La clausola penale e la convenzione di interessi moratori hanno funzioni diverse

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 febbraio 2023| n. 5379.

La clausola penale e la convenzione di interessi moratori hanno funzioni diverse

La clausola penale e la convenzione di interessi moratori hanno funzioni diverse, poiché, per il caso di inadempienza o di ritardo nell’adempimento, la prima ha una finalità sanzionatoria e risarcitoria del danno, che viene predeterminato pattiziamente col limite della manifesta eccessività, mentre la seconda ha uno scopo di corrispettivo o retribuzione per il creditore, entro il limite inderogabile del cd. “tasso soglia” di cui alla l. n. 108 del 1996; ne consegue che anche i rimedi di tutela sono differenti, dato che alla clausola penale non si applica la disciplina in tema di usurarietà dei tassi di interesse, bensì la “reductio ad aequitatem” ex art. 1384 c.c., non predeterminata dalla legge, ma affidata all’apprezzamento del giudice secondo equità, la quale va fondata non già sulla valutazione della prestazione, bensì sulla considerazione dell’interesse all’adempimento della parte creditrice e sulle ripercussioni del ritardo o dell’inadempimento sull’effettivo equilibrio sinallagmatico del rapporto.

Ordinanza|21 febbraio 2023| n. 5379. La clausola penale e la convenzione di interessi moratori hanno funzioni diverse

Data udienza 24 novembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Pagamento di somme – Clausola penale – Valutazione della onerosità di cui all’art. 1384 cc – Discrezionalità del giudice – Natura accessoria della clausola – Carattere omnicomprensivo – Risarcimento di tutti i danni indipendente dalla prova del danno – Interessi moratori – Finalità di reintegrazione del patrimonio per la mancata tempestiva disponibilità del denaro – Limite del tasso soglia – Contratto di fideiussione – Qualifica di consumatore in base alle parti – Irrilevanza del contratto principale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27285/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS) E (OMISSIS), NELLA QUALITA’ DI EREDI DI (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. Marino Salvatore, rappresentate e difese dall’Avv. Mengucci Mauro;
– ricorrenti principali in sostituzione –
contro
(OMISSIS), IN PROPRIO E NELLA QUALITA’ DI LEGALE RAPPRESENTANTE DELL’IMPRESA (OMISSIS), (OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, (OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti domiciliati per legge ivi presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’Avv. Vitali Marco;
– controricorrenti e ricorrenti in via incidentale –
nonche’ contro
(OMISSIS) (deceduto), difensore di se’ medesimo, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. Caporossi Gianluca;
– controricorrente al ricorso incidentale –
Avverso la sentenza n. 329/2019 della CORTE DI APPELLO DI ANCONA, depositata il giorno 08 marzo 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 novembre 2022 dal Consigliere ROSSI RAFFAELE.

La clausola penale e la convenzione di interessi moratori hanno funzioni diverse

FATTI DI CAUSA

1. Con verbale di conciliazione stipulato il 31 maggio 2007 a definizione di liti pendenti innanzi il Tribunale di Pesaro, (OMISSIS), in proprio, l’impresa edile (OMISSIS), le societa’ (OMISSIS) s.r.l. (OMISSIS) s.r.l. si obbligavano solidalmente nei confronti di (OMISSIS) al pagamento (in parte immediato, in parte a scadenze predeterminate) di somme, costituendosi altresi’ (OMISSIS) fideiussore delle obbligazioni assunte dalle imprese.
Nel verbale di conciliazione era stabilita una clausola che prevedeva la corresponsione di una penale nella misura di Euro 250 per ogni giorno di ritardo nel pagamento rispetto alle scadenze fissate.
2. Assumendo (tra l’altro) l’inadempimento nel versamento delle somme nei termini convenuti, (OMISSIS), previa notifica del verbale di conciliazione spedito in forma esecutiva, intimo’ a (OMISSIS), in proprio, all’impresa edile (OMISSIS), alla (OMISSIS) s.r.l. ed alla (OMISSIS) s.r.l. precetto per il pagamento dell’importo di Euro 309.250 a titolo di penale per il ritardo.
3. Avverso detto precetto i soggetti intimati proposero uno actu opposizione ex articolo 615 c.p.c., comma 1, invocando la declaratoria di nullita’ della clausola penale o, in via gradata, la riduzione ad equita’ della stessa.
Esperita consulenza tecnica di ufficio, l’adito Tribunale di Pesaro, con sentenza n. 15/2013 del 10 gennaio 2013, accolse parzialmente l’opposizione, quantificando l’importo dovuto a titolo di penale in Euro 292.530 ma rigettando la richiesta di riduzione della stessa.
4. Sull’appello interposto da parte opponente, la decisione in epigrafe indicata ha ridotto equitativamente l’ammontare della penale, siccome manifestamente eccessiva, e determinato la somma per detta causale dovuta, in sorte capitale, in Euro 157.258,67.
5. Ricorre per cassazione (OMISSIS), affidandosi a due motivi; resistono, con controricorso, (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di legale rappresentante dell’impresa (OMISSIS), l’ (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l., i quali spiegano altresi’ ricorso incidentale per quattro motivi, cui a sua volta resiste, con controricorso, (OMISSIS).
6. Con comparsa depositata lite pendente, si sono costituite (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita’ di eredi dell’originario ricorrente principale (OMISSIS), deceduto nel corso del giudizio di legittimita’.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale, denunciando nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’impugnante deduce che la riduzione della penale per il ritardo operata dal giudice territoriale (in misura pari alla meta’ dell’importo precettato) sia “del tutto immotivata in quanto non collegata all’obiettivo interesse” del creditore all’adempimento ovvero affetta da “motivazione incoerente, illogica ed incompleta” e, quindi, in definitiva meramente apparente.
2. Con il secondo mezzo, il ricorrente principale lamenta violazione o falsa applicazione degli articoli 1175, 1375 e 1384 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si assume, in sintesi, che il giudice territoriale, nel ritenere la manifesta eccessivita’ della penale, non abbia correttamente valutato “l’interesse patrimoniale del creditore all’esatto adempimento e l’incidenza di esso sull’equilibrio e sulla concreta situazione contrattuale alla data della stipulazione della transazione”.
3. Le doglianze – da scrutinare congiuntamente, per la connessione delle questioni ad esse sottese – sono inammissibili.

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Ricorre “motivazione apparente”, causa di nullita’ della sentenza, quando il giudice ometta di esporre i motivi, in fatto ed in diritto, della decisione, di rendere intellegibile l’iter logico seguito per pervenire al dictum reso, cosi’ impedendo la praticabilita’ di un controllo sull’esattezza e sulla logicita’ del ragionamento (sulla nozione di “motivazione apparente” cfr., tra le tantissime, Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 22/09/2014, n. 19881; Cass., Sez. U., 21/06/2016, n. 16599; Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 23/05/2019, n. 13977).
Nella specie, il giudice territoriale, chiamato a valutare l’istanza di riduzione della penale, esterna un ragionamento compiuto e articolato, attraverso l’enunciazione delle coordinate giuridiche di riferimento e la considerazione degli elementi fattuali, pertinenti alla vicenda in esame, ritenuti rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme.
Richiamato il disposto dell’articolo 1384 c.c., la Corte d’appello ha individuato nell’interesse del creditore all’adempimento il criterio dirimente ai fini della praticabilita’ della riduzione della penale e ne ha apprezzato la sussistenza nel caso concreto sulla scorta di plurimi indici reputati significativi (e cioe’: l’integrale adempimento dell’obbligazione principale e la costituzione ad opera di (OMISSIS) di ulteriori idonee garanzie, quali una fideiussione con clausola di pagamento a prima richiesta e il rilascio di assegni in deposito fiduciario ad un terzo).
A fronte di tale argomentazione, per nulla meramente figurativa ma, al contrario, ampiamente giustificativa della decisione adottata, le doglianze del ricorrente principale si risolvono nel richiedere alla Corte un riesame dell’intera vicenda controversa e, in particolare, delle circostanze fattuali assunte come rilevanti (peraltro, gia’ diffusamente prese in considerazione dal giudice territoriale) al fine di quantificare l’interesse patrimoniale del creditore all’adempimento.
Ma una valutazione di tal fatta e’ inibita al giudice di legittimita’.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, l’apprezzamento sulla eccessivita’ dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, nonche’ sulla misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio e’ incensurabile in sede di legittimita’, se correttamente fondato, a norma dell’articolo 1384 c.c., sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entita’ del danno subito (Cass. 01/10/2018, n. 23750; Cass. 07/09/2015, n. 17731; Cass. 10/05/2012, n. 7180; Cass. 16/02/2012, n. 2231; Cass. 16/03/2007, n. 6158).
4. Con il primo motivo di ricorso incidentale, gli impugnanti denunciano violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206, articolo 3, comma 1, lettera a), articolo 33, comma 2, e articolo 36 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
I ricorrenti incidentali si dolgono del mancato riconoscimento della qualita’ di consumatore in capo a (OMISSIS) – persona fisica che aveva prestato garanzia fideiussoria in favore non soltanto delle imprese nelle quali aveva interesse ma anche di soggetti privati ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) – e, per l’effetto, della omessa declaratoria di nullita’ della clausola penale, manifestamente eccessiva. 4.1. La doglianza e’ inammissibile.

La clausola penale e la convenzione di interessi moratori hanno funzioni diverse

La gravata sentenza, muovendo dal rilievo che (OMISSIS) aveva prestato fideiussione “nell’interesse delle imprese” da lui rappresentate, ha ritenuto la inapplicabilita’ soggettiva della disciplina del codice del consumo “per la qualita’ di impresa commerciale dei debitori principali e l’attrazione di detta qualita’ di quella del fideiussore ai fini dell’individuazione del soggetto che deve rivestire la qualifica di consumatore”, cosi’ evidenziando che la garanzia era stata assunta dal (OMISSIS) nell’ambito della sua attivita’ professionale ed in ragione dei legami funzionali che lo avvincevano a siffatte imprese.
In base a tali premesse, la negazione dello status di consumatore appare conforme ai principi di diritto reiteramente enunciati da questa Corte, secondo cui nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, dovendo pertanto ritenersi consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attivita’ professionale, stipuli il contratto di garanzia per finalita’ estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attivita’, ne’ essere strettamente funzionale al suo svolgimento, come invece si verifica quando il fideiussore rivesta il ruolo di amministratore della societa’ garantita (v. Cass. 03/12/2020, n. 27618; Cass. 24/01/2020, n. 1666; Cass. 16/01/2010, n. 742; Cass. 13/12/2018, n. 32225).
Cio’ posto, i ricorrenti incidentali, senza minimamente censurare la correttezza del ragionamento in iure svolto dal giudice territoriale, si limitano a prospettare, in maniera del tutto assertiva e frontalmente contrapposta alla sentenza impugnata, un diverso andamento fattuale della vicenda, asserendo che (OMISSIS) aveva prestato fideiussione in favore di privati cittadini.
Orbene, e’ noto come sia inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che si fondi su una situazione di fatto diversa da quella accertata nel giudizio di merito (tra le tante, Cass. 11/11/2015, n. 23045), essendo in ogni caso escluso un nuovo apprezzamento dei fatti da parte della Corte di legittimita’ (Cass. 01/06/2021, n. 15276).
5. Con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali denunciano falsa applicazione degli articoli 1382 e 183 c.c. e dell’articolo 644 c.p., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Ad avviso degli impugnanti, erroneamente la gravata sentenza non ha ravvisato l’identita’ di funzione tra la clausola penale (“utilizzata per sanzionare il solo ritardo di una prestazione completamente adempiuta”) e gli interessi moratori e, per conseguenza, atteso il superamento in concreto del tasso di usurarieta’, non ha dichiarato la nullita’ della penale e la non debenza di alcuna somma per il ritardo nell’adempimento della prestazione da parte del (OMISSIS).
5.1. Il motivo e’ infondato.
Esso muove ed argomenta dal presupposto, giuridicamente errato, della assimilazione funzionale (e, per l’effetto, dell’omogeneita’ dello statuto di disciplina) tra la clausola penale e la pattuizione di interessi moratori, istituti che sono animati da rationes differenti ed assistiti da strumenti di tutela ben distinti.
La clausola penale e’ una pattuizione accessoria del contratto convenuta dalle parti per rafforzare, da un lato, il vincolo contrattuale e per stabilire, dall’altro, preventivamente, una determinata sanzione per il caso di inadempienza o di ritardo nell’adempimento: con essa le parti quantificano, in via anticipata e per l’eventualita’ di ritardo oppure di inadempimento della prestazione principale, l’entita’ del danno da ristorare in favore della parte adempiente.

La clausola penale e la convenzione di interessi moratori hanno funzioni diverse

La determinazione del danno cosi’ liberamente stabilita dalle parti ha carattere omnicomprensivo, nel senso che ricomprende tutti i possibili pregiudizi derivanti dall’inadempimento o dal ritardo, pure quelli ulteriori e diversi (ad esempio, di natura non patrimoniale) rispetto alla mancata o tardiva esecuzione della prestazione principale; essa conferisce il diritto ad ottenere quanto previsto a titolo di penale, indipendentemente dalla prova dell’effettivo pregiudizio verificatosi, ma al contempo limita l’entita’ di quest’ultimo, escludendo (salva diversa pattuizione) la possibilita’ di richiedere il risarcimento del danno ulteriore, in concreto patito.
La convenzione di interessi moratori costituisce, per le obbligazioni aventi ad oggetto una somma di denaro, uno strumento finalizzato alla reintegrazione del patrimonio del creditore a fronte della perdita connessa alla mancata disponibilita’ tempestiva della somma oggetto del credito; pur in caso di mancata determinazione pattizia, la debenza degli interessi moratori opera, ai sensi dell’articolo 1224 c.c., in via automatica, in forza della presunzione di naturale fecondita’ del danaro.
La misura degli interessi moratori incontra un limil:e (inderogabile) nella previsione positiva del c.d. tasso-soglia stabilito dalla L. 7 marzo 1996, n. 108: il legislatore fissa il saggio massimo entro il quale “il corrispettivo di una prestazione di danaro” puo’ ritenersi consentito nel nostro ordinamento ed il cui superamento (anche per un solo centesimo di punto) importa la nullita’ della clausola d’interessi (articolo 1815 c.c., comma 2) e la debenza degli stessi nelle minor misura lecita, prevista dall’articolo 1224 c.c. (tra tutte, Cass., Sez. U, 18/09/2020, n. 19597), senza alcuna possibilita’ di i una differente quantificazione giudiziale in rapporto al caso concreto.
In ipotesi di clausola penale, il rimedio di tutela e’ rappresentato dalla reductio ad aequitatem prevista dall’articolo 1384 c.c..
In virtu’ di tale norma, la manifesta eccessivita’ della prestazione pattuita a titolo di penale non e’ predeterminata dalla legge in via generale ed astratta, ma e’ oggetto di verifica relativa al caso concreto, affidata all’apprezzamento secondo equita’ del giudice, orientata non da una valutazione della prestazione nella sua oggettivita’ stimata ma dalla considerazione dell’interesse all’adempimento della parte creditrice, tenendo cioe’ conto delle ripercussioni del ritardo o dell’inadempimento sull’equilibrio delle obbligazioni reciprocamente assunte e della sua effettiva incidenza nella vicenda esaminata.
Il compimento di tale valutazione prescinde, quindi, da qualsivoglia parametro positivamente prestabilito, tampoco dai canoni di usurarieta’ definiti dalla L. n. 108 del 1996: l’esito del giudizio equitativo ex articolo 1384 c.c. puo’, infatti, condurre tanto a ritenere eccessiva (e, quindi, passibile di riduzione) una penale pecuniaria contenuta nei limiti del tasso soglia quanto a ritenere non eccessiva (e, quindi, non riducibile) una penale pecuniaria che oltrepassi siffatta soglia.
Le osservazioni che precedono, funditus ispirate dalla diversita’ di funzione assolta dai due istituti in esame (corrispettiva o retributiva per gli interessi moratori; sanzionatoria e risarcitoria, per la clausola penale) giustificano l’inapplicabilita’ alla clausola penale della disciplina in tema di usurarieta’ dei tassi d’interesse e danno pertanto conto della infondatezza del motivo di ricorso in scrutinio.
6. Con il terzo motivo, i ricorrenti incidentali deducono “la nullita’ della sentenza per la erronea applicazione e/o violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, articoli 1384, 1175, 1366 e 1227 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa/apparente motivazione sul quantum di riduzione della caparra (sic) ritenuta manifestamente eccessiva”.
Sostengono, in particolare, come l’operata riduzione del 50% non tenga conto dell’incidenza della clausola sull’equilibrio e sulla situazione contrattuale ed ignori che la penale, pur cosi’ quantificata, conduce a conseguire importi superiori alle rate effettivamente pagate.

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6.1. Il motivo e’ inammissibile.
La censura – che si dipana attraverso la trascrizione di cospicui stralci della motivazione della sentenza impugnata e la riproduzione di astratte e non pertinenti massime della giurisprudenza di legittimita’ concerne, in ultima analisi, il criterio seguito dal giudice territoriale per la determinazione dell’entita’ della riduzione equitativa della penale.
Finisce, cosi’, per attingere la sfera di discrezionalita’ riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimita’ (per le ragioni gia’ esplicate sopra, sub § 3.), circa l’apprezzamento sulla eccessivita’ dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti nonche’ sulla misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo.
7. Con il quarto motivo, i ricorrenti incidentali, prospettando “erronea applicazione e/o violazione degli articoli 187, 191 e 245 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, contestano il rigetto del quarto motivo di appello, con cui era stata dedotta la mancata ammissione ad opera del giudice di prime cure di mezzi istruttori (rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio, escussione di testimoni).
7.1. Il motivo e’ infondato.
In disparte la mancata riproduzione o trascrizione del contenuto del quarto motivo di appello di cui si asserisce l’ingiusta reiezione, basti, qui osservare che: (a) la rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio costituisce esercizio di un potere ampiamente discrezionale del giudice di merito non censurabile in sede di legittimita’, anche in caso di implicito o immotivato diniego di esplicita richiesta della parte (cfr. Cass. 12/01/2012, n. 305; Cass. 11/05/2007, n. 10849); (b) quanto alla prova testimoniale, le circostanze capitolate (riportate in ricorso) non scalfiscono il giudizio di sufficienza degli elementi istruttori acquisiti operato dalla sentenza impugnata, dacche’ afferiscono ad aspetti secondari della vicenda, non incidenti sulla valutazione da compiere ai fini della riduzione della penale, se non addirittura deponenti in senso sfavorevole al debitore (evidenziandone una situazione di difficolta’ finanziaria che rende maggiormente pregnante l’interesse del creditore all’adempimento e piu’ giustificata la misura della clausola penale).
8. In conclusione: il ricorso principale va dichiarato inammissibile, mentre il ricorso incidentale va rigettato.
9. La soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso principale.
Rigetta il ricorso incidentale.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimita’.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, nonche’ per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso il Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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