con gli atti del procedimento cautelare intentato contro la nuova conduttrice dell’immobile per ottenere il rilascio dell’immobile, atti da loro ritenuti decisivi.
Orbene, va in primo luogo osservato che, in violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non solo nel ricorso manca lo specifico richiamo agli atti ed alla fase del giudizio di merito in cui sarebbero state dedotte le ulteriori irregolarita’ nello svolgimento del giudizio di primo grado non prese in considerazione dalla corte di appello, ma manca anche lo specifico richiamo al contenuto della comunicazione del provvedimento di rinvio dell’udienza che si assume irregolare e sul quale la corte di appello si e’ pronunciata.
D’altra parte, e’ appena il caso di osservare che, una volta escluso che la mancata comunicazione del mutamento dell’istruttore abbia determinato una nullita’ del procedimento (come gia’ esposto, tale affermazione della corte di appello non e’ oggetto di censura nel ricorso), nessun rilievo puo’ avere la mera circostanza che il provvedimento di rinvio dell’udienza sia eventualmente stato comunicato con l’indicazione del nuovo istruttore invece che di quello originario (come allegato dai ricorrenti, sebbene senza lo specifico richiamo del contenuto del relativo atto), in quanto cio’ non avrebbe impedito agli opponenti di individuare il procedimento e la data della nuova udienza e quindi di partecipare a tutte le successive udienze e, di conseguenza, di ricostruire il proprio fascicolo di parte, come disposto dal giudice.
In ogni caso e’ assorbente la considerazione che si tratta di presunti vizi attinenti al regolare svolgimento del giudizio di primo grado, dei quali non e’ neanche dedotta la idoneita’ (ove effettivamente sussistenti) a determinare la rimessione della causa al primo giudice da parte della corte di appello, ai sensi dell’articolo 354 c.p.c..
Poiche’ la corte di appello ha comunque deciso la controversia nel merito (peraltro prendendo espressamente in considerazione proprio gli atti e i documenti relativi al procedimento cautelare intentato dagli opponenti contro la nuova conduttrice dell’immobile per ottenere il rilascio dell’immobile, cioe’ i documenti la cui mancata acquisizione avrebbe determinato il concreto pregiudizio conseguente ai presunti vizi del giudizio di primo grado), e’ evidente che le censure fin qui esposte risultano del tutto irrilevanti ai fini della decisione.
3. Con il terzo motivo si denunzia “(ex articolo 360 c.p.c., n. 3) violazione dell’articolo 2043 c.c., dell’articolo 3 Cost., e dell’articolo 24 Cost., comma 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, articolo 6, comma 1.”.
Anche questo motivo risulta in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile.
3.1 E’ manifestamente infondato nella parte in cui i ricorrenti deducono la violazione dell’articolo 2043 c.c., e degli articoli 3 e 24 Cost., sostenendo che non sarebbe ravvisabile una responsabilita’ colposa a loro imputabile per l’attivita’ svolta nel proprio immobile dal soggetto conduttore dello stesso, trattandosi di una questione evidentemente non deducibile in sede di opposizione all’esecuzione, in quanto coperta dal giudicato. Nel giudizio di cognizione all’esito del quale si e’ formato il titolo esecutivo essi sono stati infatti condannati direttamente, in proprio, ad impedire la continuazione di tale attivita’ in quanto contrastante con il regolamento di condominio, nonche’ al pagamento di una somma di danaro, ai sensi dell’articolo 614 bis c.p.c., per l’eventuale inosservanza dell’obbligo.
E’ manifestamente infondato anche l’assunto per cui la decisione negativa in sede cautelare, nel procedimento da essi promossi ai sensi dell’articolo 700 c.p.c., contro il nuovo conduttore dell’immobile per ottenerne il rilascio (facendo cosi’ cessare l’attivita’ vietata), essendo stata adottata sul presupposto che non vi era prova concreta dello svolgimento da parte di quest’ultimo dell’attivita’ che era stata giudizialmente vietata con la sentenza poi azionata dalla Pesaro, avrebbe determinato un giudicato sul punto, opponibile anche a quest’ultima.
E’ infatti evidente che nessun giudicato puo’ derivare da una pronuncia emessa in sede cautelare, tanto meno nei confronti di un soggetto che non ha partecipato al procedimento. Le argomentazioni svolte sul punto nel ricorso risultano del tutto inconferenti: e’ sufficiente osservare che la prospettata assimilazione del procedimento cautelare di cui si e’ detto ad un procedimento per l’esecuzione di obblighi di fare risulta del tutto priva del pur minimo fondamento giuridico, sia per la natura dell’azione svolta, sia per le stesse parti (il procedimento cautelare e’ stato promosso dal soggetto tenuto all’adempimento dell’obbligo di “non facere”, peraltro nei confronti di un terzo e neanche nei confronti del titolare del relativo diritto).
3.2 Le ulteriori considerazioni contenute nel motivo di ricorso in esame non si configurano neanche come censure specifiche rivolte contro la decisione impugnata ma come generiche doglianze in ordine all’esito della controversia ed alle conseguenze ulteriori e successive della vicenda sostanziale, anche estranee al presente giudizio.
Esse sono, pertanto, del tutto inammissibili.
4. Il ricorso e’ rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilita’ o improcedibilita’ dell’impugnazione) di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimita’ in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply